Beneath The Storm – Lucid Nightmare

Disco in bilico tra sogno e morte, una grande prova di maturità per il gruppo.

Quarto disco per gli sloveni Beneath The Storm, uno dei primi gruppi anni fa ad approdare al roster di Argonauta Records.

Come sempre questi sloveni ci regalano un concept album, questa volta è sugli incubi, porte multidimensionali che si aprono tra il nostro subconscio e mondi lontani.
Oltre ad essere un disco molto godibile, Lucid Nightmare segna anche una nuova poetica musicale del gruppo. Lasciate un po’ indietro certe asperità sonore dello sludge pesante, in questo disco i Beneath The Storm hanno ricercato sonorità più vicine allo stoner sludge, con una fortissima impronta grunge, vicina a quella fabbrica di musica e dolore che si chiamava Alice In Chains. Il suono non è più melodico, è mutato dalla base id partenza del loro sludge distorto e quasi atmosferico per giungere ad un suono più organico e forse più semplice, migliore rispetto a prima, anche se non si può effettuare un vero confronto dato che l’ambiente è cambiato radicalmente. Si può parlare di maturazione, ma penso che musicisti così poliedrici e capaci possano e devono cambiare il loro suono quando e come vogliono. Per abitudine mentale ai loro precedenti dischi mi aspettavo qualche cosa di diverso e quando ho ascoltato il disco sono rimasto piacevolmente sorpreso e davvero convinto della forza di questo disco. I Beneath The Storm fanno compiere un salto ulteriore per la loro musica, che diventa un qualcosa di molto più fruibile e ancora più affascinante di prima. Il disco parla del sonno, la nostra morte quotidiana che fa nascere mondi malati dentro di noi, perché gli incubi sono molto più interessanti e quotidiani dei sogni. I Beneath The Storm ci fanno capire, con questa musica pesante eppure eterea, che l’incubo è il nostro vero habitat naturale, e che non vi è nulla di male a far gridare il nostro io intrappolato nelle ore di veglia. Disco in bilico tra sogno e morte, una grande prova di maturità per il gruppo.

TRACKLIST
01. Nightmare’s Gate
02. Paralyzed In Sleep
03. Nightmares Overcome
04. Insomnia
05. Lucid Nightmare
06. Dementia
07. Atrocious Dreams
08. Down
09. On High In Blue Tomorrows
10. The House Of Doom

BENEATH THE STORM – Facebook

Alms Of The Giant – Meet The Abyss Ep

Questi cinque ragazzi fanno un’ottima miscela di hardcore, metalcore e post rock, il tutto con estrema naturalezza e bravura.

Gruppo milanese attivo dal 2013 che fa il suo debutto con questo ep in download libero.

Questi cinque ragazzi fanno un’ottima miscela di hardcore, metalcore e post rock, il tutto con estrema naturalezza e bravura. Certamente l’ascolto del disco renderà molto meglio delle mie povere parole. Questo ep è molto bello e ha un carica metal nel suo complesso che è davvero forte e potente.
Quattro pezzi che esplorano le diverse anime di un gruppo che ha molte idee e che riesce ad esprimersi molto bene, pur avendo davvero tanto da suonare e da dire. Ascoltando questi quattro pezzi ho ritrovato un certo gusto nel fare un metal che attraversa vari generi, e una carica ed una voglia che non riscontravo da tempo. Un esordio estremamente positivo.

TRACKLIST
1.Meet The Abyss
2.Marble Thoughts
3.New Kaledonia
4.Feel Lost

LINE-UP
Marco
Federico
Luca
Fabio
Fulvio

ALMS OF THE GIANT – Facebook

VV.AA. – Thirteeen: An Ethereal Sound Works Compilation

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Sono ben 19 i brani contenuti in questa raccolta piuttosto esaustiva con la quale il buon Gonçalo esibisce i suoi gioielli, anche quelli più preziosi ma, purtroppo, non più attivi come i Vertigo Steps.
Così, in questo caleidoscopio di suoni ed umori, troviamo il metal con il death dei Rotem e il power/thrash degli Hourswill, il rock alternativo di Secret Symmetry, Painted Black, Dream Circus e Artic Fire, il punk di The Levities, Chapa Zero e Punk Sinatra, il dark di And The We Fall, Rainy Days Factory e My Deception, l’indie dei The Melancholic Youth Of Jesus, il folk dei Xicara , la sperimentazione pura dei Fadomorse e l’ ambient degli Under The Pipe e dei Soundscapism Inc., quest’ultimo fresco progetto di Bruno A., successivo allo split dei Vertigo Steps, qui rappresentati dalla splendida Silentground.
L’eclettismo è il vero marchio di fabbrica della ESW, grazie alla quale abbiamo la possibilità di constatare come in Portogallo si produca tanta musica di qualità, in più di un caso oggetto delle nostre recensioni (che possono essere lette nella sezione sottostante denominata articoli correlati).
Non ci sono solo i Moospell o il fado, quindi, a rappresentare il fatturato musicale lusitano, e questa compilation offre una ghiotta possibilità di farsi un’idea più precisa di quel movimento, portando alla luce diverse realtà oltremodo stimolanti.

Tracklist:
1.Secret Symmetry – Disarray And Silver Skies
2.Vertigo Steps – Silentground
3.Painted Black – Quarto Vazio
4.Hourswill – Atrocity Throne
5.My Deception – Daylight Deception
6.Dream Circus – Ticking
7.Rotem – The Pain
8.The Levities – Split Lip
9.Chapa Zero – Vai Lá Vai
10.Punk Sinatra – Nunca Há Paciência
11.Under The Pipe – No Need Words
12.Artic Fire – Running
13.The Melancholic Youth Of Jesus – Insensivity
14.And Then We Fall – Ancient Ruins
15.Rainy Days Factory – Deep Dive
16.Fadomorse – Deicídio
17.Xícara – Cantiga (Deixa-te Estar na Minha Vida)
18.Dark Wings Syndrome – In My Crystal Cage (2015)
19.Soundscapism Inc. – Planetary Dirt

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Throwers – Loss

Con un impatto devastante diluito in pause strumentali più rallentate, il primo albume dei tedeschi Throwers risulta accessibile. Loss si presenta infatti dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario, ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

Forse l’album dalla copertina più fuorviante che mi sia mai capitato. Non conoscevo i Throwers e la foto di un signore anziano con occhialini e barba lunga, intento a qualche lavoro manuale (ha qualcosa tra le mani) su uno sfondo colore rosa mi faceva pensare a una band di folk rock.

Il retro della copertina cartonata con la scritta che suggerisce di ascoltare l’album al volume più alto possibile per poter apprezzare al meglio il suono della band e l’analisi più attenta della foto dell’uomo che in mano ha un teschio, mi fa capire che sono fuori strada.
Ma sono ugualmente a mio agio. Loss è il primo album sulla lunga distanza dei tedeschi Throwers, che si presentano con un hardcore violento e sporco, bello solido e compatto, mescolato con sfumature post harcore, ma solo dal punto di vista strumentale. La voce di Alex infatti non molla mai la cattiveria e l’aggressività.
Nonostante il disco sia piuttosto brutale, l’ottima registrazione permette di apprezzarne i vari strumenti, che non risultano un muro di suono caotico, ma qualcosa di bene progettato.
Velocità e tecnica sono proprietà di questo album, che ha la caratteristica di essere composto da un ritmo di fondo ben riconoscibile a cui si sovrappongono più in superficie diversi elementi variabili: a tratti sembra di ascoltare del black metal, a tratti del post metal mescolato con del punk.
Azzeccata anche la scelta di inserire momenti tranquilli nella struttura delle diverse canzoni, perché permette di arrivare in fondo alla mezzora abbondante dell’album senza essere stravolti. E l’impatto, seppur devastante, viene diluito. Accessibile come era già capitato per altre band precedenti e alle quali probabilmente si inspirano (Botch, Knut, Converge per citarne alcune), Loss si presenta dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

TRACKLIST
1. Singularity
2. Der Makel
3. Karg
4. Homecoming
5. Unarmed
6. Assigning
7. Nevermore

LINE-UP
Jonas – Bass
Gabriel – Drums
Kay – Guitar
Alex – Vocals

THROWERS – Facebook

Mechina – Progenitor

Progenitor è un altro album mostruoso sotto ogni aspetto, la totale perfezione nell’amalgamare le orchestrazioni sinfoniche al metal estremo moderno, a cui si aggiungono atmosfere sempre differenti che fanno dei Mechina degli assoluti maestri.

E’ arrivata, l’abbiamo aspettata un’anno esatto, ma puntuale il 1° gennaio 2016 l’astronave Mechina è tornata per riportarci in giro per l’universo, tra mondi sconosciuti, alla scoperta di antiche ed affascinati civiltà persi nel black hole estremo che è la musica di questa band fuori dal comune.

Gli ufficiali Joe Tiberi e Dave Holch, sempre sul ponte di comando, questa volta affrontano battaglie intergalattiche, con la consapevolezza di essere una macchina da guerra devastante, i nemici non sono i mostri mitologici di Acheron, ma esseri più vicini a noi, come in Xenon e la musica di conseguenza risulta meno sacrale ed epica e più industrial, tornando a confrontarsi con i Fear Factory e gruppi più terreni.
Il risultato non può che essere comunque a vantaggio di questi splendidi creatori di musica estrema moderna, ormai tenacemente un passo davanti a tutti, almeno alle band che affrontano lo stesso genere dei mostruosi musicisti dell’Illinois.
Come avrete capito, il nuovo lavoro si avvicina al sound di Xenon, lasciando ad una splendida voce femminile, molte parti dei vari brani.
Sempre epico ma meno oscuro del suo predecessore, Progenitor è molto più siderale, ma mentre Acheron non lasciava trasparire la benché minima luce, il nuovo lavoro lascia spazio alla speranza, come se la band volesse dirci che lo spazio profondo non è poi così annichilente come descritto un anno fa.
Sinfonie ariose si fanno spazio tra le devastanti ritmiche industrial death, attimi di terrorizzante death metal moderno sono spazzati via da un mood positivo, nascosto, ma ben visibile ad un orecchio attento, e Progenitor decolla, dopo il massacro Ashes of Old Earth, per donare ancora una volta una visione dello spazio che, ad ogni album lascia in noi sensazioni ed emozioni differenti, come la trama e le varie avventure di un’odissea, iniziata ormai più di dieci anni fa con The Assembly of Tyrants.
Benissimo ha fatto il gruppo a non soffermarsi troppo sulla monolitica magniloquenza di Acheron, il nuovo album traccia altre coordinate su cui l’astronave Mechina viaggia, non solo death metal sinfonico e industrial ma dark wave ottantiana, specialmente nella sublime Anagenesis, capolavoro di Progenitor, alla pari con Cryoshock e la title track, posta in chiusura e che torna al death metal sinfonico dalle ritmiche devastanti a cui ci hanno abituato questi fenomenali musicisti americani.
Progenitor è un altro album mostruoso sotto ogni aspetto, la totale perfezione nell’amalgamare le orchestrazioni sinfoniche al metal estremo moderno, a cui si aggiungono atmosfere sempre differenti che fanno dei Mechina degli assoluti maestri.
Il viaggio è finito, scendiamo dall’astronave e salutiamo i due ufficiali sperando che sia un arrivederci al prossimo anno: 1-1-2017, io li sto già aspettando.

TRACKLIST
1. Mass Locked
2. Ashes of Old Earth
3. Starscape
4. Cryoshock
5. The Horizon Effect
6. Anagenesis
7. Planetfall
8. Progenitor

LINE-UP
Joe Tiberi- Guitars, Programming
David Holch- Vocals

MECHINA – Facebook

War Anyway – War For Peace

Un lavoro industrial/metal/rock su cui vale la pena soffermarsi

I francesi War Anyway, formazione a due di cui è stato impossibile trovare i nomi, debuttano sulla breve distanza con i cinque brani del controverso ep War For Peace. Il disco, incentrato sul tema della guerra come portatrice di pace (?), insiste su ritmi marziali abbinati a riusciti mix di melodia e ruvidezza.

Le isolate pulsazioni di Crossing The Rubicon, si sviluppano ben presto in un trascinante rock industriale incentrato su batteria, chitarra e synth (ottimi i ritornelli), mentre l’alternarsi di energia e (relativa) quiete di We Are The Army, risultando sempre coinvolgente e deciso, lascia che a seguire sia il breve e spigliato procedere di Actions Have Consequences.
Il torbido svilupparsi dell’elettrica e incisiva The Rise Of A Tyrant, invece, cede spazio al più ragionato svilupparsi (non meno determinato) della conclusiva e intensa The System Is Down.

I cinque brani proposti dai War Anyway, tralasciando le tematiche del concetto di guerra e di pace (e di come raggiungere quest’ultima), vanno dritti al punto in maniera diretta ed efficace, convincendo fin dal primo ascolto. Un lavoro industrial/metal/rock su cui vale la pena soffermarsi.

TRACKLIST
01. Crossing The Rubicon
02. We Are The Army
03. Actions Have Consequences
04. The Rise Of A Tyrant
05. The System Is Down

WAR ANYWAY – Facebook

Atropas – Episodes of Solitude

Episodes Of Solitude è un buon lavoro, superiore a molti di quelli usciti nei circuiti mainstream, ed è assolutamente consigliato agli amanti del modern metal dal taglio core, i quali non devono lasciarselo sfuggire.

Episodes Of Solitude è la seconda, violentissima mazzata, creata dai pesantissimi Atropas, gruppo melodic/metalcore di Zurigo, nati nel 2011 e con alle spalle “Azrael”, primo lavoro datato 2013.

Siamo nei lidi metalcore, ipervitaminizzati da violentissime parti death/thrash, e attraversati da clean vocals melodiche e disperate in un clima di devastazione come ben rappresentato nell’artwork, che vede un uomo, solo circondato dal panorama apocalittico di una città distrutta.
Il sound del gruppo svizzero ha poco di originale, ma dal lato puramente metallico i fans del genere avranno di che gioire: ritmiche core, pesantissime, un growl dal timbro death che entra dentro le viscere e aperture melodiche, con ottimi solos dal taglio classico, sono le maggiori peculiarità della musica prodotta dalla band, un ottimo esempio di metal estremo moderno, dal forte impatto, aggressivo e con una vena di melanconica disillusione.
Prodotto benissimo, il suono dell’album esce come una tempesta di note cristalline e potentissime, il gruppo con gli strumenti ci sa fare e la sezione ritmica, varia, potentissima e dal groove micidiale (Kevin Steiger al basso e Sandro Chiaramonte alle pelli) risulta la gettata di cemento armato su cui i due chitarristi (Dave Colombo e Mahmoud Kattan anche al microfono) costruiscono riff devastanti e bellissimi solos, ora sanguinanti e taglienti, a tratti melodici e come detto, dal taglio classico, vicino al più puro death metal melodico.
Brani che alternano un mood classico, a devastanti parti di metalcore modernissimo, così che l’ascolto non annoia, continuando a girovagare spersi per le rovine della città distrutta, simbolo di un’umanità arrivata inesorabilmente alla fine e di cui Episodes Of Solitudes può senz’altro rappresentare la devastante colonna sonora.
Le influenze del gruppo sono ben riscontrabili tra le band storiche del genere, dai sempre presenti Pantera degli ultimi album, ai Machine Head e poi i gruppi del movimento “Core” degli ultimi anni.
Anche se alle prese con un genere che comincia a tirare leggermente la cinghia, gli Atropas risultano convincenti, dall’alto di una raccolta di brani che mantengono una buona media qualitativa dall’inizio alla fine con le ottime Lost Between Worlds, il singolo Crimson Zero, Hit the Floor e Alone che spiccano sulla scaletta dell’album.
Episodes Of Solitude è un buon lavoro, superiore a molti di quelli usciti nei circuiti mainstream, ed è assolutamente consigliato agli amanti del modern metal dal taglio core, che non devono lasciarselo sfuggire.

Tracklist:
1. Молотов
2. Lost Between Worlds
3. Crimson Zero
4. One Last Time
5. Take Me Home
6. Hit the Floor
7. Real Me
8. Alone
9. I Dreamed I Was Old
10. Closure

Line-up:
Kevin Steiger – Bass
Sandro Chiaramonte – Drums
Dave Colombo – Guitar
Mahmoud Kattan – Vocals & Guitar

ATROPAS – Facebook

Pavillon Rouge – Legio Axis Ka

Album difficile da assimilare per chi vive di musica a compartimenti stagni, Legio Axis Ka è consigliato agli amanti dell’estremo che non disdegnano soluzioni moderniste ed elettroniche.

I suoni metallici amalgamati a quelli sintetici ed elettronici non fanno più quel clamore di una ventina d’anni fa: anche in questo ibrido musicale si è già detto più o meno tutto e gli album che hanno fatto storia sono stati saccheggiati dalle nuove leve in ogni loro parte.

Vero è che, chi ha raccolto maggiori proseliti sono quei gruppi che, partendo dalla lezione impartita dai Fear Factory, hanno creato mostri di abominevole metal estremo, violentato e reso ancora più devastante dalle soluzioni industriali.
Ma i francesi Pavillon Rouge fanno spallucce e proseguono imperterriti la loro discesa negli inferi con Legio Axis Ka, un monolite di black metal estremizzato da iniezioni di elettro/industrial, dalle forti reminiscenze new wave e dall’appeal straordinario.
Il gruppo estremo di Grenoble, attivo da quasi una decina d’anni, immette sul mercato tramite la Dooweet, questo secondo, splendido lavoro dopo cinque anni dall’ultimo parto, “Solmeth Pervitine”.
Black metal si diceva, feroce, e distruttivo, una bestia malefica che si nutre di suoni drogati e sintetici, atmosfere cyber ed industriali, fanno del nuovo lavoro una massacrante prova di forza da parte della band transalpina, in un viaggio per lo spazio che finisce inevitabilmente con una interminabile caduta tra le braccia di un demoniaco signore residente nel più profondo abisso.
Ottimamente usati, i suoni moderni trasmettono atmosfere che si diversificano ad ogni passaggio: ora disturbanti, molte volte creando sfumature sinfoniche e spaziali, ora tuffandosi nella techno (Kosmos Ethikos), creando un universo di musica estrema varia e dall’ottimo feeling.
Un mostro creato, come dal dottor Frankenstein, impossessandosi di parti che, ricucite assieme prendono vita, richiamando sotto la fiamma nera del black oltranzista una serie di generi nati dai suoni sintetici come l’industrial, la techno e la new wave per un risultato forse ambiguo ma molto affascinante.
Spaziale nel suo incedere, Legio Axis Kla, ha nelle parti estreme , dove la furia black è tenuta per le briglie dalla marzialità dei suoni cyber, i momenti più intensi come nell’opener Prisme vers l’Odysée e L’enfer se souvient, l’enfer sait, ottima accoppiata di songs estreme e furiose.
Mars Stella Patria si allontana dall’approccio black sinfonico delle prime due tracce per una canzone molto più sintetica e techno, ed è proprio su questa alternanza di stili che Legio Axis Ka vive, lasciando alla monumentale A l’Univers, il compito di inglobare tra il suo spartito tutti gli umori e le sfumature che compongono la musica dei Pavillon Rouge.
Album difficile da assimilare per chi vive di musica a compartimenti stagni, Legio Axis Ka è consigliato agli amanti dell’estremo che non disdegnano soluzioni moderniste ed elettroniche, se ne astengano invece gli adepti del black più oltranzista.

Tracklist:
1. Prisme vers l’Odysée
2. L’enfer se souvient, l’enfer sait
3. Mars Stella Patria
4. A l’Univers
5. Aurore et Nemesis
6. Droge Macht Frei
7. Kosmos Ethikos
8. Notre Paradis
9. Klux Santur

Line-up:
E.Shulgin – Bass
Kra Cillag – Vocals
Mervyn Sz. – Guitars, Programming
François Guichard – Guitars (lead), Vocals

PAVILLION ROUGE – Facebook

Phlegmatic Table – Waiting For The Wolf

I bielorussi Phlegmatic Table sono autori di un moderno thrash colmo di digressioni industrial e groove: se questo è un assaggio di un prossimo full length ne vedremo e sentiremo delle belle,

Non è poi così facile convincere, ma soprattutto sorprendere, in poco più di dieci minuti, a meno che non si abbiano a disposizione talento e tecnica: i Phlegmatic Table, band proveniente dalla Bielorussia, all’esordio tramite Total Metal Records, ci sono riusciti.

Il trio, all’esordio con questo Ep intitolato Waiting For The Wolf, uscito solo in versione digitale, immette nella propia musica una valanga di idee, assemblando generi e influenze in pochi minuti e conquistando l’ascoltatore, piacevolmente frastornato dalle sorprese che la band riserva ad ogni passaggio.
C’è davvero un po’ di tutto nel sound della band: thrash metal, industrial, alternative e tanto groove, il che produce un monolite di musica estrema, concettualmente progressiva ed ottimamente suonata.
Immaginate il thrash evoluto di Coroner e Mekong Delta, a cui si aggiungano l’industrial metal dei Prong e le ritmiche marziali e groove dell’alternative di moda nel nuovo millennio, ed avrete più o meno un’idea della musica proposta dai Phlegmatic Table.
Senza dimenticare i Voivod di “Angel Rat”, la band spara liriche sarcastiche su questo ottimo tappeto di metal moderno, maturo, tenendo comunque a bada il songwriting che non dimentica mai la forma canzone, specialmente in occasione della notevole title track e dell’opener Chocolate Ice Cream.
Lasciarsi trasportare da parti jazzate che, qua e là, nobilitano ancor di più il suono è un attimo, finché il ritmo colmo di groove della notevole Dirty Shoes entra prepotentemente nelle nostre teste per cicatrizzarsi e non uscirne più.
Davvero notevoli, se questo è un assaggio di un prossimo full length ne vedremo e sentiremo delle belle.

Tracklist:
1. Chocolate Ice Cream
2. Waiting for the Wolf
3. Dirty Shoes
4. Fridge
5. Another Morning

Line-up:
Artour Sotsenko – guitars, vocals;
Vladimir Slizhuk – bass;
Paul Chaplin – drums.

Dan Deagh Wealcan – Who Cares What Music Is Playing In My Headphones?

E’ un susseguirsi di sorprese questo nuovo lavoro dei Dan Deagh Wealcan, che in poco più di trenta minuti racchiudono un’enormità di generi, creando varie atmosfere che cambiano come il clima primaverile

La Metal Scrap non si fa mancare niente nel proprio rooster: le band su cui l’etichetta ha messo lo zampino sono ottime realtà appartenenti ai più svariati generi, dal metal classico all’estremo, fino all’alternative e, come nel caso dei Dan Deagh Wealcan, all’industrial, anche se manipolato e reso originalissimo da abbondanti dosi di alternative metal, maturo e progressivo.

Il duo con cittadinanza in una delle più belle capitali europee (Mosca) nasce nel 2012 ed è al secondo lavoro: Mikhail A. Repp e Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenk soprendono per l’elevata qualità della loro musica, strutturata su un sound che ha, come punto di riferimento, il sound pazzoide di Trent Reznor ed i suoi Nine Inch Nalis, reso originale da una serie di spunti che chiamare geniali è dir poco e che pescano dall’alternative così come dal prog moderno, dall’industrial al metal, in un’amalgama di suoni che spaziano senza lasciare mai la strada dell’originalità.
E’ un susseguirsi di sorprese questo nuovo lavoro dei Dan Deagh Wealcan, che in poco più di trenta minuti racchiudono un’enormità di generi, creando varie atmosfere che cambiano come il clima primaverile, tuoni e fulmini, quando la band decide di aggredire, ma all’improvviso un vento alternativo spazza il cielo e la musica torna su motivi più rock/wave, rabbuiandosi all’improvviso al ritorno di forti burrasche musicali.
Bellissime Dogs In A box ed, Easy Way Long Way (progressiva, oscura, colma di cambi di tempo e allucinanti digressioni alla Primus sopra un tappeto di elettronica); Neutral Moresnet è una song estrema, i maestri Ministry fanno capolino, la voce diventa un pazzoide urlo di dolore, mentre in What Was That sono i Primus a tornare in bella mostra nel songwriting del gruppo moscovita.
In un lavoro così folle poteva mancare Devin Townsend? Baseless Hatred spara accelerazioni thrash che stravolgono ancor di più il sound e l’idea che ci eravamo fatti sulla musica del duo, continuando poi ad alternare elettronica ad alternative rock, in un turbinio di cambi di tempo ed atmosfere.
Gran bel disco, a cui bisogna dedicare un po’ di tempo per far proprie tutte le sfumature che ad ogni ascolto escono dall’opera scritta da questi due geniali musicisti, ai quali ogni tipo di etichetta sta stretta e pare sempre forzata, tanto è originale la loro proposta.

Track List:

1. Anamorphic Widesound
2. Dogs in a Box
3. Easy Way – Long Way
4. No More Than Usual
5. Neutral Moresnet
6. What Was That?
7. Baseless Hatred
8. I Killed Everything That Was Good in Me
9. Endless Apathy 03:43 Total playing time:

Mikhail A. Repp – Sound.
Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko – Voice

Originale sound che mischia industrial, alternative, prog e metal è quello che ci propongono i moscoviti Dan Deagh Wealcan.

https://www.facebook.com/DanDeaghWealcan

Defallen Prophecy – Death, Hate, Love, Life

Per gli amanti del genere, “Death, Hate, Love, Life” può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta

Dura di questi tempi parlare di metalcore: il genere è inflazionato, inutile girarci attorno, meno male che, nella valanga di band che si affacciano sulla scena più cool del momento, emergono realtà di un certo spessore.
Così vien da sé che buoni brani, groove a manetta e melodie azzeccate possano fare la differenza.

Basta questo per uscire allo scoperto e riuscire a portare il proprio prodotto all’attenzione dei fans?
Direi di si, anche se chiaramente non si può pretendere l’originalità, specialmente da un combo giovane e al debutto come i nostrani Defallen Prophecy, ma il buon songwriting e quattro brani che, pur non uscendo dai canoni del genere, dimostrano buona padronanza dei mezzi ed impatto notevole, sono già una garanzia di successo nei confronti degli amanti del metal più moderno.
In effetti gli standard del genere ci sono tutti e messi ben in evidenza, partendo dall’opener Panta Rei, muro sonoro colmo di groove, vocione estremo che si scontra con le clean, violenza controllata ma potente e melodie che si alternano, come il sound descritto esige dai suoi adepti.
Vero è che almeno due brani sono ottimi, Heartbreak (ripresa in versione remix alla fine del lavoro) e la veloce e devastante Rising Hope, dove le clean vocals si riprendono la rivincita con l’ottima melodia del refrain.
Per gli amanti del genere, Death, Hate, Love, Life può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta, prima che il music biz decida che non è più tempo per il metalcore e questi suoni vengano chiusi in quello stesso cassetto dove giace già da un po’ il nu metal: chi vivrà vedrà.

Track List:
1. Panta-Rei
2. The Invisible Cage
3. Heartbreak
4. Rising Hope
5. Heartbreak (Remix)

Line-up:
Lorenzo Carnevali – vocal
Alessandro Carati – bass, vocal
Francesco Oliva – guitar
Andrea Carnevali – guitar
Luca Impellizzeri – drum

DEFALLEN PRPHECY – Facebook

Other Eyes Wise – Chapters

Con il nuovo ed intenso “Chapters”, gli Other Eyes Wise si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core.

Questa volta i ragazzi della WormHoleDeath mi hanno messo in seria difficoltà: come inquadrare un album come Chapters?

Gli Other Eyes Wise sono una band londinese che con il debutto “Zer(o)” dello scorso anno, uscito per l’etichetta nostrana, avevano messo in mostra buone potenzialità.
Il disco, recensito su queste pagine, era piaciuto per l’ottimo approccio al metal moderno, per niente leccato, spogliato da tentazioni commerciali e colmo di digressioni provenienti da svariati generi musicali, inglobati in un unico caleidoscopio di suoni, drammatici e dalla tensione altissima, sopratutto nelle parti in cui le sfuriate metalliche lasciavano spazio a momenti di musica intimista e dall’animo rabbuiato da una melanconia rabbiosa.
Ecco che, nel nuovo album, si amplificano le qualità del gruppo: il secondo capitolo è un lavoro maturo, intenso, che non lascia spazio a nessuna tentazione commerciale, ma spinge proprio sulle atmosfere.
Le melodie, mai banali, mantengono una drammaticità di fondo che tocca l’anima e solo in pochi frangenti si aprono per far entrare un poco di luce nel sound del gruppo, con arpeggi leggermente più ariosi e la voce che si rilassa (Define The Outside).
Sono attimi di speranza, un po’ di quiete interiore della musica della band che, diciamolo, è supportata da una tecnica che aiuta ad inglobare nel sound di Chapters ritmiche di intricata musica progressiva, presa per il colletto da rabbiose parti che si avvicinano a sonorità core, moderne ma adulte, senza concedere una nota al genere amato dai ragazzini cool, in giro per le rockteche di mezzo mondo.
Chapters è un album difficile e, come tutte le opere di questa levatura, va fatto proprio cercando di carpirne messaggi e segreti, con calma e la dovuta attenzione, lasciandosi rapire da una serie di brani che portano dove l’ascoltatore deciderà di iniziare la sua avventura musicale, tra note e passaggi mai scontati, watts che irrompono violenti su basi ritmiche che definire intricate è un eufemismo.
Lasciando solo a Broken Path, primo brano dell’album che segue l’intro, una più facile assimilazione, gli Other Eyes Wise sfoderano più di un’ora di musica animata da uno spirito di rabbiosa e malinconica musica rock, ben inserita in questi tempi di mordi e fuggi, ma assolutamente incompatibile con ascolti distratti, troppo intricata la ragnatela di generi ed atmosfere cucita dal gruppo londinese: senza inventare nulla, i nostri si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core, per un risultato intenso e originale.

Tracklist:
1.Intro
2.Broken Path
3.The Inevitable
4.Walls
5.Hidden Strenght
6.Define The Outside
7.What Is Difference
8.The Obstruction
9.E.C.
10.Again The End
11.Fjords
12.Live

Line-up:
Coop
Jo
Sy
Pinkie

OTHER EYES WISE – Facebook

Tristana – Virtual Crime

L’album è una gradita sorpresa, trattandosi di un metal melodico ricco di atmosfere dark ed ottime soluzioni elettroniche.

I Tristana di crimini virtuali ne hanno già commessi diversi: nati nella prima metà degli anni novanta, hanno dato vita inizialmente ad una serie di demo, arrivando all’esordio sulla lunga distanza nel 2003 con “Back To The Future”, primo di un trio di album completato con “Zircon Street” del 2010 e quest’ultimo lavoro uscito per Bakerteam.

Il nuovo album è una gradita sorpresa, trattandosi di un metal melodico, pregno di atmosfere dark ed ottime soluzioni elettroniche, prodotto benissimo e molto ben congegnato.
Si passa infatti da brani dalla marcata impronta dark wave, dove le soluzioni elettro/industrial e nu metal fanno da struttura portante alla musica della band, ad altri dove il death melodico prende il sopravvento, aggiungendo verve ed energia alle ottime soluzioni che la band inserisce a più riprese nel proprio songwriting.
Di buon impatto l’uso delle due voci (clean e growl) che crea un’alternanza di atmosfere tra violenza e melodia altamente riuscito, e sopra le righe appaiono le ritmiche, vero punto di forza dell’album, ora sincopate e potenti su binari nu metal, ora lasciate scorrere cavalcando fiere metalliche mai dome.
L’elettronica è inserita con ottimo gusto nella struttura dei brani, dando modo a Virtual Crime di piacere sia a chi che predilige sonorità metalliche, sia a chi è affascinato da soluzioni moderniste.
L’album parte alla grande con l’accoppiata Resurrection / Fallen, grintose canzoni dove l’estremismo del growl si scontra con linee melodiche dall’appeal elevato, la prima spettacolarizzata da un ottimo solo, la seconda orchestrata a meraviglia con tasti d’avorio che svariano tra sonorità classiche e moderne.
Bloody Snow è un ottimo esempio della musica della band, le ritmiche moderniste, il ritornello melodico ed il tappeto di tastiere in sottofondo creano un ibrido affascinante tra i suoni alternative e la tradizione dark wave, mantenendo intatta l’impronta metallica, motore del brano.
Stupenda Jannies’ Dying, impreziosita dalla voce e dal talento di Chiara Tricarico dei Temperance, top song dell’intero lavoro che, da qui alla fine, si mantiene comunque su ottimi livelli, offrendo un lotto di brani che, senza essere troppo originali, risultano estremamente piacevoli.
La band slovacca si avvicina al bersaglio grosso, offrendo un prodotto ottimo sotto tutti gli aspetti.

Tracklist:
1.Resurrection
2.Fallen
3.Wasted time
4.Bloody snow
5.Beg for death
6.Jannies’s dying
7.Bella donna deadly nightshade
8.Killer
9.Lost the whole life
10.Hunting fever
11.Ending (outro)

Line-up:
Peter Wilsen- vocals
Laco Krabac- bassguitar
Dusan Homer- guitar
Andrea Almasi- keyboard
Roman Elevo Lasso- drums

TRISTANA – Facebook

Sick N’ Beautiful – Hell Over Hell

Preparatevi e andate allo spettacolo, il circo è arrivato in città!

Certo che nella capitale in fatto di metal e rock non si scherza: con ancora nelle orecchie l’industrial/street/ glam dei divertentissimi Dope Stars Inc, gruppo che se fosse straniero sarebbe idolatrato da mezzo globo, ecco che mi esplode nelle orecchie Hell Over Hell, debutto di questo fantastico combo, sempre di Roma, partito alla conquista del globo con il suo spettacolo di hard rock circense, che poi non è altro che hard rock alternativo, colmo di groove e digressioni moderne, talmente ben fatto che comincio a pensare che i Sick N’ Beautiful siano davvero di un altro pianeta.

Prodotto alla grande tra Roma e Los Angeles e licenziato dalla Rosary Lane Usa, l’album è composto da un lotto di brani divertentissimi e dall’appeal esagerato: la band capitanata dalla singer Herma, dotata di una voce sensuale, piccante e tremendamente cool, spazia tra l’hard rock stradaiolo, con bordate di groove e ritmiche industrial che accentuano i ritmi, rendendoli ambigui e ipnotizzanti; senza farsi mancare nulla, i Sick N’ Beautiful affondano il colpo, piazzando solos metallici grondanti feeling dalle corde delle due asce di Rev C2 e Lobo.
Le canzoni di questo lavoro (tredici più tre interludi elettro-atmosferici) spaziano tra l’industrial/groove di Rob Zombie e l’hard rock di matrice statunitense: il look dei protagonisti amalgama il fascino da zombie futurista dell’ex leader degli immensi White Zombie alla teatralità fantascientifica dei Kiss e del glam/horror di Alice Cooper, influenze dichiarate del gruppo, nel quale personalmente ho trovato anche molte affinità con lo Slash solista di “Beautiful Dangerous”, brano in compagnia di Fergie contenuto nel primo album del chitarrista americano, e con l’alternative dei Nymphs di Inger Lorre.
Spettacolare il singolo e primo video New Witch 666, dal solo orientaleggiante e dalle ritmiche industrial/groove poggiate su un’atmosfera da grand guignol, così come le ritmiche del basso pulsante di Sick to the Bone, che sfociano nello street metal di Bigbigbiggun, l’orchestrazione futurista di Makin’Angels, la trascinante No Sleep Till Hollywoood e la sexy Queen Of Heartbreakers.
Ancora atmosfere dal lontano oriente con Pain For Pain: il basso di Bag Daddy Ray pulsa ipnotico, così come gli interventi elettronici, mentre Gates To Midnight risulta una sorta di semi ballad, originalissima, cadenzata, ammaliante ed Hell Over Hell si avvia al gran finale con (All In The Name Of) Terror Tera, dove le ritmiche originalissime e la voce maschile, questa volta protagonista, ci stupiscono con sfumature al limite del blues, in un brano dall’andamento geniale.
Album che smuove montagne, divide oceani e provoca uno tsunami di emozioni nei corpi e nelle menti … forza gente, preparatevi e andate allo spettacolo, il circo è arrivato in città!

Tracklist:
1. March of the Scolopendra
2. Sick to the Bone
3. Bigbigbiggun!
4. Radio Siren
5. Interlude – Angel of the Lord
6. Makin’ angels
7. Kastaway Krush
8. Interlude – A Swedish Rhapsody
9. New Witch 666
10. No Sleep Till Hollywood
11. Queen of Heartbreakers
12. Pain for Pain
13. Bleed on Me
14. Gates to Midnight
15. Interlude – Pots, Pans, and Empty Green Meth Cans
16. (All in the Name Of) Terror Tera

Line-up:
Herma – Vocals
Rev C2 – Guitar
Lobo – Guitar
Big Daddy Ray – Bass
Mr.PK – Drums

SICK N’BEAUTIFUL – Facebook

New Disorder – Straight To The Pain

“Straight To Pain” ci consegna una band al suo massimo livello ed un album che difficilmente riuscirete a togliere dal vostro lettore, una volta che si sarà fatto spazio dentro di voi.

C’è tanta carne al fuoco nel nuovo album dei romani New Disorder, il piatto che poi ci confezionano è un delizioso mix di tanti sapori che, uniti, formano una gustosa pietanza di cui sicuramente chiederemo il bis.

Ma andiamo con ordine: la band romana nasce nel 2009 e all’attivo ha due ep, “Hollywood Burns” dello stesso anno, “Total Brain Format” del 2011 ed il full length d’esordio “Dissociety”, uscito per la Revalve nel 2013.
In questi anni, vari cambi di line-up hanno lasciato il solo cantante Francesco Lattes come unico superstite della band originale: niente di male, la band rimpolpa le fila e firma per all’inizio dello scorso Agoge Records anno, che produce e distribuisce questo ottimo Straight To The Pain.
Intanto una considerazione: Francesco Lattes è un gran vocalist, la sua voce passionale, cangiante nei toni, segue in perfetta armonia gli umori di un sound difficile da catalogare e per questo molto affascinante.
Nel songwriting vivono molte personalità, la base su cui si poggia è sì un metal alternativo, ma questo viene manipolato ad uso e consumo della band che stupisce tra ritmiche core, brani dove il rock americano (diciamo post grunge? Diciamolo …) viene travolto da parti in cui il prog moderno (specie nelle ottime partiture chitarristiche) prende il sopravvento e Straight To The Pain può così spiccare il volo.
Musica adulta, matura, canzoni che, ad un primo ascolto, possono risultare difficili, ma che crescono in modo esponenziale dopo che avrete fatto vostre tutte le sfumature di questi ottimi undici brani.
Le atmosfere cambiano, dicevamo, e così si passa dal metal dai rimandi core di Never Too Late To Die, scelta come singolo, alla metallica ed in your face Judgement Day, dalla bellissima semiballad Lost In London alla violente Love Kills Anyway e alla conclusiva The Beholder, tutto con un gusto progressivo che, sommato alla grande prova del singer, fanno di questo lavoro un piccolo gioiello di rock/metal moderno.
Prodotto negli studi di Gianmarco Bellumori, Straight To The Pain ci consegna una potenziale top band ed un album davvero bello che difficilmente riuscirete a togliere dal lettore una volta che si sarà fatto spazio dentro di voi. Assolutamente da avere.

Tracklist:
1. Into the Pain
2. Never Too Late to Die
3. A Senseless Tragedy (Bloodstreams)
4. Judgement Day
5. Straight to the Pain (feat. Eleonora Buono)
6. What’s Your Aim? (Call It Insanity)
7. Lost in London
8. Love Kills Anyway
9. Bitch On My Wall
10. The Perfect Time
11. The Beholder
12. Lost in London ( acvoustic version)

Line-up:
Francesco Lattes – vocals
Fabrizio Proietti – guitar
Alex Trotto – guitar
Ivano Adamo – bass
Luca Mancini – drums

NEW DISORDER – Facebook

The Way Of Purity – The Majesty Of Your Becoming

Gli undici brani in scaletta scorrono molto piacevolmente esibendo un’anima elettronica che non chiude del tutto la porta alla base metallica della band.

Ai The Way Of Purity sono affezionato per due motivi: intanto, sono stati la prima band della WormHoleDeath che ho recensito per In Your Eyes, poi il fatto d’essere il braccio musicale dell’Animal Liberation Front non può che spingermi a tifare per loro.

Però qui dobbiamo parlare anche e, soprattutto, di musica e allora non si può fare a meno di constatare che il deathcore feroce, per quanto ricco di spunti melodici esibito in “Crosscore” prima e in “Equate” poi, in questo nuovo album abbia assunto le sembianze di un più immediato alternative metal dalle spiccate pulsioni elettroniche. L’ennesimo cambio di vocalist, con la bravissima Kirayel oggi dietro al microfono, ha comportato anche la rinuncia al corrosivo growl femminile che caratterizzava le precedenti uscite.
Inevitabilmente questo quadro non può che preludere ad un lavoro molto più fruibile dal punto di vista musicale, pur senza rinunciare al suo ruolo di veicolo di denuncia delle nefandezze causate dallo specismo. Without Name, uno dei musicisti che stanno dietro a questo progetto che si è circondato sempre di un alone di mistero, ha dichiarato che la sterzata stiistica è volta al raggiungimento di un maggior numero di persone, cosa che sicuramente l’efferatezza del sound messo in mostra in passato non favoriva.
The Majesty Of Your Becoming, nonostante personalmente apprezzassi più la precedente incarnazione dei The Way Of Purity, è comunque un buonissimo lavoro che probabilmente darà ragione ai suoi autori rendendosi appetibile ad un numero molto più elevato di persone, cosa che comunque un po’ cozza con l’atteggiamento tenuto dalla band nei confronti dei media, che non è certo da portare come uno dei massimi di esempi di attenzione al marketing.
Gli undici brani in scaletta scorrono molto piacevolmente esibendo un’anima elettronica che non chiude del tutto la porta alla base metallica della band, che si manifesta più di una volta con i classici riff squadrati, specie nel remake di Eleven: non a caso, quello che era uno dei brani trainanti di “Equate” qui viene ripulito il giusto per renderlo un potenziale hit, anche se il vero crack dell’album è la successiva From The Nest To The Grave, traccia in possesso di un refrain splendido.
Ma in realtà sono molti i brani che meritano una menzione, a partire dall’opener Dare To Be Yourself e la title track, ottime prove di alternative metal impreziosita da una voce perfetta per il genere come quella di Kirayel. Nella seconda parte dell’album in ogni caso i The Way Of Purity spingono maggiormente sull’acceleratore, finendo più volte per avvicinarsi al sound di una band come gli Exilia, differenziandosene proprio in virtù della maggiore componente elettronica. L’album si chiude nel migliore dei modi con un’altra traccia dal grande appeal commerciale quale è Tide.
Se, come detto, preferivo i The Way Of Purity quando si scagliavano con tutta la veemenza possibile nei confronti di Cartesio e delle sue sconcertanti teorie riguardo agli animali, non posso fare a meno di apprezzare ugualmente questa svolta, alla luce dell’indubbia qualità delle composizioni e di una certa compattezza del lavoro a livello stilistico. Se poi, grazie a questo, anche una sola persona dovesse decidere di non contribuire più allo sterminio di milioni di esseri viventi solo per soddisfare il proprio palato o la propria vanità, l’obiettivo di partenza sarebbe comunque centrato.

Tracklist:
1. Dare To Be Yourself
2. The Roots Of Evil
3. The Majesty Of Your Becoming
4. Disfigured By Karma
5. Sarin
6. Jackob
7. Eleven
8. From The Nest To The Grave
9. Noah
10. The Clouds Behind Your Eyes
11. Tide

THE WAY OF PURITY – Facebook

Mechina – Acheron

Altro straordinario capolavoro di musica estrema targato Mechina.

Esattamente come lo scorso anno il primo di Gennaio si è riaperto lo Stargate e, dall’abisso spaziale in cui era stato esiliato, torna quel mostro apocalittico chiamato Mechina.

A un anno esatto dal capolavoro “Xenon” e pochi giorni dopo l’uscita del mio best of, dove il gruppo dell’illinois era presente come rappresentante della musica estrema moderna, Acheron, il nuovo straordinario lavoro, conferma ed aggiunge nuove sfumature al sound di questo gruppo immenso, andando oltre al suo predecessore ed aumentando il bombardamento sinfonico che è il protagonista assoluto del songwriting del gruppo.
Magniloquente, arabeggiante, fantascientifico, un incubo proveniente da un altro mondo, l’apocalisse palpabile in ogni secondo di questa monumentale sinfonia, terrorizza come solo la musica dei Mechina riesce a fare, toccando vette operistiche in un contesto death/industrial che fa della band un monumento alla musica estrema.
David Holch continua con il suo growl a rendere Mechina un mostro di brutale violenza, la sezione ritmica (Steve Amarantos al basso e David Gavin a devastare tamburi) non tradisce e continua la sua battaglia con ritmiche cyber fredde come lo spazio profondo; Joe Tiberi tra la sei corde ed il programming fa il bello e cattivo tempo ma, come da tradizione, è ancora una volta la parte sinfonica ad essere il vero motore del sound, tra cori orientaleggianti e monastici, vera colonna sonora della fine dell’universo conosciuto e l’inizio di un nuovo “tutto”.
Un opera di oltre un’ora che fa dei Mechina qualcosa di diverso da qualsiasi band estrema vi possa venire in mente: lo scorso anno scrivevo dei Fear Factory per raccontarvi Xenon, ma ormai è troppo tardi, o meglio, la loro musica è ormai troppo lontana da poterla schematizzare avvicinandola a qualsiasi altra band (Ode To The Forgotten Few / The Hyperion Threnody ne è l’esempio) entrando in un’aura di spettacolare magnificenza.
I Mechina sono tornati e questo straordinario Acheron non fa che renderli ancora più inavvicinabili, almeno per chi si raffronta con la musica estrema moderna; ancora con un’autoproduzione, non so se per scelta della band o per sordità incurabile da parte degli addetti ai lavori.
Devo far presto, lo Stargate sta per richiudersi ed io mi sono inevitabilmente perso …

Tracklist:
1. Proprioception
2. Earth-Born Axiom
3. Vanquisher
4. On the Wings of Nefeli
5. The Halcyon Purge
6. Lethean Waves
7. Ode to the Forgotten Few
8. The Hyperion Threnody
9. Adrasteia
10. Invictus Daedalus
11. The Future Must Be Met

Line-up:
Joe Tiberi – Guitars, Programming
David Holch – Vocals

MECHINA – Facebook

De Puglia Madre – 100 % Trazzcore

Band pugliese con un suono demolitore, un strano tipo di metal di grande effetto: il trazzcore.

Band pugliese con un suono demolitore, un strano tipo di metal di grande effetto: il trazzcore.

Provenienti da Ascoli Satriano, i De Puglia Madre, o meglio ditta demolizione De Puglia Madre, si sono formati appunto per demolire con il loro suono , che è potente e devastante, con una struttura nu metal ma con uno stile molto particolare, a partire da una pesantezza davvero voluminosa ed al cantato in italiano che si rivela una scelta azzeccata.
Il trazzcore è un animale ferito sull’asfalto che, nel finire i suoi giorni, uccide ancora e lo fa con ancor più rabbia contro tutto e tutti.
Difficilmente in Italia si sentono dischi di questo tipo e di questo livello, con una produzione più che buona nonostante sia artigianale, ma forse la sua forza è proprio in questo.
I De Puglia Madre sono un gruppo che impressiona fin dal primo ascolto e sicuramente i metallari più contaminati apprezzeranno questo disco: a me ha fatto davvero piacere sentirlo e sta in continuo nelle mie orecchie.
Il cantato in italiano è un qualcosa che li rende molto particolari e soprattutto dona moltissimo alla loro musica, la nostra metrica si rivela perfetta per i De Puglia Madre.
Un’ altra loro particolarità è l’uso del basso a sei corde suonato con attitudine chitarristica e che rende il tutto più cupo.
I testi perfettamente intelligibili sono notevoli e parlano delle malattie mortali delle nostre società, del nostro essere isole, della merda che ci sta in giro, e lo fanno molto bene.
Una conferma che in certi ambiti di provincia il metal arriva davvero a toccare vette alte, tutto ciò partendo dal basso.

Tracklist:
1. Rimorso
2. Amico Nemico
3. Collasso
4. Sotto Controllo
5. Millennio
6. Indiani
7. Metamorfosi
8. Demoni Dentro
9. Mamba Negro

Line-up:
Francesco Petrillo – Batteria
Antonio Perruggino – Chitarra
Danilo Moscano – Voce
Stefano Cautillo – Basso Sei Corde

DE PUGLIA MADRE – Facebook

Wyld – Stoned

Ottimo esempio di heavy/stoner questo Ep di debutto dei parigini Wyld.

Da Parigi arriva questa band che, se confermerà le buone sensazioni avute all’ascolto di questo Ep, al prossimo giro potrebbe davvero fare il botto (qualitativamente parlando).

Loro sono gli Wyld e suonano un heavy/stoner che più americano non si può, devoti allo zio Zakk Wylde ed ai suoi Black Label Society.
Niente di nuovo, vero, ma il bello è che gli Wyld fanno tutto davvero bene presentandoci tre brani, più un’outro strumentale da applausi, votati alle sonorità d’oltreoceano, tremendamente orecchiabili e settantiani, una vera sferzata di adrenalina pura, cantati alle grande dal bravissimo Raphael Maarek.
Le coordinate dell’Ep sono appunto un heavy/stoner-ock’n’roll sparato a mille, come nell’opener Venomous Poison, oppure cadenzato e potentissimo come in Just Another Lie.
Le influenze del resto sono palesi, oltre ai BLS, le canzoni richiamano anche le ultime fatiche dei Black Stone Cherry e dei gruppi che hanno riportato in auge i suoni stonerizzati, con più di un occhio al southern dei maestri Down e Corrosion of Conformity.
Efficace e dall’ottimo impatto la sezione ritmica (Jerome Serignac al basso e Remi Choley alle pelli) e buoni i ricami delle due chitarre, tra ritmiche stonate e solos heavy/rock della coppia Chante Basma e Jeffrey Jacquart.
La title-track conferma il buon talento dei cowboys parigini e l’outro strumentale Crossroads ci dà appuntamento ad un futuro full-length che, a questo punto, diventa un passo obbligatorio per la band.
La valutazione finale risente della brevità del lavoro, ma la band transalpina conferma la buona salute dell’odierno genere guida delle sonorità provenienti dal nuovo mondo, reclamando la giusta dose di attenzione.

Tracklist:
1. Venomous Poison
2. Just Another Lie
3. Stoned
4. Crossroads

Line-up:
Raphael Maarek – Lead Vocals
Chante Basma – Rhythm Guitars, Backing vocals
Jeffrey Jacquart – Lead, Rhythm Guitars
Jérôme Sérignac – Bass Guitar, Backing vocals
Gabriel Deloffre – Drums

Blut Aus Nord / P.H.O.B.O.S. – Triunity

Molto valida l’idea della Debemur Morti di abbinare in questo split album due realtà che, muovendosi da punti di partenza piuttosto lontani tra loro,sono approdate con il tempo a sonorità relativamente vicine, non solo per attitudine sperimentale.

Split dalle diverse ed interessanti motivazioni, questo che vede all’opera due band francesi differenti per fama ed estrazione, ovvero i monumenti del black/death avanguardistico Blut Aus Nord e gli interessanti industrial doomsters P.H.O.B.O.S..

C’era ovviamente curiosità per le scelte stilistiche intraprese da Vindsval e soci dopo la trilogia “777” che aveva spostato progressivamente il sound verso coordinate meno estreme per approdare ad una sorta di dark industrial/ambient nell’atto conclusivo “Cosmosophy”: chi non aveva apprezzato tale svolta può dormire sonni tranquilli visto che i Blut Aus Nord sono tornati a fare, con la bravura che è loro riconosciuta, quel metal estremo ricco di dissonanze ma, nel contempo, capace di avvolgere nelle proprie intricate spire, che ha fornito in passato frutti prelibati; le tre tracce sono ugualmente intense, complesse e avvincenti, anche se la vena oscuramente melodica che si manifestava a tratti in “777” non è andata del tutto dispersa (Némeïnn). Dei P.H.O.B.O.S., al contrario, nulla conoscevo pertanto non ho a disposizione particolari termini di paragone: intanto va detto che trattasi di una one-man band, attiva da oltre un decennio e con tre full-length all’attivo, condotta dal parigino Frédéric Sacri e, indubbiamente, il loro industrial doom non mostra il minimo ammiccamento a sonorità più fruibili, mostrandosi impietosamente ossessivo, alienante, insomma nulla che possa interessare qualcuno che non abbia un minimo di familiarità con questi suoni, ma molto intrigante per chi, invece, in passato si fece irretire da entità mostruose quali Godflesh o Scorn. Ho trovato molto valida l’idea della Debemur Morti di abbinare in questo split album due realtà che, muovendosi da punti di partenza piuttosto lontani tra loro, sono approdate con il tempo a sonorità relativamente vicine, non solo per attitudine sperimentale. Triunity si rivela così, nel contempo, una risposta eloquente ai dubbi espressi da qualcuno (non certo da parte mia, visto che considero la trilogia “777” un’opera magnifica in ogni sua parte) nei confronti delle scelte stilistiche operate dai Blut Aus Nord nel recente passato, e un’opportunità per far conoscere ad un pubblico auspicabilmente più ampio i meno noti ma ugualmente efficaci, nonché degni della massima attenzione, P.H.O.B.O.S..

Tracklist:
1. Blut aus Nord – De Librio Arbitrio
2. Blut aus Nord – Hùbris
3. Blut aus Nord – Némeïnn
4. P.H.O.B.O.S. – Glowing Phosphoros
5. P.H.O.B.O.S. – Transfixed at Golgotha
6. P.H.O.B.O.S. – Ahrimanic Impulse Victory

Line-up:
Blut aus Nord:
Vindsval – Vocals, Guitars GhÖst – Bass
Gionata “Thorns” Potenti – Drums

P.H.O.B.O.S.:
Frédéric Sacri – Guitars, Keyboards, Vocals

BLUT AUS NORD – Facebook