Symptoms Of The Universe – Demo

Non è facile né consueto trovare un gruppo che ha una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa.

I Symptoms of the Universe sono un quartetto barese che ha pubblicato online il primo demo il, disponibile in download libero nel loro bandcamp.

Ciò che stupisce di più in questo do è solo l’inizio. Il loro suono si compone di moltissime cose, tra cui il black metal più etereo e meno convenzionale, infatti una loro canzone si intitola A Forest Of Stars, chiaro riferimento al magnifico gruppo inglese. Come definizione del loro genere si potrebbe parlare di post black metal, ma è davvero riduttivo. Ci sono momenti di grande creatività, invenzioni sonore di grande spessore, e grazie alla musica acquista valore anche il non detto, silenzi che fanno scaturire poi note bellissime. I quattro respirano allo stesso modo, l’affiatamento è notevole, le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e dimostrano notevole capacità compositiva, così come quella di cambiare registro più volte nel corso della stessa canzone che è propria solo di chi volge lo sguardo al cielo che sta sopra di noi. La produzione è ancora da saletta prove, ma ciò non è assolutamente un problema, fa anzi parte del fascino di questo gruppo. Non è facile né consueto trovare una band che abbia una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa. Anche gli errori aggiungono bellezza al tutto. Un fuoco che arde con passione, un demo molto prezioso e che potrebbe essere l’inizio di qualcosa di grande, perché qui c’è davvero moltissimo.

Tracklist
1.Intro
2.The Dead
3.Tears of a Careful Graverobber
4.Letters
5.Interlude
6.A Forest of Stars (pt.1 – The Rise; pt. 2 – The Fall)
7.Per Anna
8.The Knight That is Not
9.Outro

Line-up
Antonio – Rythm Guitars
Francesco – Bass
Wizard – Harsh Vocals
Giovanni – Clean and Harsh Vocals
Ermanno – Drums
Michele – Lead Guitar

SYMPTOMS OF THE UNIVERSE – Facebook

S.R.L. – Hic Sunt Leones

Hic Sunt Leones si rivela un album pesantissimo ma valorizzato da passaggi strumentali che entrano nell’ascoltatore come lame affilatissime: premere nuovamente il tasto play alla fine dell’outro Omne Ignotum Pro Magnifico diventerà una consolidata abitudine.

Dopo la firma con Rockshots Records è giunto il momento per gli ormai storici thrashers S.R.L. di licenziare un nuovo lavoro, intitolato Hic Sunt Leones (motto usato nell’antica Roma e che indicava i luoghi inesplorati e non ancora conquistati).

Il gruppo umbro arriva così al quarto full length di una discografia iniziata nel 1995 con il primo demo e completata da una manciata di ep, sempre nel segno di un roccioso death/thrash cantato in lingua madre.
Anche per questo nuovo lavoro, la Società a Responsabilità Limitata (monicker che si rifà alle grandi prog rock band italiane degli anni ’70) ci va giù pesante con undici nuove scariche adrenaliniche di metal estremo ben prodotto, attraversato da un’attitudine heavy che permette al gruppo di ricamare le proprie cavalcate con grandi melodie che vivono in simbiosi con la parte più violenta del sound.
Ne esce una raccolta di brani interessanti, decifrabili nel loro impatto estremo grazie ad un lavoro chitarristico di prim’ordine, una sezione ritmica rocciosa e un ottimo uso delle linee vocali, dal growl più profondo allo scream.
Il Museo delle Cere, Rimarremo Da Soli, la tempesta thrash di Demoni, il riff del mid tempo Di Luna e Deserto, brano di stampo melodic death e il terremoto creato dalla devastante Vertigine sono i momenti topici di quest’opera che non ha un momento di pausa, investendoci con una serie micidiale di diretti, puntando a fare male pur mantenendo le redini di questo purosangue metallico ben salde.
Hic Sunt Leones si rivela così un album pesantissimo ma valorizzato da passaggi strumentali che entrano nell’ascoltatore come lame affilatissime: premere nuovamente il tasto play alla fine dell’outro Omne Ignotum Pro Magnifico diventerà una consolidata abitudine.

Tracklist
01. Il Culto
02. Il Museo delle Cere
03. Tenebre
04. Rimarremo da Soli
05. Demoni
06. Un Sasso nel Vuoto
07. Di Luna e Deserto
08. Vertigine
09. L’uomo Senza Volto
10. Mezzanotte
11. Omne Ignotum Pro Magnifico

Line-up
Jerico Biagiotti – Bass
Rodolfo “RawDeath” Ridolfi – Drums
Cristiano “Alcio” Alcini – Guitars
Stefano Clementini – Guitars
Francesco “Khaynn” Bacaro – Vocals

S.R.L. – Facebook

Autori Vari – Mister Folk Compilation Vol. VI

Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizo che con passione e competenza ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero.

Come ogni anno torna la raccolta del miglior sito italiano di folk e viking metal in Italia, misterfolk.com, gestito dall’infaticabile Fabrizio Giosuè, autore anche dei fondamentali testi Folk Metal e Tolkien Rocks.

Siamo arrivati al sesto episodio, e i precedenti cinque erano davvero validi, oltre che essere in download libero allo scopo di valorizzare e far conoscere il validissimo sommerso di questi due sottogeneri del metal. In questa raccolta si possono ascoltare brani di gruppi di elevata qualità e sarebbe ingiusto citarne uno in particolare; allora ecco qui la lista completa con le loro nazionalità: Heidra (DK), Dyrnwyn (ITA), Bucovina (RO), Kanseil (ITA), Nebelhorn (D), Calico Jack (ITA), Alvenrad (NL), Storm Kvlt (D), Sechem (SPA), Bloodshed Walhalla (ITA), Ash Of Ash (D), Draugul (M), Evendim (ITA), Duir (ITA), Aexylium (ITA), Kaatarakt (CH), Balt Huttar (ITA), Moksh (IND).
Fra questi nomi ci sono formazioni che abbiamo già ascoltato e recensito su queste pagine, e altre che saranno ottime e gradite scoperte. La compilation racchiude in sé lo spirito della webzine, ovvero ricercare le perle nascoste di folk e viking metal, descrivendo l’ottimo momento che stanno attraversando. In molti luoghi, e forse anche vicino a voi, ci sono giovani e meno giovani che stanno compiendo un viaggio molto interessante attraverso sonorità e tematiche che si rifanno al passato, che non sono mero escapismo ma la ricerca di un qualcosa che si possa narrare con il metal come punto cardinale. Questi suoni sono caldi, coinvolgenti, belli e colpiscono al cuore, distogliendoci dalla modernità e riportandoci in un luogo che la nostra anima già conosce, senza negare le asperità di un passato che è comune. Musicalmente la compilation presenta una ricchezza non scontata e come i cinque episodi precedenti è di alto livello, ma questo sesto episodio rende chiaro che la maturità di questi sottogeneri sta producendo autentici capolavori, sia dal punto di vista della composizione e dell’esecuzione sia del pathos. Con questo regalo di Mister Folk si può spaziare da covi di pirati all’Antico Egitto, da villaggi delle valli del Nord Italia all’Isola di Smeraldo, da campi di battaglia dove svetta l’aquila romana fino alla remota India. Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizio che, con passione e competenza, ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero. Una menzione speciale per il bellissimo e consueto artwork di Elisa Urbinati, sempre molto elegante ed minimalmente affascinante.

MISTER FOLK – Facebook

MISTER FOLK COMPILATION Vol. VI

Give Up The Ghost – Before Heading Home

Un ep convincente, con sei brani che ci presentano un gruppo da tenere d’occhio, visti i margini di miglioramento e le strade non così scontate che potrebbero essere percorse in futuro.

Melodic death o metalcore?’

Per quanto riguarda il primo lavoro dei riminesi Give Up The Ghost la verità sta nel mezzo, nel senso che il loro sound risulta personale e meritevole di attenzione, amalgamando sagacemente death melodico, gothic e metalcore.
Before Heading Home è il loro primo ep, uscito sul finire dello scorso anno e composto da sei brani, con l’apertura lasciata ad Archetype, canzone scelta come singolo e che è il sunto di quello che si ascolterà nel proseguo.
Licenziato dalla Volcano Records, l’album è stato realizzato nell’arco di due anni e si sofferma a livello lirico sul periodo che intercorre tra la fine di un viaggio ed il ritorno a casa.
Una voce femminile duetta con il growl, che conferisce un’anima gothic ai brani, mentre la band passa agevolmente tra ritmiche più tirate e di matrice death a mid tempo che si rifanno al metal più moderno: le orchestrazioni hanno la loro importanza, ma non sono invadenti così come le divagazioni folk delle splendide Zwbriwska e Voluspa, tracce che concludono ottimamente il lavoro.
Un ep convincente, con sei brani che ci presentano un gruppo da tenere d’occhio, visti i margini di miglioramento e le strade non così scontate che potrebbero essere percorse in futuro.

Tracklist
1. Archetype
2. The Longest Dive
3. The Barbaric Way
4. Ding Dong Song
5. Zwbriwska
6. Voluspa

Line-up
Christopher Mondaini – Vocals
Thomas Gualtieri – Keyboards
Michele Vasi – Guitar
William Imola – Guitar
Lodovico Venturelli – Bass
Yann Gualtieri – Drums

Rolando Ferro – Drums

GIVE UP THE GHOST – Facebook/

Vetrarnott – Scion

Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Black metal classico e molto ben suonato per gli italiani Vetrarnott.

Questo ep è stato concepito come omaggio alla scena black metal del nord Europa, sia della prima che della seconda ondata. Inoltre il disco è anche una descrizione musicale della storia mitica dei tre figli di Loki e Angrboða. Quest’ultima era una gigantessa, il cui nome significa colei che porta tristezza, che si unì con Loki, nato dall’unione di un gigante e di una gigantessa: dalla loro unione nacque il lupo Fenrir, che avrà un ruolo importante nel Ragnarok, il dies irae nordico. Scion, tra le altre cose, significa anche discendente di una nobile stirpe. Infatti i Vetrarnott sono tre musicisti che hanno inciso tre canzoni di black metal come altrettanti omaggi al black metal e alla cultura nordica perché, come dice il fondatore Gar Ulfr, questo ep segna un passaggio molto importante nella storia del gruppo in quanto segna il distacco dai temi nordici per arrivare a cantare dei miti italici, come nella quarta canzone, la bonus track La Voce Degli Dei. Questa canzone è è un ottimo inizio per la nuova fase del gruppo e il cantato nella nostra lingua valorizza ulteriormente il valido black metal del gruppo pugliese. L’ep Scion è un’ottima prova per una band che ci propone musica di ottima fattura, con dichiarata preferenza per il black scandinavo, specialmente quello della seconda ondata. Tutto è molto intelligibile e fatto con ottime scelte, troviamo anche momenti meno veloci che sono utili per rafforzare ulteriormente una struttura già buona. I Vetrarnott sono uno di quei non comunissimi gruppi che hanno compenetrato alla perfezione la materia, ovvero sono riusciti a cogliere il lato più musicale e creativo del black, e ne hanno tratto una versione tutta loro e molto originale, che qui giunge al massimo compimento. Anche con l’uso dell’inglese il risultato è ovviamente molto buono. Una delle peculiarità del gruppo è un incedere sì violento e deciso, che è però al contempo anche sognante ed arioso. Scion è una prova molto convincente per una band che ha operato una scelta importante in maniera consapevole e ci riserverà ancora black metal di ottima fattura sui miti italici, per cui speriamo presto di avere un nuovo disco sulla lunga distanza dei Vetrarnott.

Tracklist
1.The Tide
2.Unbound
3.Helvegr
4. La Voce Degli Dei (bonus track)

Line-up
Gar Ulf – Vocals, Bass, Keys, Programming
Valar – Lead & Solo Guitars
Osculum – Rhythm & Acoustic Guitars
Ambrogio L – Live Drums

VETRARNOTT – Facebook

Ferum – Vergence

Per i Ferum, Vergence rappresenta un primo passo ineccepibile e quindi una base ideale per costruire qualcosa di ancora più interessante e consistente in futuro.

L’esibizione in musica del dolore e del disagio può avvenire in maniere diverse, certo è che che il metal offre in tal senso diverse ed efficaci gamme: quella scelta dagli esordienti Ferum è un death doom corrosivo e decisamente avaro di slanci melodici.

La band ha la sua base a Bologna ed e stata fondata da Samantha, la quale si disimpegna alla voce e alla chitarra, oltre ad essere autrice di tutte le musiche, e da Angelica (batteria), raggiunte in seguito da Matteo al basso.
Il growl è aspro ed efferato più che profondo, come è sovente quello femminile, e si adegua ottimamente ad un sound volto ad esprimere la giusta dose di rabbia e disgusto; la componente death è prevalente nel suo rappresentare la frangia più morbosa e putrida del genere, con i rallentamenti di matrice doom che giungono puntuali a conferire quel pizzico di varietà sotto forma di cambi di tempo.
Così quest’opera prima dei Ferum lascia buone impressioni, in virtù di una convinzione ed una chiarezza d’intenti che non sono sempre facilmente riscontrabili: dei cinque brani offerti, i primi tre si snodano in maniera uniforme, mentre il quarto, decisamente più cadenzato, è l’efficace cover di Funeral, traccia che segnò l’esordio nel 1990 degli storici statunitensi Cianide.
Chiude l’ep Ed È Subito Sera, brano che riprende liricamente la breve poesia di Quasimodo: anche in questo caso il trio brilla per il suo sound essenziale e coinvolgente che si apre a tratti, questa volta. anche melodicamente andando a lambire lidi black metal.
Per i Ferum, Vergence rappresenta un primo passo ineccepibile e quindi una base ideale per costruire qualcosa di ancora più interessante e consistente in futuro.

Tracklist:
1. Siege Of Carnality
2. Perpetual Distrust
3. Subcoscious Annihilation
4. Funeral (Cianide cover)
5. Ed È Subito Sera (Outro)

Line-up:
Angelica: drums
Samantha: guitars, vocals
Matteo: bass

FERUM – Facebook

Christine IX – Crosses And Laurels

Scritto e suonato quasi interamente da Christine IX, Crosses And Laurels è un ottimo esempio di alternative rock al cui interno ritroviamo ispirazioni ed influenze che partono dalla linea rosa del grunge dei primi anni novanta, dal rock ‘n’roll settantiano e dal punk rock.

Dietro al nome Christine IX si muove un’artista a tutto tondo, polistrumentista, cantante, scrittrice e produttrice dei suoi lavori.

Prima cantante del gruppo Shotgun Babies, con cui dà alle stampe un ep, due full length e varie compilation, poi varie collaborazioni con gruppi della scena underground e con scrittori e poeti, in performance letterarie e musicali, e infine la sua carriera solista nel mondo del rock, prima con l’album Can I Frame The Blue? licenziato nel 2015 ed ora questo ottimo secondo lavoro, intitolato Crosses And Laurels.
Scritto e suonato interamente dalla musicista, con l’aiuto dei soli Luca Greco alla batteria e Katija Di Giulio, al violino nel singolo Talking Like Lovers, l’album è un ottimo esempio di alternative rock al cui interno ritroviamo ispirazioni ed influenze che partono dalla linea rosa del grunge dei primi anni novanta (Babies In Toyland, L7), dal rock ‘n’roll settantiano (Joan Jett & The Blackhearts) e dal punk rock (Plasmatics).
Un sound da riot girl, quindi, nel quale la tensione palpabile e l’atmosfera nervosa non lasciano dubbi sulle intenzioni bellicose di Christine IX.
L’opener Talking And Lovers si sviluppa come un conto alla rovescia, mentre l’elettricità sale ed esplode nella seguente Harm And Fear, brano che ricorda i The Nimphs di Inger Lorre.
La padronanza della materia, unita ad una notevole esperienza, porta Christine IX ad uscire vincitrice da ogni scontro/incontro con le sue ispirazioni: il sound risulta un’altalena tra brani più intimisti (Redon) ed altri più tirati (Never Give Up), in cui non mancano accenni alla regina del grunge Courtney Love, ma sempre lasciando in risalto la spiccata personalità di cui si può fregiare la musicista nostrana.
La top song dell’album arriva con il brano numero sette, ovvero God Has Gone To War, sunto del sound di Crosses And Laurels e delle influenze che lo hanno ispirato.
Christine IX è un’artista a 360°, non ché bravissima cantante e songwriter di spessore, e chissà quali riscontri avrebbe potuto ottenere se la sua carta d’identità fosse stata statunitense.

Tracklist
1.Talking Like Lovers
2.Harm And Fear
3.Redon
4.Neurotoxic
5.Never Give Up
6.Fancy Scar
7.God Has Gone To War
8.She Lived One Day
9.All The Other Girls

Line-up
Christine IX – guitars, bass, vocals, piano, lyrics, xylophone, harmonica
Luca Greco – drums
Katija Di Giulio – violin on Talking Like Lovers

CHRISTINE IX – Facebook

ACHERONTE – SON OF NO GOD

Con questo secondo album, uscito per l’etichetta ucraina Grimm Distribution, il quartetto marchigiano conferma quanto di buono già espresso con le produzioni precedenti. Un ottimo lavoro, completo, maturo e mai banale.

La mitologia greca o romana, da sempre, ha influenzato il Black Metal della Fascia Mediterranea. Non fanno eccezione i marchigiani Acheronte (un nome, una garanzia) che, attraverso questo loro ultimo sforzo (il secondo full-length dopo già un demo, un mini cd e due split all’attivo) ci traghettano, quasi impersonificando Caronte stesso, nell’Ade del Black Metal.

Il viaggio dura poco più di 45 minuti, attraverso 6 tracce di puro odio antico, avviluppandoci tra le fiamme dell’Inferno, in un viaggio musicale devastante. Non stiamo navigando per quel ramo del Lago di Como, ma percorriamo il fiume del dolore (come lo definivano gli antichi greci), il ramo del fiume Stige, unica via verso gli Inferi più profondi. Il viaggio sul fiume che dissetò i Titani (scatenandone l’ira di Zeus, che lo maledì), non poteva che avere una colonna sonora tetra, nera, oscura, stigia appunto.
Immersi nel Chaos abissale, gorgogliante oscenità e blasfemie, per via del messaggero (nonché cantante…) Lord Baal (all’anagrafe Mario Sgattoni, abile orditore di parti vocali e maestro nell’arte alchemica del miscellaneo scream/growl), percorriamo in sei lunghe tappe il nostro pellegrinaggio, verso la destinazione che segnerà la fine della vita per come la intendiamo noi, attraversando il confine tra il mondo dei vivi e il mondo e gli Inferi, verso il nostro destino di dannazione eterna.
Il nostro viaggio verso l’Oltretomba non sarà silenzioso. Come nei migliori film horror, il soundtrack dovrà esserne all’altezza, e pertanto quanto proposto dai Nostri dovrà, per forza di cose, prepararci agli eterni dolori e alle infinite sofferenze, che ci riserveranno gli Inferi. Il desolante Black Metal degli Acheronte pertanto, rende ancor più angosciante il nostro conosciuto destino, consapevoli che la musica qui, non vuole allietarne il viaggio, bensì renderlo ancor più disperato e ricolmo di afflizione e tormento.
Ma noi ne siamo coscienti. Anzi, è proprio quanto ci donano i quattro ragazzi di San Benedetto del Tronto, a darci forza, attraverso un Black Metal ottimamente suonato, sì classico, ma mai assolutamente monotono e scontato. Molti cambi di tempo denotano, fin da subito, buone capacità tecniche e non indifferenti attitudini creative. Brani come Heralds of Antichrist e Babylon Unholy Hammer sono un inno all’anti-cristianità e a malvagi Dei Antichi; brani ben studiati, capaci di irrompere nei nostri padiglioni auricolari, grazie ad un blast beat ciclico, tipico del genere, ma mai caotico od improvvisato. Accelerazioni improvvise, travolgenti, grazie alla furia cieca (ma non sorda…) di Bestia, ossia Marco Del Pastro, che ha scelto un monicker adatto alle sue belluine attitudini musicali; come in Trascendental Will e nella title track, dove un drumming feroce, ma incapace di avvilupparsi su se stesso, ed invece sapientemente abile a dettare i ritmi ai pezzi, dialogando meravigliosamente con Phobos (Luigi Biondi, abile manipolatore della sei corde) e con A.T. La Morte (bass player – alias Adamo Tirabassi), riesce a rendere ogni traccia differente, meravigliosamente discorde, una dall’altra. E così, l’album piacevolmente scivola via, verso l’ultima traccia, Fall of Perfection. Dodici minuti (e venticinque secondi) di cadenzati ritmi, velocità sostenute, ossessive ciclicità, in una delle più classiche forme di traditional blast, che ci coinvolgono totalmente, dimentichi che allo scoccare del ventiseiesimo secondo, saremo giunti infine, alle porte degli Inferi. D’altronde Caronte ci aveva avvertiti : “Non sperate mai più di rivedere il cielo. Io vi porto sull’altra riva nel buio eterno, nel fuoco o nel gelo“.

Tracklist
1. Heralds of Antichrist
2. Four Beasts
3. Babylon Unholy Hammer
4. Trascendental Will
5. Son of No God
6. Fall of Perfection

Line-up
Phobos – Guitars
Lord Baal – Vocals
A. T. La Morte – Bass
Bestia – Drums

ACHERONTE – Facebook

Luke Fortini – Inside

Fortini, oltre alla riconosciuta ottima preparazione strumentale, esibisce anche un buon talento nella scrittura di brani che non restano avviluppati da virtuosismi fine a sé stessi.

Non certo un nome nuovo della scena metal/rock nazionale, il chitarrista Luke Fortini presenta il suo nuovo album solista interamente strumentale.

Il musicista, oggi in forza agli Hyperion (band heavy/thrash di cui ci siamo occupati in occasione dell’uscita dell’album Dangerous Days) ed agli Imago Imperii (epic/power metal), ha un passato in molti altri gruppi della scena metal tricolore e alle spalle una manciata di lavori solisti che precedono questo nuovo lavoro intitolato Inside.
I sette brani sono stati scritti, registrati e suonati interamente da Fortini, il quale, oltre alla riconosciuta ottima preparazione strumentale, esibisce anche un buon talento nella scrittura di brani che non restano avviluppati da virtuosismi fine a sé stessi rivelandosi a loro modo originali ed affascinanti anche per chi non ama le opere strumentali.
L’album si apre con la title track, un brano progressivo e dalle atmosfere oscure che a tratti ricorda i Goblin, ma a seguire le tracce prendono strade diverse, raggiungendo lidi che vanno dal metal estremo al rock sperimentale, fino a raggiungere atmosfere stranianti nella conclusiva From Hell To Space, che si sviluppa tra suoni ed effetti dai rimandi cinematografici, ricordando la colonna sonora di un film muto.
Un album scritto per sé stesso, che trova nella sua varietà di stili l’arma per non sfigurare tra le opere del genere.

Tracklist
1.Inside
2.The Prism
3.Interplanetary Code
4.Irregular
5.The Black Demon
6.Virtuoso
7.From Hell To Space

Line-up
Luke Fortini – All Instruments

LUKE FORTINI – Facebook

Duirvir – Endless Graves, Endless Memories

Il disco è una puntata notevole dell’eterno raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta.

I Duirvir sono di Udine, e sono nati nell’estate del 2011 da un’idea dei due chitarristi Iskhathron e Ithydvea.

Il gruppo nacque inizialmente come progetto di melodic death meta sulla scia di gruppi come gli Amon Amarth, e in seguito il progetto è evoluto in maniera costante, fino ad arrivare ad un post black metal, che è la punta dell’iceberg, perché sotto ci sono molte meraviglie. Come tanti musicisti di talento ed evoluti, i Duirvir hanno intrapreso un sentiero sconosciuto che passo dopo passo è mutato ed è arrivato ad essere ciò che ci presentano in questo bel debutto sulla lunga distanza. Il cambio avviene con il primo demo Duir del 2013, dove le istanze post black, atmospheric black e doom vedono la luce in maniera compiuta per poi realizzarsi nell’ep Idho del 2014, che permette loro di suonare anche in festival prestigiosi. Una domanda lecita che potrebbe essere fatta da un ascoltatore attento è la seguente: cosa hanno i Duirvir di diverso rispetto ai tanti gruppi atmospheric e post black? Una breve risposta potrebbe essere che la musica della band udinese ha un sapore diverso, un incedere molto più black nel tipo di composizione e nella resa. La risposta più lunga e molto più compiuta sono le cinque tracce e i quasi trenta minuti di Endless Graves, Endless Memories, un disco che va assaporato lentamente, come una giornata di neve lenta, dove si guarda fuori dalla finestra o camminando sulla neve fresca, in quel silenzio carico di rumori soffusi. L’atmosfera creata dai Duirvir è notevole e molto ben strutturata, si sente subito che il gruppo ha qualcosa in più, e lo sviluppo del disco è pieno di episodi notevoli, di momenti malinconici e dolci, di carezze struggenti e graffi rabbiosi, di slanci e di momenti di isolamento, ma tutto è caduco eppure eterno proprio come dice il titolo. Il disco è una puntata notevole dell’infinito raccontare della vita e della morte, di come siamo cenere portata via dal vento, mentre viviamo per un ricordo, per un attimo che brucia in fretta. Il cantato in growl si alterna a quello in chiaro e le voci giostrano benissimo, come tutto il resto del gruppo. Un’opera che colpisce al cuore chi sa che dentro al black ci sono infiniti universi, un premio per persone che godono di piccole grandi gioie: il gran debutto di un gruppo che ha ancora enormi margini e tanto da dire.
Scaricabile con offerta libera dal loro sito.

Tracklist
1.Autumnal Lethargy
2.Blooming the Rose
3.Storm’s Chant
4.Drop from the Woods
5.Haggard Sin

Line-up
Marjan – Voice, Guitar
Ivan – Guitar
Luca – Bass
Fabiano – Drums

DUIRVIR – Facebook

Kotiomkin – Lo Albicocco al Curaro Decameron 666

Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie.

Nuovo disco di questo duo italiano che confeziona splendide colonne sonore di film immaginari.

Il gruppo nasce da un’idea di Ezio P. Zender nel 2012 e ha già pubblicato Maciste Nell’Inferno Dei Morti Viventi – Peplum Holocaust e Squartami Tutta – Black Emanuelle Goes To Hell: i titoli dicono molto ma la questione è ancora meglio. La musica di questo duo è un qualcosa di inedito per molte orecchie, un viaggio di synth e chitarra, inframezzato da estratti da questi film immaginari. In pratica come se fosse una jam adattata alle immagini, questa musica che ora si attarda ora si slancia impetuosa è qualcosa che scorre senza mai ripetersi per tutto il corso del disco. Le idee dei Kotiomkin sono molteplici e tutte buone, l’ascoltatore non sa mai cosa lo aspetta, e il viaggio sonoro è molto bello. Le fondamenta di questo suono sono le colonne sonore dei film italiani minori degli anni sessanta, settanta e ottanta, film innovativi e dalle grandi soundtrack, nelle quali l’avanguardia musicale poteva mostrarsi nuda e senza remore, regalando molte gioie. Per la prima volta nella sua carriera il gruppo abbandona le chitarre per fare il tutto con i synth e la batteria. Il suono è molto fresco e ha un forte sapore di improvvisazione jazzistica, un andare oltre la forma canzone rompendo molti schemi in nome di un’avanguardia che è soprattutto mentale. La fisicità e il sesso sono qui onnipresenti, legandosi al dimonio che guida le azioni di donne e falli sventurati, e anche questo è reso benissimo ed in maniera molto fantasiosa. Una suora suicida, un padre che non si arrende, un demonio e tanto altro per una storia avvelenata come un albicocco al curaro. Qui i generi musicali si sovrappongono, dal noise al lounge satanico, stoner, prog e tanto altro, per un qualcosa di davvero originale ed unico. Non costa molto vendere l’anima ai Kotiomkin, ne ricaverete solo grande godimento.

Tracklist
Lo Lato A
I. Fatal Commestio
II. Sexy Averno
III. Metti lo Diavolo Ne Lo Convento

Lo Lato B
IV. Vilan Chesserton
V. Satanasso “Protettore” Delle Donne

Line-up
Enzo P. Zeder – Bass & Analogic Synthesizers
Gianni Narcisi – Drums

KOTIOMKIN – Facebook

Electrocution – Psychonolatry

Gli Electrocution sono tornati portandoci una ventata di odio e brutalità da respirare a pieni polmoni.

Questo inizio anno porta in dote un lavoro attesissimo dagli amanti del metal estremo; il nuovo album dei leggendari deathsters nostrani Electrocution.

Il quintetto bolognese, tramite la GoreGoreCords (sublabel di Aural Music) ritorna e pianta un altro tassello di musica estrema in cui la tecnica è messa al servizio di un death metal al quale non manca l’apporto di quelle sonorità thrash che ne alzano il livello di devastazione sonora.
Psychonolatry è un lavoro curato nei minimi dettagli dal respiro internazionale, da parte di una band che riprende il suo posto tra le migliori realtà del genere e confrontandosi alla pari con i colleghi di un tempo tornati nell’ultimo periodo a ribadire la loro superiorità nel genere.
Raccontare, anche in poche righe, la storia del gruppo e l’importanza per il movimento tricolore di un lavoro come Inside the Unreal, uscito nel lontano 1993, sembra superfluo anche perché chi legge queste righe non può non conoscere la band e quello che per lungo tempo è rimasto il suo unico lavoro su lunga distanza prima del ritorno, nel 2014, con l’ottimo Metaphysincarnation.
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, la band nel corso degli anni non si è fatta mancare nulla tra lunghi silenzi, lavori minori che inciampavano nei trend del momento (Acid But Suckable ep del 1997) e cambi di line up, ma rimane il fatto che Psychonolatry sia album imperdibile per gli amanti del death metal.
Accompagnato dall’artwork realizzato da Gustavo Sazes (Arch Enemy e Morbid Angel) l’album è composto da dieci brani più la versione riregistrata di Premature Burial, brano che apriva lo storico lavoro del ‘93.
Psychonolatry è un assalto sonoro di notevole impatto inferto da una macchina macina riff che non conosce tregua come sono gli Electrocution bel 2019, una band che non risparmia violenza ma incastona melodie tra le sfuriate di brani devastanti come la title track, la seguente Hallucinatory Breed, mid tempo potentissimo che accelera nel finale e lascia spazio alla terremotante Bulåggna (Bologna), a Warped e a Misanthropic Carnage.
Gli Electrocution sono tornati portandoci una ventata di odio e brutalità da respirare a pieni polmoni.

Tracklist
1.Psychonolatry (The Icons of God and the Mirror of the Souls)
2.Hallucinatory Breed
3.Bulåggna
4.Warped
5.Of Blood and Flesh
6.Misanthropic Carnage
7.Malum Intra Nos Est (Seneca I century AD)
8.Divine Retribution
9.Organic Desease of the Sensory Organs
10.Bologna 11 – Premature Burial (re recorded)

Line-up
Mick Montaguti – Voice
Vellacifer – Drums
Mat Lehmann – Bass
Neil Grotti – Guitar
Alessio terzi – Guitar

ELECTROCUTION – Facebook

Fist Of Rage – Black Water

Black Water è un album che merita l’attenzione degli amanti del metal/rock di gran classe, in grado di riportare all’attenzione degli appassionati una band reduce da un lungo silenzio come i Fist Of Rage.

L’Andromeda Relix è da anni sinonimo di grande musica metal e rock, in quanto ogni album che giunge alla nostra attenzione ha quale comune denominatore l’alta qualità della proposta, indipendentemente dal genere trattato.

Non differisce da tali coordinate il secondo album dei Fist Of Rage, band friulana che esordì otto anni fa con Iterations To Reality: BlackWater è infatti un gran bel lavoro, a suo modo originale nel proporre un sound che accoglie tra le sue note una manciata di generi e li rielabora a suo piacimento trasformandoli in un ottimo esempio di metal classico dai rimandi progressivi e AOR, potenziato a tratti da ritmiche che si avvicinano al power rock.
E’ da qui che il sestetto parte per il suo viaggio nelle acque oscure di un mare in preda ad una tempesta metallica, con il cantante Piero Pattay che offre una prestazione notevole, a tratti graffiante come un cantante metal di razza, ma anche splendidamente melodico.
I Fist Of Rage non puntano tutto sulla tecnica esecutiva da prog metal band ma guardano, semmai, all’hard rock melodico ed alle sue emozionanti melodie al servizio di un sound che passa dagli anni ottanta (Rainbow e Europe) ai novanta (Dream Theater), per entrare nel nuovo millennio tra fuochi d’artificio metallici grazie a splendidi e robusti brani come l’opener Just For A While, la successiva e potentissima New Beginning, ed il nucleo centrale composto da Mudman, Lost e These Days.
Black Water è un album che merita l’attenzione degli amanti del metal/rock di gran classe, in grado di riportare all’attenzione degli appassionati una band reduce da un lungo silenzio come i Fist Of Rage.

Tracklist
01. Just For A While
02. New Beginning
03. Between Love & Hate
04. Black Water
05. Mudman
06. Lost
07. These Days
08. Awake
09. Set Me Free
10. September Tears

Line-up
Piero Pattay – Vocals
Marco Onofri – Guitar
Davide Alessandrini – Guitar
Saverio Gaglianese – Bass
Stefano Alessandrini – Keyboards
Alfredo Macuz – Drums

FIST OF RAGE – Facebook

Nosexfor – Nosexfor

A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione.

Esordio per il duo vicentino Nosexfor, composto da Severo Cardone e Davide Tonin.

Al primo ascolto non si rimane particolarmente impressionati dalla loro musica e dai loro testi, ma dopo un po’ che li si ascolta si rimane stupiti di quanto siano bravi e capaci nel rendere melodie e pensieri, fissandoli su piccoli bassorilievi musicali che colpiscono per la loro originalità e credibilità.
La prima impressione non era certo colpa del duo veneto, che infatti poi convince appieno, ma della nostra abitudine a sentire cose in poco tempo cercando di trovarci del senso e delle cose che in realtà non ci sono. In questo periodo storico, nel più completo rovesciamento della realtà, il cosiddetto indie è diventato più mainstream del mainstream stesso, attraverso formule musicali che sono per lo più vuote e barocche; quando contano più i followers su Instagram che la musica, l’atto musicale passa quasi in secondo piano, sotterrato da nuovi guru sonori. Poi arrivano dischi come questo d’esordio dei Nosexfor che, con parole adeguate e musica minimale e veritiera, ti aprono gli occhi riportandoti dove vorresti sempre essere stato. La formula chitarra e batteria è stata percorsa da molti gruppi negli ultimi anni, c’è chi lo ha fatto bene chi un po’ meno, ma i Nosexfor appartengono decisamente al gruppo di chi ha qualcosa da dire e lo grida bene. Non ci sono pose particolari, nessuna costruzione senza fondamento, ma un uso intelligente e potente della musica e delle parole. Melodie inusuali, momenti accelerati e fasi più intime che si incontrano e danno vita ad una formula assai inusuale per l’Italia, ovvero una specie di stoner rock dai molti risvolti, con tanta realtà raccontata in maniera mai isterica e puntuale. A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione. Inoltre c’è un sentore di blues che aleggia per tutto il lavoro, arricchendolo di una forza calma ed inoppugnabile. I Nosexfor fanno un qualcosa che è nell’aria e che c’è per chi ne sa cogliere la presenza, un piccolo tesoro che aspettavamo da tanto, con quella voce in italiano su un tappeto di suoni che sgorgano incessanti.

Tracklist
1Pensavo fosse ok
2 Zero Meno
3 Perdere la testa
4 Ma non ti preoccupare
5 L’America
6 Niente luci in centro
7 Noi
8 Bambino Vodu’
9 Eva
10 Quello che resta

NOSEXFOR – Facebook

Subtrees – Polluted Roots

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Tutti portiamo un certo grado di tossicità dentro di noi, abbiamo un lato che come un click difettoso non funziona molto bene, o funziona molto meglio della parte che crediamo sana, comunque c’è e vive assieme a noi come un simbionte. La sensazione più importante fra le tante che regala questo disco è il tremendismo, un senso di catastrofe imminente che fortunatamente non si riesce a cogliere nella sua pienezza perché siamo intossicati, e i nostri pensieri viaggiano molto lentamente. Musicalmente il disco esplora diversi lidi e tocca molte istanze musicali, a partire da un forte retrogusto grunge che permea tutta l’opera, ma si va anche verso il noise anni novanta, tenendo sempre ben presente la propria impronta originale. Procedendo nell’ascolto si trova anche un incedere tipico degli Isis, ovvero un passo musicale davvero ampio e che abbraccia l’ascoltatore mentre lo porta lontano. La musica dei Subtrees è qualcosa che riscalda e che scorre direttamente nelle vene, come un droga salvifica, rinnovando la nostra tossicità, rendendola inevitabile e immanente. La completezza del disco è difficile da descrivere a chi non lo ascolterà, perché è sempre la musica che deve spiegare, qui possiamo solo dare indicazioni di ascolto, e questo è un ascolto da fare assolutamente. Le atmosfere create dal gruppo sono bolle temporali nei quali ci si sente confortevoli e al contempo viene esposto il nostro disagio. Non ci sono momenti particolarmente veloci, è tutto molto incisivo e ben composto, con trame che non si sentivano da tempo per un gruppo davvero notevole.

Tracklist
1.Syngamy
2.Everything’s Beautiful, Nothing Hurt
3.Conversation #1 (Hero’s Death)
4.Conversation #2 (Adam’s Resurrection)
5.Reflections
6.Motorbike
7.Jungle/Overexposure

Line-up
Roberto Andrés Lantadilla – voce, chitarra e testi
Nicola Venturo – basso e sintetizzatori
Riccardo Pantalone – chitarra e ostrich guitar
Alberto Lazzaroni – batteria

SUBTREES – Facebook

Khali – Tones Of The Self Destroyer

Tones Of The Self Destroyer è composto da nove brani all’insegna di un potente thrash/hardcore in cui vengono immessi elementi death e di metal moderno, valorizzando il tutto con azzeccate parti rock dai rimandi progressivi.

Altra ottima proposta dalla nostrana Ghost Label Record, etichetta con un roster vario e dal buon spessore artistico.

La band in questione, i Khali, è un trio attivo nella capitale dal 2015 composto da Cristian Marchese (basso e voce), Paolo Nadissi (chitarra e voce) e Vincenzo Agovino (batteria), giunto al traguardo del debutto discografico con questo massiccio Tones Of The Self Destroyer, con i suoi nove brani all’insegna di un potente thrash/hardcore in cui vengono immessi elementi death e di metal moderno, valorizzando il tutto con azzeccate parti rock dai rimandi progressivi.
L’uso della doppia voce assolutamente perfetto è la ciliegina sulla torta di un debutto interessante e ben costruito: la band mantiene un livello di potenza estrema senza risultare monocorde e variando l’approccio aggressivo con un’innata predisposizione a sfumature post rock.
Il grande lavoro della parte ritmica (in Hypo Crisis sembra di ascoltare una versione death metal dei Primus), un muro ritmico impressionante, taglienti solos di scuola thrash nelle parti chitarristiche e, come scritto in precedenza, l’uso della doppia voce sono i tratti distintivi di questo lavoro che non conosce cedimenti e scorre aggressivo e maturo fino alla sua conclusione.
Dark Matter, Life, Vulture Gods e la conclusiva The Core sono i brani cardine di questo Tones Of The Self Destroyer, una vera sorpresa per gli amanti del metal dai rimandi hardcore e thrash.

Tracklist
1.Ordinary empty earth
2.Ashes of none
3.Dark Matter
4.Rage
5.Hypo crisis
6.Life
7.Vulture God
8.Marching ants won’t stop
9.The Core

Line-up
Cristian Marchese – Bass, Vocal
Paolo Nadissi – Guitar, Vocal
Vincenzo Agovino – Drums

KHALI – Facebook

Bullfrog – High Flyer

I Bullfrog danno vita all’ennesimo tributo ad un genere immortale, senza temere di confrontarsi con tutti i miti facenti parte della lunga e affascinante storia del rock e donano agli amanti di queste sonorità uno scrigno di emozioni forti.

Se l’hard rock classico continua ad essere uno dei vostri abituali ascolti, magari accompagnato da una dose letale di blues, allora correte nel vostro negozio di fiducia perché sono tornati i Bullfrog, power trio nostrano attivo dall’ormai lontano 1993 ed arrivato con questo sanguigno ultimo lavoro al quinto album della propria discografia.

Non stiamo parlando di novellini quindi, ma di gente che vive di blues e di rock da una vita, con l’attitudine e l’energia per regalare agli amanti del genere un piccolo gioiellino .
La band veronese di acqua sotto i ponti ne ha vista passare tanta, ha diviso il palco con leggende dell’hard rock mondiale e tutta la sua esperienza, passione e bravura le ha riversate in questi undici capitoli che formano quasi un’ora di meraviglie sonore racchiuse nel titolo High Flyer.
Francesco Dalla Riva (voce e basso), Silvano Zago (chitarra) e Michele Dalla Riva (batteria) danno vita all’ennesimo tributo ad un genere immortale, senza temere di confrontarsi con tutti i miti facenti parte della lunga e affascinante storia del rock e donano agli amanti di queste sonorità uno scrigno di emozioni forti.
Hard rock, blues, southern rock vengono racchiusi in un sound che rimanda ad immagini di palchi immensi in grandi festival estivi aldilà dell’oceano, dove ai grandi del rock americano si aggiungevano i gruppi anglosassoni alla ricerca di una conferma nel nuovo continente.
Led Zeppelin, Cream, Bad Company, Lynyrd Skynyrd, Hendrix, i Deep Purple di Coverdale e Hughes, ma chi conosce la storia del rock sa che le ispirazioni non finiscono qui, come non manca ovviamente la firma del trio veneto che mette in campo tutta la sua personalità.
Lola Plays The Blues, la stratosferica jam Dangerous Trails, il southern di Rod Hot, Out Of The Wide Sea dal riff che alza centimetri di pelle d’oca sono i momenti migliori di un imperdibile album senza tempo.

Tracklist
01. Lola Plays The Blues
02. Losing Time
03. Hot Rod
04. Beggars and Losers
05. Dangerous Trails
06. Johnny Left The Village
07. Dance Through The Fire
08. Three Roses
09. Out on The Wide Sea
10. Blind Leader
11. River of Tears

Line-up
Francesco Dalla Riva – Vocals, Bass
Silvano Zago – Guitars
Michele Dalla Riva – Drums

BULLFROG – Facebook

Morso – Lo Zen e L’Arte del Rigetto

In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano.

Incisivo noise math con fortissime influenze hardcore punk in italiano per il debutto dei Morso.

Il gruppo nasce fra Milano e Varese nella Lombardia che scalcia, dal desiderio del chitarrista Davide e del cantante Guido di fare musica senza canovacci prestabiliti, riportandola alla sua origine di mezzo espressivo libero. Raggiungono pienamente il loro scopo e vanno anche oltre, dato che gettano un ponte fra un qualcosa di moderno e una particolare declinazione dell’hardcore che era in voga nei primi duemila, sulla scia dei La Crisi tanto per capirci. Come radici abbiamo la furia e l’urgenza dell’hardcore punk, unito ad un noise che aumenta la carica distruttiva. I Morso sono un gruppo che picchia pesante e viaggia veloce, ma la musica è sempre ben suonata e prodotta con attenzione, i testi sono particolari e si capiscono molto bene, anzi sono al centro della scena. Si parla di questa realtà dopata, della scomparsa della stessa, di questa gran confusione che ci picchia in testa e fa male, maledettamente male. Ciò che stava su ora è giù, e ciò che stava giù e salito e tutto ci appare normale. I Morso sono come la pillola rossa di Matrix, sarai catapultato più vicino alla verità a tuo rischio e pericolo, il tutto attraverso una musica incessante ed incalzante, assolutamente originale. In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano. I Morso non ti lasciano quiete, non c’è più aria e bisogna andare veloci. Un disco veloce ma che si insinuerà in profondità dentro di voi.

Tracklist
1 . Liberaci Dal Male
2. Nessuno e Centomila
3. Pieno di Istanti
4.Non Si Muore Ogni Dicembre
5. Sempre meglio di niente
6. Incline
7. Glamour Suicide
8. Il Fine Giustifica i Mezzi
9. Cmc
10. Ex
11. Sognavo Di Essere Bukowski

MORSO – Facebook

Necroart – Caino

I Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.

I Necroart tornano a quattro anni di distanza dal precedente album Lamma Sabactani con Caino, quarto full length di una carriera iniziata al tramonto del secolo scorso.

Non è semplicissimo inquadrare il sound della band pavese, in quanto rispetto ai primi lavori inseribili nel filone del death melodico, già conLamma Sabactani era stato possibile rinvenire una certa inquietudine compositiva all’interno della quale black, death, doom e pulsioni dark si andavano a sovrapporre creando un insieme potente e quanto mai oscuro.
Caino è un album il cui compito non è quello di accarezzare ma semmai di percuotere l’ascoltatore, concedendogli di tanto in tanto qualche pausa di riflessione, ma nel complesso i Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.
A livello esemplificativo, se Mastodon Rising e la title track sono ottimi esempi di black death, ruvido ma melodico il giusto grazie ad azzeccate soluzioni chitarristiche, con Wounds on Angels Wings e One Is All, All Is One i ritmi si rallentano non poco lasciando qualche spazio di manovra in più per inserire passaggi di una certa evocatività.
Caino è un buon album al quale mancano solo alcuni episodi realmente trainanti, quelli in grado di costituire il fulcro attorno al quale far ruotare le rimanenti composizioni per favorirne al massimo l’assimilazione; detto questo i Necroart si confermano band di valore all’interno di una scena come quelle estrema in cui, però, risalire le gerarchie dopo qualche anno di assenza può diventare impresa ardua.

Tracklist:
1. March of the Ghouls
2. An Invocation for the Horned
3. Mastodon Rising
4. Caino
5. Bringer of Light
6. Flames
7. Wounds on Angels Wings
8. One Is All, All Is One
9. Into the Maelstrom

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda – Drums
Davide Zampa – Guitars
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook