Dead Girl Diamonds – I’m Going To Stop Killing And Start Giving Birth

Sotto il cielo buio di Rauma, risplende tra i boschi suburbani un diamante, la cui luce dipana un’effimera energia, da spiazzare il fumo delle industrie nella zona portuale.

E non soltanto dal 27 marzo, ma da quando Mia Skön, dieci anni, fa debutta con l’ep “pilota” Dead Girl in versione DIY, stile che oltre a calzarle come un guanto battezza la sua crescita.
Album, questo, impegnativo e verace, classico e ben realizzato che conferma, una volta ascoltati su bandcamp i precedenti, la realizzazione artistica indipendente da qualsiasi altro cliché.
Già lo si intuisce dall’epos che si impone nell’ouverture di War Bonnet, in cui Lauri Palonen si presenta felicemente nella sua versatilità tonale. Non è affatto un album scontato, e così continua da Heather in avanti: accordi severi raddolciti da arpeggi stranianti scuotono i luoghi comuni che allontanano i paragoni dagli oramai lontani Sonic Youth.
A mio parere, all’interno della cornice delle canzoni, si combinano diverse reazioni da elementi molto basici ed è proprio in questo che la riuscita dell’album in questione vive, respira e illumina l’ascoltatore.
C’è un motivo che porta a riascoltare più volte i 10 veri e propri diamanti estratti dal quartetto finlandese: il sottile e intrigante fascino dell’innamoramento.
Ottimo il mixaggio di Markus Pajakkala e la registrazione di Vesa Sillvan che probabilmente saranno confermati per la prossima uscita, in gennaio, di un ep necessario per chiudere l’enciclica saga. Questo ha il significato di un asso di diamante e ben altro..

TRACKLIST
1 War Bonnet
2 Heather
3 Only let it be no war
4 Another girl Done Gone
5 How Long
6 God’s great Blow Job
7 Beyond Your eyes
8 Library man
9 Sea Blind
10 I’m Going To Stop Killing And Start Giving Birth

LINE-UP
Mia Skön – voce , synth e chitarra ritmica
Lauri Palonen – Chitarra solo
Kosti Uusi-Kartano – Basso
Karoliina Laukola – Batteria, cori

DEAD GIRL DIAMONDS – Facebook

Shallow Ground – Embrace The Fury

Il quartetto statunitense riempie le orecchie di metallo veloce e old school, seguendo le orme dei gruppi storici della Bay Area, con un tornado di ritmiche e refrain

Una furia thrash metal made in Bay Area risulta Embrace The Fury, secondo e devastante album degli Shallow Ground, band proveniente dal Connecticut, al secondo lavoro dopo The End of Everything uscito un paio di anni fa.

Il quartetto statunitense riempie le orecchie di metallo veloce e old school, seguendo le orme dei gruppi storici della Bay Area, con un tornado di ritmiche e refrain che portano aldilà dell’oceano, quando il genere, trainato dalle solite band monstre, non era certo relegato all’underground, ma imperversava nei gusti dei kids sparsi per il mondo.
Notevole la tecnica del gruppo, che sa suonare e si sente, pur mantenendo il proprio sound stabilmente sui binari del genere, la bravura strumentale non viene mai meno e le tracce ne giovano non poco.
Martellante e sontuoso il lavoro del drummer Kurt Ragis, un distruttore che sa anche picchiare di fino e assistito dal basso pieno di Nick Persico e da applausi le prove delle due chitarre dai ritmi pesantissimi e i solos ultra tecnici (Keith Letourneau, anche al microfono e Tim Smith) sono il valore aggiunto di un lotto di brani che sanno come farsi piacere, così che l’album scorre tra un’influenza e con tanto mestiere.
I brani sono mediamente lunghi, colmi di cambi di tempo e fughe sui manici delle asce che bruciano sotto le dita dei due axeman, in un turbinio di thrash old school come il dio metallo comanda.
Once Again da il via al bombardamento sonoro portato da questi quattro guerrieri del thrash, Brace For Impact finisce di distruggere quello che è rimasto in piedi e FIU passeggia tra i resti, sepolti dalla polvere e dalle mine, fatte esplodere da dirompenti songs come Class Warfare e Slayer Of The Gods.
Discorso a parte per Looking Glass, a suo modo una semi ballad intimista, drammatica e dall’incedere tragico che riporta ai primi metallica, con un crescendo che porta al solo molto suggestivo nella sua tragica ed oscura violenza.
Embrace The Fury è un ottimo album, Exodus, Metallica, primi Testament e Forbidden sono gli spiriti che aleggiano tra i solchi del disco, il tutto suonato e prodotto con ottima professionalità, regalando un riuscito spaccato su uno dei generi più importanti del mondo metallico, per i fans l’ascolto è obbligato, c’è da divertirsi.

• Autore
Alberto Centenari

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• ETICHETTA

• TRACKLIST

1. Once Again

2. Khan

3. Brace for Impact

4. Human Flame

5. Eye of the Storm

6. F.I.U.

7. Class Warfare

8. Looking Glass

9. Slayer of the Gods

• LINE-UP

Keith Letourneau Guitars , Vocals
Tim Smith Guitars
Kurt Ragis Drums
Nick Persico Bass

• VOTO
7.50

• URL Facebook
http://www.facebook.com/ShallowGround

• URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

• DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Necrogod – The Inexorable Death Reign

The Inexorable Death Reign potrebbe sembrare un riempitivo nella lunga lista di lavori del musicista svedese ma, dopo l’ascolto, l’attesa per un full length cresce, ipnotizzati dall’oscuro incedere del sound di questa coppia di demoni.

Non ditemi che eravate preoccupati, un mesetto senza leggere di qualche delirio musicale del buon Rogga Johansson, cominciava ad insinuare dei dubbi nei deathsters di tutto il mondo.

Invece ecco che, proprio quando l’ormai odiato 2015 sta scivolando verso l’oblio, portato dal giungere del generale inverno, il sottoscritto è ancora una volta alle prese con il musicista svedese che ci regala un altro inno estremo in cui ha messo le grinfie in questo tempestoso anno che va a concludersi.
Questa volta la band si chiama Necrogod, l’ep di debutto The Inexorable Death Reign e Rogga è accompagnato dal singer costaricano Ronald Jimenez degli Insepulto.
Cinque brani più intro per una ventina di minuti di death metal old school, dove al growl ferocissimo del vocalist si aggiungono le prove del musicista svedese con basso e sei corde per un risultato come al solito più che buono.
Siamo nel death marchiato a fuoco dalla tradizione scandinava, oscuro, tremendo e blasfemo, reso ancora più maligno dall’ottima prova del singer costaricano, un sacerdote belluino, che valorizza i brani con un la sua ugola forgiata direttamente nel più buoi antro dell’inferno, mentre Johansson dal canto suo tortura gli strumenti senza pietà e le songs arrivano direttamente a noi, spedite da Satana in persona.
L’ep gioca molto sulle atmosfere, l’impatto è tremebondo come al solito, ma la puzza di marcio e zolfo, violenta le narici, così che l’antro infernale non è poi così lontano da noi e le larve della putrefazione cominciano ad apparire come in un tremendo incubo notturno.
Worms In Holy Flesh e Human Misery sono le track dove il duo riesce al meglio nel suo intento di portare sulla terra il clima catacombale che permea il lavoro, mentre a noi passano come flash allucinogeni sonorità care a primi Entombed e Dismember così come Asphyx e Morgoth in un blasfemo incesto estremo.
The Inexorable Death Reign potrebbe sembrare un riempitivo nella lunga lista di lavori del musicista svedese ma, dopo l’ascolto, l’attesa per un full length cresce, ipnotizzati dall’oscuro incedere del sound di questa coppia di demoni.

TRACKLIST
1. Intro – The Inexorable
2. Worms in Holy Flesh
3. The Death Provoker
4. Human Misery
5. Skull Crushing Death
6. Exequies for a Moribund God

LINE-UP
Ronald Jimenez – Vocals
Rogga Johansson – Guitars, Bass, Drum programming

NECROGOD – Facebook

L.A.C.K. – The Fragile (Soundtrack for the tormented)

L.A.C.K. è al al momento una delle migliori espressioni del DSBM nazionale, un progetto da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.

Secondo album per L.A.C.K. (Life Affliction Can Kill), progetto di Acheron, musicista italiano dedito ad una forma di DBSM di qualità convincente, come già evidenziato con l’ep When Everything Is Gone, risalente alla scorsa primavera

In quest’occasione il nostro struttura la sua creatura come una vera e propria band, avvalendosi della sezione ritmica degli Eyelessight formata da Ky e HK; inoltre, raduna diversi personaggi della scena nazionale, come Tenebra (Dreariness), Kjiel (Eyelessight) e The Haruspex (Selvans), ed il loro contributo arricchisce non poco il lavoro specie dal punto di vista vocale, apportando diverse varianti a quello che resta, comunque, il classico disperato screaming che è marchio del genere.
Assieme al funeral doom, il depressive black è lo stile musicale che più di altri riesce ad evocare in maniera compiuta il male di vivere, sfruttando nello specifico la dicotomia tra una struttura spesso delicatamente malinconica o di matrice acustica e lo strazio prodotto da un approccio vocale urticante.
Il lavoro di Acheron si sviluppa così in tal senso, aderendo all’ortodossia del genere ma facendolo attraverso una serie di brani splendidi nel loro unire linee melodiche toccanti alla struttura ritmica del black metal.
L’apporto delle strazianti voci femminili di Tenebra e Kjiel, rispettivamente in The Fragile e Your Reflection, si rivela indubbiamente un bel valore raggiunto per due brani che fotografano in maniera eloquente le doti compositive di Acheron, in grado di imprimere al proprio sound quella patina di disperazione ottundente che non urta ma imprigiona irrimediabilmente l’ascoltatore in un grigio e soffocante bozzolo.
Magnifiche anche Nothingness e la lunghissima Stains, mentre Distress Supernova si sposta su territori più propriamente black, assecondando in parte la presenza dell’ospite The Haruspex; ad aprire e chiudere il lavoro troviamo due tracce strumentali, l’acustica While the silence of the night… e l’ambientale ..It’s the soundtrack of a torment, composte rispettivamente da Kjiel e Ky, a dimostrazione dell’intento di Acheron di sfruttare al massimo l’ispirazione dei propri compagni d’avventura.
La scena DBSM nazionale è decisamente vivace e ben rappresentata un gruppo di band o progetti di grande qualità (diversi dei quali sono appunti rappresentati in questo The Fragile) che forniscono un interpretazione del genere sufficientemente peculiare: L.A.C.K. ne è al al momento una delle migliori espressioni, da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.

Tracklist:
1 – While the silence of the night…(intro)
2 – Nothingness
3 – Distress Supernova
4 – Your Reflection
5 – Stains
6 – The Fragile
7 – …It’s the soundtrack of a torment (outro)

Line-up:
Acheron : Vocals,Guitars,Arrangements
Ky : Bass
HK : Drums

L.A.C.K. – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=7ImMAwJziIg

Haunted By Destiny – Aria For An Angel

Aria For An Angel piace al primo ascolto e fa innamorare: come con le sirene di Ulisse, i più deboli finiranno nelle grinfie degli Haunted By Destiny e saranno perduti.

Non credo che questi ragazzi rimarranno per tanto dentro ai confini dell’uderground, troppo appeal sprigiona la loro musica, così ricca di melodie pop/metal/rock da far muovere il fondo schiena di una statua.

Esordio dunque che più riuscito di così non si può, un perfetto e patinato esempio di hard rock moderno ed irresistibile, tremendamente radiofonico forse anche troppo.
Intendiamoci, Aria For An Angel è il classico disco rock che può tranquillamente far strage di cuori, anche quelli poco avvezzi a sonorità colme di elettricità, la band ha tutto per sfondare, dal songwriting esagerato, colpevole di un lotto di brani indiscutibilmente accattivanti, una bella e brava vocalist e quell’amalgama riuscita in pieno di varie sonorità, che vanno dal metal, al pop, passando a salutare l’alternative in voga in questi ultimi anni.
Il gruppo svedese punta tutto sulla voce splendida e perfetta per il genere proposto di Evelina Eliasson e su di essa costruisce un sound che pesca dal symphonic rock, come dal metal alternative, divagazioni elettroniche, ed un gusto pop da classifica che è il colpevole dell’appeal esagerato di queste dodici canzoni.
Da Healthy Girl, opener dell’album è un susseguirsi di melodie vincenti, ottimi inserti elettronici, e chitarre che all’occorrenza sanno graffiare, mantenendo una media potenza e dando spazio, molto, alla voce che grintosa e suadente si insinua nella testa dell’ascoltatore per non lasciarla più.
Brani da cantare sotto la doccia, chorus che creano dipendenza, tutto costruito per piacere in modo smisurato, lasciando poco all’istinto ed è qui che Aria For An Angel perde qualche punto, perdendo in spontaneità quello che acquista in appeal.
Un dettaglio discutibile senz’altro e che molti di voi non troveranno, persi in questo arcobaleno di melodie che alla lunga tendono ad assomigliarsi in tutta la durata dell’album, ma che sicuramente piacciono.
Difficile trovare una songs che spicca sulle altre, la media è alta e su questo non ci piove, sappiate che tra le note di questa raccolta di brani c’è tanto del metal/rock degli ultimi anni, Evanescence, Lacuna Coil, un pizzico di Halestorm nelle parti più grintose e tanto pop.
Aria For An Angel piace al primo ascolto e fa innamorare: come con le sirene di Ulisse, i più deboli finiranno nelle grinfie degli Haunted By Destiny e saranno perduti.

TRACKLIST
01. Healthy Girl
02. Turning Pages
03. For You
04. Freakshow
05. The Road
06. Gravity
07. Follow
08. Tear (It’s dead)
09. Stand My Ground
10. Someone to die for
11. Secret delight
12. Aria for an angel

LINE-UP
Johan Söderhielm-Guitar
Simon Weston-Guitar
Evelina Eliasson-Vocals
Christian Gardefuhr-Drums
Marcus Karlsson-Johansson-Bas

HAUNTED BY DESTINY – Facebook

Necropsy – Buried In The Woods

Buried In The Woods conferma un buon momento di stabilità ed una ritrovata continuità nel creare musica estrema da parte dei Necropsy, a conferma che la Xtreem ci ha ancora visto giusto e che il death metal della band può così tornare a far male.

Band culto del panorama death scandinavo, in questo caso finlandese, i Necropsy licenziano quest’ultimo lavoro tramite la Xtreem Music, già con il suo logo in bella mostra nel precedente ep Psychopath Next Door di due anni fa.

Gruppo dall’ormai lunga storia, il quintetto scandinavo torna a ruggire in questo periodo di rinnovato interesse per i suoni estremi old school, specialmente nell’underground, dove non passa giorno senza trovarsi al cospetto di vecchi marpioni e nuove leve alle prese con il death metal di inizio anni novanta.
E i Necropsy di anni sul groppone ne hanno eccome, attivi dalla fine degli anni ottanta e protagonisti nella storica scena nel decennio successivo, trainati dai gruppi che hanno fatto la storia del genere su al nord.
Una lunga serie di demo ed un ep dal 1989 al 1993 e po un lunghissimo silenzio fino al 2011, con l’uscita di Bloodwork, di fatto primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo.
Buried In The Woods conferma un buon momento di stabilità ed una ritrovata continuità nel creare musica estrema da parte dei Necropsy, a conferma che la Xtreem ci ha ancora visto giusto e che il death metal della band può così tornare a far male.
La carica è quella giusta, l’impatto non si discute e così questi trentacinque minuti di delirio estremo possono sicuramente fare la gioia dei deathsters incalliti, pregna di quel mood oscuro e bestiale, che sono le virtù del combo finlandese.
Come da copione il death metal dei nostri è una veloce cavalcata verso l’inferno, i rallentamenti doom/death, cari alla scuola classica sono monolitici e pesantissimi e la band ci sguazza, creando atmosfere di blasfema musica estrema che, se non ha grossi picchi, non scende neppure sotto una buona media, così che le varie Cold Fart Morbidity, Full Moon Catlin, Best Day Ever e la conclusiva Father Eresy possano soddisfare gli amanti del genere.
Buona prova di tutti i musicisti coinvolti, e molto ben strutturate le parti rallentate, morbose e soffocanti, per un lavoro che non cambierà certo lo status di genere underground del death metal old school, ma che risulta una buona uscita tra le tante che in questo periodo hanno invaso il mercato discografico.

TRACKLIST
1. Buried in the Woods
2. Cold Fart Morbidity
3. Just Sharpen My Knife
4. Dead Inherit the Land
5. Full Moon Catlin
6. Pages of Flesh
7. Best Day Ever
8. Father Heresy

LINE-UP
Janne Kosonen – Guitars
Tero Kosonen – Vocals
Ville Vartiainen – Bass
Hannu Väänänen – Drums
Sami Heinonen – Guitars

NECROPSY – Facebook

Fin’amor – Forbidding Mourning

Un primo passo più che positivo, per il prossimo si auspica essenzialmente un graduale distacco dai propri modelli stilistici.

A tre anni dal singolo Memories Of Flesh, gli statunitensi Fin’amor si presentano sulla scena death doom con questo full length d’esordio intitolato Forbidding Mourning.

Al contrario di quanto accade di solito alle band d’oltreoceano, che spesso prendono spunto da quella che è la loro migliore espressione nel settore, ovvero i Daylight Dies, il gruppo newyorchese volge il proprio sguardo verso la vecchia Europa, nello specifico in Finlandia prendendo come punto di riferimento soprattutto i Swallow The Sun.
Non che i nostri siano una fotocopia dei maestri del death doom melodico, tutto sommato i Fin’amor ci mettono del loro per cercare di differenziarsi, a partire da un uso più cospicuo del pianoforte rispetto agli standard del genere, certo è che, quando il sound decolla esprimendo del tutto la sua corposa drammaticità, le somiglianze con Raivio e soci sono evidenti.
Poco male, in fondo, visto che l’offerta dei ragazzi di Brooklyn si attesta su un buon livello medio, compensando la relativa originalità con un’apprezzabile vena compositiva evidenziata in tracce cariche di pathos come Oasis e la lunga Natura, senza dimenticare episodi più rarefatti ma non meno efficaci come Memories Of Flesh o Porcelain Swan.
Da rimarcare la buona prova vocale di Benjamin Meyerson, fondatore dei Fin’amor assieme al chitarrista Julian Chuzhik e al tastierista Nodar Khutortsov, dotato di un growl potente ed una voce pulita profonda ed intonata; inoltre, l’attuale configurazione della band a sei elementi arricchisce non poco il sound, rendendo ancor più efficaci i passaggi più robusti.
In definitiva un primo passo più che positivo, per il prossimo si auspica essenzialmente un graduale distacco dai propri modelli stilistici.

Tracklist:
1.Bleed the Ocean
2.Oasis
3.I Am Winter
4.Memories of Flesh
5.Natura
6.Porcelain Swan
7.Valediction

Line-up:
Julian Chuzhik – Guitars
Nodar Khutortsov – Keyboards
Benjamin Meyerson – Vocals
Slava Morozov – Bass
Eugene Bell – Drums
Raphael Pinsker – Guitars

FIN’AMOR – Facebook

Tyrant’s Kall – Gla’aki

Ancora il maestro Lovecraft in primo piano, fonte d’ispirazione per moltissime band e sul quale i Tyrant’s Kall aggiungono un’altra ottima colonna sonora

Ispirati dai racconti di H.P. Lovecraft, tornano con il secondo lavoro sulla lunga distanza i Tyrant’s Kall, gruppo belga che unisce death metal scandinavo, pesantezza doom e sfuriate thrash per un risultato estremo che, lungi da reminiscenze moderne, crea atmosfere horrorifiche ed epico/fantasy.

La band, che dietro al microfono si avvale di una miss dall’ugola di un orco che parte da Minas Morgul in assetto di guerra (Esmee Tabasco), nasce nel 2007 e l’esordio sulla lunga distanza ( Dagon) viene rilasciato nel 2012.
Come detto i Tyrant’s Kall uniscono in modo sagace il death metal scandinavo dei primi anni novanta, con il doom epico, la Tabasco passa così dal growl alla voce pulita, grintosa ed in alcuni casi declamatoria, mentre i suoi compagni alternano veloci cavalcate estreme, a rallentamenti doom metal classici, rendendo la loro proposta varia e dal piacevole ascolto.
Pesantezza a tratti monolitica, tipica del doom/death ed ottime parti dove le sonorità classiche la fanno da padrone, riempono l’aria di atmosfere horror e sfumature guerresche, l’album ha nel gran lavoro della parte ritmica il suo punto di forza, esaltante quando corre via (Miskatonic Witch), pesantissima nello scorrere lento e inesorabile della musica del destino (Evil Eye) mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore, con l’indubbia bravura nel saper variare il sound al momento giusto.
Tra i solchi di Gla’aKi non vi sarà difficile scoprire le numerose influenze che il gruppo ingloba nel proprio sound, senza lasciare un retrogusto di già sentito, perché non sono poche le band storiche, famose e non che vengono tirate in ballo dal gruppo belga.
Dismember ed Entombed, Candlemass, Solitude Aeturnus e gli Year Zero tanto per fare dei nomi, si danno il cambio nelle varie tracce, fino alla conclusiva Elixir Of Immortality, il perfetto riassunto del sound del gruppo, partenza doom, intermezzo atmosferico e declamatorio e partenza a razzo per raggiungere il metal più estremo, fino al ritorno a sonorità monolitiche che ci accompagnano alla fine dell’album.
Ancora il maestro Lovecraft in primo piano, fonte d’ispirazione per moltissime band e sul quale i Tyrant’s Kall aggiungono un’altra ottima colonna sonora: per gli amanti dei generi sopracitati un album davvero riuscito.

TRACKLIST
01. The Kraken
02. Medusa
03. Gla’aki
04. Evil Eye
05. Michel Mauvais
06. Miskatonic Witch
07. Fearsome Dreams In The Deep
08. The One That Slumbers
09. Elixir Of Immortality

LINE-UP
Vocals: Esmee Tabasco
Lead Guitar: Ronny Razor
Guitar: H.M. Doom
Bass: UxJx
Drums: M.

TYRANT’S KALL – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yfjL7Wq1yNM

Masacre – Brutal Aggre666ion

Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di altri gruppi più conosciuti e blasonati

Il metal estremo in Sudamerica è un’istituzione nell’underground, specialmente nel vecchio death metal dove non mancano gruppi storici e nuove realtà che, attraversando l’Atlantico, giungono a noi in tutta la loro spietata violenza.

I colombiani Masacre fanno parte dei gruppi più longevi della scena death e arrivano anche in Europa con il loro nuovo lavoro tramite la sempre attenta etichetta spagnola Xtreem.
Attivo addirittura dal 1988 il gruppo di Medellin ha una discografia farcita di un bel numero di lavori, anche se Brutal Aggre666ion viene licenziato dopo una decina d’anni dall’ultimo Total Death, ma la band non è stata certo con le mani in mano in quseta decina d’anni immettendo sul mercato tre compilation ed un mini cd.
Uscito qualche tempo fa, ma arrivato solo ora nel vecchio continente l’album, registrato e mixato da Erik Rutan, travolge come sempre l’ascoltatore, forte di un death metal assassino, come da tradizione per le band sudamericane, senza compromessi e violentissimo.
Il gruppo dall’alto della sua lunga esperienza sa come far male, ritmiche da mitragliatore impazzito, una buona alternanza tra massacro iconoclasta e potente metal estremo cadenzato e growl belluino sono gli ingredienti che la band mette sul piatto, non cedendo di una virgola e scatenando l’inferno sulla terra.
Morbid Angel, e tanto death metal old school, fanno di Brutal Aggre666ion un buon album per i fans del genere, compatto e devastante una prova di forza che, se non ha niente di clamoroso sotto l’aspetto puramente creativo, non lascia dubbi sull’attitudine enorme e l’impatto di queste nove mazzate inferte dai deathsters colombiani sulle nostre teste.
L’opener La Guerra risulta una dichiarazione di intenti ed il bombardamento ha inizio, una distruzione totale con la sola strumentale The Calm Before The Storm che ci fa tirare il fiato prima della conclusiva e tremenda Valle De La Muerte.
Chiaramente con così tanti anni alle spalle i musicisti, sono capaci di prove ottime con i propri strumenti, con l’accento sul demolitore di pelli Mauricio Londoño, un martello di inesauribile potenza.
Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di band più conosciute e blasonate, per gli amanti del genere un gradito e blasfemo ascolto.

TRACKLIST
1. La Guerra
2. Mutilated
3. Bullets
4. War In Hell
5. Donde Habital El Mal
6. Satanic Peace Agreement
7. Reality Death
8. The Calm Before The Storm
9. Valle De La Muerte

LINE-UP
Alex Okendo – Vocals
Jorge Londoño – Lead Guitar
Juan C. Gomez – Rhythm Guitar
Álvaro Álvarez – Bass
Mauricio Londoño – Drums

MASACRE – Facebook

Lola Stonecracker – Doomsday Breakdown

Non fatevi mancare l’ascolto di Doomsday Breakdown, regalatevi un po’ di divertimento, ogni tanto ….

Eccoci al cospetto di un’altra band made in Italy dalle potenzialità enormi, una macchina rock’n’roll senza freni che, pescando dall’hard rock degli ultimi trent’anni, rifila una serie di hit esagerati e confezionando un album divertente, passionale, stradaiolo e dannatamente cool.

Nati come cover band dei Guns’n’Roses, i Lola Stonecracker hanno debuttato nel 2011 con un Ep omonimo e da allora incendiano i palchi europei e nostrani in compagnia di nomi altisonanti del rock’n’roll più energico come Faster Pussycat, Reckless Love, la band di Steven Adler (ex drummer dei migliori gunners) e le maestà John Corabi e Gilby Clarke.
Doomsday Breakdown regala un’ora abbondante di street, hard rock a tratti grungizzato da ritmiche grasse, un viaggio saltando dagli eightees al decennio successivo, tra brani di trascinante rock che non dimentica la melodia e neanche i suoni del nuovo millennio.
Quindici brani sono tanti ma l’adrenalina scorre a fiumi in questa raccolta di canzoni che bombardano l’ascoltatore, elettrizzato e sconvolto dal proprio corpo che si dimena suo malgrado, sotto l’effetto dell’opener Jigsaw, Witchy Lady e Generation On Surface, tre brani che scaraventano al tappeto e dai quali in parte ci si rialza con Secret Of The Universe, semi ballad che mi ha ricordato non poco i Candlebox.
Si riparte sull’ottovolante Lola, per altri quattro brani da infarto su cui la title track spicca alla grande, ed è già tempo di riposarci con un’altra incantevole semiballad, All This Time.
Space Cowboys invita al rodeo forte di un riff in slide e c’è ancora tempo, tra le altre, per la cover di Relax, storico hit degli anni ottanta ad opera dei Frankie Goes To Hollywood e Shine, una classica ballad in Bon Jovi style, tanto per ribadire la varietà dei nostri nel miscelare così tante influenze sotto la bandiera dell’hard rock.
Forti di un vocalist (Alex Fabbri) personale e bravissimo nell’interpretare le varie sfumature di un lavoro che definire vario è un eufemismo, i Lola Stonecracker stupiscono, spaziano, si divertono e fanno divertire miscelando le varie influenze e risultando a loro modo originali.
Nel frattempo la band ha fIrmato un accordo con la Atomic Stuff, punto di riferimento per l’hard rock tricolore, che si occuperà della promozione dell’album dando vita ad una partnhership che promette scintille.
Non fatevi mancare l’ascolto di Doomsday Breakdown, regalatevi un po’ di divertimento, ogni tanto ….

Tracklist:
01. Jigsaw
02. Witchy Lady
03. Generation On Surface
04. Secret For A Universe
05. Perils For A Man From The Past
06. Jekyll & Hyde
07. Doomsday Breakdown
08. Mc Kenny’s Place
09. All This Time
10. Space Cowboys
11. Psycho Speed Parade
12. Mistery Soul Maverick
13. Relax
14. Shine
15. Using My Tricks

Line-up:
Alex Fabbri – Vocals
Lorenzo Zagni – Guitars
Giovanni Taddia – Guitars
Diego Quarantotto – Bass
Christian Cesari – Drums

LOLA STONECRACKER – Facebook

Starblind – Dying Son

Gli Starblind sono sicuramente un surrogato utile per non soffrire di nostalgia tra un lavoro e l’altro della più popolare vergine del mondo metallico

Il conte Dracula, personaggio nato dalla mente di Bram Stoker è uno dei miti che più hanno ispirato le bands metal, dal classico all’estremo, ma il temuto e affascinante vampiro, nella realtà era un nobile rumeno conosciuto come Vlad l’impalatore, crudele e terribile sovrano che per difendere i propri confini, non esitò ad impalare i prigionieri, come monito per le orde di nemici che minacciavano l’invasione del suo regno, come raffigurato sulla copertina del secondo lavoro degli svedesi Starblind.

La giovane band di Stoccolma, nata appena due anni fa e che vede al microfono l’ex batterista degli Steel Attack Mike Stark (molto bravo anche dietro al microfono), va a rimpolpare le truppe che formano l’esercito metallico colpevoli del ritorno in auge dei suoni classici ottantiani e della new wave of british heavy metal.
Successore del debutto Darkest Horrors, uscito lo scorso anno per la Soulspell Records, la band fresca di firma con la Pure Steel, continua sulla falsa riga del primo lavoro, un sound che trae ispirazione dalla vergine di ferro, tanto che alcuni passaggi sembrano uscire dagli strumenti di Steve Harris e soci, su cui il gruppo svedese aggiunge qualche parte più power oriented, quel che basta per rendere il suono leggermente in linea con il metal classico moderno.
Vero è che gli Iron Maiden fanno il bello e cattivo tempo nel songwriting del gruppo, forse un po troppo, anche se i brani non sono male e i musicisti del gruppo i loro strumenti li sanno usare alla grande.
Dying Son rimane un buon prodotto, l’heavy metal ottantiano suonato dalla band è quello che ha fatto innamorare miglioni di fans in tutto il mondo, su questo non ci piove e tra i brani almeno un paio sono davvero belli e coinvolgenti ( il crescendo di Firestone e la conclusiva The Land of Seven Rivers Beyond the Sea, undici minuti di delirio metallico epico e maideniano), ma la troppa somiglianza con la band britannica fa perdere qualche punto a questo lavoro, che chiaramente pecca in personalità.
Se siete fans del suono maideniano, gli Starblind sono sicuramente un surrogato utile per non soffrire di nostalgia tra un lavoro e l’altro della più popolare vergine del mondo metallico, altrimenti passate oltre, anche se fatico a credere che ci siano in giro metallers a cui non piace l’Harris sound.
Mai come questa volta vi saluto con un UP THE IRONS !

TRACKLIST
1. A Dying Son
2. Blood Red Skies
3. Firestone
4. The Man Of The Crowd
5. The Lighthouse
6. Sacrifice
7. Room 101
8. The Land Of Seven Rivers Beyond The Sea

LINE-UP
Mike Stark – vocals
Daniel Tillberg – bass
Zakarias Wikner – drums
Björn Rosenblad – lead guitars
Johan Jonasson – lead guitars

STARBLIND – Facebook

Parsec – Sulla Notte

Il quartetto ha buone intenzioni, ma che non ha ancora l’esperienza per colpire in maniera decisa

A quattro anni dal loro primo ep autoprodotto, i bolognesi Parsec (Federico Cavicchi, Samuele Venturi, Gabriele Tassi, Leopoldo Fantechi) ritornano con Sulla Notte, album composto da dieci brani e pubblicato da Waves For The Masses. Il disco, incrociando The Death Of Anna Karina, Affranti e Massimo Volume, cerca di graffiare con il suo sound, ma raramente riesce a mordere in maniera convincente.

Il piovere di chitarre di Audrey, combinato con un parlato/raccontato che mai inchioda con le sue parole, introduce le regolari note di basso, su cui si sfogano i restanti strumenti, di Luci Al Neon, mentre Per Una Volta, nascondendo, nella sua urgenza, un cuore dai contorni post rock, prova ad avvolgere con malinconiche emozioni.
Non Siamo Mai Stati Moderni, in quarta posizione, prova ad accelerare il ritmo, lasciando che a seguire siano la non così efficace Un’Infanzia Difficile (nel testo viene recitato il banale “alla fine dell’Estate arrivò l’Autunno”) e il pulsare nervoso della più incisiva All’Ultimo Piano.
Il suono carico di malessere de Il Testamento Di Un Uomo, invece, provando a colpire con il suo piglio più pensieroso, si contrappone all’intreccio di basso, batteria e chitarra (decisamente aggressivo nella conclusione), di Emile.
Lo Straniero, infine, più regolare e metodica, cede a Stoccolma e alla sua struttura, a tratti più cerebrale e matematica, il compito di chiudere.

I dieci brani di questo Sulla Notte dovrebbero mordere ed emozionare, ma raramente ci riescono. Si capisce fin da subito, infatti, che il quartetto ha buone intenzioni, ma che non ha ancora l’esperienza per colpire in maniera decisa. Il suono potrebbe essere potente come quello dei The Death Of Anna Karina (o cerebrale come quello dei Ruggine), ma non riesce ad aver dinamica e a colpire con forza, mentre i testi potrebbero essere profondi come quelli dei Massimo Volume (o sofferti come quelli degli Affranti), ma risultano piatti e piuttosto ingenui. Insomma, il potenziale sono convinto che ci sia, ma per risultare convincenti c’è ancora molto lavoro da fare

TRACKLIST
01. Audrey
02. Luci Al Neon
03. Per Una Volta
04. Non Siamo Mai Stati Moderni
05. Un’Infanzia Difficile
06. All’Ultimo Piano
07. Il Testamento Di Un Uomo
08. Emile
09. Lo Straniero
10. Stoccolma

LINE-UP
Federico Cavicchi
Samuele Venturi
Gabriele Tassi
Leopoldo Fantechi

PARSEC – Facebook

After Apocalypse – After Apocalypse

I bresciani After Apocalypse sono una giovane band che cerca di proporre qualcosa di nuovo, partendo da dove tutto è iniziato: i primi anni novanta e la scena olandese, quella dei primissimi The Gathering e Celestial Season.

Difficile dire qualcosa di nuovo in un genere come il metal gotico dalle sfumature sinfoniche, troppe le band che la scena ha da offrire, anche se per un amante di queste sonorità la qualità delle proposte riamane mediamente alta, specialmente se si rivolge l’attenzione dentro i confini nazionali.

I bresciani After Apocalypse sono una giovane band che cerca di proporre qualcosa di nuovo, partendo da dove tutto è iniziato: i primi anni novanta e la scena olandese, quella dei primissimi The Gathering e Celestial Season.
Certo il doom gothic, priorità della scena di un ventennio fa, è addolcito dalla sempre presente componente sinfonica, ma il growl profondo e cavernoso ed il sempre presente clarinetto, rendono il sound del gruppo molto vicino alle atmosfere gotiche del tempo, lasciando le sonorità bombastiche ad altre realtà.
La voce della vocalist, di genere ma molto bella, fa il resto e After Apocalypse risulta cosi un buon lavoro, maturo e personale, anche se scritto da una band al primo passo nel mondo del gothic metal.
Il gruppo dosa bene dolcezza gotica e aggressività death, l’uso del clarinetto dona ai brani eleganza ed un tocco di originalità che non guasta e l’album scorre che è un piacere, tra momenti leggermente più sinfonici ed altri dove le chitarre si fanno sentire, ed escono estreme il giusto per accompagnare l’orco che dall’ombra duetta con la singer.
Ottime le trame ricamate dallo strumento classico in World Of Marzipan e Glorious Way, mentre in One Day le due voci creano l’effetto la bella e la bestia molto suggestivo, con le ritmiche che tengono un passo accelerato per uno dei motivi più interessanti dell’album.
White Page risulta più in linea con il symphonic odierno, anche se il clarinetto continua ad imperversare fino alla metà del brano, dove i ritmi si fanno marziali e pomposi, mentre Mechanical Mask, potente brano gothic, cede il passo alla conclusiva Sentence, brano dall’inizio cinematografico e dall’andamento più marcatamente potente e aggressivo nel suo incedere estremo.
In definitiva un bel debutto: consigliato agli amanti del genere, After Apocalypse è accompagnato da un’ottima produzione affidata al guru dell’Atomic Stuff Oscar Burato, come sempre nei studi dell’etichetta in quel di Isorella e, già di per sè,una garanzia di qualità. Senza dubbio, buona la prima.

TRACKLIST
01. After Apocalypse
02. World Of Marzipan
03. Dark Side
04. Glorious Way
05. Insight
06. Crying Moon
07. One Day
08. White Page
09. Mechanical Mask
10. Sentence

LINE-UP
Elena: Vocals
Seba: Guitar
Zendra: Guitar
Megres: Bass
Varghar: Clarinet, growl vocals
Al: Drums

AFTER APOCALYPSE – Facebook

Affliction Gate – Dying Alone

Gli Affliction Gate fanno più danni con quattro brani che molti gruppi con una discografia intera e questo ep conferma l’enorme potenziale estremo del gruppo transalpino.

Gli Affliction Gate fanno più danni con quattro brani che molti gruppi con una discografia intera e questo ep conferma l’enorme potenziale estremo del gruppo transalpino.

Ho iniziato dalla fine, vero, ma solo per sottolineare e mettere subito in chiaro di che pasta sono fatti gli Affliction Gate, una banda di deathsters con in testa solo ed esclusivamente l’intenzione di farvi male a suon di schiaffoni death metal.
Il gruppo nasce nel 2006 e Dying Alone è il terzo mini cd della loro discografia, a cui si aggiunge il full length Aeon of Nox (From Darkness Comes Liberation) del 2009.
Tornano tramite la Transcending Obscurity dopo quasi quattro anni dall’ultimo ep Shattered Ante Mortem Illusions, purtroppo solo con questi quattro brani, ma la forza e la potenza old school che emanano, bastano e avanzano per farne una delle uscite più rilevanti in ambito death vecchia scuola degli ultimi tempi.
Un uragano sonoro a metà strada tra il death metal scandinavo (Unleashed e Grave) e quello di Asphyx e Bolt Thrower per un risultato devastante.
Animati da un songwriting in stato di grazia, la band spacca che è un piacere e le prime due songs sono un massacro composto da velocità e brutalità, riff e solos spettacolari ed irresistibili ed un growl che è scuola per chiunque voglia mettersi dietro ad un microfono e cantare in una death metal band.
La title track, leggermente più cadenzata non mostra cedimenti e quando gli Affliction Gate decidono di rallentare, il sound diventa un mostro death/doom pesantissimo violentato da solos di lancinante e urlante metallo.
Manicheism Inertia torna a correre al limite della velocità, un bolide impazzito dove alla guida, il vocalist Herostratos, schiva e svernicia un bel po’ di tipacci con la vocazione per il canto brutale, mentre gli addetti a tormentare padiglioni auricolari con i propri strumenti, prendono l’ordine alla lettera e ci investono con una tempesta di fuochi d’artificio death metal.
Due ep in quattro anni sono un po pochini per un gruppo del genere, urge un nuovo full length per sedersi vicino alle band top del genere.

TRACKLIST
1. Negative Lucidity
2. Devising Our Own Chains
3. Dying Alone
4. Manicheism Inertia

LINE-UP
Herostratos vocals
Grief rhythm guitar
Bobby lead guitar
Nico bass
Laurent M. drums

AFFLICTION GATE – Facebook

The Crawling – In Light of Dark Days

Attivi da un anno nella scena estrema, i nord irlandesi The Crawling licenziano il primo lavoro, questo ottimo ep di tre brani che farà lacrimare sangue ai deathsters old school

Attivi da un anno nella scena estrema, i nord irlandesi The Crawling licenziano il primo lavoro, questo ottimo ep di tre brani, che farà lacrimare sangue ai deathsters old school, specialmente chi predilige ritmi cadenzati e slow al limite del doom.

Il trio composto da Andy Clarke (chitarra e voce), Stuart Rainey (basso e voce ) e Gary Beattie alle pelli, in una ventina di minuti ci presenta il suo sound, molto coinvolgente e dalle sfumature dark, drammatico ed evocativo, un lento incedere che non disdegna bellissimi intermezzi acustici, monolitiche parti death in un’atmosfera oscura e melanconica molto suggestiva.
L’opener The Right To Crawl entra subito nel vivo della proposta del gruppo, metallo estremo darkeggiante che non disdegna brevi accelerazioni e troncato in due da un bellissimo intermezzo acustico.
Le due voci , un growl cavernoso, ed uno scream abrasivo, ci accompagnano nel paesaggio spettrale disegnato dalla musica del gruppo, mentre End Of The Rope sa tanto di Katatonia, e il freddo inverno ci abbraccia, tra l’incedere elegante dell’inizio semiacustico e la rabbia espressa in attimi di violenta elettricità.
L’ultimo brano è il più vario del terzetto di brani proposti, una lenta marcia funerea scandita dai lenti colpi che Beattie infligge sul drumkit, prima che si torni a metallizzare il tutto con l’entrata in campo della sei corde.
Catatonic è composta da riff monolitici, l’atmosfera si fa funesta e la suggestiva altalena tra momenti intimisti e sfuriate death, imprime al brano un alone tetro reso ancora più oscuro dal sopraggiungere di un temporale.
Katatonia, My Dying Bride e primi Paradise Lost sono le band di riferimento per il sound dei The Crawling che comunque si fa apprezzare per le ottime atmosfere sofferte e la buona personalità, assolutamente da ascoltare se siete amanti di tali sonorità, promossi.

TRACKLIST
1. The Right to Crawl
2. End of the Rope
3. Catatonic

LINE-UP
Andy Clarke – Guitar Vocals
Stuart Rainey – Bass Vocals
Gary Beattie – Drums

THE CRAWLING – Facebook

Ensight – Hybrid

Possono ricordare molte band e nessuna gli Ensight, ma il loro lavoro farà la gioia di chi è attento a quello che ha da offrirci la nostra scena, che si arricchisce di un’altra ottima realtà.

Nel 2011 questa band pisana si fece conoscere nella scena metallica nostrana per un ep omonimo, uscito autoprodotto per rompere il ghiaccio ed avere la possibilità di cominciare a girare per i palchi dello stivale e far conoscere la propria splendida musica.

Arriva finalmente il primo full length ma, questa volta, accompagnato dalla firma per la Revalve, etichetta nostrana tra le più autorevoli quando si parla di metal underground.
Per chi sente nominare il gruppo per la prima volta, è bene ricordare i talenti che sono dietro al progetto, iniziando dai musicisti che questa band l’hanno creata; Gabriele Caselli (Domine e Eldritch) e Raffahell Dridge (Eldritch), con l’aiuto di Alessio Consani (Eldritch), Dimitri Meloni alla sei corde e lo splendido vocalist Antonio Cannoletta.
Eldritch e Domine, praticamente una buona fetta del meglio che la nostra nazione ha saputo offrire in ambito metallico, gruppi storici e di qualità superiore, conosciuti e rispettati sopratutto all’estero, ed il risultato non poteva che essere clamoroso.
Prog metal di altissimo livello, un songwriting che sa quando e come far male, o dove deve frenare, per rendere la propia proposta ad altissima gradazione melodica, costruendo e disfacendo a suo piacimento, volando alto e lasciandosi cadere in picchiata in un mondo, quello del progressive metallico che se non ci si guarda alle spalle, si rischia di essere aggrediti dall’autocompiacimento e dal troppo specchiarsi nella mera tecnica che in Hybrid si trova comunque in abbondanza.
Il gruppo, dall’alto della sua esperienza, ci rifila As The World Falls Down, posta in chiusura, dodici minuti ed un po’ di symphonic/power/prog metal da standing ovation, un bel biglietto da visita e la chiave per entrare, dalla porta principale, nel loro mondo dove aggressività e melodia sono perfettamente amalgamate per donare musica eterna.
Inutile enfatizzare le prove dei musicisti, ma un plauso va al singer davvero bravo nell’assecondare i vari passaggi, atmosfere e cambi di tempo repentini di cui la musica del gruppo è colma.
Picchiano alla grande e lo sanno fare bene gli Ensight, l’adrenalina scorre a fiumi, a tratti epico ed elegante, il metal dei nostri ha una forza che smuove montagne e le songs dall’alta gradazione metallica non fanno che alzare la tensione e l’attenzione dell’ascoltatore, travolto da cotanto vento tempestoso ( The Pain Society).
Words And Dust, posta a metà album ci da solo il tempo di riprendere le forze, la sua rilassata compostezza da modo di prendere respiro prima che la musica del combo torni ad investirci, una buriana di suoni tecnici ed aggressivi e che con Bloodstained trovano la loro consacrazione.
Possono ricordare molte band e nessuna gli Ensight, ma il loro lavoro farà la gioia di chi è attento a quello che ha da offrirci la nostra scena, che si arricchisce di un’altra ottima realtà.

Alberto Centenari

Si fa largo dirompente nell’ascolto, questa prima fatica discografica dei nostrani Ensight; il sound power/progressive pulito, lirico, massiccio eppure siderale si dipana impreziosito da lyrics futuristiche che compongono un concept fantascientifico uscito diretto dalla bibliografia di Kurt Vonnegut.
Le 9 tracce che compongono questo Hybrid si snodano con un perfetto sentiero logico-musicale, in poco meno di un’ora di metal molto tecnico ma senza mai eccedere negli scomodi meandri dell’autoreferenzialità: chitarre potenti, lucide, chirurgiche ma bilanciate; una sezione sinfonica carica e intrecciata da tastiere ben calibrate che esaltano la voce di Cannoletta.
La storia dei componenti di questo quintetto è chiara e parla di radici ben salde nei classici della scena power/progressive italiana, annoverando al suo interno Gabriele Caselli (Ex-Eldritch, Ex-Domine) e Raffahell Dridge (Eldritch), il che non rappresentando a priori una certezza per la riuscita di un nuovo progetto, in questo caso rivela accenni ad un “savoir-faire”derivato anche grazie all’esperienza di band affermate e capitali per il suond metal nostrano.
Hybrid è un buon disco: massiccio, equilibrato, al cui ascolto non si può non pensare ad influenza storiche quali Dream Theater e Symphony X, ma anche Secret Sphere e, a tratti, a sfuriate thrash in cui le chitarre prendono direzioni musicali inaspettate intrecciandosi con le tastiere, che sperimentano ambienti digitali e disturbanti propri di certi momenti dei Fear Factory.
Bella prova quella degli Ensight, che negli Eden Studio supportati da Alessio Lucatti e Olaf Thorsen hanno registrato francamente un bell’album, sapientemente mixato da un Simone Mularoni il cui lavoro in postproduzione si percepisce chiaramente senza essere invadente.
Gli Ensight segnano una nuova tappa nel loro percorso musicale e proseguono il loro buon lavoro, restiamo in attesa di conoscerne l’evoluzione.

Elio Genzo Balbo

TRACKLIST
1. Downfall
2. Godfreak
3. The Pain Society
4. Hybrid
5. Words and Dust
6. Bloodstained
7. Falling from Above
8. Until the End
9. As the World Falls Down

LINE-UP
Alessio Consani – Bass
Raffahell Dridge – Drums
Dimitri Meloni – Guitars
Gabriele Caselli – Piano, Keyboards
Antonio Cannoletta – Vocals

ENSIGHT – Facebook

Dementia 13 – Ways Of Enclosure

Un disco di genere, niente di più e niente di meno, che sicuramente non porterà nuovi fans al death metal old school, ma potrà essere apprezzato da chi di queste sonorità non può fare a meno.

Con i Dementia 13 si torna a parlare di death metal old school, dal portogallo, in arrivo con il loro bagaglio di efferatezze prese dal mondo dell’horror e dalle menti insane dei serial killer.

Il gruppo, attivo dal 2010 è alla prima prova sulla lunga distanza, licenziato tramite l’etichetta spagnola Memento Mori e successore dell’ep Tales for the Carnivorous del 2013.
Il trio formato da membri di varie realtà del panorama undergound estremo della loro terra come Pitch Black, Holocausto Canibal, Biolence, Grunt, The Ominous Circle, è protagonista di un feroce dischetto estremo, oscuro e radicato nella vecchia scuola del nostro caro death metal.
Niente di nuovo quindi, solo un buon modo per tenere le orecchie allenate dall’assalto sonoro del trio, che fa sprizzare sangue a iosa dai solchi dei brani, sacrificati sull’altare dell’horror/gore.
Troverete dunque tutte le virtù di cui il genere si può vantare, aggressione, velocità, brusche discese al rallentatore nelle nefandezze raccontate da un growl brutale e terrificante, in un’orgia di torture e delitti di ogni tipo.
Ze Pedro (basso), Marco Silva e Álvaro Fernandes (chitarre) sono musicisti di esperienza e si sente, anche se manca ancora qualcosa nel songwriting per elevare il disco a più di un discreto commento, ma il sound opprimente e la soffocante atmosfera piacerà agli amanti del metal estremo.
Non c’è nell’album una song che si eleva in qualità delle altre tracce, tutto fila lineare come un treno sui binari, ma la cover del tema portante del film Halloween, posta a metà disco risulta un buon stacco horrorifico strumentale al massacro creato dalla band di Porto.
Un disco di genere, niente di più e niente di meno, che sicuramente non porterà nuovi fans al death metal old school, ma potrà essere apprezzato da chi di queste sonorità non può fare a meno.

TRACKLIST
1. Beyond the Grave
2. Orgy of Bloodshed
3. Room 36
4. They Never Found His Body
5. Only Whores Die Young
6. Halloween
7. Conceived in Violence
8. Nothing in the Dark
9. Dawn of Chaos

LINE-UP
Zé Pedro – Bass
Marco Silva – Guitars (lead)
Álvaro Fernandes – Guitars (rhythm)

DEMENTIA 13 – Facebook

Ēōs – Ēōs

Per i neofiti questo lavoro degli Ēōs potrebbe risultare decisamente indigesto, mentre chi conosce in maniera più approfondita il genere trattato troverà probabilmente più di un motivo di interesse.

Seconda prova per gli statunitensi Ēōs, dopo un demo di assaggio uscito l’anno scorso.

La band di Olympia propone un funeral doom piuttosto ortodosso e privo di particolari orpelli ma, rispetto ad uscite trattate di recente l’esito appare più organico e meno minimale, anche perché, per una volta, l’esecuzione non è appannaggio di un solo elemento ma avviene per mano di un gruppo vero e proprio.
Il sound deglj Ēōs prende spunto dalle radici del genere, partendo dai Thergothon e passando per gli act più estremi, nel senso del rallentamento dei ritmi, sulla scia degli Worship; il tutto viene eseguito senza esaltare ma facendo intravedere una buona padronanza della materia ed offrendo due brani ampiamente nella media per la loro capacita di evocare sofferenze assortite.
Per i neofiti questo lavoro degli Ēōs potrebbe risultare decisamente indigesto, mentre chi conosce in maniera più approfondita il genere trattato troverà probabilmente più di un motivo di interesse.
Chiaramente, poco più di venti minuti non possono essere esaustivi riguardo alle alle caratteristiche di una band, ma sono sicuramente indicativi di potenzialità non trascurabili.
Gli Ēōs sono quindi da attendere alla riprova su più lunga distanza.

Tracklist:
1. Umwelt
2. Pain Came Before and Will Never End

Line-up:
S. Laughton – Bass
Alex Mody – Drums, Vocals
A. Doherty – Guitars
E. Camp – Guitars
S. Radovsky – Keyboards

Police State – Mind Collapse

Un gran bel compendio di musica violente, in quasi tutte le sue sfumature.

Band da York, Pennsylvania, attiva dal 2013, fautrice di una musica violenta ed incazzata, tra powerviolence, crust ed hardcore.

I pezzi volano via con violenza uno dietro l’altro, intervallati da furiosi stacchi che impreziosiscono il tutto.
Non c’è granché da gioire in questo mondo ed anche l’ottimismo sembra davvero fuori luogo, e quindi fare musica come i Police Rot è quasi un dovere andando contro ciò che noi chiamiamo civiltà. I testi parlano degli orrori che vediamo quotidianamente, dalla violenza poliziesca, alla violenza di genere e tutte le nostre brutture.
Un gran bel compendio di musica violente, in quasi tutte le sue sfumature.

TRACKLIST
1.Life
2.I Only See Hate
3.Burner
4. Beneath Me
5.Distraught Mind
6.Fields of Green
7.God Body
8.Transition
9.Filthy Eyes
10.Fall of Man

LINE-UP
Kasey- Bass/Vox
Cole- Guitar/ Vox
Matt- Drums

Armonight – Who we really are

Come ripartenza non c’è male, i nuovi Armonight vanno a rimpinguare il nutrito numero di band hard rock di spessore del panorama nazionale

Strano il modo del metal/rock, così vario e colmo di strade da intraprendere, tutte non facili sia chiaro, ma stimolanti specialmente per chi sa apprezzare ogni sfumatura che questo meraviglioso mondo riesce a regalare.

Come un cubo di Rubik ogni faccia si interseca perfettamente a quello che dovrebbe per tutti essere lo spirito giusto: fare musica, lasciando da parte disquisizioni superficiali su generi e atmosfere che questa crea per arrivare al cuore della gente ovunque essi siano.
Ecco che una realtà, partita come symphonic gothic band, negli anni si trasforma, cambia pelle, ma il risultato non cambia, buona musica per chi ha orecchie per sentire, più semplice di così!
I vicentini Armonight attivi dal 2007 e con tre album alle spalle, lasciano definitivamente la strada intrapresa ad inizio carriera per rinascere completamente trasformati in una rock’n’roll band.
Per il gruppo è sicuramente un nuovo inizio, per noi ascoltatori dovrebbe essere probabilmente, la scoperta dell’anima finora nascosta degli Armonight, quella più sfacciatamente stradaiola, dove esce tutta la carica e la grinta di cui i musicisti del gruppo sono capaci e a colpi di hard rock ottantiano e americanizzato ci fanno partecipi in questa quarantina di minuti di musica del diavolo a tratti davvero coinvolgente.
Hard rock, blues e tanta attitudine rock’n’roll che sprigiona da questi dodoci brani adrenalinici, dalla voce tremendamente rock della vocalist Sy e dai riff corposi di Fjord e Lara creati dove nasce il Mississipi e sul letto del grande fiume, in viaggio verso il delta si trasformano in incendiarie scale hard rock.
Frens al basso e Hokuto alle tastiere completano la line up e Who We Really Are è pronto per riempire una cinquantina di minuti circa della vostra vita con una raccolta di buone songs, che si rincorrono sulle superstrade americane per un album che trasuda on the road da tutti i pori.
Enorme il riff che introduce Staggering Drunk, ottimo il refrain di The Luck Of Heroes, enorme l’atmosfera blueseggiante della micidiale My Best friend, divertente il rock di Stray Dog Blues e perfetto il solo sul singolo Gypsy Girl, insomma la nuova veste di questa band convince e diverte, lasciando che le ispirazioni per il proprio sound facciano serenamente capolino tra i solchi dei brani( AC/DC, Aerosmith e il dirigibile zeppeliniano sopra a tutti).
Come ripartenza non c’è male, i nuovi Armonight vanno a rimpinguare il nutrito numero di band hard rock di spessore del panorama nazionale, non mi rimane che consigliarvelo e augurare il meglio al gruppo vicentino.

TRACKLIST
1. Boring day
2. Staggering drunk
3. Waiting for tonight
4. The luck of heroes
5. My best friend
6. The stray dog blues
7. Keep out the darkness
8. Gypsy girl
9. So stupid
10. Stay away from me
11. Don’t waste your time
12. Who we really are

LINE-UP
Sy: Vocals
Fjord: Guitar
Lara: Guitar
Frens: Bass
Hokuto: K-board

ARMONIGHT – Facebook

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