Steve Hackett – At The Edge Of Light

At The Edge Of Light è probabilmente uno dei migliori album di Hackett da diversi anni a questa parte in virtù di un tocco chitarristico non solo unico, come sempre, ma anche ispirato e capace di evocare in maniera costante quelle emozioni che ogni ascoltatore ricerca.

Non c’è dubbio che tra gli eroi dell’epopea prog settantiana Steve Hackett sia oggi uno dei più amati, non solo per ciò che ha rappresentato ma anche e soprattutto perché è rimasto uno dei pochi che continua ed essere in piena attività, non limitandosi a portare in giro per il modo le immortali sonorità dei Genesis ma offrendo anche con una certa regolarità nuovi album, sempre di ottimo livello e contraddistinti da una classe innata.

Non fa eccezione questo ultimo At The Edge Of Light, quello che viene considerato ufficialmente il venticinquesimo full length di inediti della serie, che anzi è probabilmente uno dei migliori da diversi anni a questa parte in virtù di un tocco chitarristico non solo unico, come sempre, ma anche ispirato e capace di evocare in maniera costante quelle emozioni che ogni ascoltatore ricerca.
Infatti Steve, pur non rinunciando alle parti cantate, delle quali si occupa in prima persona, almeno per quanto riguarda la voce maschile, si lascia andare senza particolari remore ad una serie di brani in cui vengono spesso rievocati i fatti del passato asservendo le composizioni allo strumento principe e sfruttando, come sempre, la tecnica sopraffina dei  compagni di viaggio di turno.
Non mancano neppure qui, in ogni caso, quegli accenni etnici alla cui fascinazione Hackett non si sottrae, esibendoli specialmente in un brano come Shadow And Flame, ai quali vengono in altri frangenti associate sfumature tra il gospel ed il country/blues che vengono racchiuse in Underground Railroad, a dimostrazione di quanto questo magnifico musicista non rinunci a ricercare diverse soluzioni espressive, nonostante un’età ed uno status che gli potrebbero consentire di viaggiare agevolmente con il pilota automatico inserito, all’interno del genere che ha contribuito a portare al successo.
La musica per questo grande artista è anche il veicolo ideale per diffondere un messaggio di pace e fratellanza, un qualcosa del quale mai come di questi tempi si sente un forte bisogno, specialmente quando giunge da una voce così autorevole e, in effetti, nelle sonorità contenute in At The Edge Of Light non è difficile cogliere un senso di ecumenismo che va oltre i già citati richiami etnici.
Non è quindi solo un sentore nostalgico quello che spinge a farsi cullare senza troppe remore dal tocco unico di Steve, messo al servizio di brani più lineari e sognanti come Hungry Years (con la voce di Amanda Lehmann) oppure dall’incedere solenne di Descent (nella quale si colgono accenni dell’intro di Watcher Of The Sky), o da quello più drammatico di Conflict, che va a formare con quella precedente una magistrale coppia di tracce strumentali.
Se a questo quadro aggiungiamo altre canzoni splendide come Beasts In Our Time, Under The Eye of the Sun (brano che sembra quasi omaggiare gli Yes, e conseguentemente l’amico scomparso Chris Squire) e Those Golden Wings, a livello di consuntivo non resta altro che ringraziare il chitarrista inglese per averci donato ancora un’altra prova del suo smisurato talento artistico, e pazienza se poi, durante la sua incessante attività dal vivo, il nostro alla fine cede alla tentazione di offrire al pubblico ciò che più vuole ascoltare, ovvero i cavalli di battaglia dei Genesis: le leggende si possono solo amare, e per quanto mi concerne la libertà di critica in casi simili andrebbe abolita per decreto …

Tracklist:
1 Fallen Walls and Pedestals
2 Beasts In Our Time
3 Under The Eye of the Sun
4 Underground Railroad
5 Those Golden Wings
6 Shadow and Flame
7 Hungry Years
8 Descent
9 Conflict
10 Peace

Line-up:
Steve Hackett – chitarre elettriche e acustiche, dobro, basso, armonica, voce
Gulli Briem – batteria, percussioni
Dick Driver – contrabbasso
Benedict Fenner – tastiere e programmazione
John Hackett – flauto
Roger King – tastiere, programmazione e arrangiamenti orchestrali
Amanda Lehmann – voce
Durga McBroom – voce
Lorelei McBroom – voce
Malik Mansurov – tar
Sheema Mukherjee – sitar
Gary O’Toole – batteria
Simon Phillips – batteria
Jonas Reingold – basso
Paul Stillwell – didgeridoo
Christine Townsend – violino, viola
Rob Townsend – sax tenore, flauto, duduk, clarinetto
Nick D’Virgilio – batteria

STEVE HACKETT – Facebook

Sergeant Thunderhoof – Terra Solus

Un viaggio a ritroso nel tempo, un’esplorazione musicale del cosmo, che attinge al cospirazionismo alieno con sonorità calde e valvolari, analogiche e vintage.

Gli inglesi Sergeant Thunderhoof già avevano impressionato in termini altamente positivi con Ride of the Hoof (2015).

Con questa quarta fatica, come sempre autoprodotta, la band britannica non fa altro che confermare – sin dalle bellissima copertina, stile Andromeda-Saturnalia – tutte le proprie indubbie qualità. Siamo in presenza di un heavy psych che guarda esplicitamente al passato (non di uno stoner moderno, come numerose volte in questi casi accade). In particolare, nelle otto tracce di questo Terra Solus, tutte di durata compresa tra i quattro e i nove minuti complessivi, si respira aria di fine anni Sessanta-primissimi Settanta. Arcadium, Pink Floyd, Astral Navigations e Dark paiono essere gli amori musicali del gruppo inglese, che ci dona un platter di suoni pesanti e ipnotici, scuri e fantascientifici. La scrittura è sempre abbastanza complessa, le ambientazioni sonore a tratti quasi siderali (vengono in mente pure i primi tre degli UFO oppure gli ultimi Move di Roy Wood, nonché gli Hawkwind degli esordi). Anche i titoli e testi dei vari brani confermano un’attitudine molto rock e spaziale. A livello lirico e ispirativo, i Sergeant Thunderhoof mettono inoltre in mostra testi molto colti ed intelligenti, complessi e sofisticati, consacrati per lo più a temi quali il cospirazionismo, gli Illuminati, la mitologia aliena e la tradizione esoterica ed astrologico-occulta. Vale davvero la pena di ascoltarli, nonostante non siano di facilissima reperibilità dalle nostre parti (ci si può rivolgere a Black Widow di Genova). Le edizioni in vinile, oltre ad essere magnifiche, rendono giustizia a tutto l’immaginario musicale e iconografico dei Sergeant Thunderhoof, un combo realmente senza tempo, capace di riportare in vita (nell’episodio conclusivo) pure certe ritmiche raga della Notting Hill di fine ’60.

Tracklist
1- Another Plane
2- Stellar Gate Drive
3- The Tree and the Serpent
4- B Oscillation
5- Diesel Breath
6- Priestess of Misery
7- Half a Man
8- Om Shaantih

SERGEANT THUNDERHOOF – Facebook

Acajou – Under The Skin

Questo lavoro è la dimostrazione che talento, sicurezza e possibilità di non dover dimostrare nulla possono portare a fare ottime cose, e Under The Skin è una di quelle piccole che rendono migliore la vita.

Tornano dopo molti anni i padovani Acajou, con il loro secondo disco Under The Skin.

Il gruppo fu incluso nella mitica raccolta Stone Deaf Forever, in compagnia di The Atomic Bitchwax, Beaver, Ufomammut, Spirit Caravan, Unida ed altri. Nati a cavallo dell’epoca grunge con quella stoner, i padovani sono tornati e sono molto meglio di prima. Il loro disco di esordio era un quattro pezzi del 1998 intitolato Hidden From All Eyes ed era piuttosto stoner grunge, mentre quello attuale è un lavoro maturo a basi di blues, rock, grunge, funky e tanta classe. Si rimane sinceramente stupiti dalla fluidità e dalla quieta bellezza di un disco composto e suonato in totale libertà. Ascoltando Under The Skin i suoni caldi, sinuosi e potenti degli Acajou in breve tempo conquisteranno l’ascoltatore che in seguito non ne potrà più fare a meno. Davvero peculiare un ritorno dopo così tanto tempo di un gruppo che ha suonato ere musicali fa, e per di più di così grande impatto poi. Definire un genere è difficile per questo album, perché si spazia in molti lidi musicali, ma si può dire che il sentimento generale sia blues rock, e c’è anche del ritmo funky in una miscela che raramente troviamo alle nostre latitudini. Questo lavoro è la dimostrazione che talento, sicurezza e possibilità di non dover dimostrare nulla possono portare a fare ottime cose, e Under The Skin è una di quelle piccole che rendono migliore la vita. La voce di Marco Tamburini scalda il cuore e lo scartavetra un po’, con il suo timbro blues ma adatto anche a molto altro. Un disco molto piacevole da ascoltare, che libera l’anima e predispone bene senza negare che la vita sia un casino, ma se mettiamo i piedi per terra qualcosa sarà.

Tracklist
01 La Ferrari
02 We’ve Never Met
03 Old Home Boy
04 Under The Skin
05 In The Waves
06 Sometimes
07 Jeez (in The Mood For Love)
08 Dim Noise

Line-up
Filippo Ferrarretto – basso
Nicola Tomas Moro – chitarra
Simone Ruffato – batteria
Marco Tamburini – voce e synth

ACAJOU – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=EhdIePuVll8)

Giordano Forlai – Orso Bianco

L’alternanza tra brani rock velati di strutture prog ed altri che guardano alla tradizione della canzone italiana portano Orso Bianco ad essere apprezzato da chi ha nelle corde il rock/pop d’autore, mentre ai rockers duri e puri il consiglio è quello di rivolgersi altrove.

La presenza di Roberto Tiranti come ospite su un brano (Che Cosa Siamo Noi, da cui è stato estratto un video), incuriosisce non poco riguardo al nuovo album del cantautore spezzino Giordano Forlai, da metà anni ottanta sulla scena rock tricolore come cantante in vari gruppi e in seguito come solista.

Arrangiamenti raffinati e tenui accenni prog rock fanno capolino tra la musica di Forlai, assolutamente cantautorale e lontana non poco dalle sonorità più robuste che vengono per lo più trattate su queste pagine.
Poco male, visto che si tratta di un ascolto più delicato ed in qualche modo introspettivo che ci porta ad apprezzare il lavoro del cantautore ligure, anche se ovviamente la parte grintosa della sua musica è quella che apprezziamo di più.
Pagine, Nero, lo splendido brano in collaborazione con Tiranti sono gli episodi migliori di un lavoro che va assaporato come un vecchio bourbon d’annata, elegante e curato in ogni passaggio.
L’alternanza tra brani rock velati di strutture prog ed altri che guardano alla tradizione della canzone italiana portano Orso Bianco ad essere apprezzato da chi ha nelle corde il rock/pop d’autore, mentre ai rockers duri e puri il consiglio è quello di rivolgersi altrove.

Tracklist
1.Orso bianco
2.Pagine
3.Sono qui
4.Sparami
5.L’altra parte di te
6.Il viaggio
7.Nero
8.Acrobata
9.Blu
10.Che cosa siamo noi
11.Stare soli
12.Marta

GIORDANO FORLAI – Facebook

Timoria – Viaggio Senza Vento (25th Anniversary Edition)

La 25th Anniversary Edition è il giusto tributo ad uno degli album di rock italiano più belli di sempre: Joe vi aspetta per raccontarvi ancora il suo Viaggio senza Vento, accompagnato dal rock dei Timoria.

Probabilmente per capire del tutto lo spirito che animò i Timoria nel periodo dell’uscita del loro capolavoro, bisognerebbe tornare sotto il palco di un qualunque teatro italiano nel quale i cinque musicisti bresciani ultimarono la loro trasformazione da classica rock band tricolore a gruppo dal piglio internazionale, ispirato dal rock degli anni 60/70 e rapito dalle sonorità che arrivavano dalla Seattle di quel periodo.

Infatti era abitudine di Pedrini e compagni tributare nel corso dei loro live band come Who e Temple Of The Dog, esempi fulgidi di quel rock di cui Viaggio Senza Vento è pregno.
Dopo l’acerbo debutto Colori Che Esplodono, la band diede subito dimostrazione del suo talento con il seguente Ritmo e Dolore, un album d’autore, enormemente più maturo del suo predecessore e che al suo interno ha uno dei brani più belli della discografia, L’Uomo Che Ride, presentata con (prevedibile) scarso successo all’inutile festival della canzone italiana in quel di Sanremo.
Storie Per Vivere fu piccolo passo falso, ma forse necessario alla trasformazione che avverrà esattamente un anno dopo con l’uscita del magnifico Viaggio Senza Vento.
I Timoria assunsero le sembianze di una rock band all’interno della quale tutti i suoi componenti esprimevano al meglio le loro potenzialità: Pedrini e Renga formavano la classica coppia come tante nella storia del rock, cantante e chitarrista sempre in primo piano, uno con la sua straordinaria voce, tra Daltrey, Cornell e Plant e l’altro compositore e anima della band, così come Carlo Alberto Pellegrini, sorta di John Paul Jones al basso, Diego Caleri alla batteria ed Enrico Ghedi alle tastiere.
L’album è un concept sul viaggio e sulla redenzione di Joe, una sorta di versione novantiana di Tommy, eroe degli Who ed opera che influenza non poco il lavoro del gruppo, accompagnato da ospiti importanti come Eugenio Finardi, Mauro Pagani ed il percussionista colombiano Candelo Cabezas, già al lavoro con i Litfiba.
Hard rock, folk, rap, suggestioni psichedeliche e grunge riempiono di grande musica questo straordinario lavoro, in un susseguirsi di colpi di scena compositivi che fanno di Viaggio Senza Vento uno degli album rock più belli scritti nel nostro paese.
Diversi generi confluiscono nello spartito di brani dal grande appeal che mantengono un approccio diretto ma assolutamente fuori da qualsiasi intento commerciale, in un genere difficile come il rock duro cantato in italiano: un vocalist eccezionale ed una storia che legava vita e drammi giovanili ad un’aura mistica di viaggio e completezza interiore, rendono la title track, Sangue Impazzito, La Cura Giusta, Verso Oriente, Piove ed Il Guerriero (ma sarebbe da citare l’intera tracklist) inni di un generazione che in Italia continuava a faticare per uscire dall’anonimato, soffocata dall’assoluta mancanza di una vera e propria cultura rock.
Questa nuova versione vede l’intero lavoro rimasterizzato sul primo cd e alcune versioni demo più l’inedito Angel e la cover di I Can’t Explain degli Who sul secondo, mentre nella configurazione super deluxe il tutto viene arricchito da un doppio vinile giallo, dal poster raffigurante la band e da un libretto con i commenti dei protagonisti: Joe vi aspetta per raccontarvi ancora il suo Viaggio senza Vento, accompagnato dal rock dei Timoria.

Tracklist
CD 1:
01. Senza Vento
02. Joe
03. Sangue Impazzito
04. Lasciami In Down
05. Il Guardiano Di Cani
06. La Cura Giusta
07. La Fuga
08. Verso Oriente
09. Lombardia
10. Campo Dei Fiori Jazz Band
11. Freedom
12. Il Mercante Dei Sogni
13. La Città Del Sole
14. La Città Della Guerra
15. Piove – Remastered
16. Il Sogno – Remastered
17. Come Serpenti In Amore
18.Frankenstein
19. La Città Di Eva
20. Freiheit
21. Il Guerriero

CD 2:
01. Angel
02. I Can’t Explain
03. Senza Vento
04. Sangue Impazzito
05. La Cura Giusta
06. Verso Oriente
07. Lombardia
08. Freedom
09. La Città Del Sole
10. Piove
11. Il Sogno
12. Come Serpenti In Amore
13. Taruni Taruni

Line-up
Omar Pedrini
Francesco Renga
Diego Galeri
Carlo Aberto Pellegrini
Enrico Ghedi

TIMORIA – Facebook

Dzjenghis Khan – Dzjenghis Khan

Verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri.

Necessaria e doverosa ristampa da parte della Heavy Psych Sounds del debutto dei Dzjenghis Khan, uno dei gruppi di psichedelia pesante che hanno impressionato maggiormente negli ultimi anni.

Il trio da San Francisco uscì con questo debutto per l’olandese Motorwolf nel 2007, e riuscì subito a catturare l’attenzione di molti ascoltatori e della critica. Il perché lo scoprirete ascoltando questa ristampa, se già non li conoscete, e verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro, e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri. Qui troverete quelle bellissime atmosfere cariche di tensione e di indolenza tipica dei giovani drogati che vagano in cerca di sangue ed emozioni a basso costo. Le dieci tracce sono tutte fantastiche, non esiste un momento di noia, anche gli assoli di chitarra danno gioia. I testi sono una delle cose migliori di questo gruppo, che gioca con intelligenza ed ironia con i vostri peni e con certi bicchieri di whiskey. Purtroppo non si sa molto di questo gruppo, ma solo che è nato nel 1977, e non ha pubblicato nulla fino al 2007, ma non c’è problema dato che i tre membri sono immortali. Inoltre da quando sono emigrati da San Francisco a Den Haag, ridente cittadina olandese sempre sul mare come Frisco, se ne sono perse le tracce. La musica invece rimane ed è bellissima, una commistione di acid, psych e fuzz, uno stoner a bassa frequenza che fa vibrare come qualcosa dei migliori Blue Cheer, anzi anche meglio. I pezzi sono tutti figli amatissimi di impetuose jam che in un’altra dimensione si sono intrecciate e stanno suonando tutte assieme. Il disco è bellissimo, e grazie a questa ristampa lo possiamo gustare di nuovo, anche se come tutte le cose belle ha il rovescio della medaglia : durante le registrazioni si sono perse le tracce del loro ingegnere del suono Hans Koolstra, che dopo aver mormorato qualcosa sui canali di uscita è scomparso.

Tracklist
1 Snake Bite
2 The Widow
3 No Time For Love
4 Avenue A
5 Against The Wall
6 Black Saint
7 End Of The Line
8 Rosie
9 Sister Dorien

Line-up
Jinx
Binks
Spence

DZJENGHIS KHAN – Facebook

Christine IX – Crosses And Laurels

Scritto e suonato quasi interamente da Christine IX, Crosses And Laurels è un ottimo esempio di alternative rock al cui interno ritroviamo ispirazioni ed influenze che partono dalla linea rosa del grunge dei primi anni novanta, dal rock ‘n’roll settantiano e dal punk rock.

Dietro al nome Christine IX si muove un’artista a tutto tondo, polistrumentista, cantante, scrittrice e produttrice dei suoi lavori.

Prima cantante del gruppo Shotgun Babies, con cui dà alle stampe un ep, due full length e varie compilation, poi varie collaborazioni con gruppi della scena underground e con scrittori e poeti, in performance letterarie e musicali, e infine la sua carriera solista nel mondo del rock, prima con l’album Can I Frame The Blue? licenziato nel 2015 ed ora questo ottimo secondo lavoro, intitolato Crosses And Laurels.
Scritto e suonato interamente dalla musicista, con l’aiuto dei soli Luca Greco alla batteria e Katija Di Giulio, al violino nel singolo Talking Like Lovers, l’album è un ottimo esempio di alternative rock al cui interno ritroviamo ispirazioni ed influenze che partono dalla linea rosa del grunge dei primi anni novanta (Babies In Toyland, L7), dal rock ‘n’roll settantiano (Joan Jett & The Blackhearts) e dal punk rock (Plasmatics).
Un sound da riot girl, quindi, nel quale la tensione palpabile e l’atmosfera nervosa non lasciano dubbi sulle intenzioni bellicose di Christine IX.
L’opener Talking And Lovers si sviluppa come un conto alla rovescia, mentre l’elettricità sale ed esplode nella seguente Harm And Fear, brano che ricorda i The Nimphs di Inger Lorre.
La padronanza della materia, unita ad una notevole esperienza, porta Christine IX ad uscire vincitrice da ogni scontro/incontro con le sue ispirazioni: il sound risulta un’altalena tra brani più intimisti (Redon) ed altri più tirati (Never Give Up), in cui non mancano accenni alla regina del grunge Courtney Love, ma sempre lasciando in risalto la spiccata personalità di cui si può fregiare la musicista nostrana.
La top song dell’album arriva con il brano numero sette, ovvero God Has Gone To War, sunto del sound di Crosses And Laurels e delle influenze che lo hanno ispirato.
Christine IX è un’artista a 360°, non ché bravissima cantante e songwriter di spessore, e chissà quali riscontri avrebbe potuto ottenere se la sua carta d’identità fosse stata statunitense.

Tracklist
1.Talking Like Lovers
2.Harm And Fear
3.Redon
4.Neurotoxic
5.Never Give Up
6.Fancy Scar
7.God Has Gone To War
8.She Lived One Day
9.All The Other Girls

Line-up
Christine IX – guitars, bass, vocals, piano, lyrics, xylophone, harmonica
Luca Greco – drums
Katija Di Giulio – violin on Talking Like Lovers

CHRISTINE IX – Facebook

Thomas Silver – The Gospel According The Thomas

The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.

Di solito, quando un componente importante di un gruppo all’apice del successo decide che è il momento di lasciare, tutte e due le parti perdono qualcosa: la band un pezzo della sua anima, il musicista quell’entusiasmo che aveva caratterizzato la prima parte della sua vita nel mondo del rock vissuto con chi ne ha condiviso la gavetta e le prime soddisfazioni.

Per Thomas Silver, chitarrista e fondatore dei rockers svedesi Hardcore Superstar, questi dieci anni fuori dal mercato hanno portato un approccio più profondo e maturo, allontanandosi dalla macchina rock’n’roll che, diciamolo, funziona ancora alla grande (e di pochi mesi fa l’uscita dell’ultimo e bellissimo Hardcore Superstar) per avvicinarsi ad un rock cantautorale, pregno di atmosfere intimiste e post punk.
The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.
L’album offre undici brani bellissimi e che sinceramente non ci si aspettava, una galleria di quadri che sprigionano poesia rock da ogni pennellata e che Silver interpreta con quel tono strascicato e da sopravvissuto, tra neanche troppo velati accenni a Iggy Pop, David Bowie, Nick Cave e The Clash.
Difficile trovare un brano che non sia uno stupendo manifesto al rock, che a testa alta ha ormai i piedi ben piantati nel nuovo millennio e che non ha assolutamente voglia di trapassare come molti vorrebbero.
Caught Between Worlds, D-Day, Time Stands Still, Mean Town sono alcune canzoni che spiccano, ma potrei nominare tutti gli undici diamanti racchiusi nello scrigno di questo straordinario rocker: va da sé che The Gospel According The Thomas è uno degli album più belli usciti quest’anno nel genere.

Tracklist
1. Caught Between Worlds
2. Public Eye
3. Minor Swing
4. D-Day
5. Coming In, Going Under
6. Time Stands Still
7. Bury The Past
8. On A Night Like This
9. Mean Town
10. Not Invited
11. All Those Crazy Dreams

Line-up
Thomas Silver

THOMAS SILVER . Facebook

Ear Buzz – Planetarium

L’atmosfera che aleggia sulle quattro canzoni dell’album varia tra la grezza elettricità del rock e quella più introspettiva e dai raffinati accenni pop, in un’alternanza di sfumature che è il punto di forza del sound di questi cinque ragazzi campani.

Ci capita sempre più spesso di imbatterci in nuove realtà musicali nate su e giù per lo stivale. lontane magari dai canoni metallici abituali di webzine come MetalEyes, ma ugualmente meritevoli di essere portati all’attenzione dei lettori.

Gli Ear Buzz, per esempio, sono una giovane band fondata a Torre del Greco quattro anni fa, arrivati solo ora all’esordio, ma molto attivi fin da subito in sede live.
Il loro primo ep si intitola Planetarium, con quattro brani che si rifanno all’indie rock ma con un prezioso tocco alternative, così che la loro visone di rock moderno alterni atmosfere soft ed impennate elettriche.
L’uso della doppia voce maschile e femminile, poco usata nel genere, contribuisce a rendere i brani ancora più originali, con il tastierista Pietro Montesarchio a duettare con la chitarrista Ilaria Bellucci su Harriet, il brano maggiormente alternative rock dei quattro presenti in Planetarium.
L’atmosfera che aleggia sulle quattro canzoni dell’album varia tra la grezza elettricità del rock e quella più introspettiva e dai raffinati accenni pop, di cui è ricca Shining Eyes, un’alternanza di sfumature che è il punto di forza del sound di questi cinque ragazzi campani.
Un inizio che lascia buone sensazioni per proseguo del cammino musicale intrapreso dagli Ear Buzz.

Tracklist
1.November 11
2.Harriet
3.Shining Eyes
4.Mass Destruction

Line-up
Ciro Ivan Medio – Batteria
Fabio Balzano – Basso
Francesco Valerio Vitiello – Chitarra solista
Pietro Montesarchio – Tastiera e voce
Ilaria Bellucci – Voce e chitarra ritmica

EAR ZERO – Facebook

Earthless – From The West

La band californiana è un ensemble che affonda le sue radici e la sua ragion d’essere nella musica dal vivo, fatta per stare su un palco e volare alto.

Album dal vivo per i magnifici Earthless, che hanno la loro missione nello stare davanti ad un pubblico a suonare.

Il disco è stato registrato dal vivo a San Francisco il primo marzo 2018 e cattura alla perfezione tutta la potenza e la varietà musicale di questo grande gruppo. Si può affermare forse a sproposito che questa band potrebbe corrispondere ai Grateful Dead della psichedelia pesante, nel senso che dal vivo cambia tutto rispetto all’ascolto su supporto fonografico. Il tour del concerto qui presente era quello dell’ultima fatica, Black Heaven che è già un bel disco di per sé, che qui viene stravolto rimanendo un punto di partenza per ciò che saranno gli Earthless nel futuro, o forse già solo dal prossimo concerto. La band californiana è un ensemble che affonda le sue radici e la sua ragion d’essere nella musica dal vivo, fatta per stare su un palco e volare alto. La già ricca musica dal vivo si espande, raggiunge lo stato gassoso al più presto e viene inalata dagli spettatori. L’impianto è quello della jam, quasi fosse un’equazione da sviluppare dati gli elementi di partenza, e che nel suo sviluppo acquista vita propria. Per fare pezzi di dieci minuti, ed anche oltre, dal vivo bisogna avere un talento fuori dal comune, perché non è per nulla facile. Le trame sonore si fondono fra loro nel suono stesso, e il trio ha una potenza psichedelica notevole che si fonde con un tiro musicale che va bene oltre i generi o le classificazioni. Dentro ci si può sentire anche un po’ della grandezza dal vivo dei Grand Fuck Railroad, quel vivere per suonare e stare su di un palco che è una dote innata. Prendere il proprio disco e plasmarlo in una veste radicalmente diversa dal vivo, ecco cosa fanno gli Earthless, infatti questo è da considerare a tutti gli effetti una raccolta di inediti, perché sono davvero altro rispetto alla versione in studio. In From The West troviamo anche una cover di Communication Breakdown degli Zeppelin che da ben l’idea di cosa siano gli Earthless, ovvero un gruppo psicotropo più che psichedelico. Un disco dal vivo gigantesco e bellissimo.

Tracklist
01. Black Heaven
02. Electric Flame
03. Gifted By The Wind
04. Uluru Rock
05. Volt Rush
06. Communication Breakdown
07. Violence Of The Red Sea
08. Acid Crusher

Line-up
Mario Rubalcaba
Isaiah Mitchell
Mike Eginton

EARTHLESS – Facebook

Dion Bayman – Better Days

Un rock raffinato, a tratti graffiante, pregno di refrain accattivanti ma strutturato su un tappeto di suoni duri e puri, con i piedi saldi negli anni ottanta ma portati in questo nuovo millennio con convinzione, grazie ad arrangiamenti al passo con i tempi.

Ennesimo prodotto di spessore in ambito melodic rock da parte della Art Of Melody Music / Burning Minds, label nostrana facente parte della famiglia Atomic Stuff, da anni impegnata a supportare l’hard rock ed il rock melodico nazionale ed internazionale.

Questa volta si vola in Australia. dove veniamo travolti da una valanga di note radiofoniche di matrice aor e melodic rock con il quarto album di Dion Bayman, polistrumentista e produttore che solo soletto ha dato vita ad uno splendido lavoro intitolato Better Days.
Si tratta di un rock raffinato, a tratti graffiante, pregno di refrain accattivanti ma strutturato su un tappeto di suoni duri e puri, con i piedi saldi negli anni ottanta ma portati in questo nuovo millennio con convinzione, grazie ad arrangiamenti al passo con i tempi.
Una raccolta di canzoni piacevoli, dall’ottimo appeal ma senza che si rinunci alla grinta, un tocco di West Coast in qualche passaggio e poi tanto rock a stelle e strisce, da smanettare fino al massimo del volume per un viaggio con la sesta inserita e l’ugola che brucia per il canto sfrenato, accompagnando i chorus creati dall’artista australiano nell’opener Ready For The Real Thing, la title track, la splendida The Best Times Of My Life, Pieces e la conclusiva If I Could.
Non mancano le ballad come Leap The Faith che mantengono comunque un forte legame elettrico, così da non smorzare l’atmosfera hard rock che aleggia sull’album, tra Bryan Adams e Richard Marx.
Better Days risulta quindi una raccolta di splendidi brani, consigliati senza riserve a chi si nutre di queste sonorità, a conferma del talento compositivo di questo bravissimo artista australiano.

Tracklist
01. Ready For The Real Thing
02. Rise And Fall 03. Better Days
04. The Best Times Of My Life
05. Leap Of Faith 06. Fallin’ For You
07. Pieces
08. Out Of Mind Out Of Sight
09. Cold
10. If I Could

Line-up
Dion Bayman – All Vocals & Instruments

DION BAYMAN – Facebook

Giò – Succederà

Da un personaggio con oltre trent’anni di esperienza nel mondo musicale ci si aspettava qualcosa di più, ma quello che sembra evidente è il parziale distacco di Giò dalla scena rock per un approdo a sonorità più vicine al pop e quindi abbastanza lontane dal target della nostra webzine.

Succederà è il nuovo lavoro di Giordano Gondolo in arte Giò, scrittore e cantante dal 1986 nella scena rock tricolore con un passato che lo ha visto suonare su e giù per lo stivale con musicisti e gruppi del calibro di Diaframma, C.S.I, Marlene Kuntz, Ustmamo, Death SS, Carmen Consoli e Negrita.

Con gli Union Jack prima, poi il progetto Blixxa e con tanta esperienza alle spalle nel mondo della musica a 360°, Giò arriva ad oggi e a questo album che ha tutti i crismi dell’ep, con sei brani per venti minuti di musica che lascia il rock per un approccio molto più pop, vario nel proporre sfumature diverse ad ogni brano, ma comunque fuori dai canoni del rock odierno.
Tra le trame dei brani che compongono il lavoro si passa dall’hip hop adolescenziale dell’opener Io Sarò Li, dal pop/rock di Farò quello che voglio, dai ritmi solari della title track, al Litfiba sound di Cose Che Non Ho Visto Mai, la canzone che lascia trasparire l’animo rock del cantante fino a Noi, con l’ospite Simone Piva, anche autore del brano.
Da un personaggio con oltre trent’anni di esperienza nel mondo musicale ci si aspettava qualcosa di più, ma quello che sembra evidente è il parziale distacco di Giò dalla scena rock per un approdo a sonorità più vicine al pop e quindi abbastanza lontane dal target della nostra webzine.

Tracklist
1.Io Sarò Lì
2.Quello Che Voglio
3.Succederà
4.Cose Che Non Ho Visto Mai
5.Noi (feat. Simone Piva)
6.Io Sarò Lì (acoustic version)

Line-up
Giò – voce
Andrea Faidutti – chitarra
Marco Menazzi – chitarra
Alan Malusà Magno – chitarra
Steve Taboga – basso, chitarra
MArzio Tomada – basso
Geremy Seravalle – piano, tastiere
Fabio Veronese – piano, hammond
Marco D’Orlando – batteria

GIO – Facebook

Charlie Barnes – Oceanography

Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.

Il nuovo lavoro del musicista e compositore britannico Charlie Barnes è il classico album del quale qualcuno potrebbe obbiettare sulla sua presenza nelle nostre pagine, eppure la bellezza di Oceanography ci impone di presentarlo ai nostri lettori, almeno quelli più orientati al rock e alle sperimentazioni.

Barnes, al terzo album, centra l’obiettivo di creare musica rock dalle atmosfere liquide ed avvolgenti come appunto suggerisce il titolo: un oceano di note alternative nel quale confluiscono ispirazioni anche lontane tra loro ma perfette nell’economia dei brani che formano l’opera.
L’ex chitarrista e tastierista di Amplifier e Bastille parte da molto lontano, addirittura dagli anni sessanta, per attraversare il tempo che resta ed arrivare ai giorni nostri accompagnato da un raffinato pop inglese, alternative ed accenni alla new wave, coprendo così i vari decenni che lo separano dai giorni nostri.
E’ un rock elegante, dalle melodie dilatate e delicate che la voce del nostro, dal retrogusto lirico, accompagna in questa navigazione nelle acque calme e poetiche di questo oceano di emozioni, risvegliate dalla title track, dalla splendida Bruising e dalle aperture pop/rock di Maria.
Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.

Tracklist
01.Intro
02.Oceanography
03.Will & Testament
04.Bruising
05.Ruins
06.One Word Answers
07.The Departure
08.Legacy
09.Former Glories
10.Maria
11.All I Have
12.The Weather

Line-up
Charlie Barnes – vocals, guitar, bass, piano, synthesizers
Steve Durose – guitar, bass, synthesizers, programming
Ste Anderson – drums

CHARLIE BARNES – Facebook

The Helio Sequence – Keep Your Eyes Ahead

Keep Your Eyes Ahead è una progressione continua di belle sensazioni, giuste malinconie e un sentore diffuso di piccolo capolavoro musicale, quei dischi che nascono bene dalla prima nota e continuano ancora meglio.

Ristampa deluxe dello storico disco dei The Helio Sequence uscito dieci anni fa e diventato un caposaldo dell’indie americano e nono solo.

Lo stile musicale dei The Helio Sequence è un dream pop molto indie, con ritornelli che stendono l’ascoltatore proiettandolo direttamente in un prato primaverile al tramonto. Keep Your Eyes Ahead è un disco che ha tantissimo al suo interno, ma la cosa che stupisce di più è la facilità di costruire melodie bellissime e mai scontate. Non esiste una canzone brutta in questo disco, non ci sono riempitivi dalle losche intenzioni, ma solo pezzi che escono direttamente dal cuore e dal cervello del duo di Portland, che sono fra i migliori cervelli indie. Giusto per dare un esempio il primo minuto di Broken Afternoon è da antologia della musica per mostrare cosa si può fare con la voce, una chitarra e tastiere soffuse. Keep Your Eyes Ahead è una progressione continua di belle sensazioni, giuste malinconie e un sentore diffuso di piccolo capolavoro musicale, quei dischi che nascono bene dalla prima nota e continuano ancora meglio. Il 2008, anno di uscita del disco, era un anno molto differente per l’indie rispetto al 2018, nel senso che c’era molta più verve creativa in giro, ora invece è per la maggior parte solo muzak per gli ascensori ed i supermercati, o peggio per i festival estivi delle compagnie telefoniche. Se volete passare molto bene poco più di un’ora, questo è il posto giusto.

Tracklist
1.Lately (Remastered)
2.Can’t Say No (Remastered)
3.The Captive Mind (Remastered)
4.You Can Come to Me (Remastered)
5.Shed Your Love (Remastered)
6.Keep Your Eyes Ahead (Remastered)
7.Back to This (Remastered)
8.Hallelujah (Remastered)
9.Broken Afternoon (Remastered)
10.No Regrets (Remastered)
11.Turn the Page
12.Up Against Time
13.Heart Disease
14.No Regrets (Electric)
15.January
16.No Regrets (Keyboards)
17.All of These Things
18.Almost Morning (Demo)
19.Broken Afternoon (Solo)
20.April (Demo)
21.No Regrets (Acoustic)

Line-up
Brandon Summers – Guitar, Vocals –
Benjamin Weikel – Drums, Keyboards –

THE HELIO SEQUENCE – Facebook

Old Rock City Orchestra – The Magic Park Of Dark Roses

Album emozionante, intenso, oscuro e sinfonico, The Magic Park Of Dark Roses è un viaggio affascinante nella migliore tradizione della musica rock progressiva: per gli amanti del genere un ascolto obbligato.

L’universo del rock progressivo continua a meravigliare i suoi ascoltatori, specialmente quelli che non si sono rinchiusi nello spazio temporale del decennio settantiano, ma hanno continuato il viaggio alla scoperta di chi ha fatto tesoro della lezione impartita dai grandi gruppi del passato per creare qualcosa di personale.

L’Italia è sempre stata una culla per il genere continuando a sfornare realtà di spessore anche nel nuovo millennio, dai suoni progressivi classici alle varie contaminazioni che il genere ha subito in questi anni.
Gli umbri Old Rock City Orchestra sono uno degli esempi più fulgidi di tutto questo, tenendosi lontani dai suoni moderni e metallici tanto di moda e restando più vicini ad un approccio tradizionale, pregno di sfumature ed atmosfere dark.
The Magic Park Of Dark Roses è il loro terzo full length, dopo Once Upon A Time, album di debutto licenziato dalla band nel 2012, ed il bellissimo Back To Earth, uscito tre anni fa.
Il trio proveniente da Orvieto si ripresenta con questo nuovo e notevole lavoro, prodotto dalla band in collaborazione con Avanguardia Convention: un viaggio progressivo nei meandri di un rock che si nutre di hard rock come di sonorità sinfoniche, blues e psichedelia, ma questa volta con l’aggiunta di atmosfere dark e a tratti folk, in un arcobaleno di suoni dai tenui colori che tendono al nero, ma sempre eleganti, emozionanti e raffinati.
The Magic Park Of Dark Roses è una raccolta di brani a tratti spettacolari, con una prestazione da incorniciare per i tre musicisti, in particolare della tastierista Cinzia Catalucci con la sua splendida e personale voce.
Il concept oscuro e magico dell’album allontana la band dal precedente lavoro, facendole vestire i panni della progressive dark band a tutti gli effetti e regalare attimi di musica straordinaria come la notevole title track, la seguente Abraxas, che ricorda nel refrain gli Uriah Heep di Salisbury (Bird Of Prey), l’oscura The Fall (nella quale la singer offre un’interpretazione degna di Kate Bush), le armonie folk di Visions, la magica A Night In The Forest, cantata dal chitarrista e bassista Raffaele Spanetta, le sinfonie progressive di A Spell Of Heart And Soul Entwined, il ritorno alle sonorità di Back To Earth con il rhythm and blues di Soul Blues e il maestoso finale progressivo lasciato alla strumentale Golden Dawn.
Album emozionante, intenso, oscuro e sinfonico, The Magic Park Of Dark Roses è un viaggio affascinante nella migliore tradizione della musica rock progressiva: per gli amanti del genere un ascolto obbligato.

Tracklist
1.The Magic Park Of Dark Roses
2. Abraxas
3. The Fall
4. Visions
5. A Night In The Forest
6. The Coachman
7. A Spell Of Heart And Soul Entwined
8. Thinkin’ ‘bout Fantasy
9. Soul Blues
10. Golden Dawn

Line-up
Cinzia Catalucci – Vocals/Keyboards
Raffaele Spanetta – Guitars/Bass/Vocals
Mike Capriolo – Drums/Percussion/Backing vocals

OLD ROCK CITY ORCHESTRA – Facebook

Engst – Flächenbrand

Flächenbrand offre undici brani molto fruibili, definibili a buon titolo “leggeri” ma non banali: questo perché Engst conferma le proprie qualità vocali mettendole al servizio di un sound che scorre con mirabile fluidità.

I tedeschi Engst si propongono con forza e convinzione come la potenziale prossima nuova sensazione del pop rock mondiale.

Se già questa presentazione può mettere sul chi vive chi legge, va subito ribadito che in un lavoro come Flächenbrand le ruvidezze sono molto attenuate visto che il focus della band è la creazione di melodie accattivanti e di rapida assimilazione, ma non è detto che ciò debba essere considerato necessariamente un male.
Questa giovane band tedesca risulta infatti già simpatica fin dalla sua genesi, che prende le mosse dal successo in un talent tedesco del vocalist Matthias Engst, il quale ha rifiutato il classico contratto propostogli, volto a renderlo uno dei tanti polli d’allevamento del business musicale, per provare una strada più irta di difficoltà come fondare una band propria e cercare il successo senza utilizzare scorciatoie; indubbiamente, però, la fama acquisita presso il grande pubblico ha aiutato il nostro a richiamare l’attenzione della Arising Empire, sub label della Nuclear Blast specializzata un sonorità modern/alternative, tramite la quale la band si affaccia sul mercato con questo interessante esordio.
Flächenbrand offre undici brani molto fruibili, definibili a buon titolo “leggeri” ma non banali: questo perché Engst conferma le proprie qualità vocali mettendole al servizio di un sound che scorre con mirabile fluidità, toccando l’enfasi melodica dei Mono Inc. nelle canzoni più intimiste, la ruvidezza patinata dei Nickelback e del pop punk più adulto alla Offspring/Green Day, con il valore aggiunto del cantato in lingua madre che conferisce quel minimo di “durezza” in più al sound attenuandone sensibilmente il tasso glicemico.
Nel momento in cui accettiamo che il rock possa rivolgersi ad un pubblico più ampio, sottraendo magari qualche ragazzo a certa immondizia musicale in auge di questi tempi, una proposta come quella degli Engst non può che essere la benvenuta in quanto esplicita per intenti e cristallina per pulizia e talento dei giovani musicisti coinvolti.

Tracklist:
1. Ich steh wieder auf
2. Der Moment
3. Eskalieren
4. Optimisten
5. Ein Sommer in den Charts
6. Der König
7. Ist mir egal
8. Fremdes Elend
9. Morgen geht die Welt unter
10. Mit Raketen auf Spatzen
11. Träumer & Helden

Line-up:
Matthias Engst – Voce
Ramin Tehrani – Chitarra
Alexander Köhler – Basso
Yuri Cernovlov – Batteria

ENGST – Facebook

The Selfish Cales – Haapsalu

Haapsalu si rivela un lavoro che amalgama con disinvoltura i generi citati, cullandoci con bellissime parti melodiche, armonizzazioni vocali e digressioni tecniche di altissimo livello, il tutto con un’aura di magico rock progressivo d’alta scuola.

Haapsalu è un paese dell’Estonia affacciato sul Mar Baltico e meta del viaggio che ha ispirato questo terzo lavoro dei torinesi The Selfish Cales, splendida realtà progressiva e psichedelica che con questo lavoro inizia un nuovo percorso sia per quanto riguarda il sound che gli interpreti, guidati dall’unico reduce della passata line up, Andy Cale.

Haapsalu è un album di rock progressivo che lascia spazio alla psichedelia, al blues e al glam di scuola Mark Bolan, lasciando poco al rock moderno a favore di un approccio ben saldo negli anni sessanta e settanta.
Armonie acustiche, elettrizzanti chitarre hard rock e cambi tempo ed atmosfere ci accompagnano dal momento in cui il treno si ferma ad Haapsalu e noi vi si sale per affrontare questo viaggio tra il rock progressivo d’alta scuola che inizia con Baltic Memories, brano che ci dà il benvenuto nel mondo dei The Selfish Cales.
Beyond The Last Horizon mette in risalto l’anima più progressiva del gruppo, giocando su molti cambi di ritmo e si colloca tra due gemme musicali come la title track e la splendida e sognante Winterfell, brano acustico e progressivo che ricorda a tratti gli Yes.
Chestnut Maze è il singolo che ci porta verso la seconda metà dell’opera, che ha in Kaspar Hauzer uno dei momenti migliori, tra bellissime linee vocali e ritmiche progressive di grande tecnica ed impatto.
Haapsalu si rivela un lavoro che amalgama con disinvoltura i generi citati, cullandoci con bellissime parti melodiche, armonizzazioni vocali e digressioni tecniche di altissimo livello, il tutto con un’aura di magico rock progressivo di grande fattura.

Tracklist
1.Baltic Memories
2.Smokey Shades
3.Haapsalu (free)
4.Beyond The Last Horizon
5.Winterfell
6.Chestnut Maze (free)
7.Fairytales, Nowadays
8.Kaspar Hauser
9.You Can’t Sit With The Sabbath

Line-up
Andy Cale – Frontman (Guitar, Sitar, Lead Voice)
Giuseppe Floridia – Bass, Vocals
Alberto Rocca – Keyboards, Vocals
Luca Zanon – Drums

THE SELFISH CALES – Facebook

The Sticky Fingers LTD. – Point Of View

L’album presenta un sound meno immediato rispetto al passato ma sicuramente più maturo e personale, con la band che prende posto tra le migliori realtà per quanto riguarda i suoni vintage, almeno nei confini nazionali.

Tornano dopo quattro anni dal debutto i The Sticky Fingers LTD, quartetto di rockers modenesi fresco di firma con Sneakout Records e Burning Minds Music Group.

Non sono andati molto lontano, visto che il precedente lavoro uscì infatti per Logic(Il)Logic, sigla facente parte della famiglia Atomic Stuff, una garanzia per i suoni hard rock nel nostro paese.
E Point Of View, oltre ad essere un ottimo lavoro incentrato sul rock e le sonorità anni settanta, porta con se una novità anche riguardo la line up, con il cambio dietro la sei corde tra il nuovo arrivato Jesus e Sputnig Inch Raganov.
Point Of View prosegue con la formula già utilizzata per il precedente album, un rock dalle forti tinte blues, meno rock’n’roll in senso stretto e più aperto a sonorità psichedeliche e hard rock a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.
Diciamo intanto che Mark Bolan e i T.Rex sono a mio parere l’ispirazione più importante (Hope You Like It), insieme ovviamente ai Fab Four (quelli in trip della seconda parte degli anni sessanta), ai Lynyrd Skynyrd (splendidamente southern il riff di Shine) e ai Rolling Stones (Underdog), il tutto rivisto con quel tocco psichedelico di marca The Sticky Fingers LTD..
L’album presenta un sound meno immediato rispetto al passato ma sicuramente più maturo e personale, con la band che prende posto tra le migliori realtà per quanto riguarda i suoni vintage, almeno nei confini nazionali.
Point Of View risulta così un lavoro decisamente riuscito, che dà la giusta connotazione al gruppo modenese quale realtà di un certo spessore per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

Tracklist
01. Bad Mood
02. You Don’t Have To Go
03. Hope You Like It
04. Be Your Man
05. Shine
06. Underdog
07. I’ll Go Alone
08. This Misery
09. North Star
10. Naked Soul

Line-up
Lorenzo – Vocals & Guitar
Jesus – Guitar & Backing
Vocals Jaypee – Bass
Flash – Drums

THE STICKY FINGERS LTD. – Facebook

Gösta Berlings Saga – Et Ex

Una lunga fuga strumentale divisa in otto capitoli è quello che ci riserva la band svedese e l’album diventa così un’opera che va oltre i soliti canoni rock per trasformarsi in musica totale.

Tornano con un nuovo lavoro di progressive rock strumentale gli svedesi Gösta Berlings Saga, quartetto attivo da più di un decennio e che ha trovato uno status di band culto per gli amanti del genere grazie ad una manciata di lavori di ottima fattura.

Dal debutto Tid Är Ljud, uscito nel 2006, fino a quest’ultimo lavoro intitolato Et Ex, la band di Stoccolma ha elaborato il proprio sound, ponendo le basi per una discografia che non trova punti deboli, grazie ad opere che si ispirano agli anni settanta conservando una loro precisa identità.
Anche questa volta, partendo da una struttura crimsoniana, i Gösta Berlings Saga trovano la porta astrale per un altro viaggio nel tempo, tra input settantiani e moderni accenni progressivi, immettendo nella propria musica sfumature provenienti da altri generi in un mosaico musicale di alto spessore.
Anche in Et Ex, come per gli altri lavori, la parola d’ordine è emozionare senza troppi tecnicismi, ma con lampi di geniale musica progressiva che sfiora atmosfere da colonna sonora, elaborando influenze ed ispirazioni e facendone propria l’anima compositiva.
Una lunga fuga strumentale divisa in otto capitoli è quello che ci riserva la band svedese e l’album diventa così un’opera che va oltre i soliti canoni rock per trasformarsi in musica totale, difficile da digerire in tempi nei quali si dedica sempre meno tempo al vero ascolto a favore di un approccio usa e getta anche in generi adulti come il progressive rock.
Avvicinatevi alla musica dei Gösta Berlings Saga solo se siete amanti del genere, in tal caso scoprirete un mondo parallelo di note progressive d’autore.

Tracklist
1. Veras tema
2. The Shortcomings of Efficiency
3. Square 5
4. Over and Out
5. Artefacts
6. Capercaillie Lammergeyer Cassowary & Repeat
7. Brus från stan
8. Fundament

Line-up
Alexander Skepp – Drums & Percussion
David Lundberg – Fender Rhodes, Mellotron & synthesizers
Gabriel Tapper – Bass guitar & Moog
Taurus Rasmus Booberg – Guitars & synthesizers

GOSTA BERLINGS SAGA – Facebook

Firmo – Rehab

Rehab è un lavoro riuscito, assolutamente da non perdere per i fans del genere che ultimamente hanno potuto trovare nel nostro paese valide alternative ai grandi nomi del passato, consigliato.

Ancora un buon esempio di rock melodico firmato Street Symphonies/Burning Mind Music Group, etichette della grande famiglia Atomic Stuff che licenziano il primo album di Gianluca Firmo, tastierista, cantante e songwriter bresciano, già protagonista del progetto Room Experience.

Rehab è stato registrato negli Atomic Stuff Studio di Isorella, con la supervisione di Oscar Burato e vede il musicista nostrano accompagnato da una band e da una serie di ospiti di livello internazionale, tra cui spiccano il chitarrista Mattia “Noise Tedesco (Vasco Rossi, Gianluca Grignani, Candies For Breakfast), Davide Barbieri (Raintimes, Room Experience, Wheels Of Fire, Charming Grace) che ha aiutato il nostro per quanto concerne la prestazione vocale, Nicola Iazzi (Hardline, Candies For Breakfast) al basso e Daniele Valseriati (Tragodia) alla batteria.
Gli special guest vanno da Paul Laine (The Defiants, Danger Danger), a Mario Percudani (Hungryehart, Hardline), ed altri non meno importanti per un prodotto altamente professionale e dedicato a tutti gli amanti del rock melodico di classe.
Ovvio che in un album come Rehab troverete solo belle canzoni derivanti da un modo di fare musica rock che si perde negli anni ottanta e che continua ad arrivare a noi tramite il lavoro e la passione di label come quella nostrana: quindi lasciatevi catturare dalle melodie AOR di brani come Shadows And Light o Didn’t Wanna Care, o elettrizzare dall’hard rock d’annata dell’opener A Place Of Judgement Day o dalla title track.
I musicisti danno il loro importante contributo, il suono esce cristallino e Rehab risulta un lavoro riuscito, assolutamente da non perdere per i fans del genere che, ultimamente, hanno potuto trovare nel nostro paese valide alternative ai grandi nomi del passato.

Tracklist
01. A Place For Judgement Day
02. Heart Of Stone
03. Shadows And Lights
04. Maybe Forever
05. No Prisoners
06. Didn’t Wanna Care
07. Unbreakable
08. Don’t Dare To Call It Love
09. Cowboys Once, Cowboys Forever
10. Rehab
11. Until Forever Comes
12. Everything

Line-up
Gianluca Firmo: Lead & Backing Vocals, Keyboards
Davide “Dave Rox” Barbieri (Raintimes, Room Experience, Wheels Of Fire, Charming Grace): Backing Vocals
Mattia “Noise Maker” Tedesco (Vasco Rossi, Gianluca Grignani, Candies For Breakfast): Guitars
Nicola Iazzi (Hardline, Candies For Breakfast): Bass
Daniele Valseriati (Tragodia): Drums & Percussion

SPECIAL GUESTS:
Paul Laine (The Defiants, Danger Danger): Backing Vocals
Mario Percudani (Hungryehart, Hardline): Guitars
Stefano Zeni (Wheels Of Fire, Room Experience): Guitars
Carlo Poddighe: Guitars Pier Mazzini (Danger Zone): Keyboards
Andrea Cinelli: Piano
Alessandro Moro: Sax

FIRMO – Facebook