Losa – Mastrucatum

Mastrucatum spalanca le porte al mondo dei Losa, un’entità musicale il cui manifesto legame alla tradizione della propria terra non rappresenta una fuga all’indietro rispetto alla modernità, bensì il condivisibile nonché riuscito tentativo di abbinare la contemporaneità del metal alla conservazione di quelle radici culturali che nessuna forma di globalizzazione ha il diritto di omologare o banalizzare.

Losa è il nome di questo nuovo eccitante progetto musicale proveniente dalla Sardegna, che vede coinvolti tre quarti dei disciolti Accabbadora e, nel complesso, musicisti impegnati in alcune delle migliori realtà estreme presenti nella fertile scena isolana (Simulacro, Anamnesi) e non (Progenie Terrestre Pura, Grind Zero).

Questo breve ep, intitolato Mastrucatum, nonostante una durata ridotta si rivela ampiamente esaustivo riguardo alle capacità ed alle potenzialità di questa nuova creatura che esce sotto l’attenta egida della Third I Rex, etichetta con sede a Londra ma gestita da un altro figlio di quella splendida terra quale è Roberto Mura.
Se la commistione tra black metal e folk non è certo una novità, l’operato dei Losa spicca per la sua perfetta coesione tra le pulsioni estreme e la tradizione musicale e culturale sarda, con i suoi riferimenti (anche in copertina) ai Mumutzones, le tradizionali maschere zoomorfe che animano il carnevale di Aritzu.
Il black metal viene così modellato dai Losa in maniera melodica ed efficace, con richiami che riportano ad una delle massime fonti di ispirazione, specie per chi si cimenta con il genere nell’Europa del Sud, che sono i primi Moonspell; e non è un caso se la band ha inciso una notevole cover di Alma Mater, ascoltabile purtroppo solo sul bandcamp vista la mancanza di tutti i placet necessari per inserire il brano anche all’interno delle copie fisiche di Mastrucatum.
Ad ogni buon conto, sia la title track che il brano autointitolato si rivelano tra le cose migliori ascoltate quest’anno in tale ambito, e stiamo parlando di un settore in cui la qualità media è davvero elevata.
Difficile non restare affascinati dalla sapiente alternanza degli stili vocali che spaziano dallo screaming agli intrecci corali tipici del folklore sardo, così come dalla rielaborazione dei dettami del black metal che viene restituito in maniera fresca ed accattivante.
A dimostrare, poi, che non tutti i mali vengono per nuocere, al posto della programmata cover troviamo Allumiendi, una traccia stupenda nel suo essere folk nel senso più limpido del termine, impreziosita dalle evocative note offerte dalla chitarra acustica.
Mastrucatum spalanca le porte al mondo dei Losa, un’entità musicale il cui manifesto legame alla tradizione della propria terra non rappresenta una fuga all’indietro rispetto alla modernità, bensì il condivisibile nonché riuscito tentativo di abbinare la contemporaneità del metal alla conservazione di quelle radici culturali che nessuna forma di globalizzazione ha il diritto di omologare o banalizzare.

Tracklist:
1.Intro
2.Mastrucatum
3.Losa (Mastrucatum II)
4.Allumiendi

Line-up:
Federico Pia – Vocals and Lyrics
Gabriele Perra – Guitars
Fabrizio Sanna – Bass, Choirs, Clean Vocals and Acoustic Guitar
Emanuele Prandoni – Drums and Percussions

LOSA – Facebook

Autotheism – Dogma Sculptured In The Flesh

Quello degli Autotheism è un progetto che farà sicuramente parlare di sé in futuro, se amate il death metal tradizionale ricamato con perizia tecnica attorno ad un concept maturo, Dogma Sculptured In The Flesh è assolutamente consigliato.

Nella scena estrema nazionale il death metal tradizionale ha regalato ultimamente grosse soddisfazioni ai fans, sia per quanto riguarda le nuove uscite dei gruppi storici, sia per le nuove leve, sputate fuori da covate malefiche nascoste nell’underground su e giù per la penisola.

Gli Autotheism sono un progetto nato nel 2016 nel quale suonano membri provenienti da altre realtà della scena come (EchO), Quantum Hierarchy (di cui vi abbiamo parlato pochi mesi fa in occasione dell’uscita del loro lavoro, Neutron Breed) ed Atomic Factory.
Dopo un primo ep uscito lo scorso anno (Hives MMXVII) arriva ora questo nuovo lavoro, sviluppato lungo un unico brano di diciassette minuti, che tratta della decadenza dell’umanità a livello filosofico e morale.
Il concept è impegnativo così come il sound, un death metal molto tecnico impreziosito da parti atmosferiche che portano verso lidi post metal e progressivi, con sfumature di tragico ed oscuro metal estremo, violento e drammatico.
La band si muove tra partiture rabbiose ma tecnicamente ineccepibili e le parti più dirette del sound lasciano ad accelerazioni devastanti o a sfumature più pacate il compito di variare un sound che in così risulta molto coinvolgente.
Il growl è un urlo animalesco di livore verso questo senso di disfacimento, mentre parti doom/death a metà del brano lasciano poi spazio al finale che torna tellurico come nella sua prima metà.
Quello degli Autotheism è un progetto che farà sicuramente parlare di sé in futuro, se amate il death metal tradizionale ricamato con perizia tecnica attorno ad un concept maturo, Dogma Sculptured In The Flesh è assolutamente consigliato.

Tracklist
1.Dogma Sculptured In The Flesh

Line-up
P. – Vocals
R. – Guitars
L. – Bass
N. – Drums

AUTOTHEISM – Facebook

Deceptionist – Initializing Irreversible Process

Spettacolare esordio di una band laziale dedita a un brutal tecnicissimo e futuristico, zeppo di idee e soluzioni avveniristiche, davvero entusiasmante.

Con colpevole ritardo, recensiamo questo CD d’esordio di una band nostrana veramente fenomenale e preparatissima.

I romani Deceptionist – fondati da ex membri di Novembre, Hideous Divinity e dei Fleshgod Apocalypse – sono un vero e proprio super-gruppo (come si diceva una volta), che in (purtroppo) poco più di mezz’ora sciorina un techno-death brutale e pieno di soluzioni ed inserti di carattere industriale e cibernetico, che trova una perfetta controparte lirica nei temi trattati nei testi (biomeccanica e mutazioni umane). Di rado si esordisce con un capolavoro, ma questo è il caso, alla luce anche della caratura dei musicisti coinvolti. Le dieci tracce di Initializing Irreversible Process, spaziali e futuristiche, marziali e chirurgiche, sperimentali e pesantissime ad un tempo, incanteranno gli amanti di Atheist, primi Fear Factory, Necrophagist e ultimi Sadus. Siamo come detto a livelli di altissima qualità, con suoni pazzeschi, una produzione sopraffina (così vuole il genere, del resto) e capacità di scrittura – oltre che di esecuzione – nettamente al di sopra della media. Il discorso resta il solito: se fossero americani o tedeschi, riscontri ed attenzione sarebbero di altro segno. Ma siamo in Italia. Al di là di questo, comunque, i Deceptionist – che attendiamo fiduciosi e trepidanti a nuove ed ulteriori prove – sono un autentico spettacolo di valore internazionale, e non solo per chi ama il techno-brutal, l’industrial metal e il cyber-death mutante. Cangianti, cinematici e dai mille colori: da avere senza discussioni.

Tracklist
1. It’s Just Begun
2. Through the Veil
3. Quest For Identity
4. When Humans Began to Be Machines
5. Final Innovation / Automatic Time
6. The Confession
7. Irreversible Process
8. Sunshine
9. Industrivolutionaction
10. Operation Nr. 3

Line-up
Andrea Di Traglia – Vocals
Claudio Testini – Drums
Fabio Bartoletti – Guitars
Antonio Poletti – Guitars

Stefano Franceschini – Bass Section

DECEPTIONIST – Facebook

Death SS – Rock ‘N’ Roll Armageddon

Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Torna quella che probabilmente è la più grande e leggendaria metal band che il nostro paese possa vantare, essendo peraltro fonte di ispirazione da quarant’anni per una moltitudine di band dislocate in ogni parte del mondo.

Steve Sylvester questa volta è stato perfetto, donando a tempo debito un album che riassume in tredici brani la storia musicale della sua mostruosa creatura, un camaleonte musicale che non ha mai offerto un album uguale all’altro, rimettendosi in gioco ad ogni occasione a seconda dell’ispirazione del momento.
Una cosa è certa: i Death SS tornano sul luogo del delitto, come zombie famelici fagocitano il loro capolavoro più conosciuto (Heavy Demons) che al lor interno si rigenera e rinasce sotto forma di un’opera che è una sorta di ideale summa di tutta la produzione passata..
L’immagine del gruppo segue i binari delle primarie fonti di ispirazione per lo storico leader (Kiss) e da qui si può partire per descrivere un album che principalmente guarda all’hard & heavy, ma che lascia spazio ad una miriade di dettagli e sfumature.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è una caduta nel baratro senza fine del mondo dei Death SS: horror rock, dark, glam, heavy metal, hard rock e pulsioni moderniste e apocalittiche accompagnano una tracklist che profuma di incenso e di metal anni ottanta, un turbine di sensazioni che solo Steve Sylvester sa dosare prima di colpire al cuore dei suoi fans.
Oltre la line up ufficiale, che vede il chitarrista Al De Noble, il bassista Glenn Strange, il tastierista Freddy Delirio e il batterista Bozo Wolff accompagnare il leader supremo, si torna ad ascoltare la chitarra di Al Priest, membro del gruppo ai tempi di Heavy Demons (presente sul disco in veste di ospite in compagnia di Giulio “Ghiulz” Borroni dei Bulldozer).
Black Soul ci da il benvenuto avvolgendoci in un’atmosfera horror, seguita dalla title track della quale abbiamo ascoltato il devastante impatto ottantiano nel periodo che ha anticipato l’uscita del disco.
Il gruppo usa praticamente tutte le armi a sua disposizione, senza smarrire un’oncia di quell’ipnotica atmosfera epico/horror e teatrale di cui è maestro: Sylvester, non da meno, sciorina una prestazione da incorniciare e i brani da ricordare si sprecano, con Slaughterhouse, Creature Of The Night e The Glory Of The Hawk a prendersi il podio, almeno dopo i primi ascolti.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Tracklist
1.Black Soul
2.Rock ‘N’ Roll Armageddon
3.Hellish Knights
4.Slaughterhouse
5.Creature Of The Night
6.Madness Of Love
7.Promised Land
8.Zombie Massacre
9.The Fourth Reich
10.Witches Dance
11.Your Life Is Now
12.The Glory Of The Hawk
13.Forever

Line-up
Steve Sylvester – Vocals (lead)
Freddy Delirio – Keyboards
Glenn Strange – Bass
Al De Noble – Guitars
Bozo Wolff – Drums

DEATH SS – Facebook

Autoblastindog – Pornophorno

PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz, che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla.

Questo disco ha la migliore intro del mondo, ovvero Cicciolina aka Ilona Staller che illustra il suo programma elettorale che dice, tra l’altro,”di lottare con tutte le nostre forze contro la criminalità organizzata, ma facciamolo con tutto il nostro amore”.

E dopo questo inizio geniale c’è un disco molto bello e che come fa spessissimo il grindcore/hardcore centra benissimo il punto, meglio di tanti trattati e super cazzole varie che scrive il vostro guru di fiducia. Gli Autoblastindog sono di Grosseto e dintorni e hanno capito benissimo come va il Belpaese, dove le macchine volano giù dai viadotti e si parla di progresso, e Dio ci guarda sempre bonario per un buon 5 x mille o quel che cazzo è. Questo è il loro secondo disco, il primo si chiama Batracomiomachia e lo potete trovare in download libero sul loro bandcamp, anche se è doveroso donare dei fondi a questi ragazzi assetati. A parte le facezie, questo disco è uno scrigno che contiene tanti tesori, ogni canzone a partire dai titoli geniali ha in sé qualcosa di fantastico ed entusiasmante, perché questa realtà quotidiana è talmente sconfortante che quando te la sbattono in faccia alla maniera del gruppo toscano ti viene fin da ridere, mentre tutto intorno caga sangue.
PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz (si dice così quando si va a cazzo però si sa dove si vuole andare, o almeno lo si sapeva), che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla. L’album non è solo pars distruens ma anche è anche dare testate contro il muro a ritmo di chitarre distorte e batterie impetuose, che è poi un gran bel destino. Uno dei migliori dischi del cosiddetto underground italiano, in cui ogni secondo è da ascoltare nell’attesa di diventare anziani e cacarsi addosso in piena libertà.

Tracklist
1.La morte di Eraclito
2.Italia’s got Amen
3.Stairway to ENEL
4.M’asciuga
5….e il Sommo decadde
6.Luddismo mon amour
7.Selfie=Sega
8.L’attore Porno
9.Gli oscuri segreti di Eternia
10.Tattakkialkazzo
11.#soppartito
12.Diffusa illegalità e confusione religiosa
13.Vulvevolvendo
14.S.C.C. (Sodomia CULturale cOllettiva)

Line-up
Guerra – Berci, fiatella ed effetti ganzi
Andrea – Chitarre sbagliate
Isacco – Bassi a manetta
Ale – Batterismi ingannevoli

AUTOBLASTINGDOG – Facebook

Thecodontion – Thecodontia

Prima demotape del duo laziale di Ladispoli dedito ad un black/death sperimentale. La totale assenza di chitarre potrebbe incuriosire molti, fare arretrare inorriditi alcuni, ma sicuramente ingolosire i più intransigenti collaudatori di nuovi sound.

Affrontare l’ascolto di un prodotto, nel quale dichiaratamente la band esclude la presenza di uno strumento fondamentale (almeno nel genere proposto dal duo laziale, ossia black death metal), appare fin da principio impresa ardua, figuriamoci recensirlo!
Ma andiamo per gradi.

I Thecodontion sono un duo che arriva da Roma (Ladispoli): autodefiniscono il proprio genere “Prehistoric metal of war”, intendendo fin da subito proiettare l’ascoltatore in un era preistorica ben definita (il Permiano), così antica, che i conosciuti dinosauri – a cui ci siamo tanto affezionati grazie ai vari Jurassic Park (?!) – non esistevano ancora. Siamo nell’era degli arcosauri, più precisamente dei Ticodonti (da cui prendono nome e cognome band e demotape) ossia gli antenati rettiliani dei dinosauri.
L’idea di utilizzare unicamente due bassi distorti (in aggiunta, un terzo per gli “assoli”, e tutti suonati senza ausilio di picks), batteria e parti vocali, deriva – sostengono i nostri – da un profondo desiderio di sperimentazione (ad onore del vero, già parecchio è stato fatto in ambito noise), vocato a sonorità primitive e tribali. Un lavoro sicuramente molto impegnativo; basti pensare alla difficoltà – soprattutto per un genere come l’estremo – di non far sentire la mancanza di uno strumento fondamentale come la chitarra.
In effetti, sin da un primissimo ascolto, le pazzesche distorsioni dei loro bassi creano un sound davvero primordiale – a tratti raw – e l’assenza delle chitarre passa forse un attimo inosservata.
Il primo brano Desmatosuchus Spurensis (Linked Loricata of Spur), appare come un primo grezzo lavoro dei Celtic Frost (Morbid Tales, per intenderci) suonato in modo molto ruvido, senza fronzoli, dal quale è stato depredato ogni qualsivoglia spunto di melodia. Persino la voce di Heliogabalus ricorda lontanamente quella di Mr. G.Warrior. I ritmi incalzanti di tutti i 4 pezzi e i bass effects, possono davvero riportarci a quel lontano (svizzero) 1984. Ovviamente i paragoni non devono trarre in inganno, (Morbid Tales è, rimane e sarà per sempre, uno di quei capolavori che hanno segnato un’epoca); in questo caso, ci servono unicamente per dare un’idea di quanto avessero in mente Heliogabalus e Stilgar (Basso) quando presero questa coraggiosa decisione: provare a fare qualcosa di nuovo, di sconvolgente e di assurdamente “differente”, ma partendo da basi ben note e conosciute.
Via via che si procede all’ascolto, l’assenza del guitar sound appare sempre più evidente, e l’incedere dei due/tre bassi può portare qualche volta ad una sensazione di privazione sonora, ad un’emozione di negativa carenza da riff ed assoli. Il brano successivo Erythrosuchidae (Vermillion Digigrade), non varia molto dal predecessore, se non per un paio di momenti che ricordano tanto i momenti più groove del blast beat dei primi anni ’80 (D.R.I., Repulsion e S.O.D. per intenderci).
Nel terzo brano – Longisquama Insignis (Skeletal Analysis of a Kyrgyz Diapsid), una sonorità più death fa da padrona; emerge sicuramente anche l’interesse dei nostri per il war metal di band quali Blasphemy, Teitanblood e Archgoat (e prima ancora Sarcofago e altri gruppi della scena brasiliana di quel tempo); ovviamente i riff black, gli accordi tipici del death e le atmosfere guerresche qui sono chimere. Non esistono i dualistici accordi tipici del riff death, ma unicamente il monismo sonoro del basso.
Il drumming – in quasi tutto il demo – non conosce soste. Una raffica di mitra che accompagna le “grattugiate” dei bassi, senza quasi intervalli, senza quasi alcuna interruzione; un treno diretto che non ferma in stazioni intermedie.
L’ultimo brano – Stagonolepis (Robertsoni/Wellesi/Olenkae) – è un po’ un’eccezione, con diversi stop’n’go schizoidi, segnati da distorti assoli di basso (il famoso terzo basso, di cui si parlava all’inizio), che ne dettano ripartenze e brusche fermate. Una produzione sicuramente difettante (è comunque una demo) e un sound molto spesso accostabile al noise, non favorisce di certo la distinzione dei passaggi tra up-mid-down tempo, rendendo il tutto non troppo distinguibile e spesso poco accessibile.
In definitiva, la curiosità nasce e muore dopo l’ascolto di una demo coraggiosa, che sicuramente scontenterà i più tradizionalisti, ma che forse troverà negli sperimentalisti i loro maggiori fan. Interessante potrebbe essere scoprire come il duo laziale possa sostenere il gran peso della loro piccola rivoluzione in un full length.

Tracklist
1.Desmatosuchus Spurensis (Linked Loricata of Spur)
2.Erythrosuchidae (Vermillion Digigrade)
3.Longisquama Insignis (Skeletal Analysis of a Kyrgyz Diapsid)
4.Stagonolepis (Robertsoni/Wellesi/Olenkae)

Line-up
Heliogabalus – Vocals
Stilgar – Bass

THECODONTION – Facebook

The National Orchestra of the United Kingdom of Goats – Huntress

Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Quartetto assolutamente fuori dal comune proveniente dal Sud Tirolo, che propone una musica che ha mille riferimenti e davvero tanto da raccontate.

Nei The National Orchestra of the United Kingdom of Goats non si può scindere l’aspetto musicale da quello visivo ed artistico, questo è il loro terzo album su lunga distanza e continua la narrazione iniziata con il primo ep The Chronicles of Sillyphus e proseguita con gli altri episodi discografici, di cui questo è il terzo lp. Protagonista di questa saga è la misteriosa Kolepta, della quale vediamo dipanarsi le gesta accompagnate dalla musica del gruppo. La proposta musicale viene descritta come symphonic grind pop extravaganza, e potrebbe andare benissimo, ma c’è di più. La costruzione della canzone è sicuramente progressiva, con una forte ossatura pop ed una grande attenzione quasi gotica alla drammatizzazione, che è una delle cose più rimarchevoli di questo gruppo. I nostri suonano dal vivo con costumi e pitture facciali, ognuno ha il suo ruolo nella grande storia che stanno narrando e la musica lascia il segno. Tutto scorre bene, anche se ci sono alcuni passaggi ancora acerbi che, contrastando con altri momenti davvero notevoli del disco, indicano che c’è ancora qualcosa da migliorare. Però questi piccoli difetti non si notano quasi nel quadro d’insieme che è molto originale ed unico, almeno in Italia, dove l’art rock ha avuto grandi episodi ma non una gloriosa storia. Nel libretto del disco c’è anche un fumetto che spiega il concept, disegnato molto bene da Digitkame e scritto da Thomas Torggler; inoltre sul sito della The National Orchestra of the United Kingdom of Goats compaiono ulteriori passi del racconto. Huntress è un disco piacevolmente fuori dal comune, che regala piacere nelle mattinate terse e fredde in cui il mondo appare sotto una luce diversa e forse è davvero qualcosa di diverso da quello che siamo abituati a vivere e vedere. Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Tracklist
1.Beast
2.Scent
3.Thrill
4.Attunement
5.Kill

Line-up
The Admiral
The Coachman
The Seer
The Insane

THE NATIONAL ORCHESTRA OF THE UNITED KINGDOM OF GOATS – Facebook

Fallen – Glimpses

Gli scorci di vita, propria o altrui, passata, presente o futura che sia, vengono trasmessi con l’ormai consueta maestria da Fallen, musicista in grado come pochi altri di questi tempi nell’offrirci l’ideale accompagnamento sonoro alle varie fasi della nostra esistenza.

Pochi mesi dopo ást, Lorenzo Bracaloni, alias Fallen, torna a regalarci sprazzi della sua musica ambient che, grazie alla qualità esibita, sta ottenendo consensi da più parti.

Glimpses, come ci dice l’autore, è una raccolta di brani composti durante la notte, un momento della giornata nel quale di norma il corpo si riposa e la mente si colloca in stand by, ma questo non vale per tutti.
La notte per molti è il momento ideale magari per studiare, oppure può essere l’occasione giusta, sfruttando il silenzio ed il buio circostante, per fare il punto rispetto a qualche situazione che ci provoca ansietà o che merita d’essere approfondita con calma; allo stesso tempo, le tenebre fanno indulgere alla malinconia, al ricordo di qualcosa o qualcuno smarrito per sempre, piuttosto che osservare con sguardo distaccato gli scenari notturni come se tutto ciò che accade attorno non ci riguardasse.
Le otto tracce si snodano tra tutte queste sensazioni, spesso di matrice opposta a livello umorale, ma accomunate dal loro acuirsi durante le ore più tarde: ovviamente ne risente anche la struttura musicale che, se per la natura stessa dell’ambient non è soggetta a scostamenti bruschi, diviene ugualmente più minimale e soffusa, sacrificando magari qualche slancio melodico a favore di un approccio più rarefatto.
Gli scorci di vita, propria o altrui, passata, presente o futura che sia, vengono trasmessi con l’ormai consueta maestria da Lorenzo, musicista in grado come pochi altri di questi tempi nell’offrirci l’ideale accompagnamento sonoro alle varie fasi della nostra esistenza.
L’ambient targata Fallen continua quindi a regalare puntualmente sensazioni magnifiche, a maggior ragione in considerazione anche della recentissima uscita di Tout Est Silencieux, lavoro del quale contiamo di parlare prossimamente, anche se come sempre quando si tratta di sonorità simili le parole sono davvero nulla rispetto ad un ascolto diretto.

Tracklist:
01 in between days
02 glimpses
03 heart(less)
04 3:05 AM
05 night reveries
06 shape(less)
07 empathetic
08 an overview

Line-Up:
Fallen – piano, celesta, guitars, synthesizers and field recordings (gardens, squares, radios)

FALLEN – Facebook

The Secret – Lux Tenebris

Una band unica che usa tantissimi riferimenti culturali diversi fra loro e porta la musica pesante su un altro livello, ben sopra le nostre teste e ben al di sotto dei nostri piedi.

Torna dopo sei anni di silenzio discografico uno dei migliori gruppi che abbiamo in Italia, i triestini The Secret, sempre su Southern Lord.

Il disco uscirà per la Subscrition Serie per il ventennale di quella che è una delle etichette più importanti nel panorama della musica pesante. I The Secret sono stati tre anni senza parlare fra di loro e solo nel 2015 sono ricominciate le operazioni per dare alla luce materiale nuovo: Lux Tenebris è il frutto di tutto ciò. Non si riparte dall’ultimo disco, ovvero Agnus Dei, siamo già oltre, il suono è ulteriormente migliorato, continuando quella perenne mutazione che solo i grandi gruppi compiono incessantemente nella loro parabola musicale. L’impatto è devastante, come e più di prima, un concentrato di furia hardcore, black metal e un qualcosa che solo loro hanno. I The Secret ti annientano, ti fanno chiaramente capire che siamo delle nullità se ci consideriamo essere umani, e dobbiamo osservare principalmente ciò che sta intorno al nostro traguardo finale: la morte. Il disco parla del sepolcro, della luce delle tenebre, dell’inizio del nostro vero viaggio, e del caos che è oltre la nostra percezione fisica. Lux Tenebris ti ipnotizza e ti porta dentro un vortice che non ti lascia scappare, come se la sapienza ancestrale e moderna dell’uomo sulla morte fosse concentrata in tre splendide creazioni che chiamare canzoni è davvero riduttivo. Il combo friulano è qualcosa di assolutamente unico ed irripetibile, un archetipo che fa musica moderna, ma in realtà è molto antica e viene dal nostro stesso io. Il sapiente uso di saper bilanciare sfuriate in stile black scandinavo per poi aprire la melodia e far scoppiare visioni nella testa dell’ascoltatore, ecco forse questo è il migliore fra i tanti pregi di questo gruppo, come si può ascoltare chiaramente nella finale Cupio Dissolvi che è un compendio di cosa siano i The Secret. Una band unica che usa tantissimi riferimenti culturali diversi fra loro e porta la musica pesante su un altro livello, ben sopra le nostre teste e ben al di sotto dei nostri piedi. Un’opera che si pone fra le migliori sul lunghissimo discorso umano intorno alla morte, che non è una fine, ma nemmeno un inizio.

Tracklist
1. Vertigo
2. The Sorrowful Void
3. Cupio Dissolvi

Line-up
Michael Bertoldini – Guitar
Marco Coslovich – Vocals
Lorenzo Gulminelli – Bass Guitar
Tommaso Corte – Drums

THE SECRET – Facebook

Anguish Force – Chapter 7

Gli Anguish Force pescano a piene mani dalla tradizione metallica erigendo muri sonori potentissimi e dando vita ad un lavoro imperdibile per gli amanti del genere.

Settimo capitolo per gli Anguish Force, storica metal band proveniente bolzanina che ci investe con tutta la sua potenza heavy/power/thrash metal vecchia scuola, ma supportata da una produzione al passo con i tempi.

La band torna dunque con Chapter 7, a quattro anni dal precedente full length (Sea Eternally Infested), ennesimo sigillo di una onorata carriera nell’underground metallico segnata da una serie di ottimi lavori che, per tradizione, uniscono in un unico sound quella manciata di generi che formano il mondo dell’heavy metal classico.
Come scritto in precedenza, anche le sonorità di questo ultimo lavoro degli Anguish Force segue le caratteristiche consolidate da oltre quindici anni, e fin dall’intro strumentale Chapter 7, l’album è un vulcano che erutta metallo incandescente, puro hard’n’heavy potenziato da bordate power/thrash metal.
Karma’s Revenge esplode in tutta la sua potenza metallica, i riff sono comandamenti scritti sulla tavole della legge del genere, velocità ed impatto vanno di pari passo per darvi il benvenuto in casa Anguish Force, laddove spiccano il grande lavoro delle chitarre, una sezione ritmica tellurica ed una voce rocciosa: la formula è semplice, ma per farla funzionare ci vogliono impatto ed attitudine.
Don’t Lose the War è un brano trascinante, probabilmente irresistibile se suonato su un palco, ma non sono da meno pezzi da novanta come Planned Earthquake, The Punishment e la top song The Book Of The Devil.
Gli Anguish Force pescano a piene mani dalla tradizione metallica erigendo muri sonori potentissimi e dando vita ad un lavoro imperdibile per gli amanti del genere.

Tracklist
1. Chapter 7
2. Karma’s Revenge
3. Don’t Lose the War
4. The Other 11 September
5. Planned Earthquake
6. Under the Streets
7. Waiting For the Call
8. The Punishment
9. The Book Of the Devil
10.So It Was
11.Thunder in The Thundra (THOR cover)

Line-up
KINNALL – vocals
LGD – guitar
LUCK AZ – guitar
TUMBLER – bass
PEMMEL – drums

ANGUISH FORCE – Facebook

Le Ceneri – Demo

Ispirazioni ed influenze che toccano lidi tradizionali ed importanti ed un impatto volto a distruggere nella più malvagia oscurità, depongono a favore di un esordio che fa ben sperare per il futuro.

Proposta assolutamente underground consigliata da MetalEyes agli appassionati di death metal: Le Ceneri sono un gruppo proveniente da Belluno e questo demo di quattro pezzi è il loro primo devastante atto di forza.

Un death metal che, per forza ed impatto, si può senza dubbio definire brutal: il sound del gruppo infatti è un uragano estremo massiccio e compatto, con l’uso sia dell’idioma inglese che italiano (Smirne Brucia, notevole brano tra violente raffiche di vento atomico e pachidermiche sfumature vicine al doom).
La band è nata da pochi mesi ed è formata da Alvise Cappello (voce e basso), Guglielmo Cappello (chitarra) e Carlo Guadalupi (Chitarra): il loro lavoro, oltre alla già citata Smirne Brucia, si compone di altre tre tracce, l’opener Apostasia, primo urlo bestiale, la brutale Novit Dominus Qui Sunt Eius e la tellurica Scared To Death.
Ispirazioni ed influenze che toccano lidi tradizionali ed importanti (Morbid Angel/Hate Eternal in primis) ed un impatto volto a distruggere nella più malvagia oscurità, depongono a favore di un esordio che fa ben sperare per il futuro.

Tracklist
1.Apostasia
2.Novit Dominus Qui Sunt Eius
3.Scared To Death
4.Smirne Brucia

Line-up
Alvise Cappello – Vocals, Bass
Guglielmo Cappello – Guitars
Carlo Guadalupi – Guitars

LE CENERI – Facebook

Psychotomy – Aphotik

Aphotik dimostra come non bisogna andare troppo distante dai confini nazionali per ascoltare death metal classico di ottimo livello: gli Psychotomy offrono un album potente, purulento e devastante degno delle band migliori del genere.

Una mazzata niente male questo nuovo lavoro degli Psychotomy, band veneta attiva da otto anni e con due lavori alle spalle, l’ep Transcend the Absolution del 2012 ed il primo full length licenziato nel 2015 ed intitolato Antinomia.

Il trio proveniente dal nord est italico veneto ci travolge con il suo dissonante metal estremo: Aphotik risulta infatti un muro sonoro invalicabile a base di death metal old school, con le sue influenze bel delineate, ma con una forza espressiva che convince già dalle prime battute.
Dalla prima note dell’opener Towards the Pillars of Chaos/Kenosis ci si imbatte in un unico e devastante ammasso di carne putrescente, l’album non concede pause, i rallentamenti si alternano con sfuriate estreme, riff per nulla scontati formano altissimi ed impenetrabili muri di note estreme valorizzati da un songwriting di ottimo livello.
Una quarantina di minuti è la durata perfetta per seguire senza distrarsi la musica offerta da autentici e penetranti esempi di death metal di scuola Incantation/Immolation come Evidence Of Tyranny, Blood Red Kvlt, o la monumentale Ascent Through Malevolent.
Aphotik dimostra come non bisogna andare troppo distante dai confini nazionali per ascoltare death metal classico di ottimo livello: gli Psychotomy offrono un album potente, purulento e devastante degno delle band migliori del genere.

Tracklist
1.Towards the Pillars of Chaos/Kenosis
2.Evidence of Tyranny
3.Witness of Void
4.Blasphemous Inception
5.Blood Red Kvlt
6.Ascent Through Malevolence
7.Conjuring the Abyss
8.Beyond the Eternal Omega
9.Lethe

Line-up
L.D.R – Guitars & Vocals
I.B. – Guitars
M.V. – Drums

PSYCHOTOMY – Facebook

The Outsider – Hyeon

Se Beauty Awakens the Soul to Act poteva essere stato un frutto prelibato ma estemporaneo, Hyeon conferma quanto Andrea Cicala sia un musicista capace, ispirato e degno più di molti altri dell’attenzione di chi ricerca sonorità fresche, limpide e dalla potente forza espressiva, anche quando, come in questo caso, le note sono volte a cullare piuttosto che a sferzare l’ascoltatore.

Avevamo scoperto il bel talento del musicista siciliano Andrea Cicala lo scorso anno, con la sua prima uscita sotto il monicker The Outsider intitolata Beauty Awakens the Soul to Act.

Oggi il nostro si ripresenta con un altro lavoro nel quale le coordinate sonore si discostano decisamente dal metal contaminato dall’elettronica e dall’ampio respiro progressivo offerto in quell’occasione: Hyeon, infatti, mette in evidenza un’anima post rock dai tratti liquidi e sognanti e soprattutto sempre volto a smuovere le corde dell’emotività.
Il lavoro, ancora una volta del tutto strumentale, consta di nove brani per circa tre quarti d’ora di sonorità carezzevoli, suonate e prodotte ottimamente (nonostante il ragazzo palermitano mantenga sempre il solito basso profilo), solo saltuariamente irrobustite ritmicamente (Yearning Tides, traccia peraltro baciata da una linea melodica magnifica) ma senza rischiare mai di andare fuori giri o fuori tema.
Per evitare di risultare alla lunga tedioso, un lavoro di questa specie deve essere equilibrato e privo di ridondanze: ciò è esattamente quanto si riscontra dalla prima all’ultima nota di Hyeon, con momenti di assoluto splendore come Oceans Have No Memory, dove la rarefazione del suono nella sua seconda metà assume a tratti connotazioni magicamente ipnotiche.
Appare evidente come Andrea esibisca nei brani più lunghi (oltre ai due citati, anche Jötunn) sonorità più composite ed inquiete, lasciando invece alle tracce più brevi il compito di regalare passaggi di cristallina bellezza, capaci di tergere sia pure temporaneamente l’animo e la mente dai pensieri più cupi.
Se Beauty Awakens the Soul to Act poteva essere stato un frutto prelibato ma estemporaneo, Hyeon conferma quanto Andrea Cicala sia un musicista capace, ispirato e degno più di molti altri dell’attenzione di chi ricerca sonorità fresche, limpide e dalla potente forza espressiva, anche quando, come in questo caso, le note sono volte a cullare piuttosto che a sferzare l’ascoltatore.
The Outsider rappresenta, in qualche modo, la quintessenza dell’underground, e per noi è proprio la possibilità che ci viene data nel divulgare progetti musicali come questi a fornire le maggiori soddisfazioni, credeteci.

Tracklist:
1.Intro
2.Over
3.Sine Ira
4.Yearning Tides
5.Polaris
6.Oceans Have No Memory
7.Materia
8.Jötunn
9.The Deep Roar of the Breaking Waves

Line-Up:
Andrea Cicala

Bloodshed Walhalla – Ragnarok

Drakhen prende i Bathory e Quorthon come modello ma va ben oltre, costruendo una musica davvero epica e pregna di significato, come quando si riporta alla luce un manoscritto antico che fa parlare di nuovo colui o coloro che lo scrissero.

Torna il polistrumentista Drakhen con la sua incarnazione Bloodshed Walhalla e il suo viking folk metal dalla grande attrattiva.

La vita di Bloodshed Walhalla comincia nel 2006, con l’intento di creare un gruppo per rifare le canzoni dei Bathory nel loro periodo viking metal. Draken è molto prolifico e dopo i primi tre demo arriva il debutto su lunga distanza nel 2010 con The Legends Of A Viking, un disco molto importante per il genere viking metal alle nostre latititudini, che porta avanti il discorso musicale e soprattutto culturale iniziato da Quorthon in Svezia conquistando poi tutto il mondo. Nel 2012 Bloodshed Walhalla compare sul tributo ai Bathory Voices From Valhalla – A Tribute To Bathory dell’inglese Godreah Records, con il bellissimo brano The Sword. Nel 2014 esce l’ep Mather, cantato in lucano, che precede Thor del 2017, uno dei più bei lavori viking folk metal sia italiano che europeo. Ed eccoci arrivati a Ragnarok, che vede l’approdo del progetto di Draken su Hellbones Records, ed è di nuovo magia. Dopo aver introdotto con l’ep Mather il moog nel suo novero di strumenti, Draken porta la sua musica ad un livello ancora superiore rispetto al già ottimo Thor. Bisogna però dire che quella di Bloodshed Walhalla non è solo musica, ma un qualcosa di atavico che vive dentro di noi e che aspetta un detonatore come questo disco per uscire. Nelle quattro lunghe tracce che arrivano a totalizzare 64 minuti il vichingo di Matera ci porta spiritualmente e non solo, in mezzo ai vichinghi, con i loro usi e costumi, immergendosi in quella natura che abbiamo ucciso e che non fa più parte della nostra visione di vita, se non in termini di affari e sfruttamento. Ragnarok è la perfetta dimostrazione di cosa possa essere il viking metal che tanti disprezzano o snobbano, mentre chi lo ama è orgogliosamente consapevole che non è un genere per tutti. C’è qualcosa in questa musica, e Ragnarok ne è pienamente intriso, in questa commistione fra chitarre distorte, con la batteria che avanza impetuosa e spesso con la doppia cassa, un cantato ora aggressivo ora sognante, e le tastiere che si fondono perfettamente con il resto, che rimanda ad un’atavica magia, un archetipo rimasto sopito per troppo tempo e che vuole risvegliarsi. Ragnarok è magnifico, come è più di Thor, e continua una visione musicale pressoché unica in Italia e non solo. Drakhen prende i Bathory e Quorthon come modello ma va ben oltre, costruendo una musica davvero epica e pregna di significato, come quando si riporta alla luce un manoscritto antico che fa parlare di nuovo colui o coloro che lo scrissero. Le canzoni sono tutte di ampio respiro e francamente bellissime. Un disco che lascerà un segno in tempi dominati dal nulla.

Tracklist
1. Ragnarok
2. My Mother Earth
3. Like Your Son
4. For My God

Line-up
Drakhen: vocals, all instruments

BLOODSHED WALHALLA – Facebook

The Mild – Coffin Tree

Una scarica di adrenalina hardcore, resa ancora più estrema da un’anima grind, spogliata da inutili orpelli e rivestita di attitudine stoner per una jam assurda tra gli Entombed di Wolverine Blues e i Corrosion of Conformity del sottovalutato IX, il tutto proveniente da un’umida cantina veneta.

Quando si preme il tasto play si viene investiti da una scarica di adrenalina hardcore, resa ancora più estrema da un’anima grind, urgente e senza compromessi, spogliata da inutili orpelli e rivestita di attitudine stoner per una jam assurda tra gli Entombed di Wolverine Blues e i Corrosion of Conformity del sottovalutato IX, il tutto proveniente da un’umida cantina veneta.

Ovviamente i The Mild ci aggiungono un’attitudine underground ancora più accentuata, per mezzora di calci e pugni in pieno volto, rabbiosi e devastanti; la band carica il fucile di micidiali pallettoni che, fin dall’opener The Lord Has Fallen, provocano enormi crateri.
Il loro modo di esprimersi è volutamente scorretto, diretto e brutale, i riff di cui si compongono i brani sono torturati ed alternano il classico mood stoner, potente e rallentato da attimi di sludge/doom a ferali e veloci esempi di metal estremo tra hardcore e grind.
Il bello è che Coffin Tree, nel suo essere estremamente underground, si fa ascoltare che è un piacere, quindi non allarmatevi se il vostro ultimo dito rimasto ancora intatto premerà di nuovo quel maledetto tasto, perché la voglia di farsi male supera il dolore inferto dai colpi che, impietosi, si abbattono al suono di Forced Detention, Undeserving Entities e The Complaint Daily Press.
I The Mild picchiano come dei fabbri intenti a lavorare una lega indistruttibile di metal estremo: il fuoco arde ed il liquido incandescente provoca reazioni stoner/hardcore/grind metal potentissime e devastanti, e in più pare che dal vivo siano assolutamente letali …

Tracklist
1.The Lord Has Fallen
2.Slow Decay
3.Forced Detention
4.The Letter
5.Human Roots
6.Undeserving Entities
7.Against You
8.Endless Misunderstanding
9.Catharsis
10.The Complaint Daily Press

Line-up
Alessandro Cossu – Drums
Andrea Alfier – Bass Guitar
Vanny Piccoli – Guitar/Vocals

THE MILD – Facebook

Gabriels – Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers

Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tra i molti talenti della scena della scena metallica tricolore, il tastierista e compositore Gabriels è uno dei più attivi, dai Platens ai molti progetti a cui ha prestato il suo estro, fino alla sua ottima carriera solista che lo ha visto impegnato con il concept dal tragico tema riguardante i fatti dell’11 settembre 2001 (Prophecy) e in seguito l’inizio della saga Fist Of The Seven Stars, con il primo capitolo (Act 1, Fist Of Steel) uscito un paio d’anni fa, del quale questo nuovo lavoro è il seguito.

Tra le due opere il tastierista nostrano ha registrato Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1, uscito all’inizio dell’anno e riuscito esperimento nel suo coniugare la musica classica di un’orchestra con i suoni moderni del suo synth.
La firma con Rockshots Records porta dunque alla seconda opera che racconta il mondo del manga giapponese “Hokuto no Ken”, di Tetsuo Hara and Buronson, e le avventure di Kenshiro, uno dei personaggi più noti al grande pubblico.
Come ci ha piacevolmente abituati, Gabriels si contorna di ottimi musicisti e cantati della scena metal nazionale ed internazionale, un gruppo numeroso di ospiti che valorizza il sound creato per la storia che poggia, ovviamente sullo strumento principale suonato dal nostro, ma lascia comunque spazio ad ogni protagonista impegnato nel fare di Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers l’ennesima splendida opera.
Una decina di cantanti, con Wild Steel nei panni di Ken, una serie di ottimi chitarristi, ed una sezione ritmica che vede alternarsi cinque bassisti ed altrettanti batteristi (dei quali scoprirete i nomi in fondo alla recensione per non fare torto a nessuno, visto il livello assoluto di ciascuno) aiutano così Gabriels in questa nuova avventura dal sound rock/metal, melodico e progressivo, a tratti animato dal power, valorizzato da virtuosi interventi solistici del sempre ispiratissimo synth, ma senza mai perdere il filo del racconto in musica, piacevole da ascoltare e, a tratti, esaltato da una vena epica che glorifica bellissime melodie metal/prog.
Più di un’ora di esperienza uditiva tutta da vivere, mentre i personaggi della storia compaiono nella nostra mente al suono delle melodie metalliche incastonate tra lo spartito dell’opener The Search Of Water Bird, della bellissima prog/aor End Of Cobra, dell’epico incedere di Scream My Name e della monumentale Myth Of Cassandra.
Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tracklist
01.The search of water bird
02.Cobra clan
03.End of Cobra
04.I see again
05.Scream my name
06.Miracle land
07.I’m a genius
08.Looking for your brother
09.Myth of Cassandra
10.Reunion
11.Legend of fear
12.King of fist

Line-up
Wild Steel (Shadows of Steel) as Ken
Jo Lombardo (Metatrone, Ancestral) as Ray
Rachel “Iron Majesty” Lungs as Mamiya
Dario Grillo (Platens, Violet Sun) as Toky
Alfonso Giordano (Steel Raiser) as Wiggle
Iliour Griften (Beto Vazquez’ Infinity, Clairvoyant) as Amiba
Antonio Pecere (Crimson Dawn) as Raoul
Dave Dell’Orto (Drakkar, Verde Lauro) as Jagger
Beatrice Bini (Constraint, Vivaldi Metal Project) as Aylee
Matt Bernardi (Ruxt) as Cobra Boss

Guitars:
Antonello Giliberto
Francesco Ivan Sante dall’ò
Stefano Calvagno (Metatrone)
Antonio Pantano (Arcandia)
Tommy Vitaly
Frank Caruso (Arachnes)
Daria Domovik (Concordea)
Andrew Spane
Stefano Filoramo

Bass:
Dino Fiorenza (Metatrone)
Beto Vazquez (Beto Vazquez’s Infinity)
Adrian Hansen
Fabio Zunino
Arkadiusz E. Ruth (Path Finder)

Drums:
Mattia Stancioiu (ex-Vision Divine, ex- Labirynth)
Simone Alberti (Gabriels)
Giovanni Maucieri (Gabriels)
Michele Sanna (Coma)
Salvo Pennisi

GABRIELS – Facebook

Bastian – Grimorio

Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Il chitarrista siciliano Sebastiano Conti torna con il quarto album della sua creatura, Bastian, da una manciata d’anni una delle migliori espressioni dell’hard & heavy classico, prima con l’esordio Among My Giants uscito autoprodotto nel 2014 e poi ristampato l’anno seguente dalla Underground Symphony, ed in seguito con Rock Of Daedalus e Back To The Roots, licenziato lo scorso anno.

Contornato nei vari album da una bella fetta di icone del genere come Michael Vescera, Mark Boals, Vinnie Appice, John Macaluso e Apollo Papathanasio, il chitarrista nostrano si affida questa volta a nuovi musicisti come James Lomenzo al basso (Ozzy Osbourne, Megadeth, Black Label Society), Federico Paulovich (Destrage) alla batteria e al cantante danese Nicklas Sonne (Defecto, Theory), formando un quartetto compatto e più vicino al concetto di vera e propria band.
Grimorio porta con sé una sterzata stilistica importante, con il gruppo che ci sbatte sul muso dieci pezzi di granito hard rock dalle chiare influenze sabbathiane, non dimenticando che siamo nel 2018 e che il groove è diventato l’arma letale per sfondare con forza bruta i cuori dei rockers odierni.
Black Sabbath da una parte e Black Label Society dall’altra, un mix letale di hard groove rock che non dimentica la lezione di chi fino ad ora era stato ispirazione importantissima per la musica dei Bastian, ovvero i Led Zeppelin ed il loro hard blues.
Si parte da qui per un altro ottimo lavoro, tutto cuore, passione, sudore e talento, con la chitarra di Conti che segue le coordinate tracciate da quel mostro di Zakk Wylde, nel genere il miglior chitarrista vivente, per un lotto di brani in cui regna sua maestà il riff.
Le prestazioni singole sono eccezionali: James Lomenzo e Federico Paulovich formano una sezione ritmica tellurica, Nicklas Sonne si dimostra cantante di razza e Conti, senza strafare, conferma la sua bravura alla sei corde, uscendo ancora una volta vincitore con mazzate inferte senza pietà come l’opener Pale Figure che dà il via alle danze con la sua maestosa ed oscura atmosfera doom.
Ancora il blues acido di The Trip, l’hard & heavy sabbathiano era Dio di Southern Tradition, lo splendido hard rock di The Time Has Come, la danza psichedelica Epiphany’s Voodoo e la conclusiva Fallen Gods contribuiscono a fare di Grimorio un mastodontico pezzo di meteorite in caduta libera sul pianeta Terra.
Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Tracklist
01.Pale Figure
02.Sly Ghost
03.The Trip
04.Infinite Love
05.It’s Just A Lie
06.Southern Tradition
07.The Time Has Come
08.Epiphany’s Voodoo
09.Black Wood
10.Fallen Gods

Line-up
Sebastiano Conti – Guitar
Nicklas Sonne – Vocals
James Lomenzo – Bass
Federico Paulovich – Drums

BASTIAN – Facebook

This Void Inside – My Second Birth/My Only Death

Se siete amanti del gothic metal come dal più tradizionale dark rock, My Second Birth/My Only Death risulta un album molto suggestivo, in grado di mantenere un’alta qualità per tutta la sua durata e conseguentemente l’attenzione di chi ascolta.

Il dark rock ha sempre mantenuto un orgoglioso distacco dalle sonorità e dall’approccio metal almeno per tutti gli anni ottanta, più vicino per molti aspetti alla new wave.

Poi con l’arrivo dell’ultimo decennio del vecchio millennio, il successo del gothic metal ed i riferimenti alle band storiche del genere (i più gettonati sono Depeche Mode e Sisters Of Mercy) da parte di molte band metal, ha portato ad una più stretta vicinanza tra le sonorità notturne che vanno per la maggiore come dark, gothic e symphonic metal.
I romani This Void Inside fanno parte di quelle band che hanno sviluppato il proprio suono rimanendo legati ad un approccio più classico al genere, anche se non possono certo essere considerati un gruppo vintage così come neppure prettamente metal.
Gothic dark rock, quindi, dall’alto appeal e dalle ottime melodie, messe in risalto dalla sempre presente componente elettronica che rende il sound assolutamente perfetto per i club mitteleuropei, e di conseguenza dal respiro internazionale.
La band nasce nel 2003 come one man band dell’ex frontman dei My Sixth Shadow, Dave Shadow, in seguito trasformatasi in un gruppo a tutti gli effetti: My Second Birth/My Only Death è il secondo lavoro in uscita per Agoge Records, successore del debutto intitolato Dust uscito ormai dieci anni fa.
I This Void Inside sono fprmati da appunto Dave Shadow (voce, synth e programming), Saji Connor (basso), Frank Marrelli e Alberto Sempreboni (chitarre) e Simone “Some” Gerbasi (batteria), all’album hanno contribuito in veste di ospiti su di un brano, Max Aguzzi (Dragonhammer) e Diego Reali (ex DGM, Hevidence), mentre la produzione è stata affidata al boss della label Gianmarco Bellumori.
L’album è un ottimo esempio di gothic dark rock, tra tradizione e moderni spunti avvicinabili al metal, specialmente nei suoni delle chitarre a tratti granitici, mentre le splendide linee vocali, i cori e i refrain dall’appeal considerevole aiutano il fluido scorrere delle note romantico/notturne create dal gruppo; i brani sono caratterizzati da atmosfere che si insinuano nella testa, fluide ed eleganti, tra parti sintetiche e altre più rock creando la giusta alternanza tra le sfumature principali che animano il sound di brani come Relegate My Past, Trapped in a Daze, Losing My Angel e la teatrale The Artist and the Muse (dove compare un recitato in lingua madre).
Se siete amanti del gothic metal come dal più tradizionale dark rock, My Second Birth/My Only Death risulta un album molto suggestivo, in grado di mantenere un’alta qualità per tutta la sua durata e conseguentemente l’attenzione di chi ascolta: le band di riferimento che escono allo scoperto tra le trame del disco dipendono molto dal background di ognuno di voi, non resta che scoprirle senza indugi.

Tracklist
01. My Second Birth / My Only Death (Intro)
02. Betrayer MMXVIII
03. Relegate My Past
04. Memories’ Dust
05. Trapped In A Daze
06. Here I Am
07. Another Fucking Love Song
08. Losing My Angel
09. Meteora
10. Ocean Of Tears
11. All I Want Is U
12. Break Those Chains
13. The Artist And The Muse (Bonus Track)
14. Downtrodden (Bonus Track)

Line-up
Dave Shadow – Vocals,synths & programming
Saji Connor – Bass and backing vocals
Frank Marrelli – Lead guitars
Alberto Sempreboni – Rhythm guitars
Simone “Some” Gerbasi – Drums

THIS VOID INSIDE – Facebook

Eidulon – Combustioni

Combustioni è un lavoro di enorme pregio, che merita l’attenzione di un gran numero di appassionati nonostante la naturale ritrosia da parte di qualcuno nel lasciarsi piagare le carni dalle sonorità aspre e profonde messe in campo da Gemelli.

La sperimentazione ha un senso solo quando non è fine a sé stessa, su questo non ci sono dubbi: solo se vengono rispettate tali condizioni anche le sonorità più ostiche hanno la possibilità di ottenere la giusta attenzione da parte di una fascia di ascoltatori,dotata comunque di un’attitudine all’ascolto non comune.

Il progetto denominato Eidulon possiede tutti questi crismi, forse perché nonostante una lungo silenzio l’ottimo Francesco Gemelli (che molti conosceranno anche per il suo prezioso operato in qualità di grafico) dimostra una padronanza totale della materia, modellandola e piagandola alle proprie esigenze, sfruttando al meglio in tal senso il contributo degli ospiti chiamati a collaborare alla riuscita di Combustioni.
L’album è un contenitore colmo di materia pericolosa ed instabile, sotto forma ora di dark ambient, ora di un industrial dalle sfumature apocalittiche; il tratto comune del lavoro è, però, un incedere talvolta solenne che viene sfregiato dalle prestazioni vocali di ospiti di primo piano come Nordvagr (MZ.412) e Luca Soi, il cui apporto si rivela senz’altro attrattivo anche per gli appassionati di doom, senza dimenticare il significativo apporto fornito da altri nomi di spessore quali Kammarheit, Caul e Naxal Protocol.
Indubbiamente , se il brano che vede all’opera uno dei protagonisti dell’epopea della Cold Meat Industry (A Shimmer In The Void), si rivela una delle massime espressioni possibili che si possano esibire in quest’ambito, non è certo da meno una traccia a dir poco impressionante come Grande Rosso, nella quale Luca Soi abbandona le tonalità evocative utilizzate nel recente capolavoro dei Void Of Silence per ergersi sinistro nel declamare un testo in lingua madre al di sopra di un tappeto sonoro altamente minaccioso.
L’organo che si insinua tra le pieghe The Hierarchy Of The Inner Planes (ancora con Nordvagr e con il fattivo contributo di Naxal Protocol) è qualcosa di destabilizzante, così come l’instabile quiete evocata dai vocalizzi di Soi in Immanence, dove spicca l’apporto di Brett Smith (Caul).
Kammarheit non può che essere chiamato in causa nella traccia più canonicamente dark ambient del lotto, Averni Flammas Transivi, mentre i due brani del tutto appannaggio di Gemelli aprono e chiudono il lavoro in maniera esemplare, con In Igne Revelabitur, dal riferimento nel titolo al quel fuoco che è una sorta di filo conduttore del disco, dedicato all’artista Alberto Burri capace di utilizzare appunto questo elemento come pennello (la magnifica copertina richiama il tutto in maniera eloquente), e con Stratificazione Settima, superbe prove di dark ambient disturbante e allo stesso tempo avvolgente.
Combustioni è un lavoro di enorme pregio, che merita l’attenzione di un gran numero di appassionati nonostante la naturale ritrosia da parte di qualcuno nel lasciarsi piagare le carni dalle sonorità aspre e profonde messe in campo da Gemelli.

Tracklist:
1.In Igne Revelabitur
2.A Shimmer In The Void (feat. Nordvargr)
3.Grande Rosso (feat. Luca Soi)
4.Averni Flammas Transivi (feat. Kammarheit)
5.The Hierarchy Of The Inner Planes (feat. Naxal Protocol & Nordvargr)
6.Immanence (feat. Caul & Luca Soi)
7.Stratificazione Settima

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ShakesnaKe – Dynamite

Dynamite è composto da quattro brani diretti e senza fronzoli, quattro scariche adrenaliniche che accomunano per ispirazione varie icone del genere: di Motley Crue agli Skid Row, dai Twisted Sister ai Kiss, per un sentito e riuscito tributo ad uno dei periodi più splendenti per la nostra musica preferita.

L’hard rock stradaiolo proveniente dal Sunset Boulevard in quel di Los Angels tra i colori accesi degli spandex di metà anni ottanta, continua ad ispirare le nuove generazioni in un continuo party, relegato ormai all’underground ma in grado di smuovere montagne a colpi di adrenalinico rock’n’roll.

La Volcano Records, giovane label con un occhio di riguardo per le sonorità hard rock, licenzia Dynamite, nuovo esplosivo ep dei milanesi ShakesnakE, quintetto lombardo capitanati dal chitarrista e fondatore Roxy Snake.
Attivo dal 2013 e con qualche cambio nella line up da archiviare, il gruppo si presenta con un bagaglio di esperienza da cover band dei nomi classici dell’hard/street rock ottantiano e da qui prende spunto per creare il proprio sound.
Dynamite è composto da quattro brani diretti e senza fronzoli, quattro scariche di elettricità che accomunano per ispirazione varie icone del genere: dai Motley Crue agli Skid Row, dai Twisted Sister ai Kiss, per un sentito e riuscito tributo ad uno dei periodi più splendenti per la nostra musica preferita.
Si preme play e I Still Carry On vi catapulta direttamente sulle strade luccicanti davanti ad uno dei tanti locali che resero la città degli angeli la mecca per i rockers dai capelli cotonati; Same Old Shit conferma le prime impressioni destate dall’opener: gli ShakesnakE si presentano come belve affamate, azzannano e strappano carni con riff scolpiti sui muri del Whiskey a Go Go, attitudine e passione che esce prepotentemente da ogni nota di Lady Dynamite e dalla conclusiva Like A Loaded Gun.
Un cantante dotato di un timbro metal (Riky”basto” Snake) imprime una grinta heavy da non sottovalutare e, come il titolo promette, il lavoro risulta una piccola bomba pronta ad esplodere.
In attesa di sviluppi discografici sulla lunga distanza, Dynamite si può certamente considerare un biglietto da visita di tutto rispetto per gli ShakesnakE.

Tracklist
1. I Still Carry On
2. Same Old Shit
3. Lady Dynamite
4. Like A Loaded Gun

Line-up
Roxy Snake- rythm guitar and backing vocals
Riky”basto” Snake-vocals
Red Snake-lead guitar
Lixxy Snake- bass
J.J. “bala”Snake-Drums

SHAKESNAKE – Facebook