Dominanz – Let The Death Enter

Let The Death Enter è un buon lavoro, oscuro, malato, con la ragione risucchiata da una insana predisposizione al male, con il quale i Dominanz hanno modellato un sound che risulta personale e fortemente estremo.

I Dominanz sono un quartetto estremo in arrivo da Bergen e non tradiscono la propria provenienza suonando un metal estremo di matrice death/black, strutturato su una componente tecno/industrial che rende l’atmosfera ancora più gelida.

La band, che ha da poco festeggiato i dieci anni di attività, dà alle stampe il terzo full length, successore di quel Noxious uscito cinque anni fa ed accolto benissimo da critica e fans.
Il ritorno tramite la Mighty Music si chiama Let The Death Enter, è stato prodotto da Øystein G. Bruns (Borknagar) presso i Crosound Studio, con Dan Swanö in seconda battuta ad occuparsi di missaggio e mastering negli Unisound Studio.
L’album, più orientato verso il black metal rispetto al passato, mantiene una connotazione ricca di atmosfere malate, conservando un approccio lineare e perennemente in tensione.
Con l’opener Death Is Watching You si entra nel mondo dei Dominanz, come in una vecchia e abbandonata struttura contaminata dal male prima, e dalla pazzia poi, un labirinto di corridoi e stanze dove ad attenderci troviamo la band con la sua musica evocativa ed estrema.
Le sonorità sono pervase da atmosfere che si insinuano nella testa, puzzle di menti lacerate che si rianimano al suono di Lucifer, Ruins Of Destruction, Born With Desires e Echoes From The Moments Of Death, tra mid tempo e sfuriate estreme di stampo black metal.
Let The Death Enter è un buon lavoro, oscuro, malato, con la ragione risucchiata da una insana predisposizione al male, con il quale i Dominanz hanno modellato un sound che risulta personale e fortemente estremo.

Tracklist
1. Death is Watching You
2. Lucifer
3. Let the Death Enter
4. Code of Silence
5. Occendi Credentis
6. Ruins of Destruction
7. Troops of Hell
8. Born With Desires
9. Echoes From the Moment of Death
10. Absence of the Sun

Line-up
Roy Mathisen – Vocal, bass, guitar and synth
Frode Gaustad – Drums
Luis Vilchez – Guitar
Marius Fimland – Contrabass(live guitar)

DOMINANZ – Facebook

N.Ex.U.S. – N.Ex.U.S.

N.Ex.U.S. è un album affascinante e maturo, fuori dai cliché del progressive ipertecnico ma poco curato nel songwriting, per intraprendere una strada che porta alla valorizzazione dell’opera nel suo insieme e di una serie di brani che sono le dieci tappe di un percorso che il gruppo ci invita ad affrontare.

N.Ex.U.S. è un progetto musicale nato dall’unione artistica di Christian “Jeremy” Checchin (chitarra) e Fausto “Tex” Tessari (tastiere), partiti con la loro avventura nel mondo del rock progressivo nel 2015 condividendo l’esperienza con alcune cover band per poi arrivare all’importante decisione di scrivere brani propri.

Col tempo ai due musicisti si sono aggiunti Tommaso “Tommy” Galeazzo, Daniele Gallan, e Fabio Tomba a formare la line up che ha dato vita, sotto la supervisione di Alessandro Del Vecchio, questo debutto omonimo licenziato da Logic Il Logic Records & Burning Minds Music Group.
Ne esce un album affascinante e maturo, fuori dai cliché del progressive ipertecnico ma poco curato nel songwriting, per intraprendere una strada che porta alla valorizzazione dell’opera nel suo insieme e di una serie di brani che sono le dieci tappe di un percorso che il gruppo ci invita ad affrontare: un progressive rock che si nutre di impulsi metallici ed atmosfere pomp rock in un contesto moderno, accomunando in un unico sound spunti forniti dal new prog, dalla tradizione settantiana e dall’heavy metal.
Le ispirazioni dei N.Ex.U.S sono tante e perfettamente leggibili in un sound che risulta comunque personale, dando sfoggio ad un ottimo talento per l’aspetto melodico che si fa prepotentemente spazio tra la cascata di note che ci travolge in brani come la strumentale …The System, la progressivamente metallica Land Of Misery e la splendida John Doe.
I musicisti sfoggiano buona tecnica messa comunque al servizio di un songwriting di alto livello e l’ascolto dell’album ne giova non trovando ostacoli e arrivando alla fine con la voglia di ripremere il tasto play.
Progressive rock/metal di spessore dunque da parte di questa nuova scommessa targata Logic Il Logic Records/Burning Minds Music Group, assolutamente da non perdere se siete amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
1.Loading…
2…The System
3.Empathy
4.A Man Without A Soul
5.Land Of Misery
6.Reflections
7.The Mercenary
8.Another Shore
9.John Doe
10.Final Act: A New Humanity

Line-up
Tommaso “Tommy” Galeazzo – Vocals
Christian “Jeremy” Checchin – Guitars
Fausto “Tex” Tessari – Keyboards
Daniele Gallan – Bass
Fabio Tomba – Drums

N.Ex.U.S. – Facebook

Temple Nightside – Recondemnation

I Temple Nightside sono una mostruosa creatura underground che si nutre di anime e vomita cattiveria, trasformata in musica estrema evocativa e rituale, colma di atmosfere nere come la pece in un fluido continuo di malvagità

Ristampa licenziata dalla Iron Bonehead Productions che riguarda i Temple Nightside, band australiana attiva dal 2010 e fautrice di un death/black metal oscuro ed ossessionante.

L’album, uscito originariamente nel 2013 per la Nuclear Winter e primo dei due lavori firmati Temple Nightside, è composto di otto tracce per quaranta minuti calati nell’abisso più profondo e putrido.
E come suggerisce il titolo dell’ultima traccia di Recondemnation, si tratta di un miasma sonoro putrescente che, se si avvale dei ritmi e delle ispirazioni del black/death, non manca di lasciarsi seppellire da tonnellate di lava doom, trasformando il sound in un monolitico rituale maligno ed oscuro.
I Temple Nightside sono una mostruosa creatura underground che si nutre di anime e vomita cattiveria, trasformata in musica estrema evocativa e rituale, colma di atmosfere nere come la pece in un fluido continuo di malvagità.
I brani che lasciano campo alla lenta marcia del doom sono i più oscuri e maligni: la band australiana è maestra nel saper coinvolgere con lenti rituali funerei come negli otto minuti di Ascension Of Decaying Form, picco di questo lavoro che la label ha fatto bene a riproporre agli amanti del metal estremo più underground.

Tracklist
1.Shrine Of Summon (The Great Opposer)
2.Exhumation:Miseries Upon Imprecation
3.Abhorrent They Fall
4.Pillar Of Ancient Death(Commune 2.1)
5.Dagger Of Necromantic Decay (Eater Of Hearts)
6.Ascension Of Decaying Form
7.Command Of The Bones (Commune 2.2)

8.Miasma
Line-up
V.Kusabs – Bass
Mordance – Drums
BR – Guitars
IV – Guitars, Bass, Vocals, Keyboards

TEMPLE NIGHTSIDE – Facebook

Lord Vampyr – Death Comes Under the Sign of the Cross

Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.

Nuovo album per i romani Lord Vampyr, band estrema romana che prende il monicker dal suo leader, storico singer e fondatore dei Theatres Des Vampires.

Siamo giunti al sesto full length da quando i Lord Vampyr apparvero per la prima volta sulla scena metallica nostrana con il debutto De Vampyrica Philosophia, licenziato nell’ormai lontano 2005.
Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.
L’intro ci accompagna verso la title track, una partenza all’insegna dell’heavy metal classico con le ispirazioni che nei brani successivi vanno dalla scena degli anni ottanta a quella estrema del decennio successivo, con la band che ci travolge con potenti cavalcate, in cui atmosfere gothic, a tratti, spezzano la tensione che in un attimo torna altissima.
Un sound, quello delle varie Crown Of Hypocrisy e Christvampire, che affonda le sue radici nel metal classico per essere poi rimodellato dai Lord Vampyr, che riescono a creare questo buon ibrido.
La parte sinfonica che introduce Upon The Throne Of Lies e la devastante Violent Awareness of the Absence of God portano alla conclusiva The Crusade Of Violence, sottofondo di una battaglia che in poco tempo si trasforma in un sanguinario massacro.
Nonostante vi si possano trovare si trovino riferimenti ai vari Mercyful Fate, Cradle Of Filth, Moonspell e Iron Maiden, Death Comes Under the Sign of the Cross resta comunque un lavoro a cui non mancano personalità ed impatto.

Tracklist
1. Intro
2. Death Comes Under The Sign Of The Cross
3. Crown Of Hypocrisy
4. Christvampire
5. Iconoclast Heresy
6. At War
7. Upon The Throne Of Lies
8. Utopia God
9. Violent Awareness Of The Absence Of God
10. The Crusade Of Violence

Line-up
Lord Vampyr: All Vocals
Ferenc Nadasdy: Bass, Keyboards, Programming
Andrea Taddei: Guitars
Fabrizio Curcio: Guitars
Diego Tasciotti: Drums

LORD VAMPYR – Facebook

Poste 942 – Long Replay

Long Play diventa Long Replay in questa nuova uscita targata 2019 che vede il gruppo tornare a far esplodere gli altoparlanti con quasi cinquanta minuti di ottima musica.

La label Bear Beer Boar Prod. ristampa in una nuova versione con titolo e artwork rinnovati il primo album dei rockers transalpini Poste 942, un dinamitardo combo che suona hard rock potente ed ispirato tanto dagli anni settanta, quanto dal southern e dal grunge.

Long Play diventa Long Replay in questa nuova uscita targata 2019 che vede il gruppo tornare a far esplodere gli altoparlanti con quasi cinquanta minuti di ottima musica.
Hard rock, stoner e groove a manetta, senza rinunciare ad atmosfere southern: le verdi colline francesi ai piedi delle Alpi si trasformano così nei caldi deserti americani o nelle paludi dell’estremo territorio della misteriosa Lousiana.
Lo stile dei Poste 942 è più semplice di quanto si possa immaginare ma molto interessante, così come il modo in cui il gruppo riesce, senza essere dispersivo o approssimativo, ad inserire svariate influenze tra i brani di Long Play.
Partendo dal metal stonerizzato di Down e Pantera, passando per elettrizzanti tratti grunge rock che ricordano non poco i Nirvana, per giungere allo stoner della Sky Valley ed il southern rock, il tutto viene ben calibrato dal gruppo francese in questa raccolta di brani che hanno nel singolo Whiskey, nell’esuberante vena di 49.3, nella semiballad desertica Grace e nella rabbiosa Lonely Day i punti salienti di questo piacevole lavoro.
Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali: allora una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Replay.

Tracklist
1.49.3 (Reboot)
2.Color of Red
3.Devil’s Complaint
4. Whiskey
5.Punky Booster
6. Grace
7. Pigs in Paradise
8.Lonely Day
9.Psycho Love Part.I
10.Psycho Love Part.II
11. Breathe
12.Kill the Princess

Line-up
Sébastien Mathieu – Guitars
Sébastien Usel – Vocals
Ludovic Favro – Bass
Bruno Pradels – Guitars
Fred Charles – Drums
Stephen Giner – Cornemuse

POSTE 942 – Facebook

Sollar – Translucent

Translucent è un album progressivo che convince per il buon songwriting, anche se in qualche passaggio è fin troppo legato ai Dream Theater più ombrosi, cosa che non incide negativamente comunque sulla già buona strategia compositiva del gruppo.

Torniamo a parlare della scena metal portoghese con questa giovane band dal sound progressivo chiamata Sollar.

Il debutto per il quintetto si chiama Translucent, un buon esempio di progressive metal sulla scia dei maestri statunitensi, Dream Theater in primis, accompagnato da atmosfere dark e da sfumature in linea con le nuove leve che al, sound tradizionale, aggiungono input dal taglio moderno.
La singer Mariana Azevedo aggiunge qualità all’opera con una interpretazione sentita, che produce emozioni alla pari di passaggi pregni di forza metallica che i suoi colleghi non lesinano a sciorinare tra impatto e buona tecnica.
Translucent è un album progressivo che convince per il buon songwriting, anche se in qualche passaggio è fin troppo legato ai Dream Theater più ombrosi, cosa che non incide negativamente comunque sulla già buona strategia compositiva del gruppo.
Splendidi passaggi si alternano dunque ad altri leggermente più scontati ma che, nell’economia di brani come The Fighter, Naked e la title track, appaiono perfettamente bilanciati.
Verso il finale i Sollar lasciano che la loro anima classicamente progressiva si impadronisca di Outburst e The Right Man, brani che potrebbero fare da ponte musicale verso lidi ancora più personali, per un gruppo che non manca certo di buone potenzialità.

Tracklist
1. Birth
2. See
3. The Fighter
4. Naked
5. Royal Flush
6. The Image Of Man
7. Translucent
8. Primal
9. Outburst
10. The Right Man

Line-up
Mariana Azevedo – Vocals
Vitor Braga – Guitars
André Ribeiro – Guitars
Eduardo Sinatra – Drums
Diogo Vidinha – Bass

SOLLAR – Facebook

White Cowbell Oklahoma – Seven Seas Of Sleaze

Alle malinconiche ballate intrise di blues al caldo di un tramonto con vista sulla frontiera, la band preferisce un diretto in pieno volto, un eccesso di attitudine che si traduce in un sound sfacciato e dalle chiare influenze hard, rock’n’roll e blues.

Gli White Cowbell Oklahoma sono di fatto la spettacolarizzazione del southern rock, o almeno la sua anima più corrotta e deviata.

Alle malinconiche ballate intrise di blues al caldo di un tramonto con vista sulla frontiera, la band preferisce un diretto in pieno volto, un eccesso di attitudine che si traduce in un sound sfacciato e dalle chiare influenze hard, rock ‘n’ roll e blues, ma di quello dannato, regalato dal solito satanasso che non ne vuole sapere di allontanarsi da crocicchi e drugstore di quell’ America in cui si balla a ritmo del country rock e ci si butta via tra alcool e anfetamine.
Questo lavoro, licenziato dalla Slick Monkey Records ed ultimo di una discografia che vede una manciata di album ed una carriera fondata sui concerti dal vivo che si trasformano in veri e propri spettacoli tra ballerine, fuochi d’artificio e pericolose motoseghe., è composto da un paio di inediti più cinque brani registrati appunto nella dimensione più consona alla band canadese, il palco.
E’ on stage che gli White Cowbell Oklahoma non perdono un colpo e, anche se non disponiamo del supporto video, la sensazione di vivere uno spettacolo che va oltre alla musica è percettibile tra le note di brani travolgenti come Flapjack Flytrap, Monster Railroad e Flush In The Pocket.
Lynyrd Skynyrd, Deep Purple, ZZ Top e Allman Brothers in salsa hard rock, punk, blue … non male davvero.

Tracklist
1.Into The Sun
2.Harder Come, Harder Come
3.Flapjack Flytrap (Live)
4.Cheerleader (Live)
5.Monster Railroad (Live)
6.Flash In The Pocket (Live)
7.Shot A Gamblin’ Man (Live)

WHITE COWBELL OKLAHOMA – Facebook

Nerocapra – Decomposizione

I Nerocapra consolidano la reputazione di band selvaggia e fuori dai soliti schemi che oggigiorno comandano il metal estremo, proseguendo sulla loro malsana strada e officiando un primitivo rituale fatto di death thrash black genuino, brutale e incompromissorio.

I piemontesi Nerocapra tornano a devastare l’udito degli amanti del metal estremo di matrice old school con un nuovo lavoro sulla lunga distanza intitolato Decomposizione.

La band, attiva dal 2003, arriva così al terzo album dopo Vox Inferi (2011) e Mefisto Manna (2014): Decomposizione è composto da undici brani di death metal primordiale, dall’attitudine totalmente underground, poco incline a facili melodie e grezzo fin quasi all’eccesso; l’interpretazione del genere è quanto mai putrida, in ossequio al titolo, intrisa dallo spirito degli anni ottanta, oltre che di sangue e follia, e deviata da aggressive ripartenze thrash/black metal
Il nichilismo di Decomposizione è roba per stomaci forti (musicalmente parlando): i Nerocapra consolidano la reputazione di band selvaggia e fuori dai soliti schemi che oggigiorno comandano il metal estremo, proseguendo sulla loro malsana strada e officiando un primitivo rituale fatto di death thrash black genuino, brutale e incompromissorio.

Tracklist
1.Nella casa della carne
2.Dannata meretrice
3.Mors Tua Mors Mea
4.Carogna
5.Stifling Scream
6.Visione d’inferno
7.Decomposizione precoce
8.Al 7° grado
9.Il carnefice pastore
10.Nerodemonio
11.Dalle viscere

Line-up
Roberto Ripollino – Drums
Alessandro Battezzati – Guitars
Mirco Rizzi – Guitars, Vocals

NEROCAPRA – Facebook

Misery Index – Rituals Of Power

Ottimo ritorno per una delle band cardine del metal estremo statunitense nate all’alba del nuovo millennio.

Nuovo lavoro anche per i Misery Index, quartetto che gli amanti del death metal e del grindcore aspettavano al varco dopo il precedente The Killing Gods, licenziato cinque anni fa e che colpiva nel segno solo a tratti.

Un album motivo di discussione tra fans e addetti ai lavori che trova in questo suo successore un valido e massiccio ritorno, infatti il quartetto di Baltimora se non rispolvera la forma dei primi anni del nuovo millennio ci va molto vicino con questo nuovo Rituals Of Power.
Siamo al cospetto di una band che ha sicuramente contribuito allo sviluppo dei suoni estremi di matrice death/grind, quindi l’esperienza e il talento non mancano di certo, coadiuvati da un songwriting che riesce ad incollare l’ascoltatore alla poltrona con una serie di brani che nel genere sono non molto distanti dalla perfezione, decollando già al primo ascolto.
Una serie di macigni sonori valorizzati da un lavoro chitarristico in stato di grazia, un sound diretto e devastante, aiutato a sfondare le difese dell’ascoltatore grazie ad una produzione scintillante sono le virtù essenziali per rendere portentoso un album come Rituals Of Power.
Un quartetto solido che non si lascia scalfire da nessuna divagazione dal suono estremo che né è il marchio da quasi vent’anni, questi sono i Misery Index odierni e questa volta gli amanti del death metal possono portarsi a casa questa raccolta di ordigni sonori che trova in Decline And Fall, New Salem e nella title track i picchi massimi di distruttività, tenuta a freno da trovate melodiche di altra categoria.
Ed è proprio quel quid melodico, che nell’ombra agisce sui brani, la carta vincente di Rituals Of Power, una nota che spunta all’improvviso tra la carica esplosiva di un sound atomico e che contribuisce a rendere un brano come I Disavow un piccolo gioiello.
Ottimo ritorno per una delle band cardine del metal estremo statunitense nate all’alba del nuovo millennio.

Tracklist
1. Universal Untruths
2. Decline and Fall
3. The Choir Invisible
4. New Salem
5. Hammering the Nails
6. Rituals of Power
7. They Always Come Back
8. I Disavow
9. Naysayer

Line-up
Jason Netherton – Bass, vocals
Adam Jarvis – Drums
Mark Kloeppel – Guitar, vocals
Darin Morris – Lead guitar

MISERY INDEX – Facebook

Suzi Quatro – No Control

Suzi Quatro si ribella allo scorrere del tempo e si ripresenta in forma a quasi settant’anni con No Control, album scritto a quattro mani con il figlio Richard Tuckey e a noi comuni mortali non resta che inchinarci a questa regina del rock’n’roll.

Un nuovo album targato Suzi Quatro, diciannove anni dopo la nascita del nuovo millennio.

Susan Kay Quattrocchio si ribella allo scorrere del tempo e si ripresenta in forma, a quasi settant’anni, con No Control, album scritto a quattro mani con il figlio Richard Tuckey e a noi comuni mortali non resta che inchinarci a questa regina del rock’n’roll.
Diventata un’icona del rock e del glam negli anni settanta la bassista, cantante ed attrice statunitense fa bella mostra di sé, accompagnata dal suo basso sull’artwork di copertina di questo nuovo lavoro che, clamorosamente, abbraccia più di un genere, dal rock, al pop al soul e al blues, mentre lei a tratti rispolvera la grinta dei bei tempi con Macho Man e il rock blues sfacciato di Don’t Do Me Wrong.
Suzi Quatro non ha mai smesso di dedicarsi al rock, e il nuovo millennio l’aveva già vista protagonista di tre lavori, due solisti (Back To The Drive del 2005 e In The Spotlight del 2011) e l’album del 2017 con due leggende del glam rock come Andy Scott, chitarrista degli Sweet e Don Powell, batterista degli Slade, quindi che No Control suoni alla grande non sorprende sicuramente.
La Quatro ha dato vita ad un lavoro formato da belle canzoni pop/rock, nel quale i fiati assumono un ruolo da protagonisti in quasi tutta la tracklist (splendida I Can Teach To You Fly) e lei, come scritto, sfoggia una grinta invidiabile.
La conclusiva Going Down Blues è un blues sensuale e sanguigno, l’ideale saluto di Suzi tornata con un lavoro graffiante ed emozionante, pregno di suoni ed umori classici, ma non per questo trascurabile: il rock’n’roll non ha età.

Tracklist
1. No Soul/No Control
2. Going Home
3. Strings
4. Love Isn’t Fair
5. Macho Man
6 .Easy Pickings
7. Bass Line
8. Don’t Do Me Wrong
9. Heavy Duty
10. I Can Teach You To Fly
11. Going Down Blues

Vinyl bonus tracks:
12. Heart On The Line (bonus track)
13. Leopard Skin Pillbox Hat (bonus track)

SUZI QUATRO – Facebook

Lucifer’s Fall – Tales From The Crypt

L’album è di fatto è una raccolta di brani già licenziati in passato dai Lucifer’s Fall con l’aggiunta di alcun cover: non imprescindibile, ma quanto meno utile per farsi un’idea di quello che propongono questi doomsters australiani.

Sono passati un paio d’anni da quando ci occupammo degli australiani Lucifer’s Fall, quintetto di Adelaide attivo dal 2013 e al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Tales From The Crypt nulla toglie e nulla aggiunge a quanto scritto in passato: la band offre agli amanti del genere un heavy doom classico, alternando brani più heavy a lenti passaggi sabbathiani.
Una proposta old school, ad iniziare dalla produzione che tanto sa di cripta maleodorante (come suggerisce il titolo), dove riti antichi risvegliano dal sonno millenario cadaveri rinsecchiti, poveri resti condannati a vagare sulla terra all’arrivo della notte; i primi due brani (Trapped In Satan’s Chains e Dirty Shits) fanno parte dell’anima hard & heavy del gruppo, con un rock duro ispirato alle band storiche e dall’attitudine settantiana che lascia poi spazio a jam classic doom come Deceiver e Cursed Priestess. L’album è di fatto è una raccolta di brani già licenziati in passato dai Lucifer’s Fall, con l’aggiunta di alcun cover che si rifanno alle discografie di Reverend Bizarre, Exciter ed Angel Witch: non imprescindibile, ma quanto meno utile per farsi un’idea di quello che propongono questi doomsters australiani.

Tracklist
1.Trapped in Satan’s Chains
2.Dirty Shits
3.Unknown Unnamed
4.Deceiver
5.Die Witch Die
6.Death of the Mother
7.Cursed Priestess (rehearsal)
8.Damnation (rehearsal)
9.The Mountains of Madness (rehearsal)
10.(Fuck You) We’re Lucifer’s Fall
11.Cromwell (partial unrehearsed jam) (Reverend Bizarre cover)
12.Stand Up and Fight (barely rehearsed version) (Exciter cover)
13.Angel Witch (Live 3D Radio) (Angel Witch cover)

Line-up
Deceiver – Bass, Guitars, Vocals
Unknown and Unnamed – Drums
Cursed Priestess – Bass
The Invocator – Guitars (lead)
Heretic – Guitars (rhythm)

LUCIFER’S FALL – Facebook

Witherfall – Vintage ep

Tornano a distanza di pochi mesi dal mai troppo lodato A Prelude To Sorrow, quella che in soli due album è diventata la band cardine di un cero modo di fare progressive metal, erede di Nevermore e Symphony X, ma dal talento talmente enorme da diventare un punto di riferimento nello spazio di un paio d’anni, gli Witherfall.

Tornano a distanza di pochi mesi dal mai troppo lodato A Prelude To Sorrow gli Witherfall, quella che in soli due album è diventata la band cardine di un certo modo di fare progressive metal, erede di Nevermore e Symphony X, ma dal talento talmente grande da diventare un punto di riferimento nello spazio di un paio d’anni.

La tragica storia del gruppo ormai è conosciuta ed abbiamo avuto modo di scriverne sui precedenti articoli che riguardavano Nocturnes And Requiems, debutto licenziato nel 2017, ed appunto il masterpiece A Prelude To Sorrow; nel frattempo il singer Joseph Michael è entrato a far parte della line up dei Sanctuary, chiudendo il cerchio che lo vedeva come unico erede del grande Warrel Dane.
Accompagnato dallo splendido artwork, sulla scia di quelli precedenti ma di diverso colore (questa volta il tono dominate è il verde), Vintage è un ep di otto brani per quaranta minuti di grande musica acustica, dove a farla da padrini sono le prestazioni dei due leader, Michael al microfono e Jake Dreyer alla chitarra, lasciando alla versione originale della title track il compito di ricordarci lo spettacolare, drammatico e tragico crescendo emozionale che la band ha saputo creare sul precedente capolavoro.
Il nuovo tastierista Alex Nasla è l’unica novità che Vintage si porta dietro, il resto è l’ennesima prova della grandezza di questa band, spettacolare nelle parti metal progressive, da brividi nell’atmosfera acustica ed ancora più intimista di Vintage Medley e di Ode To Despair diventata ormai un classico.
Le cover presenti più il singolo The Long Walk Home (December), fanno di questo lavoro l’ennesima prova del valore assoluto di una straordinaria band, fabbrica di emozioni che travolgono, turbano e ci avvolgono nelle loro spire per non lasciarci più.

Tracklist
Vintage Medley (Tracks 1-3)
1. Vintage I
2. Nobody Sleeps Here…
3. Vintage II
4. A Tale That Wasn’t Right (Helloween cover)
5. Ode To Despair (Acoustic)
6. The Long Walk Home (December)
7. I Won’t Back Down (Tom Petty cover)
8. Vintage (album version)

Line-up
Joseph Michael – Vocals/Guitar/Keyboards
Jake Dreyer – Guitars
Anthony Crawford – Bass
Alex Nasla – Keyboards
Steve Bolognese- Drums

WITHERFALL – Facebook

Crown Of Autumn – Byzantine Horizons

Byzantine Horizons si mantiene su livelli altissimi lungo l’intera tracklist, riconfermando i Crown Of Autumn quale realtà di peculiare spessore nel panorama metallico tricolore.

Otto anni dopo l’uscita di Splendours from the Dark ritornano i Crown Of Autumn, band che fin dai suoi esordi negli anni novanta con lo storico album The Treasures Arcane (1996) ha sempre mantenuto un suo originale approccio al metal di stampo progressivo, estremo e melodico.

Il quartetto lombardo, dalla line-up rimasta invariata rispetto al precedente lavoro (Gianluigi Girardi, Emanuele Rastelli, Milena Saracino e Mattia Stancioiu), nonostante una discografia piuttosto avara dal punto di vista quantitativo, si è sempre contraddistinto per l’alta qualità della sua proposta, confermata da questo nuovo e terzo full length intitolato Byzantine Horizons, bellissima opera metallica che, lasciando pochi punti di riferimento, si inoltra nel mondo del rock duro, passando per il progressive, il metal estremo melodico, il dark, il folk ed il gothic.
All’interno dell’elbum, rilasciato dalla My Kingdom Music e registrato, mixato e masterizzato da Mattia Stancioiu presso l’Elnor Studio, si trovano undici splendidi brani di difficile catalogazione a causa delle innumerevoli sfumature che la band usa a suo piacimento per rendere l’album un’opera affascinante nella sua interezza, con i generi citati che si incrociano traendo linfa gli uni dagli altri, in un saliscendi emotivo di grande spessore.
Fin dalla prima nota di A Mosaic Within è tutto un susseguirsi di atmosfere cangianti, all’interno delle quali l’alternanza delle voci trova la sua massima esaltazione in tracce magnifiche come Dhul-Qarnayn, Whores For Eleusis, nella marziale Scepter And Soil e in Everything Evokes, con la band che nella struttura melodic death/power inserisce canti gregoriani evocando un’atmosfera liturgica.
Ovviamente l’album si mantiene su livelli altissimi anche negli altri brani, che ne suggellano la piena riuscita riconfermando i Crown Of Autumn quale realtà di peculiare spessore nel panorama metallico tricolore.

Tracklist
01. A Mosaic Within
02. Dhul-Qarnayn
03. Scepter And Soil
04. Cyclopean
05. Lo Sposo Dell’Orizzonte
06. Everything Evokes
07. Walls Of Stone, Tapestries Of Light
08. Whores For Eleusis
09. Lorica
10. Roman Diary
11. Our Withering Will

Line-up
Gianluigi Girardi – Vocals
Emanuele Rastelli – Guitars, Bass, Keyboards and Vocals.
Milena Saracino – Vocals
Mattia Stancioiu – Drums and Percussions

CROWN OF AUTUMN – Facebook

Valtari – Origin Enigma

Origin Enigma mette in campo tutti i cliché del genere, prendendo qualcosina da tutte le band più importanti sia della prima che della seconda generazione, mantenendo una gelida atmosfera di stampo black per tutta la durata dell’opera ed inserendo valanghe di melodie classiche.

Le sonorità scandinave di stampo melodic death continuano ad influenzare musicisti e realtà in ogni parte del mondo, in questo caso parliamo dei Valtari, one man band australiana.

Il polistrumentista Marty Warren è l’ideatore di questo che di fatto è un tributo al death metal melodico, arrivato con Origin Enigma al terzo full lenght dopo il debutto uscito nel 2012, Fragments of a Nightmare, e Huntar’s Pride secondo lavoro licenziato un paio d’anni dopo.
Origin Enigma mette in campo tutti i cliché del genere, prendendo qualcosina da tutte le band più importanti sia della prima che della seconda generazione, mantenendo una gelida atmosfera di stampo black per tutta la durata dell’opera ed inserendo valanghe di melodie classiche che ricordano a più riprese In Flames, Children Of Bodom, Omnium Gatherum, Insomnium e Dimmu Borgir.
Niente di originale quindi, ma sicuramente ben fatto e di sicura presa per i fans accaniti del genere, con qualche atmosfera gotica volta a tratti spezzare un ritmo che dalla prima nota dell’opener Oblivion porta dritti alla conclusiva The Great Unknown.
Prodotto leggermente meglio l’album avrebbe meritato mezzo voto in più, ma siamo ai dettagli: Marty Warren, alias Valtari, ha fatto un buon lavoro ed Origin Enigma risulta un album melodic death senza sorprese ma anche senza cadute, del quale quindi è consigliato l’ascolto.

Tracklist
1.Oblivion
2.Your Enemy
3.Blinded
4.All for You
5.Origin Enigma
6.Taste Your Victory
7.Memories Fade
8.Forever
9.Towton 1461
10.The Great Unknown

Line-up
Marty Warren – Everything

VALTARI – Facebook

Bleed Someone Dry – Unorthodox

Unorthodox torna a far parlare dei Bleed Someone Dry in modo assolutamente positivo grazie ad un deathcore di alta qualità offerto da una band che ha una sua ben chiara identità: per gli amanti del genere perdere un lavoro come sarebbe imperdonabile.

A rivalutare una scena core che, parafrasando termini sportivi, rischia di restare sulle ginocchia ci pensa la Wormholedeath, licenziando l’ultimo album dei Bleed Someone Dry, gruppo toscano con una reputazione da consolidare dopo le buone prove passate.

La label aveva già ristampato in precedenza il secondo lavoro del gruppo, quel Subjects uscito originariamente nel 2012 e reimmesso sul mercato un paio d’anni dopo.
Chris Donaldson (produttore e chitarrista dei Cryptopsy) si è preso cura dell’album come già accaduto in passato e Unorthodox non delude sicuramente le attese degli appassionati di un genere dall’equilibrio delicatissimo, specialmente per quanto riguarda il songwriting.
La band, infatti, se ne esce con una decina di brani freschi, estremi e progressivamente moderni, valorizzati da una tecnica in grado di permettere qualsivoglia spunto che possa rendere al meglio un sound che rimane fortemente legato al deathcore.
Attenzione, di deathcore appunto si tratta, perchè in Unorthodox i Bleed Someone Dry picchiano duro, lasciando ad altri facili soluzioni pulite, e ci maltrattano con una serie di detonazioni estreme, supportate da un istinto progressivo grazie al quale brani come la title track, l’opener Vexation, la violenta Plague Of Broken Dreams, il mid tempo Agoraphobia risultano appunto freschi e vari quanto basta per non far perdere l’attenzione di chi ascolta.
La parte elettronica è meno pressante rispetto al passato ma presente, così come l’atmosfera che pervade l’album è assolutamente moderna e slegata da possibili parentele con qualsivoglia genere tradizionale.
Unorthodox torna a far parlare dei Bleed Someone Dry in modo assolutamente positivo grazie ad un deathcore di alta qualità offerto da una band che ha una sua ben chiara identità: per gli amanti del genere perdere un lavoro come sarebbe imperdonabile.

Tracklist
1.Vexation
2.Deceiver
3.Unorthodox
4.The Worst Has Yet To Come
5.Plague Of Broken Dreams
6.All That We’ll Never Have
7.The Modern Dissident Movement
8.Agoraphobia
9.Elysium
10.Mephistophelian

Line-up
Alessio Bruni – Vocals
Jonathan Mazzeo – Guitars
Niccolò D’Alario – Guitars
Mattia Baldanzi – Bass
Alan Syo James – Drums

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Humanity Delete – Werewolves in the Iron Sky

Werewolves in the Iron Sky è altro buon lavoro targato Rogga Johansson, uno che di death metal ne macina a quantità industriali ogni anno, sempre con la stessa attitudine, passione e, perché no, talento.

Rogga Johansson, oltre alle molteplici collaborazioni con artisti della scena death metal internazionale e all’attività con le sue diverse band, trova anche il tempo di portare avanti la sua creatura solista Humanity Delete nella quale canta e suona tutti gli strumenti.

Addirittura ideato nel 2003, il progetto è stato poi ripreso dal polistrumentista e compositore svedese nel 2012, anno di uscita del primo lavoro, Never Ending Nightmares, seguito dopo quattro anni da Fuck Forever Off.
All’insegna di un death metal foriero di tempeste thrash e grindcore, il sound che Johansson ha creato per gli Human Delete vede nel 2018 il suo picco creativo, prima con lo split Anthems of Doom – Lethal Onslaught, insieme ai deathsters greci Carnal Garden, e poi con questo nuovo album intitolato Werewolves in the Iron Sky: nove brani per mezzora di assalto sonoro a cui il nostro ci ha abituato, scontandosi per pochi dettagli da molte delle sue proposte, ma sempre con un’attitudine ed un approccio alla materia non così comuni come si potrebbe pensare.
Werewolves in the Iron Sky si muove tra il death metal old school e lo sferragliante approccio del grindcore, con sfuriate thrash e rallentamenti che variano l’ascolto e ci permettono di assaporare il sangue che sgorga da brani come I Grip Rip Your Heart, Prototype Metal Claw e la monolitica Lunar Rites.
Werewolves in the Iron Sky è altro buon lavoro targato Rogga Johansson, uno che di death metal ne macina a quantità industriali ogni anno, sempre con la stessa attitudine, passione e, perché no, talento.

Tracklist:
1.Werewolves in the Iron Sky
2.I Grip Rip Your Heart
3.Fur (Fur Immer)
4.Merge with the Beast
5.Prototype Metal Claw
6.Werewolf Reich
7.Conjure the Moon
8.Lunar Rites
9.Werewolf reich II

Line-up
Rogga Johansson – All instruments, Vocals

IX-The Hermit – Present Days, Future Days

Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.

Chi è abituato a frequentare l’underground metallico sa che le sorprese sono sempre dietro l’angolo e diventa quasi un’urgenza scovare nuove realtà, sorprendendosi piacevolmente all’ascolto di demo, ep o primi full length che potrebbero diventare l’inizio di qualcosa d’importante.

Ovviamente, quando si parla di underground si intende quello mondiale, lasciando ad altri antipatici confini da proteggere, per abbracciare ogni impulso musicale che riesca ad emozionare.
In questo caso rimaniamo nel nostro paese per presentare questa ottima nuova band, i IX-The Hermit, fondata da musicisti dal diverso background e con l’intento di creare qualcosa di nuovo ed originale, inglobando in unico sound i diversi generi musicali da cui provengono.
Dopo diversi cambi di line up, la formazione si stabilizza lo scorso anno così che, la band si può concentrare sui sei brani che compongono questo primo lavoro, un ep dal titolo Present Days, Future Days.
Sei buoni motivi per dare un ascolto alla proposta dei IX-The Hermit sono racchiusi nel sound di questo album che parte con Party Animal, titolo dai richiami street metal, ma pesante come un macigno seppur devota ad un hard & heavy che non manca di potenza e groove.
Ma già dal secondo brano la band lascia le strade dirette e hard rock del brano di apertura per salire su per tornanti progressivi, alternati da ripartenze pesanti come nella decisa You’re Not Worth e nel crescendo di Boston.
Buona tecnica unita ad una non facile catalogazione, fanno di Your Pain e soprattutto della conclusiva The Hermit, brani che uniscono metal estremo, sfumature alternative ed atmosfere progressive.
Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.
Tracklist
1.Party Animals
2.Beyond All My Days
3.You’Re Not Worth
4.Boston
5.Your Pain
6.The Hermit

Line-up
Fabrizio Vindigni – Vocals
Fabrizio Miceli – Guitars
Luigi Gabriele – Guitars
Matteo De Franco – Bass
Giacomo Marsiglia – Drums

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Aaron Buchanan And The Cult Classics – The Man With Stars On His Knees

Un album, The Man With Stars On His Knees, magari lontano dai gusti di chi frequente questa webzine ma che merita sicuramente più di un ascolto distratto, specialmente da parte di chi fagocita rock senza barriere e confini di genere.

Primo album solista per Aaron Buchanan dopo neanche un anno dall’uscita dagli Heaven’s Basement.

Aaron Buchanan And The Cult Classics (monicker che a detta dello stesso singer si ispira a film cult come Le Iene, Taxi Ddriver e Pulp Fiction) risulta a tutti gli effetti una nuova band, con Buchanan circondato da una manciata di ottimi musicisti che corrispondono a Laurie Buchanan e Tom McCarthy alle chitarre, Mart Trail al basso e Paul White alla batteria.
The Man With Stars On His Knees non lascia spazio a dubbi sulla buona alchimia formatisi all’interno del gruppo, che rilascia un ottimo lavoro incentrato su di un rock votato alla tradizione ma inserito in un contesto moderno, tra alternative e sfumature radio friendly.
Ruggente, melodico e passionale, Buchanan si dimostra cantante e songwriting di spessore, tra atmosfere elettriche, brani accattivanti e di facile assimilazione così come altri dove il rock diretto e graffiante fa il suo sporco lavoro.
La band, inutile dirlo si fa apprezzare nelle tracce più energiche, anche se non mancano semi ballad dal retrogusto alternativo molto suggestive come la splendida title track.
Un album, The Man With Stars On His Knees, magari lontano dai gusti di chi frequente questa webzine ma che merita sicuramente più di un ascolto distratto, specialmente da parte di chi fagocita rock senza barriere e confini di genere.

Tracklist
1.Show What You’re Made Of
2.All the Things You’ve Said and Done
3.Dancin’ Down Below
4.The Devil That Needs You
5.Journey out of Here
6.The Man with Stars on His Knees
7.A God Is No Friend
8.Left Me for Dead
9.Mind of a Mute
10.Morals?
11.Fire in the Fields of Mayhem
12.Undertow

Line-up
Aaron Buchanan – Vocals
Laurie Buchanan – Guitar
Tom McCarthy – Guitar
Mart Trail – Bass
Paul White – Drums

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Calico Jack – Calico Jack

L’album è sostanzialmente rivolto ad appassionati di questo specifico genere, e se tali sonorità non sono esattamente nelle vostre corde non sarà certamente il debutto dei Calico Jack a farvi cambiare idea.

Il metal a sfondo piratesco, portato all’attenzione degli ascoltatori del metal classico e power dagli storici Running Wild, trova nuova linfa ed un tocco di originalità nel primo full length omonimo dei Calico Jack, ciurma in arrivo da Milano e battente bandiera pirata dal 2011.

La band (il cui nome è ispirato al capitano John Rackham, inventore della classica bandiera con il teschi e le due sciabole incrociate, conosciuto come Jolly Roger) si allontana dal sound dei Running Wild e dei loro eredi Alestorm per avvicinarsi al folk metal, anche se le atmosfere epiche da abbordaggio sono presenti, così come quelle da locanda e feste alcoliche dopo il ritorno a Tortuga.
I Calico Jack mettono in evidenza una parte estrema, dovuta principalmente al growl, protagonista principale in coppia con il violino, sempre presente nell’economia del sound caratterizzante brani che, alla lunga, tendono ad appiattirsi risultando leggermente prolissi.
Sono forse troppi settanta minuti di durata per un album del genere, anche se non mancano certo episodi rocciosi e divertenti come l’opener The Secret Of Cape Code, Devil May Care e la notevole Under The Flag Of Calico Jack, brano che si rivela una sorta di saga musicale lunga diciotto minuti e picco dell’intero lavoro.
L’album è sostanzialmente rivolto ad appassionati di questo specifico genere, e se tali sonorità non sono esattamente nelle vostre corde non sarà certamente il debutto dei Calico Jack a farvi cambiare idea.
Tracklist

1.The Secret of Cape Cod
2.Where Hath th’ Rum Gone?
3.Death Beneath the Wave
4.Devil May Care
5.Caraibica
6.Songs from the Sea
7.Sharkbite Johnny
8.Grog Jolly Grog
9.Straits of Chaos
10.Under the Flag of Calico Jack
11.Jolie Rouge

Line-up
Giò – Vocals
Toto – Rhythm Guitar, Choirs
Melo – Lead Guitar
Dave – Fiddle
Caps – Drums
Gigi – Bass, Choirs

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Seven Thorns – Symphony Of Shadows

L’album è composto da nove brani nei quali la potenza del power è accompagnata da un buon talento melodico e da atmosfere progressive che mettono in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti, protagonisti di un lavoro a tratti avvincente.

I Seven Thorns sono un gruppo danese attivo da vent’anni, magari poco conosciuto fuori dai confini nazionali ma assolutamente in grado di solleticare i palati degli amanti del power metal dai gusti raffinati.

Symphony Of Shadows è il quarto lavoro del quintetto, non troppo produttivo nella sua carriera ma, a giudicare da quanto sentito in questo nuovo lavoro, capace di raggiungere un buon livello qualitativo in un genere che ultimamente è uscito dai primi posti nelle preferenze dei fans.
L’album è composto da nove brani in cui la potenza del power è accompagnata da un buon talento melodico e da atmosfere progressive che mettono in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti, protagonisti di un lavoro a tratti avvincente.
Le caratteristiche principali del sound dei Seven Thorns rileva una forte connotazione power/prog, strutturata su ritmiche potenti, un uso assai melodico e progressivo delle orchestrazioni che ricordano non poco i conterranei Royal Hunt, band a mio avviso che ha ispirato il gruppo del singer Björn Asking, non lontano come interpretazione dal regale DC Cooper.
I Seven Thorns non nascondono certo le loro influenze, passando appunto dai Royal Hunt agli At Vance e ai Sonata Artica, peccando forse in originalità, ma restando ben saldi sui piani alti del genere con una raccolta di brani dall’appeal notevole, sempre caratterizzati da potenza e melodia e resi eleganti dal gran lavoro alle tastiere di Asger W. Nielsen.
Black Fortress, la cavalcata Last Goodbye, il deciso power/prog metal di Virtual Supremacy e la conclusiva, neoclassica title track sono i brani cardine di questo ottimo lavoro firmato Seven Thorns.

Tracklist
1. Evil Within
2. Black Fortress
3. Ethereal (I’m Still Possessed)
4. Beneath a Crescent Moon
5. Castaway
6. Last Goodbye
7.Virtual Supremacy
8. Shadows Prelude
9. Symphony of Shadows

Line-up
Björn Asking – Vocals
Gabriel Tuxen – Guitars
Asger W. Nielsen – Keys
Mads Mølbæk – Bass
Lars Borup – Drums

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