Non c’è dubbio che tra gli eroi dell’epopea prog settantiana Steve Hackett sia oggi uno dei più amati, non solo per ciò che ha rappresentato ma anche e soprattutto perché è rimasto uno dei pochi che continua ed essere in piena attività, non limitandosi a portare in giro per il modo le immortali sonorità dei Genesis ma offrendo anche con una certa regolarità nuovi album, sempre di ottimo livello e contraddistinti da una classe innata.
Non fa eccezione questo ultimo At The Edge Of Light, quello che viene considerato ufficialmente il venticinquesimo full length di inediti della serie, che anzi è probabilmente uno dei migliori da diversi anni a questa parte in virtù di un tocco chitarristico non solo unico, come sempre, ma anche ispirato e capace di evocare in maniera costante quelle emozioni che ogni ascoltatore ricerca.
Infatti Steve, pur non rinunciando alle parti cantate, delle quali si occupa in prima persona, almeno per quanto riguarda la voce maschile, si lascia andare senza particolari remore ad una serie di brani in cui vengono spesso rievocati i fatti del passato asservendo le composizioni allo strumento principe e sfruttando, come sempre, la tecnica sopraffina dei compagni di viaggio di turno.
Non mancano neppure qui, in ogni caso, quegli accenni etnici alla cui fascinazione Hackett non si sottrae, esibendoli specialmente in un brano come Shadow And Flame, ai quali vengono in altri frangenti associate sfumature tra il gospel ed il country/blues che vengono racchiuse in Underground Railroad, a dimostrazione di quanto questo magnifico musicista non rinunci a ricercare diverse soluzioni espressive, nonostante un’età ed uno status che gli potrebbero consentire di viaggiare agevolmente con il pilota automatico inserito, all’interno del genere che ha contribuito a portare al successo.
La musica per questo grande artista è anche il veicolo ideale per diffondere un messaggio di pace e fratellanza, un qualcosa del quale mai come di questi tempi si sente un forte bisogno, specialmente quando giunge da una voce così autorevole e, in effetti, nelle sonorità contenute in At The Edge Of Light non è difficile cogliere un senso di ecumenismo che va oltre i già citati richiami etnici.
Non è quindi solo un sentore nostalgico quello che spinge a farsi cullare senza troppe remore dal tocco unico di Steve, messo al servizio di brani più lineari e sognanti come Hungry Years (con la voce di Amanda Lehmann) oppure dall’incedere solenne di Descent (nella quale si colgono accenni dell’intro di Watcher Of The Sky), o da quello più drammatico di Conflict, che va a formare con quella precedente una magistrale coppia di tracce strumentali.
Se a questo quadro aggiungiamo altre canzoni splendide come Beasts In Our Time, Under The Eye of the Sun (brano che sembra quasi omaggiare gli Yes, e conseguentemente l’amico scomparso Chris Squire) e Those Golden Wings, a livello di consuntivo non resta altro che ringraziare il chitarrista inglese per averci donato ancora un’altra prova del suo smisurato talento artistico, e pazienza se poi, durante la sua incessante attività dal vivo, il nostro alla fine cede alla tentazione di offrire al pubblico ciò che più vuole ascoltare, ovvero i cavalli di battaglia dei Genesis: le leggende si possono solo amare, e per quanto mi concerne la libertà di critica in casi simili andrebbe abolita per decreto …
Tracklist:
1 Fallen Walls and Pedestals
2 Beasts In Our Time
3 Under The Eye of the Sun
4 Underground Railroad
5 Those Golden Wings
6 Shadow and Flame
7 Hungry Years
8 Descent
9 Conflict
10 Peace
Line-up:
Steve Hackett – chitarre elettriche e acustiche, dobro, basso, armonica, voce
Gulli Briem – batteria, percussioni
Dick Driver – contrabbasso
Benedict Fenner – tastiere e programmazione
John Hackett – flauto
Roger King – tastiere, programmazione e arrangiamenti orchestrali
Amanda Lehmann – voce
Durga McBroom – voce
Lorelei McBroom – voce
Malik Mansurov – tar
Sheema Mukherjee – sitar
Gary O’Toole – batteria
Simon Phillips – batteria
Jonas Reingold – basso
Paul Stillwell – didgeridoo
Christine Townsend – violino, viola
Rob Townsend – sax tenore, flauto, duduk, clarinetto
Nick D’Virgilio – batteria