Our Souls – The Beast Within

Cercate e fate vostro questo lavoro, non potete immaginare la forza bruta che sprigionano gli Our Souls finché non la proverete sulla vostra pelle.

Una mazzata terrificante, una bomba devastante, violento e senza compromessi, thrash metal dalle venature hardcore che deflagra e distrugge senza pietà, questo risulta The Beast Within, ultimo lavoro del bombardiere tedesco Our Souls.

Nata sul finire del millennio passato, questa debordante band arriva lo scorso anno al suo terzo album, giunto a noi solo ora, così senza perdere altro tempo prezioso, ve li presentiamo in tutta la loro furia distruttrice.
Debutto targato 1999 (Final Hour) e poi un ep ed un live, prima che il precedente War for Nothing del 2013 dia un po’ di continuità alla discografia del gruppo, ed infatti dopo solo due anni The Beast Within torna in tutta la sua potenza devastante a turbare i sogni dei thrash metal fans europei.
Il quintetto tedesco costruisce su una base thrash, ben bilanciata tra tradizione e sfumature più moderne, il suo muro sonoro fatto di pietre metal e cemento hardcore, ed il risultato non può che essere un’insormontabile parete di roccia metallica, sfiorata da poche ma eccezionali ventate di death metal melodico (F-E-S-R).
Con un singer (Berny) che sbraita rabbioso e risulta una furia scatenata, un lavoro ritmico che sfiora la perfezione (Michael “Gruni” Grunert alle pelli e Marcus “Linne” Lindemann al basso) e due chitarre torturate sadicamente lanciando gemiti melodici prima della morte (Florian “Flocke” Klähr e Andreas “Andti.D” Damm) il giochino perverso e violentissimo è fatto e gli Our Souls possono liberare tutta la loro attitudine hardcore su un tappeto di metallico thrash dalle palle fumanti, potente come un vulcano in eruzione, portatore di distruzione come il più violento degli uragani.
Ecco, un uragano sonoro di notevoli dimensioni che si abbatte ed infierisce senza pietà, tra velocissime cavalcate e mid tempo pesanti come incudini, un esagerato ed esaltante viaggio nella musica estrema, accompagnati da brani di una forza dirompente come la title track posta in apertura, la devastante Zombie Nation, la già citata e death oriented F-E-S-R , ed il rullo compressore Pornsuckers from Hell, un inferno hardcore sceso sulla terra.
Cercate e fate vostro questo lavoro, non potete immaginare la forza bruta che sprigionano gli Our Souls finché non la proverete sulla vostra pelle.

TRACKLIST
1. The Beast Within
2. Time Is Up
3. Zombie Nation
4. Age of Pestilence
5. I Am Alive
6. F-E-S-R
7. No Surrender
8. Pornsuckers from Hell
9. Leave Me Alone
10. Chemie der Verwesung

LINE-UP
Berny – Vocals
Flokke – Guitar
Andti – Guitar
Linne – Bass
Gruni – Drums

OUR SOULS – Facebook

Snakewine – Serpent Kings

Otto brani micidiali e perfettamente bilanciati tra metal, hard rock ed una forte attitudine rock’n’roll.

Questo adrenalinico gioiellino di heavy/hard rock è il debutto dei Snakewine, quartetto tedesco proveniente da Saalfeld che approda con un po’ di ritardo sulle pagine di Iyezine.

Fondato nel 2014, lo scorso anno il gruppo approda al debutto tramite Phonector con questi micidiali otto brani perfettamente bilanciati tra metal, hard rock ed una forte attitudine rock’n’roll.
Tanto groove nelle ritmiche, solos dinamitardi che fanno l’occhiolino tanto allo street metal ottantiano quanto all’hard rock classico ed una verve motorheadinana, che non manca di aggiungere pepe ad un lotto di brani divertentissimi e tremendamente live.
Ed è proprio on stage che il sound del gruppo da il meglio di sé, le songs risultano perfette per un ambito in cui il rock ritrova la sua vera natura, sguaiato, debordante ed irresistibile, aiutato non poco dall’appeal di brani estremamente inyourface.
Registrato, mixato e masterizzato da Niklas Wenzel, Serpent Kings deflagra letteralmente, carico di un forte impatto rock’n’roll, che la voce maschia e graffiante del singer Ronny Konietzko rende aggressivo e perfetto per i fans dell’hard & heavy.
Grande prova della sezione ritmica, un muro di cemento armato hard rock (Sebastian Welsch al basso e Buddha a picchiare come un forsennato sulle pelli del suo drumkit) ed esplosiva risulta la sei corde di Frank Vogel, sanguigna come nel southern blues di cui è rivestita Double Barreled, cattiva e tagliente nei molti assoli dall’impronta metallica.
Non ci sono ballad in Serpent Kings, se volete conquistare la vostra donzella dovrete rivolgervi altrove, qui si brucia di passione, niente romanticismi, accoppiatevi senza freni inibitori al ritmo di The Devil You Know, della Ac/Dc oriented Breathtaker o dalla potentissima Mean Machine.
Motorhead, Ac/Dc, un pizzico di street metal, tanto impatto alla Danko Jones ed il vino di serpente che scenderà nelle vostre gole, vi rendernno dipendenti e non potrete più farne a meno, consigliato senza riserve.

TRACKLIST
1.Breathtaker
2.Son Of a Gun
3.Brood Of Vipers
4.Mean Machine
5.Serpent Kings
6.Double Barreled
7.The Devil You Know
8.Swipwrecked

LINE-UP
Ronny Konietzko-Vocals
Frank Vogel-Guitars
Sebastian Welsch-Bass
Buddha-Drums

SNAKEWINE – Facebook

Centinex – Doomsday Rituals

Altra grande prova dello storico combo svedese, altra mazzata musicale che conferma l’assoluto dominio del death metal sulla musica estrema

Un’altra lezione di come si suona death metal impartita dalla storica band svedese con questo straordinario lavoro, secondo dopo la reunion avvenuta nel 2013 e successore di Redeeming The Filth di due anni fa, rientro in pompa magna del gruppo scandinavo.

I Centinex tornano a devastare padiglioni auricolari che gronderanno sangue, massacrati da questa mezzora di metal estremo entusiasmante confermando la buona forma dopo i lunghi anni di inattività e il conseguente ritorno, a questo punto una benedizione per i death metallers ancora innamorati dei suoni old school.
Prodotto ai Wings Studios ed accompagnato da una copertina vecchia scuola, Doomsday Rituals è il degno successore del bellissimo predecessore, nonché un album che assolutamente non sfigura con le opere storiche dei primi anni novanta, composto da una decina di bombe atomiche fatte esplodere nello stesso istante, producendo la totale distruzione del pianeta.
I Centinex non sono certo prolissi nel comporre metal estremo, i loro brani puntano la vittima e la eliminano con una raffica di death metal perfettamente bilanciato tra la tradizione scandinava e quella statunitense, compatti come una nave da guerra rifilano dieci cannonate devastanti, dalle ritmiche potenti e sempre sorrette da mid tempo che si trasformano in poderosi blast beat violentissimi.
Epico a tratti, perfetto nell’essere facilmente memorizzato complice un songwriting sopra le righe, Doomsday Rituals vive e si crogiola nelle ritmiche, punto di forza del gruppo e goduria per gli amanti del genere, pura violenza che non trascende ma acquista flavour, grazie al talento ed al mestiere di questi quattro guerrieri estremi.
La band ha un curriculum tale che parlare di influenze sarebbe sminuire l’importanza dei Centinex e della loro discografia, come detto anche Doomsday Rituals si nutre di death metal old school, niente di più, niente di meno e qui sta il bello, almeno per chi considera il death metal padre dei generi estremi ed il miglior modo per suonare musica violenta.
L’opener Flesh Passion, il capolavoro ritmico di cui è composta The Shameful Few, la carica emanata dalla veloce e devastante (la song più veloce del lotto) Sentenced to Suffer, sono solo le prime virtù che escono prepotentemente dai solchi dell’album, poi con gli ascolti la sensazione di essere al cospetto di un death metal album perfetto cresce a dismisura.
Altra grande prova dello storico combo svedese, altra mazzata musicale che conferma l’assoluto dominio del death metal sulla musica estrema.

TRACKLIST
1. Flesh Passion
2. From Intact to Broken
3. Dismemberment Supreme
4. Generation of Flies
5. The Shameful Few
6. Doomsday
7. Exist to Feed
8. Death Decay Murder
9. Sentenced to Suffer
10. Faceless

LINE-UP
Martin Schulman Bass
Kennet Englund Drums
Sverker Widgren Guitars
Alexander Högbom Vocals

CENTINEX – Facebook

Infernal Diatribe – Videha Mukti

La prova sulla lunga distanza dirà se il gruppo indiano è già pronto per conquistare il vecchio continente, nel frattempo per gli amanti del raw black metal si consiglia sicuramente l’ascolto di Videha Mukti.

Dopo i bellissimi lavori di Diabolus Arcanium e, soprattutto Heathen Beast, il black metal torna a far parlare di sé in quel di Calcutta, India.

Videha Mukti è il primo lavoro in formato ep degli Infernal Diatribe, oscura ed occulta realtà che si aggira maligna tra i vicoli della metropoli asiatica.
Ancora, come sempre è la Transcending Obscurity a fasi portavoce del metal proveniente da quella porzione di pianeta, in questo caso, estremo e demoniaco ed assolutamente old school.
In Videha Mukti musicalmente si parla la lingua dei paesi scandinavi, il quintetto indiano infatti trae ispirazione dai gruppi storici della scena nordica, con ottime melodie oscure che atmosfericamente rendono i brani terrorizzanti e vari, insomma una miscela di black metal classico con ottime parti rallentate tra spiritualismo ed occultismo.
Si sviluppano così questi quattro inni alla misantropia, neri come la pece e senza compromessi, con buone linee ritmiche, sfuriate estreme di buon livello, uno scream demoniaco possibile e un’atmosfera che non fa sicuramente rimpiangere il miglior black metal internazionale.
Mayhem, Dark Funeral, Darkthrone, le ispirazioni per il gruppo non mancano, così come un’ottima attitudine che si evince da brani tremendamente evil come The Cry e Doomed, brani cardine del sound degli Infernal Diatribe.
La prova sulla lunga distanza dirà se il gruppo indiano è già pronto per conquistare il vecchio continente, nel frattempo per gli amanti del raw black metal si consiglia sicuramente l’ascolto di Videha Mukti.

TRACKLIST
1.Demonic Gasping Mortal Nightmare (Wisdom)
2.Doomed
3.Morbid Evocation
4.The Cry

LINE-UP
KaraNavigama – Vocals
Kalavikrama – Guitar
Narantaka – Guitar
Kalaparzudhara – Bass
Naztaz – Drums

INFERNAL DIATRIBE – Facebook

Blood Moon Hysteria – Crimson Sky

Runar Beyond si conferma un talento nel descrivere emozioni che non lasciano spazio alla speranza, ancora più accentuate in questo lavoro della sua nuova creatura che trasforma in musica il disagio esistenziale e la profonda inquietudine

Avevamo lasciato il polistrumentista norvegese Runar Beyond all’indomani dell’uscita, tramite la nostrana WormHoleDeath, del bellissimo Dreaming Stoned, ep della sua creatura chiamata Beyond The Morninglight, quattro brani acustici dal flavour malinconico, un viaggio in solitudine tra i boschi del suo paese in compagnia della sua chitarra assolutamente espressiva.

Ritroviamo il buon Runar in questa nuova avventura chiamata Blood Moon Hysteria, ancora con l’aiuto di Leo Moracchioli, che ha prodotto l’album e suonato la batteria, ed il piano di Fredrik S e questi cinque brani racchiusi in Crimson Sky.
Non più trame acustiche, ma un’irruenza rock/metal è quello che si evince all’ascolto di questo primo ep: i Blood Moon Hysteria mantengono una profonda malinconia di fondo, anche se un mood apocalittico riveste i brani, mentre la voce intrisa di profonda tristezza del musicista norvegese accompagna il rock irrobustito da richiami al metal ed all’alternative, ma soprattutto, almeno per il sottoscritto, da sfumature dark che richiamano i Joy Division.
In questa alternanza di umori, la tragica malinconia che è insita nella musica del musicista norvegese viene descritta da queste ottime cinque canzoni che passano dal rock alternativo di Blood Moon Hysteria, alle tastiere dal mood seventies della conclusiva Change, dall’irruenza metallica della title track, all’hard rock intriso di umori dark di Labyrinth e Paranoia.
Il musicista di Stavanger si conferma un talento nel descrivere emozioni che non lasciano spazio alla speranza, ancora più accentuate in questo lavoro della sua nuova creatura che trasforma in musica il disagio esistenziale e la profonda inquietudine, con assoluta padronanza dello spartito in una cascata di note velate dall’oscurità dell’animo.
Musica che è un tuffo nelle più profonde emozioni che risultano estreme, forse, anche più di molte opere black o death.

TRACKLIST
1.Paranoia
2.Blood Moon Hysteria
3.Crimson Sky
4.Labyrinth
5.Change

LINE-UP
Runar Beyond – all music and lyrics, vocals, guitars, bass, mellotron and organ
Fredrik S – piano
Leo – drums

BLOOD MOON HYSTERIA – Facebook

https://soundcloud.com/user-589348358

Macabra – ….To The Bone

….To The Bone è un lavoro dannatamente coinvolgente, almeno per chi ama il death metal old school ispirato alle opere storiche dei primi anni novanta, per cui l’ascolto è senz’altro consigliato.

Torna a far parlare di sé Mark Riddick, factotum dei deathsters Fetid Zombie e collaboratore in un’altra decina di band, questa volta in compagnia del cantante belga Adrien “Liquifier” Weber (Alienante Damnation, Ebauche Noire, Vociferian) per un’alleanza internazionale a suon di death metal old school dal nome Macabra.

Un’idea nata nel 2011 e che ha già dato i suoi velenosi frutti: un demo, il full length Blood-Nurtured Nature, uscito nel 2011, un secondo demo dal titolo Heavier Than Your Own Coffin, ed uno split in compagnia dei Father Befouled uscito tre anni fa.
E allora avventuriamoci nelle catacombe, sotterranei rimasti nascosti per millenni dove regna il male puro, ad attenderci i due demoni, circondati dai poveri resti di una civiltà ormai dimenticata, un popolo adoratore di idoli malvagi che regnano ancora nell’oscurità, accompagnati dal metal estremo dal taglio classico del duo belga/americano.
Death metal old school, dove le ritmiche si mantengono serrate per poi rallentare in monoliti di oscuro estremismo sonoro, buoni ed atmosfericamente perfetti gli interventi dei tasti d’avorio che accentuano il sentore di mistero e maligna oscurità che attanaglia tutto il lavoro.
Il growl bestiale e profondo di Weber è tanto animalesco quanto inserito alla perfezione nelle trame dei brani così che in …To The Bone l’aria che si respira è imputridita dal marcio liquame delle ossa in putrescenza.
Intricate ragnatele tessute da aracnidi millenari, serpenti che si aggirano tra gli scheletri abbandonati nell’enorme città ossario e lunghe scale che scendono nell’abisso, questo è il regno dei Macabra, descritto da brani oscuri e terrificanti come Sadocrat, Global Brainwash Confederacy e Crucified Individual Nation cardini estremi di questo lavoro.
…To The Bone è un lavoro dannatamente coinvolgente, almeno per chi ama il death metal old school ispirato alle opere storiche dei primi anni novanta, per cui l’ascolto è senz’altro consigliato.

TRACKLIST
1. Death Speculation
2. Sadocrat
3. Oppression Delegation
4. Global Brainwash Confederacy
5. Royalties on Murder
6. Crucified Individuals Nation
7. Cannibal Black Market
8. Scars of Dignity

LINE-UP
Adrien “Liquifier” Weber – Vocals and text
Mark Riddick – Guitar, bass, drum programming, keyboard, and visuals

MACABRA – Facebook

M.I.L.F. – More Than You

Divertente, a tratti esuberante, rock’n’roll perfetto per scatenati party, il sound del gruppo fiorentino non risulta una rivisitazione nostalgica dei fasti dei gruppi storici e, pur con le influenze in cui si specchia, la freschezza che emana non può che risultare determinante per la sua buona riuscita.

L’acronimo M.I.L.F. potrebbe far pensare a conturbanti donne mature alla ricerca di sollazzi con giovani toy boy, insegnanti preparatissime della sublime arte del sesso, magari accompagnate nelle loro prestazioni dalla colonna sonora composta da queste undici trascinanti hard rock/glam/street songs che compongono More Than You, primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo toscano fondato a Firenze nel 2010 con all’attivo un ep autoprodotto e che arriva alla pubblicazione di questo primo full length grazie alla label Buil2KillRecords.

Invece M.I.L.F. sta per Make It Long ‘n Fast e la musica prodotta riconduce senza mezzi termini all’hard rock stradaiolo, ispirato agli eroi del Sunset Boulevard, con un pizzico di punk rock e ritmiche che a tratti prendono ispirazione dalla famiglia Young più famosa del rock.
Divertente, a tratti esuberante, rock’n’roll perfetto per scatenati party, il sound del gruppo fiorentino non risulta una rivisitazione nostalgica dei fasti dei gruppi storici e, pur con le influenze in cui si specchia, la freschezza che emana non può che risultare determinante per la sua buona riuscita.
Ed infatti, dopo l’intro, il riff su cui si struttura Let Me Believe ci scaraventa ai bordi del palco a sbattere natiche e riempire le nostre gole di birra in un selvaggio party rock, che continua imperterrito con la title track, elettrizzante rock song dal piglio punk assolutamente irresistibile.
Let’s go è un altro rock’n’roll ipervitaminizzato trascinante, mentre Thief of Love risulta una ballatona che si trasforma in un mid tempo, ma sono le armonie acustiche di Beach Blues che ci portano sulle assolate spiagge della California, tra bikini e voglia di surf.
Un riff alla Ac/Dc ci introduce all’elettrizzante Dancing Savage, con finale sulla corsia di sorpasso con tre songs irresistibili come Hang On, Midnight e la conclusiva Can’t Stop.
More Than You risulta un ottimo lavoro, il genere è quello, perciò se cercate l’originalità in album come questo avete sbagliato indirizzo: i M.I.L.F. si divertono e fanno divertire e tanto basta, in fondo it’s only rock’n’roll.

TRACKLIST
01. Prelude
02. Let Me Believe
03. More than You
04. Don’t Care
05. Let’s Go
06. Thief of Love
07. Beach Blues
08. Dancing Savage
09. Hang On
10. Midnight
11. Can’t Stop

LINE-UP
Matt Lombardo – Lead Vocals, Keyboards
Zip Faster – Lead Guitar
Ciccio – Guitar, Acustic Guitar, Backing Vocals
Dani – Bass
Toby Alley – Drums, Backing Vocals

M.I.L.F. – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=uPJbhMLRqkE

Axel Rudi Pell – Game Of Sins

Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989

Cosa scrivere di un album targato Axel Rudi Pell che non sia già stato detto in occasione dell’uscita dei suoi ben sedici album, in ventisette anni di onorata carriera nel mondo dell’hard & heavy?

Niente di più di quello che poi ne è il reale valore, al netto delle critiche che si possono fare all’axeman tedesco, cioè di ripetere la stessa formula album dopo album, ma d’altronde cosa si può volere di più dal buon Pell se non un altro ennesimo tuffo nelle atmosfere classiche di reminiscenze Rainbow?
Il vero erede di Ritchie Blackmore torna in compagnia del sommo Johnny Gioeli, uno dei singer più sottovalutati dell’intera scena hard rock, ma straordinario interprete del sound epico e nobile del gruppo con il diciassettesimo lavoro, questo epico Game Of Sins.
Contornato da una formazione di super professionisti delle note metalliche come il mastino Bobby Rondinelli alle pelli, l’ex Rough Silk Ferdy Doernberg ai tasti d’avorio e Volker Krawczak al basso, il duo tedesco/statunitense fa spallucce ai detrattori e rifila una serie di brani che ancora una volta risultano un’apoteosi di suoni hard & heavy, ispirati all’arcobaleno più famoso della storia del rock e alla scena ottantiana, una goduria di atmosfere epiche che faranno la gioia dei rockers d’annata.
La sei corde di Pell ovviamente è la protagonista assoluta con riff rocciosi, solos iper melodici e quel taglio blackmoriano che, come detto ha fatto del chitarrista di Bochum il suo più illustre erede, fuori dal neoclassicismo debordante e molto spesso noioso di Malmsteen e funzionale al songwriting dei vari album che, con poche negative eccezioni, hanno contribuito alla storia del genere.
Non si può fare a meno di notare l’ottima prova di un Gioeli sempre più coinvolto nella musica del gruppo, interpretativo, melodico e sempre più a suo agio nel rinverdire i fasti di Ronnie James Dio, mentre la raccolta di brani che formano la track list di Games Of Sins non hanno cedimenti, almeno fino alla conclusiva cover di All Along The Watchtower, brano famoso dalle versioni di Hendrix, Bob Dylan ed U2, ma troppo lontano dalle corde della band tedesca.
Niente di male: l’epica title track, la metallica e debordante Fire, la ruvida Sons Of The Night e la stupenda The King Of Fools impreziosiscono questo ottimo lavoro, l’ennesima prova sopra le righe di un musicista che, se per molti pecca di originalità, lascia sul campo i cadaveri di molti giovani gruppi dediti all’hard & heavy vecchia scuola.
Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989; per i vecchi fans un lavoro imperdibile, anche se lo consiglio pure ai giovani metallari dai gusti classici, magari accompagnandolo all’ascolto dei lavori precedenti.

TRACKLIST
01. Lenta Fortuna (Intro)
02. Fire
03. Sons In The Night
04. Game Of Sins
05. Falling Star
06. Lost In Love
07. The King Of Fools
08. Till The World Says Goodbye
09. Breaking The Rules
10. Forever Free
11. All Along The Watchtower (Bonus Track)*

LINE-UP
Axel Rudi Pell – Guitar
Johnny Gioeli – Vocals
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

ADX – Non Serviam

Vi consiglio di non lasciarvi sfuggire Non Serviam e cominciare a riempire il vostro salvadanaio, non potrete che rifarvi del tempo perduto e far vostra tutta la discografia di questi guerrieri dello speed metal.

Tornano gli storici speed metallers transalpini ADX con questa bomba metallica dal titolo Non Serviam mettendo in fila, nel genere, un gran numero di gruppi più famosi, almeno se guardiamo a questa prima metà dell’anno.

Una band arrivata al decimo lavoro sulla lunga distanza, attiva dai primi anni ottanta e con una reputazione che non ha conosciuto cedimenti, almeno a livello underground: considerato come una delle band leader della scena speed/power europea, il combo parigino non ha mai trovato il successo che meritava, forse l’uso della madre lingua, forse la componente fortuna che in questi casi è fondamentale, fatto sta che molti non conoscono questa entusiasmante realtà del metal classico europeo, da anni sul mercato senza sbagliare un colpo, vena confermata da questo spettacolare nuovo lavoro.
Non Serviam si compone di undici brani, da tradizione cantati alla grande dal bravissimo singer Phil Grelaud, un animale metallico dal carisma stratosferico e suonati con una compattezza strabiliante valorizzata da una produzione perfetta, anche se si tratta di metal old school.
Metal old school, infatti, non vuol dire produzione deficitaria a tutti i costi, come molto spesso capita di ascoltare su produzioni del genere anche licenziate da label importanti, e Non Serviam letteralmente esplode grazie ad un gran lavoro dietro la consolle che permette di gustare le tremende accelerazioni e gli intrecci chitarristici di cui si compongono queste undici mazzate speed/power che non mancano di regalare tanta melodia, perfettamente incastonata nel sound pieno e ridondante del gruppo francese.
Una macchina da guerra metallica, questi sono gli ADX del 2016, ancora dopo più di trent’anni in grado di esaltare con un’apoteosi di suoni metallici, dal taglio classico ma perfettamente inseriti nel genere in questi primi anni del nuovo millennio.
Ritmiche velocissime, solos che fulminano, un lavoro d’insieme che lascia a bocca aperta ed un songwriting al top fanno di questo lavoro un monumento al genere; impossibile resistere, il sound del gruppo vi travolgerà con ritmiche potentissime ma dall’appeal immenso, drammatico e a tratti epico fino al midollo, spingendo via in malo modo almeno una bella fetta dei lavori usciti negli ultimi tempi, specialmente quelli dei gruppi storici.
Non vi sto ad elencare i brani che più risaltano nel contesto dell’album perché la qualità è talmente alta da lasciare senza fiato per tutta la sua durata, vi consiglio solo di non lasciarvi sfuggire Non Serviam e cominciare a riempire il vostro salvadanaio, non potrete che rifarvi del tempo perduto e far vostra tutta la discografia di questi guerrieri dello speed metal.

TRACKLIST
1. L’aube noire
2. La mort en face
3. La complainte du demeter
4. B-17 phantom
5. Non serviam
6. Les oubliés
7. L’irlandaise
8. L’egnime sacrée
9. Cosaques
10. La Furie
11. Theâtre de sang

LINE-UP
Phil Grelaud – Vocals
Nicklaus Bergen – Guitars
Pascal Betov – Guitars
Julien Rousseau – Bass
Didier “Dog” Bouchard – Drums

ADX – Facebook

Almanac – Tsar

Un album imperdibile per gli amanti dei suoni power orchestrali e di chi ha amato i Rage in questa nobile versione con la Lingua Mortis Orchestra

Che Victor Smolski abbia lasciato i Rage è cosa risaputa ed il musicista bielorusso non ha perso tempo, rimboccandosi le maniche e chiamando a se un manipolo di musicisti della scena fondando gli Almanac, band figlia degli ultimi Rage, quelli più orchestrali.

Tsar è il primo album di questa nuova creatura che vede Smolski in compagnia di Enric Garcia alle tastiere, la sezione ritmica composta da Michael Kolar alle pelli e Armin Alic al basso, più tre eccezzionali vocalist: Andy B. Franck (Brainstorm, Ivanhoe e Symphorce), David Readman (Voodoo Circle, Pink Cream 69) e Jannette Marchewka.
Unite le forze con la prestigiosa Orchestra Filarmonica di Barcellona, il gruppo ha dato vita ad un esordio spumeggiante che, pur prendendo spunto dal passato del chitarrista ( i Rage con la Lingua Mortis Orchestra), trova subito la propria strada, fatta di un power orchestrale, dal mood cinematografico e da molte sfumature classic metal.
L’uso dei tre cantanti fa la differenza, così come il flavour epicissimo che il concept su cui si sviluppa l’opera è costruito, valorizzato dalle fughe chitarristiche di un Smolski che si dimostra come uno degli axeman migliori degli ultimi anni, almeno in campo power metal.
La storia è di quelle impegnative, le gesta e le vicende di Ivan IV di Russia, conosciuto come Ivan il Terrribile, sovrano crudele vissuto nel sedicesimo secolo di cui Tsar racconta la vita, iniziando con la splendida title track proprio dalla sua infanzia.
Da Self-Blinded Eyes in poi Tsar è un susseguirsi di power metal dalle ritmiche serrate, epico e magniloquente, orchestrato perfettamente dalla famosa filarmonica ed irrobustito da fiero metallo, dove la chitarra dell’axeman bielorusso si incendia e dona regale musica heavy.
Grande prova dei tre vocalist coinvolti, degli assi nel genere e si sente con prove a tratti sontuose, mentre la storia coinvolge sempre più, permettendo a Tsar di risultare un lavoro affascinate, perfettamente bilanciato tra la raffinatezza e la magniloquenza della parte orchestrale e la carica travolgente del power metal.
Per chi si approccia all’opera è un attimo arrivare alla fine con la voglia di rituffarsi tra le note di Children Of The Future, dell’intensa No More Shadows, nell’oscuro doom epico di Reign Of Madness e della straordinariamente potente Flames Of Hate.
In conclusione Tsar risulta un album imperdibile per gli amanti dei suoni power orchestrali e di chi ha amato i Rage in questa nobile versione con la Lingua Mortis Orchestra; la speranza è che questa nuova avventura del chitarrista bielorusso non rimanga confinata a questo lavoro, sarebbe un vero peccato.

TRACKLIST
1. Tsar
2. Self-Blinded Eyes
3. Darkness
4. Hands Are Tied
5. Children Of The Future
6. No More Shadows
7. Nevermore
8. Reign Of Madness
9. Flames Of Hate

LINE-UP
Andy B. Franck: Vocals
David Readman: Vocals
Jeannette Marchewka: Vocals
Victor Smolski: Guitars
Enric Garcia: keyboards
Michael Kolar: Drums
Armin Alic: Bass

ALMANAC – Facebook

Ciconia – Winterize

Un album che, pur tra qualche imperfezione, convince e lascia nell’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di una band con ancora molti margini di miglioramento.

L’affascinante bootleg che accompagna il cd ci mostra attimi di vita di un borgo perso tra le montagne delle Sanabria, nella Spagna nordoccidentale molti anni fa: sono immagini poetiche di gente semplice assolutamente fuori dal nostro modo di vivere, mentre la musica descrive note progressive tra l’armonia suadente ed intimista che fuoriesce dagli strumenti acustici e l’irruenza del metal più sofisticato, ma a suo modo aggressivo, così da conferire all’album umori diversi tra bianco e nero, luce ed ombra, semplicità e complessità.

Winterize è il secondo lavoro degli spagnoli Ciconia (il primo album The Moon Sessions è targato 2014), band proveniente da Valladolid, il sound proposto è un rock/metal strumentale ed influenzato da esponenti diversi del fare musica progressiva, passando dal classico sound alla Liquid Tension Experiment, a quello più oscuro degli Opeth, fino a raggiungere intimisti lidi rock dove ad aspettarci ci sono Porcupine Tree ed Anathema.
Più di un’ora di musica in cui gli strumenti creano le atmosfere cangianti di cui sopra, Winterize risulta una lunga suite divisa in dieci capitoli, tra maschia e tecnicamente ineccepibile elettricità e momenti di ottime soluzioni acustiche dal sapore folk, ma dure nel loro mood, come la vita in montagna.
La musica del trio spagnolo (Jorge Fraguas al basso, Javier Altonaga alla chitarra e Aleix Zoreda alle pelli) si specchia poco nel tecnicismo, lasciando al valore del songwriting tutti i pregi di quest’opera strumentale, che risulta ostica solo per la lunga durata e l’impegno che l’ascoltatore deve assolutamente mettere sul conto al primo approccio con la musica in essa contenuta, ma che diventa perfettamente leggibile man mano che gli ascolti si intensificano.
Limbus, The Forgotten e i sedici minuti conclusivi della mini suite Towards the Valley si compongono dei migliori momenti del disco, un album che, pur tra qualche imperfezione (alcune slegature tra le varie atmosfere), convince e lascia nell’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di una band con ancora molti margini di miglioramento.

TRACKLIST
1. Snowfields
2. Eloina’s Inn
3. Limbus
4. Scarsman
5. The Forgotten
6. A Wolf Never Comes Alone
7. Reel of Trevinca
8. Forestwalk
9. Fiadeiro
10. Towards the Valley

LINE-UP
Jorge Fraguas – Bass
Javier Altonagae – Guitars
Aleix Zoreda – Drums

CICONIA – Facebook

Omen – Hammer Damage

Hammer Damage rimane un lavoro per i fans accaniti del gruppo, agli altri si consiglia sicuramente un ascolto delle opere ottantiane, punto di forza della discografia degli Omen.

La Pure Steel continua la sua missione incentrata sul recuperare molte delle realtà storiche del metal classico in giro per il mondo, alcune sconosciute se non si è stati fan accaniti dei suoni metallici degli anni ottanta, altre con un’aura di mito che le ha accompagnate nel nuovo millennio, conquistate con album che sono diventati classici per ogni amante del genere che si rispetti.

Mancavano gli storici power metallers statunitensi Omen all’appello e dopo varie vicissitudini e molti ritardi, il nuovo lavoro vede la luce per l’etichetta tedesca.
Un gruppo storico che con i primi lavori targati anni ottanta ha contribuito non poco alla causa dell’U.S. metal, specialmente con i primi tre album divenuti delle pietre miliari del genere come Battle Cry , esplosivo album di debutto del 1984, il successore Warning Of Danger del 1985 e The Curse uscito l’anno dopo.
Poi alti e bassi e molte compilation fino al 2003 ed al ritorno discografico con Eternal Back Down, seguito dopo tredici anni da questo Hammer Damage, un lavoro che accontenterà sufficientemente i fans del gruppo, ma che lascia anche qualche perplessità.
Tornato al fianco del leader Kenny Powell lo storico batterista Steve Wittig e confermati Kevin Goocher al microfono ed Andy Haas al basso, gli Omen licenziano un lavoro chiaramente improntato sul metal americano di matrice old school, dunque ogni cliché del genere fa bella mostra di sé: riff scolpiti nell’acciaio, ritmiche e mid tempo tra l’heavy ed il power e flavour oscuro ed epico come da tradizione, ma Hammer Damage delude per una produzione troppo deficitaria e per qualche canzone non riuscita alla perfezione.
L’esplosivo sound che ha reso famoso il gruppo detona a tratti, l’epicità è ancora l’arma più letale del gruppo, mentre le tracce faticano a decollare, anche se le cavalcate metalliche non mancano ed il talento di Powell alla sei corde è ancora intatto.
La voce ruvida del vocalist accompagna con buona grinta il mood battagliero del disco, anche se manca il classico riff che rimane in testa, lasciando che Hammer Damage passi senza lasciare particolari tracce.
Chaco Canyon (Sun Dagger), Caligula e la semiballad Eulogy For A Warrior risultano i brani più riusciti dell’album, mentre il resto viene poco valorizzato dalla produzione e da un songwriting appena sufficiente per un gruppo di tale livello.
Hammer Damage rimane quindi un lavoro per i fans accaniti del gruppo, agli altri si consiglia sicuramente un ascolto delle opere ottantiane, punto di forza della discografia degli Omen.

TRACKLIST
1. Hammer Damage
2. Chaco Canyon (Sun Dagger)
3. Cry Havoc
4. Eulogy For A Warrior
5. Knights
6. Hellas
7. Caligula
8. Era Of Crisis
9. A.F.U.

LINE-UP
Kevin Goocher – vocals
Kenny Powell – guitar
Andy Haas – bass
Steve Wittig – drums

OMEN – Facebook

Ingloriuos – Inglorious

Inglorious è semplicemente un disco bellissimo, cantato a meraviglia e con un lotto di songs una più bella dell’altra, lasciate i vecchi dischi ormai consumati sullo scaffale e buttatevi tra le note di questi nuovi eroi dell’hard rock

Premessa: l’hard rock di stampo settantiano è tornato a mietere vittime, i gruppi che si rifanno ai suoni vintage non si contano più sulle dita di una mano, ma colmano con i loro cd gli scaffali dei negozi specializzati alla dicitura rock, ed il primo lavoro degli Inglorious ne è un altro ottimo esempio.

Un bene o un male? Meglio ascoltare i soliti vecchi classici o i loro più legittimi figli che, rifacendosi alla tradizione accompagnano il genere nel nuovo millennio?
Il sottoscritto tifa senza ritegno per le nuove leve, musicisti straordinari protagonisti di album bellissimi, molte volte criticati a prescindere, ma in grado di regalare hard rock sanguigno, figlio del blues, emozionando non poco.
Robert Plant, Ian Gillan, David Coverdale e Paul Rodgers, prendete i quattro dei dell’hard blues, mischiate le loro ugole ed avrete più o meno trovato il segreto della stupenda voce di Nathan James, ex-Trans-Siberian Orchestra ed ex-Uli Jon Roth band e capitano di questa macchina blues hard rock che con il suo primo, omonimo e bellissimo lavoro vi trascinerà nel decennio settantiano tra la musica dei gruppi di cui i quattro cantanti sono stati, ed un paio lo sono ancora, i frontman.
Un album che rasenta la perfezione, pregno di sudore e voglia di emozionare, dove l’hammond torna protagonista, così come i riff (pesantissimi in alcuni casi) che si riempiono di un’anima blues, sporca, cattiva ma a tratti dolcemente disperata, come nella miglior tradizione del genere.
Nathan James è però il protagonista indiscusso, interpretativo, dotato di un talento immenso nel far rinverdire i fasto dei leoni che ruggivano nei microfoni di album fondamentali per lo sviluppo della musica hard rock come Led Zeppelin II, In Rock, Love Hunter o Bad Company e sentire per credere, fate scorrere il cd fino alla traccia otto così che You’re Mine possa convincervi di che pasta è fatto il ragazzo.
Ma Inglorious vive anche di grande musica, fin dall’opener Until I Die, dove l’hammond crea la giusta atmosfera, prima che le sei corde esplodano in un tripudio di suoni purpleiani, dure, pesantissime ed accompagnate da una ritmica che non rinuncia al groove, immancabile nei lavori di questi anni e colpevole di rinfrescare il giusto la proposta del gruppo.
Si corre veloci con l’adrenalinica Breakway, mentre un riff alla Page introduce il primo colpo da manuale High Flying Gypsy mentre, poi, arriva come un fulmine a ciel sereno il blues tragico di Holy Water ed un altro pezzo di bravura di James, che interpreta il brano con la magia giusta per una canzone che emoziona come solo la musica del diavolo sa fare, bissata da quel monolito hard rock che risulta la seguente Warning.
E si va veloci, i brani si susseguono con la band che non fa mancare armonie folk dal flavour zeppeliniano, altre bombe rock che detonano nei nostri padiglioni auricolari, con la già citata You’re Mine, Inglorious ed il ballatone Wake a distruggere come virus ogni nostra difesa immunitaria.
Inglorious è semplicemente un disco bellissimo, cantato a meraviglia e con un lotto di songs una più bella dell’altra, lasciate i vecchi dischi ormai consumati sullo scaffale e buttatevi tra le note di questi nuovi eroi dell’hard rock, c’è da divertirsi.

TRACKLIST
01. Until I Die
02. Breakaway
03. High Flying Gypsy
04. Holy Water
05. Warning
06. Bleed For You
07. Girl Got A Gun
08. You’re Mine
09. Inglorious
10. Wake
11. Unaware

LINE-UP
Nathan James – Vocals
Andreas Eriksson – Guitars
Wil Taylor – Guitars
Colin Parkinson – Bass
Phil Beaver – Drums

INGLORIOUS – Facebook

Duality – Elektron

Un album riuscito che offre sicuramente all’ascoltatore la piacevole sensazione di essere al cospetto di un gruppo sopra la media

Death metal, jazz e musica classica, uniti ad un buon spirito progressivo: Elektron, primo lavoro di questa band italiana, si può certamente spiegare in così poche parole.

Nati nell’ormai lontano 2002 i Duality arrivano solo ora al primo lavoro sulla lunga distanza: nella loro discografia compaiono solo due mini cd. il primo demo uscito più di dieci anni fa e l’ep Chaos_Introspection, del 2011.
Si sono presi quindi il loro tempo per arrivare al traguardo del full length, ma il risultato non può che essere soddisfacente, sia per la band che per i fans del technical death metal nobilitato da partiture classiche e jazz/fusion.
Il genere, portato all’attenzione degli appassionati di musica estrema da gruppi storici come Cynic e Atheist, per certi versi ormai non sorprende più, ma non è questa la virtù principale di Elektron, che si snoda piacevolmente lungo otto brani dove la furia del death metal incontra e va a braccetto con queste differenti atmosfere, all’apparenza lontane, ma come ben sanno gli amanti di questi suoni, mai così vicini ed in armonia.
Il metal estremo del quale il gruppo fa buon uso si avvicina a soluzioni più moderne e core, la violenza sprigionata e l’ottima produzione risaltano il lavoro delle chitarre e, soprattutto, della sezione ritmica davvero sopra la media, mentre l’appropriato uso del violino e la pregevole tecnica strumentale alzano la qualità generale del disco.
Non manca, a mio parere, come in molte opere di questo tipo, una vena progressive, magari nascosta tra le pieghe delle sfumature jazz/fusion, ma presente ad un ascolto attento, facilitato dal songwriting dal buon livello del gruppo marchigiano.
La sensazione che Elektron lascia è quella di un album che, pur nella sua non facile interpretazione, specialmente per chi non è avvezzo a tali sonorità, tiene molte porte aperte per fare in modo di entrare dentro all’anima del disco senza troppa fatica; la musica scorre come l’acqua cristallina di un ruscello, senza trovare ostacoli, i vari passaggi dalle parti estreme a quelle jazzate sono perfettamente bilanciate, così come l’ottimo growl porta con sé la rabbia estrema mantenendo il mood core.
Un album da ascoltare nella sua interezza, non si riscontrano cedimenti per tutta la sua durata lasciando agli undici minuti della conclusiva Hanged On A Ray Of Light il compito di riassumere il credo musicale del gruppo italiano.
Sicuramente un album riuscito che, anche se non porta grosse novità, offre sicuramente all’ascoltatore la piacevole sensazione di essere al cospetto di una band sopra la media: il futuro ci dirà se, finalmente, i Duality troveranno quella costanza nelle uscite discografiche che diventa basilare per non essere dimenticati in fretta.

TRACKLIST
1. Six Years Locked Clock
2. Azure
3. Chaos_Introspection
4. Along the Crack
5. Motions
6. Plead for Vulnerability
7. Hybrid Regression
8. Hanged on a Ray of Light

LINE-UP
Tiziano Paolini – Bass
Dario Fradeani – Drums
Diego Bellagamba – Guitars
Giuseppe Cardamone – Vocals, Guitars, Violin

DUALITY – Facebook

Forklift Elevator – Killerself

I Forklift Elevator si sono trasformati definitivamente in una macchina da guerra e questi sei pugni nello stomaco dimostrano che la strada è quella giusta.

Tornano i Forklift Elevator con questo nuovo ep, successore di quel Borderline, debutto sulla lunga distanza, molto apprezzato dal sottoscritto per un songwriting vario che amalgamava in una mistura esplosiva, attitudine hard rock e violenza thrash metal, il tutto supportato da una dose letale di groove che avvicinava il sound al moderno metal statunitense.

Killerself porta con sé importanti novità in seno alla band: intanto il buon Stefano Segato ha lasciato la sei corde in mano al nuovo arrivato, Uros Obradovic e ha preso posto dietro al microfono sostituendo il precedente vocalist (Enrico M. Martin), mentre il sound del gruppo ha abbandonato le atmosfere hard rock per tuffarsi nel groove metal irrobustito da abbondanti dosi di thrash metal moderno.
Prodotto ottimamente da Oscar Burato agli Atomic Stuff Recording Studios con l’aiuto di Mirco “SD” Maniero, Killersef letteralmente esplode in una valanga di sonorità moderne, violentissime e trascinanti, sei brani più intro che non lasciano spazio a facili melodie, ma aggrediscono con scariche metalliche, vere esplosioni di nitroglicerina, con una carica devastante.
Enorme il lavoro del vocalist, un animale ferito che urla, sbraita ma che dalla sua ha un carisma notevole e viene supportato dall’assalto sonoro che il gruppo confeziona come un pacco sospetto, pronto ad esplodere.
Nessuna ballad, oggi i Forklift Elevator si sono trasformati definitivamente in una macchina da guerra e questi sei pugni nello stomaco dimostrano che la strada è quella giusta.
Ritmiche irresistibili che passano da mid tempo potentissimi, a veloci ripartenze per poi sincoparsi, ricordando i Disturbed, mentre le sei corde tengono il sound ben incollato alle strade violente del thrash metal, che a tratti si insaporisce dell’aria salina della Bay Area e compongono questo massacro sonoro che non ha punti deboli.
Ed è per questo che Killerself è da sparasi tutto di un fiato, esaltandosi non poco alla tempesta di note che fuoriesce da Life Denied, The 8th Sin e dalla mostruosa I Executor.
Pantera, Disturbed, Soil, Exodus e Lamb Of God, la musica del gruppo padovano è un perfetto cocktail di questi ingredienti che vanno a formare un metal moderno dall’impatto devastante, aspettiamoci grandi cose, siamo solo all’inizio.

TRACKLIST
1. Life Denied
2. Bagger 288
3. The 8th Sin
4. Deception
5. Black Hole
6. I Executor
7. Hidden Side

LINE-UP
Stefano Segato – Lead Vocals
Uros Obradovic – Lead Guitar
Mirco Maniero – Rhythm Guitar
Marco Daga – Bass
Andrea Segato – Drums

FORKLIFT ELEVATOR – Facebook

Vainaja – Verenvalaja

Death metal di marca doom al servizio della narrazione di una strana storia tutta finlandese. L’opera dei Vainaja si basa tutta sulla vita e i libri di Wilheim Waenaa, una mistica figura del folklore finlandese.

Death metal di marca doom al servizio della narrazione di una strana storia tutta finlandese.

L’opera dei Vainaja si basa tutta sulla vita e i libri di Wilheim Waenaa, una mistica figura del folklore finlandese. Da quel poco che si sa di questo personaggio apprendiamo che era la figura principale dietro al culto rurale di Vainaja, un’entità che terrorizzava i contadini e non solo loro.
Questo culto nacque e prosperò principalmente nel diciottesimo secolo, e rappresenta un unicum, visto le sue peculiarità. Il credo che venerava Vainaja era incentrato sulla blasfemia, sui sacrifici umani e sulla guerra agli infedeli tra le altre cose. E fin qui nulla di strano. Verenvalaja è l’unico scritto conservato e tramandatoci di Waenaa, e parla di una resurrezione, anzi meglio di una morte e successiva reincarnazione in una creatura maligna. I capitoli del libro sono sei come le canzoni del disco. I Vainaja fanno death metal di matrice doom, con uno strano incedere, lento ma inesorabile, e totalmente originale.
Ci sono anche echi di post metal per rendere la miscela esplosiva. I testi in finlandese non aiutano la comprensione, ma state certi che i Vainaja si fanno capire benissimo con la musica. La Svart contribuisce come al solito a portare alla ribalta particolarità tutte finlandesi come questo disco e questa storia. Le atmosfere malate e strane dei Vainaja ci portano in un posto brutale ed estremo, e le cose si svolgono alla velocità del sangue.
Un disco nuovo per un gruppo che va ben oltre la musica.

TRACKLIST
1.Risti
2.Sielu
3.Usva
4.Valaja
5.Kultti
6.Kehto

LINE-UP
Wilhelm – sermons
Aukusti – gravedigging
Kristian – cantoring

VAINAJA – Facebook

Terrorway – The Second

The Second non mancherà di trovare nuovi estimatori al sound dei Terrorway, confermando il gruppo nostrano come una realtà consolidata dei suoni estremi dal taglio moderno

Nella scena italiana l’alto livello raggiunto dai gruppi dediti ai suoni metal/rock non fa più notizia, ogni genere può fare affidamento su un nugolo di artisti di tutto rispetto autori negli ultimi tempi di album che possono tranquillamente competere con i lavori dei gruppi stranieri.

Il confine tra le scene che pullulano nel nostro paese e quelle europee, a mio avviso non esiste più, cancellato appunto da questa invasione di opere dal taglio sempre più internazionale.
Un altro ottimo esempio risulta The Second, secondo lavoro sulla lunga distanza dei thrashers Terrorway, gruppo sardo in attività dal 2009 e con un ep (Absolute del 2010) ed un full length (il precedente Blackwaters uscito tre anni fa) alle spalle.
Thrash metal moderno potenziato da una cascata di groove, ritmiche violente, tanto metallo moderno ma anche atmosfericamente ben confezionato da una tragicità rabbiosa che coinvolge non poco.
Registrato presso i V-Studio di Cagliari e mixato e masterizzato da Jacob Olsen (Hatesphere, Moonspell, Born From Pain), The Second è un pesantissimo monolite di metal moderno, la band partita come realtà ispirata alle gesta di Meshuggah e Strapping Young Load, ha cercato in questo lavoro di prendere la propria strada e direi che senz’altro non ha fallito l’intento, mantenendo nei brani più violenti le caratteristiche peculiari del thrash/groove metal moderno, ma inserendo ottimi brani dove ricercate atmosfere intimiste ed oscure e drammatiche sfumature cyber variano e personalizzano il sound di The Second.
Metal estremo che chiamare adulto non è poi così lontano da quello che il gruppo ha cercato di esprimere, e brani come il capolavoro On The Edge, la death oriented Columns o la devastante accoppiata di modern thrash metal composta da Trails Of Ashes e The Wanderer, dimostrano su quante armi possono contare i Terrorway.
Grande il lavoro tecnico dietro ai ferri del mestiere con la sezione ritmica sugli scudi (Giovanni Serra al Basso e Cosma Secchi alle pelli) una sei corde che grida (bellissimi i lancinanti interventi solisti di Ivan Fois su T.F.B.T.M. altro brano top del disco) e Andrea Orrù che dietro al microfono sfodera una prestazione perfetta.
Da brividi i quasi tre minuti di Lights Turn Black che sfumano nella conclusiva Threshold Of Pain, un oscuro paesaggio di morte e distruzione, prima descritto da un’atmosferica base cyber/dark, poi violentata da frustate di thrash metal industrialoide ed altamente schizzato.
The Second non mancherà di trovare nuovi estimatori al sound dei Terrorway, confermando il gruppo nostrano come una realtà consolidata dei suoni estremi dal taglio moderno, come detto in apertura non solo sul suolo italico.

TRACKLIST
1. Under the Light of a Broken Down
2. Eye of the Sun
3. Torment
4. On the Edge
5. T.F.B.T.M. (The Face Behind the Mask)
6. Enter the Columns
7. Columns
8. Trails of Ashes
9. The Wanderer
10. Lights Turn Black
11. Threshold of Pain

LINE-UP
Cosma Secchi – Drums
Giovanni Serra – Bass
Ivan Fois – Guitars
Andrea Orrù – Vocals

TERRORWAY – Facebook

Zarpa – Dispuestos Para Atacar

Dopo una vita passata a suonare heavy metal, massimo rispetto per gli Zarpa da tutti i veri fans di queste vecchie e gloriose sonorità, che rappresentano un buon motivo per ascoltare Dispuestos Para Atacar.

Per chi non si avventura nei meandri del metal underground , le band spagnole che suonano heavy metal classico si contano sulle dita di una mano, se poi si guarda ai gruppi che usano per i loro testi la lingua madre la lista si restringe a due o tre nomi, eppure anche la nazione iberica possiede una lunga tradizione metallica anch’essa proveniente dagli anni ottanta, se si parla di heavy metal, ma che arriva più che in salute se lo sguardo si rivolge ai suoni power ed al metal estremo.

Gli Zarpa sono una delle band storiche del panorama metallico spagnolo ed una delle più longeve, con una numerosa discografia che conta molti album anche nel nuovo millennio.
Nato sul finire degli anni settanta a Valencia, il gruppo arriva al diciassettesimo full length, senza contare i numerosi live, di cui almeno nove negli ultimi quattro anni.
Degli stakanovisti dell’heavy metal dunque questi quattro vecchietti, guerrieri indomabili e fieri portatori del verbo metallico da oltre trent’anni e che con il nuovo album confermano la loro incrollabile fede nella new wave of british heavy metal.
Old school, Dispuestos Para Atacar non si può che definire così, un heavy metal album che ripercorre le gesta degli Iron Maiden, gruppo a cui gli Zarpa sono facilmente accostabili.
L’album per i fans del metal classico può senz’altro rappresentare un ottimo ascolto, colmo di cavalcate in crescendo, grinta heavy e quel flavour epico ben incastonato nel sound del gruppo valenciano, valorizzato da una produzione che mantiene l’atmosfera old school senza perdere punti in qualità.
Dispuestos Para Atacar affonda le sue radici nella fierezza della musica dura, le chitarre scintillano nella notte buia, la sezione ritmica granitica e le vocals pregne di epico orgoglio rendono l’ascolto un tuffo nel puro heavy metal ; il cantato in lingua madre non inficia il buon risultato di epici brani dal taglio maideniano come Tropas del bien y del mal, Corazón eléctrico, Vivir con honor e la conclusiva Ecos Del Fin.
Dopo una vita passata a suonare heavy metal, massimo rispetto per gli Zarpa da tutti i veri fans di queste vecchie e gloriose sonorità, che rappresentano un buon motivo per ascoltare Dispuestos Para Atacar.

TRACKLIST
1. Tropas del bien y del mal
2. Yo quiero más
3. Un peregrino soy
4. Corazón eléctrico
5. Buscando un nuevo mundo
6. Un perfecto plan
7. Soldados de la fe
8. Dispuesto para atacar
9. Vivir con honor
10. El reverendo Judas
11. Ecos del fin

LINE-UP
Vicente Feijóo – vocals, guitar
Serafín Mendoza – guitar
Vicente Romero – bass
Bienve Godoy – drums

ZARPA – Facebook

Shakra – High Noon

Lasciate l’inutile ed assurda ricerca dell’originalità a tutti i costi, qui siamo nel mondo dell’hard rock e basta avere talento per creare un gran lavoro, e la band svizzera ne ha da vendere.

Chi è abituato a leggere i miei deliri su iyezine riguardanti il metal estremo, non sa quanto il mio cuore batta per l’hard rock, che sia quello stradaiolo proveniente dal nuovo continente o quello classico o denominato da molti addetti ai lavori più quotati del sottoscritto, hard & heavy, e che, nel centro Europa ha dati i natali alle mie band preferite.

E’ chiaro che gli anni a cavallo tra il periodo settantiano ed i rimpianti anni ottanta sono ormai passati da un pezzo, ma lo spirito del rock arcigno non ha perso la sua foga e la sua voglia di far male a suon di rock’n’roll ipervitaminizzato da sei corde di stampo heavy, ed è così che vive e si rigenera per mezzo di artisti e band in ogni parte del mondo.
Suoni classici, magari per vecchi rocker attempati diranno in molti, ma irresistibili per chi ha vissuto decenni in compagnia delle note elettrizzate di una chitarra, in qualche cantina nascosta alle mode ed al music biz.
Centro Europa, la culla dell’hard rock nel vecchio continente, madre che nel suo nido ha nutrito gruppi che sono entrati di diritto nella storia del rock, continua a regalare band e opere che in questi anni di suoni modernisti hanno portato l’hard rock nel nuovo millennio, grazie anche a realtà provenienti da paesi all’apparenza fuori dal circuito musicale che conta ma importantissimi nello sviluppo della nostra musica preferita, come la Svizzera.
Con una carriera all’ombra dei Gotthard, gli Shakra possono vantare una discografia di tutto rispetto che dal 1998 si è sviluppata su dieci lavori sulla lunga distanza compreso questo ultimo e bellissimo High Noon, album che vede il ritorno dietro al microfono dello storico vocalist Mark Fox.
High Noon chiarisce una volta per tutte il valore del gruppo di Berna, per molti considerato un outsider ma che nulla ha da invidiare ai più famosi connazionali, band con la quale i paragoni sono inevitabili.
Le vocals ruvide ma dall’appeal elevatissimo di Fox, non lontane dal compianto Steve Lee, ed un songwriting esplosivo fanno di questa nuova prova un album di hard rock classico sopra le righe, le sei corde conducono la danza tra ritmiche grintose, tenendo sempre tra le briglie del sound un gustoso mood Aor che si traduce in irresistibili melodie, e High Noon coinvolge con un lotto di brani piacevoli e trascinanti tra tradizione hard & heavy (Scorpions), riff di grondante rock colmo di groove e refrain melodici.
La band piazza il primo hit con il singolo Hello, ma l’hard rock degli Shakra trova il suo massimo sfogo nelle tirate Into Your Heart, Is It Real e The Storm, mentre la super ballatona Life’s What You Need stempera il mood hard & heavy di questo lavoro.
Chitarre che si incendiano, qualche passaggio dove lo spirito dell’hard blues settantiano fa capolino e tanto groove sono le maggiori virtù di un altro notevole lavoro targato Shakra; lasciate l’inutile ed assurda ricerca dell’originalità a tutti i costi, qui siamo nel mondo dell’hard rock e basta avere talento per creare un gran lavoro, e la band svizzera ne ha da vendere.

TRACKLIST
01. Hello
02. High Noon
03. Into Your Heart
04. Around The World
05. Eye To Eye
06. Is It Real
07. Life’s What You Need
08. The Storm
09. Raise Your Hands
10. Stand Tall
11. Watch Me Burn
12. Wild And Hungry

LINE-UP
Mark Fox – Vocals
Thom Blunier – Guitars
Thomas Muster – Guitars
Dominik Pfister – bass
Roger Tanner – Drums

SHAKRA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=vO2uG8ZFzHs

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