The Gotobeds – Debt Begins At 30

Una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Nervoso ed affascinante rock che sfocia nel noise e nel grunge, il tutto di alta qualità e con ottimi ospiti.

Si potrebbe descrivere come sopra in maniera assai riduttiva il nuovo disco dei The Gotobeds da Pittsburgh, città che non capita spesso di associare ad un gruppo musicale, patria però dei Pittsburgh Steelers, e non è poco. Il loro nuovo lavoro è un piccolo manuale del migliore noise rock che si può trovare in giro, partendo dalla tradizione americana per arrivare a nuovi standard. Debt Begins At 30 è un lavoro assai notevole, dove ogni canzone è un flusso di energia molto forte e che investe l’ascoltatore. In mezzo a tutta questa energia la melodia non manca, ed è il vero asse portante della loro costruzione sonora. Per darvi una vaga idea di cosa siano i The Gotobeds prendete i Pavement, metteteci un po’ di Sonic Youth e poi mescolate con il meglio grunge di Seattle e avrete un qualcosa che si avvicinerà. Come al solito la migliore rappresentazione possibile è ascoltare il disco, immergendosi in questo suono minimalista eppure molto ricco e potente. Ci sono tracce urgenti con un’attitudine punk hardcore, altre con una tendenza maggiore al noise, ma è tutto bilanciato molto bene e, soprattutto, il quartetto funziona alla perfezione. Notevoli gli ospiti, c’è la voce di Tracy Wilson dei Positive NO! mentre Mike Seamans e la leggenda Bob Weston suonano su Debt Begins at 30. Visto la relazione strettissima tra le due band, no sorprende che i Protomartyr appaiano su un paio di brani, con Joe Casey su Slang Words e Greg Ahee su On Loan. Il chitarrsta dei Silkworm, Tim Midyett, suona su Parallel e sulle altre tracce compaiono Gerard Cosloy, Matt Barnhart dei Tre Orsi, la bellissima Victoria Ruiz dei Downtown Boys, per finire coi poeti di Pittsburgh Jason Baldinger e Scott MacIntyre. Un parterre ricchissimo, che porta un contributo notevole ad un disco già molto interessante, una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Tracklist
1. Calquer The Hound
2. Twin Cities
3. Slang Words
4. 2:15
5. Poor People Are
6. Revolting
7. Debt Begins At 30
8. On Loan
9. Dross
10. Parallel
11. Bleached Midnight
12. Debt Begins At 30 (Alt)

Line-up
COOL-U
Depressed Adult Male
OPEN CARY
HAZY LAZER

THE GOTOBEDS – Facebook

Thunder Brigade – Spirit Of The Night

I Thunder Brigade offrono un personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità dai tratti talvolta cantautorali.

Spirit Of The Night è il primo album dei Thunder Brigade, band formata da Stefano Cascioli (voce e chitarra), Stefano Bigoni (chitarra e lapsteel) e Stefano Lecchi (batteria e percussioni) che ha dato vita ad una raccolta di brani bellissimi in bilico tra rock, blues, southern e psych rock.

L’album, intitolato Spirit Of The Night e licenziato dalla Bagana Records/Pirames International, ci regala una personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità d’autore o ancor meglio cantautorali, se mi si permette il termine.
Un rock acustico dalle atmosfere country, in un clima di tensione emotiva che è uno degli assi nella manica di questa raccolta di brani, un viaggio che riempie di polvere la gola.
Spirit Of The Night lascia un forte sapore di rock classico, assolutamente a stelle e strisce fin dalle prime battute dell’opener Rattlesnakes, nella qualee l’atmosfera è elettrica e southern.
I brani dalle trame acustiche avvicinano i Thunder Brigade al rock di Johnny Cash e Tom Petty, mentre Set You Sails rilassa l’atmosfera dopo una Redemption Road da brividi, tra Lynyrd Skynyrd e Urge Overkill.
La title track è un’altra traccia acustica che unisce il rock sudista al blues e al country, intrisa di atmosfere notturne che trovano un contraltare nelle più ariose e vitali Boogie #7 e soprattutto Rust & Gold, un blues rock d’autore e brano sanguigno oltre misura.
Un plauso va alla sentita interpretazione del cantante Stefano Cascioli, bravo nel saper donare con la sua voce sporcata di attitudine blues/rock il feeling perfetto ad una raccolta di brani da non perdere assolutamente se si è amanti del rock classico a stelle e strisce.

Tracklist
1.Rattlesnakes
2.Beat a Dead Horse
3.Redemption Road
4.Set Your Sails
5.Spirit of the Night
6.Boogie #7
7.Rust & Gold
8.The Wanderer
9.Alright (in the end)

Line-up
Stefano Cascioli – Vocals, Guitars
Stefano Bigoni – Guitars, Lapsteel
Stefano Lecchi – Drums, Percussions

THUNDER BRIGADE – Facebook

Satan Takes A Holiday – A New Sensation

A loro modo originali, i Satan Takes A Holiday non deludono neanche questa volta: A New Sensation smuove montagne e agita mari con la sua altalena, su e giù per il rock’n’roll che, partendo dagli anni sessanta, arriva elaborato e manipolato dal gruppo fino al nuovo millennio.

Sono arrivati al quinto lavoro i rockers svedesi Satan Takes A Holiday, trio che unisce al rock’n’roll di matrice scandinava un mix di garage, alternative e groove rock per un risultato esplosivo.

La band svedese torna con A New Sensation, l’ennesima mezz’ora di potente e a tratti scanzonato sound, irresistibile e pregno di umori vintage, ma perfettamente bilanciato con un appeal moderno e divertente che li accompagna nelle prove live, dimensione ottimale per la musica del gruppo.
A loro modo originali, i Satan Takes A Holiday non deludono neanche questa volta: A New Sensation smuove montagne e agita mari con la sua altalena, su e giù per il rock’n’roll che, partendo dagli anni sessanta, arriva elaborato e manipolato dal gruppo fino al nuovo millennio.
Registrato al Dustward studio di Stoccolma con il produttore Stefan Brändström e licenziato dalla Despotz records, l’album risulta una bomba rock che deflagra ogni volta che si schiaccia il tasto play, un arcobaleno di colori garage/punk/alternative rock che vi indicherà la via per la dannazione sotto i colpi inesorabili delle varie Set Me On Fire, Hell Is Here, Girls e l’irresistibile Blow.
Divertimento, irriverenza, ironia, energia, non mancate all’appuntamento con i Satan Takes A Holiday ed il loro nuovo lavoro.

Tracklist
01. A New Sensation
02. Unicorn
03. Set Me On Fire
04. Hell Is Here feat Tess De La Cour
05. Sessions And Cash
06. Pilot
07. Girls
08. I Believe What I See (If I See In My Feed)
09. Kingslayer
10. BLow

Line-up
Fred Burman – guitar, lead vocals
Johannes Lindsjöö – bass guitar, vocals
Danne McKenzie – drums, backing vocals

SATAN TAKES A HOLIDAY – Facebook

Skyfever – Rear View Mirror

E’ fuor di dubbio che brani come Get Out e Signs travolgano con una carica ed un’orecchiabilità irresistibili, ma il rock’n’roll che piace a noi vive e si rigenera lontano da lavori come Rear View Mirror.

Supportati nientemeno che da Alice Cooper , il quale dichiara di essere un loro accanito fan, tornano sul mercato i rockers irlandesi Skyfever con il loro nuovo ep di quattro brani intitolato Rear View Mirror.

Noto per essere incluso nelle playlist di famosi stadi inglesi come Stamford Bridge ed Anfield, il gruppo di Dublino licenzia queste quattro bombe da classifica dal grande appeal, adatto per ascolti distratti e cori cantati sotto la doccia dopo il primo ascolto.
Si tratta di rock da spararsi in auto mentre il canale radio d’ordinanza ci ricorda la classifica di quello che più piace in giro per il mondo, magari tra un singolo pop ed uno rap, innocuo come tutto quello che è mero music business.
Diventeranno ancora più famosi gli Skyfever? Direi che le carte in regola ci sono tutte, citando più o meno tutto quello che è passato negli ultimi vent’anni di rock commercialmente perfetto, passando dal mid tempo ruffiano alla scarica adrenalinica, dalla dose equilibrata di elettronica a quella più pop oriented.
E’ fuor di dubbio che brani come Get Out e Signs travolgano con una carica ed un’orecchiabilità irresistibili, ma il rock’n’roll che piace a noi vive e si rigenera lontano da lavori come Rear View Mirror.

Tracklist
1.Get Out
2.Signs
3.Sunny Days
4.Kings

Line-up
Luke Lang—Vocals
Tyson Harding—Guitars
Brian Clarke—Guitars
Ciaran O’Brien—Bass
Karl Hand—Drums

SKYFEVER – Facebook

Sirgaus – La Bales de Canon

Mattia Gosetti ed i suoi Sirgaus hanno dato vita ad un’altra imperdibile opera, avvincente e da seguire fino alla fine come se si trattasse di un’epica pellicola cinematografica.

A questo punto diventa molto difficile considerare i Sirgaus una semplice rock band: il suo leader e compositore a distanza di un anno circa torna con un’altra opera ispirata alla storia del suo paese (Cibiana), del bellunese e della storica repubblica di Venezia.

Ormai da considerarsi un cantastorie moderno, Gosetti racconta attraverso la sua musica le vicende di un giovane fabbro partito da Cibiana (paese che, con le sue numerose miniere di ferro, forni e officine è uno dei maggiori produttori di palle di cannone) con il suo carico da consegnare nei più importanti scali della repubblica.
Inizia così un’epica avventura che porterà il protagonista a Tripoli dove s’innamorerà di una schiava, per poi dopo due anni partire insieme a lei verso Cipro dove un terribile assedio tiene sotto scacco la città di Famagosta, difesa da Marcantonio Bragadin.
I due amanti avranno il compito di avvisare Venezia dell’invasione che, in seguito, formata una lega santa sconfiggerà la flotta di Alì Pascià nel golfo di Patrasso, nella corso della sanguinosa battaglia di Lepanto.
La musica che accompagna questo avvincente racconto risulta più sinfonica rispetto all’ultimo lavoro, rivelandosi ricca di atmosfere che profumano degli aromi esotici dei luoghi degli avvenimenti, tra mare e terra.
Al fianco di Gosetti troviamo come sempre la cantante e consorte Sonia Da Col, il chitarrista Silvano Toscani, Diego Gosetti ai cori e Valeriano De Zordo alla voce, per più di un’ora tra rock, metal sinfonico e folk d’autore, con il marchio Sirgaus ben in evidenza, sinonimo di musica mai banale e di testi curatissimi che si abbinano ai suoni senza forzature, creando un altro binomio perfetto.
Come scritto sono le sfumature epiche ad emergere in La Bales de Canon e in brani intensi come Con Il Veneto Nel Nostro Cuore, la splendida ed esotica Cipro 1570, L’Assedio DI Famagosta e le cinematografiche La Lega Santa, La Battaglia Delle Echinadi e La Vittoria di Lepanto, trittico che rappresenta il picco qualitativo di questo nuovo album.
Mattia Gosetti ed i suoi Sirgaus hanno dato vita ad un’altra imperdibile opera, avvincente e da seguire fino alla fine come se si trattasse di un’epica pellicola cinematografica.

Tracklist
01.Cronache di un serenissimo passato
02.Con il Veneto nel nostro Cuore
03.Oea
04.Crea il tuo destino
05.La bales de canon
06.Cipro 1570
07.L’assedio di Famagosta
08.Discesa nella vita
09.La Lega Santa
10.La battaglia delle Echinadi
11.La vittoria di Lepanto
12.Acqua libera
13.Sotto i spighe de Roan

Line-up
Mattia Gosetti – Basso, voce, synth, programming
Sonia Da Col – Voceù
Silvano Toscani – Chitarra
Diego Gosetti – Cori

Valeriano De Zordo – Voce, interprete nel concept di Marcantonio Bragadin, politico veneziano del XVI secolo.

SIRGAUS – Facebook

Pristine – Road Back To Ruin

I Pristine hanno scritto il loro capolavoro, una nuova splendida opera che consacra la band norvegese come massima esponente del rock classico, con buona pace dei pur ottimi gruppi apparsi sulla scena negli ultimi vent’anni.

La sensazione che i Pristine non fossero una band comune era già forte all’indomani dell’uscita del terzo lavoro, Reboot, album che ha permesso alla musica del gruppo della monumentale cantante e songwriter Heidi Solheim di oltrepassare i confini della Norvegia e dare inizio alla conquista del mondo del rock di matrice hard blues o vintage (come si usa definirlo oggigiorno).

I primi due lavori, bellissimi ma poco conosciuti (Detoxing del 2012 e No Regret dell’anno successivo), hanno dato il via ad un crescendo qualitativo che ha portato i quattro rockers scandinavi (oltre alla Solheim la band è formata da Espen Elverum Jacobsen alla chitarra, Gustav Eidsvik al basso e Ottar Tøllefsen alla batteria) alla pubblicazione dello splendido Ninja un paio di anni fa, primo lavoro per il colosso Nuclear Blast, ed ora a superrsi con Road Back To Ruin, straordinaria raccolta di brani che, se porta qualche novità in seno ad un sound collaudatissimo, accomoda per un bel po’ la band sul trono del genere.
I Pristine non sono più il gruppo di una ragazza con un talento fuori dal comune nello scrivere e cantare canzoni rock, ma un gruppo di musicisti che dopo quattro ottimi album hanno prodotto il loro capolavoro, ovvero uno dei dischi più belli degli ultimi dieci anni di rock blues.
Una band moderna, senza paura di mettersi in gioco, capace di emozionare tanto quanto divertire, ora non solo in mano alla sua musa, ma animata da un gioco di squadra che mette in evidenza il gran lavoro di un chitarrista capace di far sanguinare la sua chitarra con una prestazione sontuosa, tra riff zeppeliniani e groove a potenziare brani mai così pregni di forza hard rock.
Sono l’opener Sinnerman, irresistibile brano rock’n’roll, la possente title track dai rimandi sabbathiani, la splendida Bluebird, l’emozionante ballad Aurora Sky, il capolavoro Blind Spot fino a Cause And Effect, blues da pellicole noir con l’orchestra d’archi The Arctic Philharmonic, ad accompagnare la Solheim verso l’immortalità.
I Pristine hanno scritto una nuova splendida opera potente, graffiante, sanguigna, raffinata ed elegante, che consacra la band norvegese come massima esponente del rock classico, con buona pace dei pur ottimi gruppi apparsi sulla scena negli ultimi vent’anni.

Tracklist
1. Sinnerman
2. Road Back To Ruin
3. Bluebird
4. Landslide
5. Aurora Skies
6. Pioneer
7. Blind Spot
8. The Sober
9. Cause and Effect
10. Your Song
11. Dead End

Line-up
Heidi Solheim – Vocals
Espen Elverum Jacobsen – Guitar
Gustav Eidsvik – Bass
Ottar Tøllefsen – Drums

PRISTINE – Facebook

Madhouse – Madhouse Hotel

I Mahouse mostrano una convincente attitudine e hard rock, rock’n’roll e melodie accattivanti si alternano creando un sound dall’ottimo appeal, sicuramente in grado di essere apprezzato da una vasta gamma di ascoltatori.

Chi aveva avuto modo di ascoltare You Want More, ep di quattro brani uscito ormai quattro anni fa, aspettava con curiosità il debutto su lunga distanza dei MadHouse, rock band lombarda capitanata dalla vocalist Federica Tringali.

C’è voluta un po’ di pazienza ma ne è valsa la pena e finalmente Madhouse Hotel viene pubblicato in questa primavera 2019, che vede i Madhouse consegnarci le chiavi che apriranno le dieci stanze, tante quante le tracce che fanno parte del la track list di questo ottimo album.
La band conferma le buone sensazioni lasciate dal precedente lavoro, tornando a fare rock come meglio sa, con la Tringali che, più che in passato, si affaccia sulla scena underground come una pantera, selvaggia e graffiante, ma anche elegante e sinuosa.
Il gruppo asseconda la cantante con convincente attitudine e hard rock, rock’n’roll e melodie accattivanti si alternano creando un sound dall’ottimo appeal, sicuramente in grado di essere apprezzato da una vasta gamma di ascoltatori.
Si è detto dei brani che equivalgono a ipotetiche chiavi utili ad aprire le stanze idi questo hotel immaginario in cui si suona la ottima musica, magari provando a trovare una nostra dimensione tra brani ruvidi, graffianti, ma sempre con in primo piano melodie accattivanti e refrain che si fissano in testa come l’opener Ghosts, la successiva Butterfly e un po’ tutte le altre tracce di questo gran bel lavoro.
Nessuna ballad, solo canzoni grintose e melodiche, tra punk, hard e quel pizzico di sound moderno ed alternativo che porta i Madhouse ed il loro sound in un nuovo millennio in cui brucia ancora alta la fiamma del rock.

Tracklist
1.Ghosts
2.Butterfly
3.A New Spring
4.King Without A Crown
5.Walk This Road
6.Do You Believe
7.Got A Big day Tomorrow
8.Headshot
9.You’Re A Fake
10.Ready To Fight

Line-up
Federica Tringali – Lead Vocals
Filippo Anfossi – Guitar
Daniele Maggi – Lead Guitar
Michele Canevari – Bass
Ares Cabrini – Drums

MADHOUSE – Facebook

The Alligator Wine – The Flying Carousel

Un esperimento in parte riuscito ma che va rivalutato ovviamente su un minutaggio più probante.

Sono tre i brani con in quali i The Alligator Wine provano a convincerci che la loro proposta, oltre ad essere originale, è anche valida.

Le tre canzoni dai tratti rock/pop vintage sono suonati con tastiere, batteria, amenità elettroniche e senza uso di basso e soprattutto chitarra, una scelta coraggiosa considerando che il genere viene riprodotto senza due strumenti primari.
La Century Media ci ha creduto e li ha messi sotto contratto, loro non hanno tradito le attese e regalano brani davvero interessanti, dove gli strumenti elettronici creano atmosfere dal taglio pop, per poi virare su di un rock a metà strada tra la tradizione settantiana e quella del decennio successivo, anche se a mio avviso il meglio è tutto racchiuso nella conclusiva Reptile, episodio psichedelico che prende le distanza dalle facili melodie da balera rock delle prime due tracce (la title track e Dream Eyed Little Girl) per sette minuti tra la liquida follia compositiva dei più psichedelici The Doors ed il freddo ed alternativo sound elettronico degli svizzeri The Young Gods.
Un esperimento in parte riuscito ma che va rivalutato ovviamente su un minutaggio più probante.

Tracklist
01. The Flying Carousel
02. Dream Eyed Little Girl
03. Reptile

Line-up
Thomas Teufel – Drums, Vocals & Percussion
Rob Vitacca – Vocals, Organ & Synthesizer

THE ALLIGATOR WINE – Facebook

Danko Jones – A Love Supreme

Stupisce la capacità dei Danko Jones di essere molto interessanti in ogni loro uscita nonostante facciano un genere abbastanza minimale, ma con il loro amore per il rock tutto è possibile.

Tornano i Danko Jones, e fin dal primo brano I’m In A Band, si sente l’immenso amore per la musica, ed in particolare per il rock and roll che ha il musicista canadese, una vera e propria istituzione per tutti gli amanti dei suoni ruvidi.

Il disco è la sublimazione di ciò che è un disco dei Danko Jones: chitarroni, batteria esplosiva e basso che ruggisce. I Danko Jones sono uno di quei gruppi che non tradisce mai, il trio canadese nella sua lunga carriera non ha in pratica sbagliato un colpo, tutti i dischi sono piacevoli e ben suonati, ma questo ha forse qualcosa in più. La produzione di GGGarth Richardson, che ha lavorato con gruppi come Red Hot Chili Peppers e Rage Against The Machine, è sensazionale, riesce a dare una nuova forma ai suoni di Danko e soci. E poi la melodia… il trio è pressoché perfetto in questo, con dei ritornelli che sono coinvolgenti ed avvolgenti. Tutte le canzoni potrebbero essere potenziali singoli, non ci sono riempitivi, e tutto è concepito con lo scopo di suonarlo dal vivo. Ci sono momenti di autentico entusiasmo, durante i quali proprio non si riesce a stare fermi allorché il gruppo rielabora la tradizione rock and roll e la porta nel futuro, perché i Danko Jones sono in realtà uno delle più grandi band rockabilly in giro, incarnando da tempo il rock come lo si può interpretare al meglio. Questo disco è un’affermazione di superiorità, una dichiarazione per il rock and roll, e cosa più importante, un lavoro molto divertente che regalerà un po’ di tragua dall’affanno del mondo. Stupisce la capacità dei Danko Jones di essere molto interessanti in ogni loro uscita nonostante facciano un genere abbastanza minimale, ma con il loro amore per il rock tutto è possibile. Ballerete, eccome se ballerete.

Tracklist
01. I’m In A Band
02. I Love Love
03. We’re Crazy
04. Dance Dance Dance
05. Lipstick City
06. Fists Up High
07. Party
08. You Got Today
09. That Girl
10. Burn In Hell
11. You Can’t Keep Us Down

Line-up
Danko Jones – guitar, vocals
John “J.C.” Calabrese – bass
Rich Knox – drums

DANKO JONES – Facebook

Suzi Quatro – No Control

Suzi Quatro si ribella allo scorrere del tempo e si ripresenta in forma a quasi settant’anni con No Control, album scritto a quattro mani con il figlio Richard Tuckey e a noi comuni mortali non resta che inchinarci a questa regina del rock’n’roll.

Un nuovo album targato Suzi Quatro, diciannove anni dopo la nascita del nuovo millennio.

Susan Kay Quattrocchio si ribella allo scorrere del tempo e si ripresenta in forma, a quasi settant’anni, con No Control, album scritto a quattro mani con il figlio Richard Tuckey e a noi comuni mortali non resta che inchinarci a questa regina del rock’n’roll.
Diventata un’icona del rock e del glam negli anni settanta la bassista, cantante ed attrice statunitense fa bella mostra di sé, accompagnata dal suo basso sull’artwork di copertina di questo nuovo lavoro che, clamorosamente, abbraccia più di un genere, dal rock, al pop al soul e al blues, mentre lei a tratti rispolvera la grinta dei bei tempi con Macho Man e il rock blues sfacciato di Don’t Do Me Wrong.
Suzi Quatro non ha mai smesso di dedicarsi al rock, e il nuovo millennio l’aveva già vista protagonista di tre lavori, due solisti (Back To The Drive del 2005 e In The Spotlight del 2011) e l’album del 2017 con due leggende del glam rock come Andy Scott, chitarrista degli Sweet e Don Powell, batterista degli Slade, quindi che No Control suoni alla grande non sorprende sicuramente.
La Quatro ha dato vita ad un lavoro formato da belle canzoni pop/rock, nel quale i fiati assumono un ruolo da protagonisti in quasi tutta la tracklist (splendida I Can Teach To You Fly) e lei, come scritto, sfoggia una grinta invidiabile.
La conclusiva Going Down Blues è un blues sensuale e sanguigno, l’ideale saluto di Suzi tornata con un lavoro graffiante ed emozionante, pregno di suoni ed umori classici, ma non per questo trascurabile: il rock’n’roll non ha età.

Tracklist
1. No Soul/No Control
2. Going Home
3. Strings
4. Love Isn’t Fair
5. Macho Man
6 .Easy Pickings
7. Bass Line
8. Don’t Do Me Wrong
9. Heavy Duty
10. I Can Teach You To Fly
11. Going Down Blues

Vinyl bonus tracks:
12. Heart On The Line (bonus track)
13. Leopard Skin Pillbox Hat (bonus track)

SUZI QUATRO – Facebook

Aaron Buchanan And The Cult Classics – The Man With Stars On His Knees

Un album, The Man With Stars On His Knees, magari lontano dai gusti di chi frequente questa webzine ma che merita sicuramente più di un ascolto distratto, specialmente da parte di chi fagocita rock senza barriere e confini di genere.

Primo album solista per Aaron Buchanan dopo neanche un anno dall’uscita dagli Heaven’s Basement.

Aaron Buchanan And The Cult Classics (monicker che a detta dello stesso singer si ispira a film cult come Le Iene, Taxi Ddriver e Pulp Fiction) risulta a tutti gli effetti una nuova band, con Buchanan circondato da una manciata di ottimi musicisti che corrispondono a Laurie Buchanan e Tom McCarthy alle chitarre, Mart Trail al basso e Paul White alla batteria.
The Man With Stars On His Knees non lascia spazio a dubbi sulla buona alchimia formatisi all’interno del gruppo, che rilascia un ottimo lavoro incentrato su di un rock votato alla tradizione ma inserito in un contesto moderno, tra alternative e sfumature radio friendly.
Ruggente, melodico e passionale, Buchanan si dimostra cantante e songwriting di spessore, tra atmosfere elettriche, brani accattivanti e di facile assimilazione così come altri dove il rock diretto e graffiante fa il suo sporco lavoro.
La band, inutile dirlo si fa apprezzare nelle tracce più energiche, anche se non mancano semi ballad dal retrogusto alternativo molto suggestive come la splendida title track.
Un album, The Man With Stars On His Knees, magari lontano dai gusti di chi frequente questa webzine ma che merita sicuramente più di un ascolto distratto, specialmente da parte di chi fagocita rock senza barriere e confini di genere.

Tracklist
1.Show What You’re Made Of
2.All the Things You’ve Said and Done
3.Dancin’ Down Below
4.The Devil That Needs You
5.Journey out of Here
6.The Man with Stars on His Knees
7.A God Is No Friend
8.Left Me for Dead
9.Mind of a Mute
10.Morals?
11.Fire in the Fields of Mayhem
12.Undertow

Line-up
Aaron Buchanan – Vocals
Laurie Buchanan – Guitar
Tom McCarthy – Guitar
Mart Trail – Bass
Paul White – Drums

THE CULT CLASSICS – Facebook

Dagma Sogna – Grattacieli Di Carta

Nuovo ep per i savonesi Dagma Sogna che presentano la nuova line up con sei brani tra inediti, nuove versioni di tracce già edite e la cover di Verso Oriente dei Timoria.

I savonesi Dagma Sogna tornano con una line up rinnovata ed un nuovo ep di sei brani intitolato Grattacieli Di Carta, che presenta cinque canzoni firmate dalla band tra inediti e nuove versioni, più la cover di Verso Oriente dei Timoria, tratta dal capolavoro Viaggio Senza Vento e che la band ha suonato in occasione del concerto celebrativo tenutosi al teatro Govi di Genova, in apertura dello show di Omar Pedrini.

Il gruppo è arrivato così, tra molte soddisfazioni, al quarto lavoro, il terzo per Areasonica Records, che aveva già licenziato gli album Frammenti di Identità, uscito nel 2016, e Tratti Di Matita. ultimo lavoro licenziato lo scorso anno.
Il nuovo cantante Davide Crisafulli, già dietro al microfono dei rockers The Sunburst, ed un sound più robusto e rock, sono le novità più importanti nell’economia del gruppo savonese che riparte dalla splendida cover di Verso Oriente, brano cruciale nel concept che i Timoria firmarono venticinque anni fa del quale abbiamo avuto modo di parlarvi in occasione dell’uscita della versione rimasterizzata, proponendosi come potenziali eredi di una delle principali rock band italiane di sempre.
L’opener Cometa e la seguente Cenere, mettono subito in risalto la bravura di un Crisafulli per la prima volta alle prese con il cantato in lingua madre, valorizzando un paio di brani dal piglio rock e molto vicino al sound del gruppo bresciano.
La versione acustica di Nuotando In Un Mare Di Stelle (dal precedente album Tratti Di Matita) e il rock melodico della title track preparano alla già citata cover, prima delle note pianistiche della conclusiva Adesso No (dall’album Frammenti di Identità), con la quale il nuovo cantante ci accompagna al pacato finale e dandoci appuntamento al prossimo sogno musicale.

Tracklist
1.Cometa
2.Cenere
3.Nuotando In Un Mare Di Stelle (Acoustic Version)
4.Grattacieli Di Carta
5.Verso Oriente
6.Adesso No (Acoustic Version)

Line-up
Davide Crisafulli – Vocals
Daniele Ferro – Guitars
Davide Garbarino – Keyboards, Programming, Chorus
Matteo Marsella – Bass
Marco Babboni – Drums

DAGMA SOGNA – Facebook

Backyard Babies – Sliver & Gold

Buon ritorno per il gruppo svedese, Silver & Gold non deluderà di certo i fans: gli anni d’oro del genere sono tramontati da tempo ma del rock ‘n’ roll suonato alla Backyard Babies non ci si stanca mai.

Come sempre, quando un genere musicale raggiunge il successo, le luci che si spengono dopo i titoloni sulle riviste di settore ed i concerti sold out lasciano solo i migliori a raccogliere i cocci della lunga festa nella quale molti si sono imbucati, ripartendo con ancora la voglia di portare la propria musica in giro per il mondo.

Questo accade sistematicamente da ormai settant’anni, da quando è nato il rock ed il suo meraviglioso e controverso mondo, con generi e band esplose a livello commerciale con la stessa velocità con cui sono tornate nell’underground o addirittura sparite per poi magari tornare in reunion più o meno riuscite.
La scena scandinava che trovò gloria e clamore a cavallo dei due secoli, ha lasciato ormai da anni cicche di sigarette, alcool e vomito sul pavimento dei locali dove The Hellacopters, Gluecifer, Turbonegro, Hardcore Superstar e i Backyard Babies di Nicke Borg e Dregen facevano impazzire i fans europei a suon di rock ‘n’ roll adrenalinico e, come sempre quando si parla delle terre del nord, di altissima qualità.
Tocca a Sliver & Gold, ultimo lavoro dei Backyard Babies, il compito di regalare mezz’ora abbondante di quella musica che non smetteremo mai di amare, anche se nel corso degli anni la nostra attenzione è stata attratta da una vastità impressionante di generi lontanissimi tra loro.
Dregen e i Backyard Babies sono tornati, dando un successore a Four By Four, precedente lavoro uscito nel 2015, con l’ottavo full length di una discografia avara di album inediti, visto che il debutto Diesel And Power è targato 1994.
Sliver And Gold è il classico lavoro che ci si sarebbe attesi con ingredienti ben noti: una serie di tracce che scaricano adrenalina rock ‘n’ roll, un talento per le melodie straordinario, il familiare cantato di un Borg a tratti tornato ad esaltare come su Making Enemies Is Good e Stockholm Syndrome (Total 13 lasciamolo dove merita, nell’olimpo del genere), e la sei corde di uno dei chitarristi e personaggi più carismatici della scena.
La sezione ritmica, sempre al suo posto con i veterani Johan Blomqvist e Peder Carlsson, non manca certo di fare il suo sporco lavoro e già dal buongiorno dato da Good Morning Midnight si capisce che ci sarà da divertirsi.
Il singolo Shovin’ Rocks è da infarto, pura adrenalina rock ‘n’roll che la band non smette di cantare in tre minuti abbondanti di party song irresistibile, Yes To All No placa il graffiante inizio e l’album si assesta su una serie di brani che vedono rock da battaglia (Bad Seeds, 44 Undead) e una ballad leggermente prolissa ma nostalgicamente perfetta per chiudere l’album (Laugh Now Cry later).
Buon ritorno per il gruppo svedese, Sliver & Gold non deluderà di certo i fans: gli anni d’oro del genere sono tramontati da tempo ma del rock’n’roll suonato alla Backyard Babies non ci si stanca mai.

Tracklist
1.Good Morning Midnight
2.Simple Being Sold
3.Shovin‘ Rocks
4.Ragged Flag
5.Yes To All No
6.Bad Seeds
7.44 Undead
8.Sliver And Gold
9.A Day Late In My Dollar Shorts
10.Laugh Now Cry Later

Line-up
Nicke Borg – Vocals, Guita
Andreas “Dregen” – Guitar
Johan Blomquist – Bass
Peder Carlsson – Drums

BACKYARD BABIES – Facebook

Orville Peck – Pony

Orville Peck compone, scrive, suona e si autoproduce un disco che farà sgorgare lacrime e vi farà guardare l’orizzonte come non l’avete mai guardato.

Incredibile debutto di un cow boy mascherato che vi porterà di notte su polverose strade dimenticate di un Canada che non conosciamo bene.

La voce di Orville Peck è qualcosa di davvero affascinante e si fonde benissimo con una musica strutturata in maniera minimale, ma davvero adeguata: il suo timbro assomiglia terribilmente all’Elvis Presley più dolce ed intimo, infatti Peck è uno straordinario narratore di storie ed accadimenti. La tradizione è quella gotica americana, che ultimamente ha avuto momenti di notevole qualità declinati in maniera diversa, si pensi a King Dude, ma qui è un’altra storia. Orville Peck è posseduto da un rocker americano anni sessanta che ha deciso di raccontare le sue storie in un pomeriggio estivo di afa asfissiante, con le macchine che procedono lentamente come se anche loro sentissero la fatica, le rose cadono a terra, e alcune gonne attirano molti sguardi. Un mondo apparentemente immoto, ma pieno di vita nascosta che Orville ci racconta con la sua splendida musica. Pony non è un disco fuori dal tempo, è un’opera che costruisce un’epoca tutta sua, un unicum spazio temporale nel quale veniamo catapultati e dove si sta benissimo. Immaginario western, paesini, suburbia, tutto scorre come vederlo da un finestrino in un viaggio nell’America del Nord più rurale e vera, dove certe cose non sono cambiate. Si arriva addirittura a pensare che tutto sia un’invenzione pur di aver qualcosa che la voce e la musica di Orville Peck possa narrare. E non ci sono dubbi ragazzi miei, se avete un pugno di dollari (vanno bene anche gli euro, i bitcoin li sconsigliamo), da spendere per comprare un disco decente da quando quel grassone di Memphis è morto, beh questo è il disco giusto. Dolcezza, sesso, vita, morte , polvere, Dio, caldo e tanto altro qui vengono cantati in maniera commovente e bellissima. Ci sono anche alcuni accenni a un certo inglese chiamato Mr.Morrissey, che è forse la cosa più simile al King che ci sia stata dopo il re, ma questo è un’altra storia. Orville Peck compone, scrive, suona e si autoproduce un disco che farà sgorgare lacrime e vi farà guardare l’orizzonte come non l’avete mai guardato.

Tracklist
1 Dead of Night
2 Winds Change
3 Turn To Hate
4 Buffalo Run
5 Queen of the Rodeo
6 Kansas (Remembers Me Now)
7 Old River
8 Big Sky
9 Roses Are Falling
10 Take You Back (The Iron Hoof Cattle Call)
11 Hope to Die
12 Nothing Fades Like the Light

ORVILLE PECK – Facebook

Anèma – Umana Città

Gli Anèma tornano con il secondo album ed un approccio al genere lievemente cambiato, sterzando verso il rock/pop, con la lingua italiana che ne accentua questa nuova veste ed un sound ancora più lontano dai cliché classici del genere.

Una svolta non da poco quella che ha portato i siracusani Anèma a questo secondo lavoro sulla lunga distanza, intitolato Umana Città.

Già dal titolo si intuisce che il gruppo siciliano ha lasciato l’idioma inglese per quello italiano in questa nuova raccolta di brani che risultano più pop rispetto a quelli del bellissimo debutto.
Ma andiamo con ordine: per chi non conoscesse gli Anèma, la band nasce come cover band dei gruppi storici del rock progressivo nel 2015; bruciando le tappe arrivano due anni dopo al debutto con After The Sea, album rock che metteva in luce un’attitudine progressiva elegante e raffinata, modellata su toni pacati e mai vicini al metal come è di moda nel progressive odierno.
Il quartetto torna dunque con il secondo album ed un approccio al genere lievemente cambiato, sterzando verso il rock/pop, con la lingua italiana che ne accentua questa nuova veste ed un sound ancora più lontano dai cliché classici del genere.
Vero è che la traccia più progressiva del lotto è quella cantante in inglese (Shake It, Reply), che apre un finale di album sicuramente con più verve rispetto alle prime battute, con Anomala Ipnosi e la conclusiva title track.
Il resto dell’album è composto da un esempio elegante e raffinato di rock/pop cantato in italiano (dove spicca Blu Assoluto), pregno di sfumature progressive suonato molto bene e consigliato un po’ a tutti gli amanti dei generi descritti.

Tracklist
1.Ombre
2.Blu Assoluto
3.Apartheid
4.Inessenzialità
5.Controvers
6.Shake It, Reply
7.Anomala Ipnosi
8.Inverosimile
9.Umana Città

Line-up
Loris Amato – Drums
Dario Giannì – Bass, Keyborads
Lorenzo Giannì – Guitars, Keyboards
Baco Dì Silenzio – Vocals

ANEMA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=0CPhPWFblLQ

Ex – I nostri fantasmi

Hard rock. Quello classico, duro e puro, provocatorio e senza tempo, privo di fronzoli.

Da Verona, con oltre vent’anni di attività sulle spalle. Gli Ex furono formati da musicisti dalla lunga e provata esperienza, attivi sul territorio nazionale sin dal lontano 1981 (anche nei prime movers del metal tricolore Spitfire).

La musica della band è oggi la naturale somma delle singole esperienze dei suoi componenti: un hard rock, cantato in italiano, con forti influenze Seventies. Essenziali e liberi dai modelli: questi sono gli Ex. Come il grande e compianto Sergio Leone nel cinema, gli Ex altro non fanno che ‘demitizzare’ il loro stesso genere musicale, con testi di contestazione sociale verso i luoghi comuni della realtà urbana odierna. Una band indipendente, priva di compromessi, nemica di ogni troppo facile etichetta. Già il loro disco precedente, Cemento armato (2016) – promosso live in Svizzera, Francia, Scozia – era un validissimo esempio di combat rock (per citare qui il classico dei Clash, targato 1982). Del resto, se non il genere suonato, l’attitudine è molto punk. I pezzi sono tutti scarni ed immediati, energici e di forte impatto. Raccontano le periferie, la passione per la musica, la vita di strada (un po’ alla Rolling Stones) e il desiderio insopprimibile di libertà, l’insofferenza per ipocrisia e perbenismo, nonché la difficoltà di essere visibili all’interno di un sistema che appiattisce e livella, oggi, tutto e tutti. Le undici canzoni de I nostri fantasmi, sesto capitolo nella carriera degli Ex, sono tutto questo. Con la giusta dose di orgoglio e tanto, tantissimo cuore.

Tracklist
1- Vieni a vedere
2- La mia donna odia il rocchenroll
3- No Panic
4- L’ambiguità
5- Ora
6- La sconfitta del 2000
7- (Ogni giorno è) un nuovo giorno
8- Idee uniche
9- California
10- Santi e delinquenti
11- Cicatrice

Line up
Roberto Mancini – Vocals
Gabriele Agostinelli – Bass
Yari Borin – Drums
Stefano Pisani – Guitars

EX – Facebook

https://www.youtube.com/expastarock

Alexandra Zerner – Opus 1880

Opus 1880 si rivela un lavoro monumentale, consigliato agli amanti delle opere di Lucassen e agli ascoltatori del metal/rock progressivo.

Alexandra Zerner è una chitarrista e polistrumentista di origine bulgara, e questo mastodontica opera progressiva dal titolo Opus 1880 è il suo terzo album di una carriera solista iniziata nel quattro anni fa con il debutto 9 Stories e proseguita con il successivo Aspects.

Conosciuta e rispettata nell’ambiente shred, la Zerner ha collaborato ad una miriade di progetti prima di dedicarsi alla sua musica che arriva con questo lavoro alla consacrazione.
Due ore di musica divisa in due cd seguendo la storia di una donna in cerca dell’amore, un lungo viaggio in una linea temporale parallela iniziato appunto nel 1880.
Sci-Fi e prog metal non sono una novità essendo un connubio già sviluppato ampiamente da Arjen Anthony Lucassen con il suo progetto Ayreon, al quale la musicista di Sofia si ispira non poco, anche se le tante sinfonie orchestrali negli album del folletto olandese sono sostituite dai momenti in cui la chitarra prende il sopravvento e ci investe con parti strumentali dalla tecnica sopraffina.
Considerare Opus 1880 il classico album del talentuoso musicista di turno risulta però una colossale cantonata: i brani, nelle due lunghe ore di musica, si fregiano di splendide aperture progressive, atmosfere pregne di melodie e di raffinato metallo, per cui l’ascolto è consigliato soprattutto agli amanti dei suoni progressivi.
L’enorme mole di musica prodotta dalla Zerner merita sicuramente di non passare inosservata, essendo per di più valorizzata da una manciata di ospiti che aiutano la chitarrista in questa nuova e splendida avventura.
Sul primo cd una menzione particolare la meritano le bellissime Quest Of Light e Pinch Of Time, mentre passando al secondo supporto è The Other Side Of The Sky Part 2 a deliziarci con melodie progressive di stampo settantiano.
Opus 1880 si rivela un lavoro monumentale, consigliato agli amanti delle opere di Lucassen e agli ascoltatori del metal/rock progressivo.

Tracklist
Disc 1
1.Overture
2.Chaos of Cards
3.The Oracle
4.Mirrors
5.Quest of Light
6.The Sound of Dreaming
7.Questions
8.Letter to Nowhere
9.Diamind
10.Pinch of Time
11.The Missed Dance

Disc 2
1.Desaturation Point
2.Master of Lightning
3.The Other Side of the Sky, Pt. 1
4.Unfairlytale
5.Cumulonimbi
6.Dolphins
7.Electric Kisses
8.Sensosphere
9.Five Gardens
10.The Other Side of the Sky, Pt. 2
11.Youtopia

Line-up
Alexandra Zerner – Guitars, Bass, Keyboards, Mandolin, Drum programming

ALEXANDRA ZERNER – Facebook

Baro Prog-jets – Lucillo & Giada e Topic Würlenio

Per coloro che amano il prog più classico, contaminato di atmosfere anni Ottanta. L’opportunità di riscoprire i primi passi di un eccellente artista.

Baro è il nome d’arte di Alberto Molesini, bassista, cantante, songwriter e polistrumentista che, alla fine degli anni Settanta, fondò i Sintesi: un interessante tentativo di unire la tradizione prog inglese (Yes e King Crimson in primis) e il pop sinfonico italiano di PFM e Orme.

Nel 1980 fu realizzato al fine di alimentare il repertorio dal vivo del gruppo il concept in più atti Lucillo e Giada, una sorta di ambiziosa opera rock. Tre anni dopo fu la volta di Topic Wurlenio, altra raccolta di materiale live da proporre in concerto. Per il prog non erano, lo si rammenti, anni facili, né da noi, né all’estero. Dopo l’apparizione su una compilation di Radio Studio 24, il progetto entrò in stand-by. Molesini, durante gli anni Novanta, collaborò con gli Hydra e col duo pop metal degli Elam. Nel nuovo millennio, con l’aiuto delle nuove tecnologie, uscì quindi Utopie. Dal 2004 Molesini suona con i Marygold, ottima band progressive di casa nostra, responsabile dell’ottimo One Light Year (2017). Tuttavia, la voglia di concretare i progetti giovanili non deve essersi nel nostro mai spenta: ecco quindi spiegato Baro Prog-jets, un lavoro di rispettoso ricupero del periodo 1980-83, con nuovi apporti ed arrangiamenti. Ci è così possibile ascoltare oggi quei due primi lavori di Baro: un prog rock tradizionale, pieno di idee e di spunti originali. Molti i temi musicali che si intrecciano in Lucillo e Giada. Topic Wurlenio venne scritto in piena epoca new wave e ne conserva giustamente le influenze, un po’ nello stile dei primi Twelfth Night. In definitiva, due bellissimi lavori, che vedono ora finalmente la luce su doppio CD, non senza rimandi anche a BMS e Osanna.

Track list
Lucillo & Giada
1- Scena I
2- Scena II
3- Scena III
4- Scena IV

Topic Würlenio
1- Intro
2- Tracce di un’avventura
3- Ach the Stomach Contraction
4- Dialogo
5- Chiare gocce di pioggia
6- Attesa
7- Topis Wurlenio
8- Variazioni
9- Mosaico d’uomo

Line up
Baro – Vocals / Bass / Guitars / Keyboards
Elena Cipriani – Vocals
Gigi Murari – Drums
Paolo Zanella – Piano
Massimo Basaglia / Titta Donato / Nicola Rotta – Guitars

BARO – Facebook

Reef – In Motion (Live From Hammersmith)

Il quartetto regala una performance convincente, alternando ovviamente vecchi brani a quelli del nuovo lavoro, ed uscendone vincitore dalla prima all’ultima nota.

I Reef sono tornati lo scorso anno con un nuovo album dopo diciotto anni dall’ultimo Getaway, lavoro che concluse la prima fase della carriera del gruppo britannico.

A torto considerati una band brit pop, probabilmente per la carta d’identità registrata nel comune di Glastonbury, i Reef hanno sempre avuto un’anima southern che a parer mio li ha alzati di una spanna rispetto alle band del genere.
Questioni di gusti direte voi, rimane il fatto che il ritorno sulle scene coincide con un nuovo album e con questo live, registrato lo scorso 6 maggio presso l’Hammersmith Apollo di Londra nel contesto del Britrock Must Be Destroyed, tour che li vedeva dividere il palco con band storiche del genere come Terrorvision e The Wildhearts.
Licenziato dalla earMUSIC nelle versioni 2LP+Blu-Ray/CD+Blu-Ray e digitale, questo documento conferma e accentua la vena southern/blues dei Reef, risultando un live sanguigno ed assolutamente in grado di regalare un emozionante quadro di rock che, invero, sa più di strade scaldate dal sole del sud degli States che di prati bagnati dalla pioggia in terra albionica.
Il quartetto, che vede il nuovo entrato Jesse Wood (figlio del più famoso Ronnie) alla chitarra al posto del membro originale Kenwyn House, regala una performance convincente, alternando ovviamente vecchi brani a quelli del nuovo lavoro, ed uscendone vincitore dalla prima all’ultima nota.
La band ha nel cantante Gary Stringer un animale blues rock incisivo e sanguigno, emulo di un certo Chris Robinson, così come la musica del gruppo si avvicina non poco a quanto fatto dai The Black Crowes nella loro carriera.
Cori gospel, atmosfere blues da infarto e rock ‘n’ roll dei pionieri cementificano il sound del quartetto, perfetto quando calcano le assi di un palco e consigliato a tutti i fans del genere.

Tracklist
1.Higher Vibration
2.Place Your Hands
3.Stone For Your Love
4.First Mistake
5.Consideration
6.How I Got Over
7.My Sweet Love
8.I Would Have Left You
9.I’ve Got Something To Say
10.Come Back Brighter
11.Precious Metal
12.Don’t You Like It?
13.Naked
14.Summer‘s In Bloom*
15.Revelation*
16.Yer Old
17.End

Line-up
Gary Stringer – Vocals
Jesse Wood – Guitar
Jack Bessant – Bass
Dominic Greensmith – Drums

REEF – Facebook

The Absense – Khronocracy

Il sound è grezzo, registrato sicuramente in presa diretta fuori da qualsivoglia ambizione commerciale e creato e suonato come un lungo rituale pagano, una sorta di jam divisa in sei capitoli in cui rock acustico, atmosfere psichedeliche fine anni sessanta ed un tocco di pazzia compositiva rendono il tutto a suo modo originale.

I The Absense sono un quartetto di ispirazione pagana composto dai due fratelli Siri (Luca e Michele) ai quali nel corso del tempo si sono aggiunti la cantante Gianna Pinotti e il batterista Luca Pagliari.

E proprio il tempo è al centro del concept che si muove dietro a questo lavoro, intitolato Khronocracy e licenziato dalla Sliptrick records.
Il sound è grezzo, registrato sicuramente in presa diretta fuori da qualsivoglia ambizione commerciale e creato e suonato come un lungo rituale pagano, una sorta di jam divisa in sei capitoli in cui rock acustico, atmosfere psichedeliche fine anni sessanta ed un tocco di pazzia compositiva rendono il tutto a suo modo originale.
Non è per tutti la musica dei The Absense, quindi l’avvicinarsi con cautela a litanie distorte come l’opener Black Trip o il brano autointitolato diventa quantomeno d’obbligo, così come quanto consigliarne l’ascolto a chi è maggiormente avvezzo al rock psichedelico e rituale nelle sue vesti più underground.

Tracklist
01. Black Trip
02. Storm
03. Down On Your Eyes
04. The Absence
05. Khronocracy
06. La Fin Du Monde

Line-up
Luca Siri – Guitar/Vocals
Gianna Pinotti – Vocals
Michele Siri – Guitars
Luca Pagliari – Drums

THE ABSENSE – Facebook

https://www.facebook.com/theabsense/videos/200671984171433/