Howls of Ebb / Khthoniik Cerviiks – With Gangrene Edges ​/​ Voiidwarp

Musica che risulta estrema anche per chi non disdegna abitualmente l’ascolto di generi come il death o il black metal: cacofonica, difficile, blasfema, violenta ma affascinante.

Uno split album che ci presenta due mostruose realtà: il duo statunitense Howls Of Ebb e i death/black metallers tedeschi Khthoniik Cerviiks, alle prese rispettivamente con tre e cinque brani.

With Gangrene Edges e Voiidwarp, così si intitolano le due sezioni dell’opera, insieme formano un occulto e cacofonico inno al male oscuro e senza compromessi, con il duo statunitense che invita ad un rito estremo, un morboso e allucinante esempio di musica malvagia.
Attivi dal 2012, gli  Howls Of Ebb hanno consegnato ai loro seguaci due full length ed un ep, prima di questa alleanza blasfema con la band tedesca, tornando con queste tre visioni di morte e demoni, mostri creati da visionari sacerdoti che racchiudono il tutto in un sound claustrofobico e fuori dagli schemi.
Più in linea con il black/thrash dai rimandi al death metal primigenio è, invece, la proposta dei Khthoniik Cerviiks, una spirale di morte e dolore imprigionata in un sound feroce, violento e diabolico.
Puro male in musica che ha il suo epicentro nei tredici minuti della destabilizzante Spiiral Spiire Stiigmata, suite infernale che racchiude Mercury Deluge e con l’altra lunga Come To The Subeth forma il fulcro malefico della proposta dell’ apocalittico trio.
Musica che risulta estrema anche per chi non disdegna abitualmente l’ascolto di generi come il death o il black metal: cacofonica, difficile, blasfema, violenta ma affascinante.

Tracklist
HOWLS OF EBB – With Gangrene Edges
1. Babel’s Catechism
2. With Gangrene Edges…
3. Bellowed

KHTHONIIK CERVIIKS – Voiidwarp
4. Ketoniik Katechesiis (KC Exhalement 3.0)
5. Spiiral Spiire Stiigmata (including Mercury Deluge)
6. Traumantra
7. Come to the Subeth
8. Paralaxiis (KC Inhalement 3.0)

Line-up
HOWLS OF EBB
RoTn’kbLisK – Drums
zELeVthaND – Vocals, Guitars

KHTHONIIK CERVIIKS
Okkhulus Siirs – Bass, Vocals
Ohourobohortiik Ssphäross – Drums
Khraâl Vri*ïl – Guitars, Vocals

KHTHONIIK CERVIIKS – Facebook

Descrizione Breve

Suicidal Causticity – The Human Touch

La scena estrema nazionale è assolutamente da seguire e la conferma arriva da lavori come The Human Touch, quindi separatevi dall’esterofilia che vi opprime e fate la conoscenza con i Suicidal Causticity.

Ecco un’altra band italiana che nel metal estremo dice la sua alla grande, tanto che il suo secondo album intitolato The Human Touch prende a calci nel deretano molte produzioni estere anche più blasonate.

Nati più o meno sei anni fa, e con all’attivo il debutto The Spiritual Decline uscito nel 2013, i Suicidal Causticity, dopo varie vicissitudini e cambi in corsa nella formazione, ma anche tanti palchi solcati in compagnia di realtà nazionali e straniere, riesce a trovare un minimo di stabilità, rifinita dall’entrata in formazione di Edoardo Scali, ultimo importante tassello prima che The Human Touch veda la luce sotto l’ala dell’ Amputated Vein Records a metà di questo anno.
E l’album risulta una terribile mazzata brutal death, debitrice nei confronti della scena statunitense, ma in grado di trasmettere personalità e convinzione da gruppo di peso.
Prodotto benissimo, The Human Touch, pur nella sua inumana violenza, tipica del death metal più brutale e nel suo schema predefinito (l’alternanza di furiosi blast beat e veloci ripartenze con mid tempo pesantissimi) appare scorrevole e perfettamente in grado di intrattenere senza tirare la corda: i brani si riconoscono uno dall’altro e nel genere ciò risulta segno di maturità artistica ben consolidata, oltre a non scendere mai sotto un livello di violenza esecutiva che mantiene l’album nella parte più estrema del genere.
Una raccolta di brani che non lascia scampo (Estuary Abomination, Affluent of Woe, The Rates-Dead River Call), porta l’album verso un giudizio più che buono e la consapevolezza di avere di fronte un gruppo di alto livello.
La scena estrema nazionale è assolutamente da seguire e la conferma arriva da lavori come The Human Touch, quindi separatevi dall’esterofilia che vi opprime e fate la conoscenza con i Suicidal Causticity.

Tracklist
1. Diamond Grinder Spring
2. Estuary Abomination
3. Affluent of Woe
4. The Choral Brooke
5. The Rates – Full River Cry
6. The Rates – Dead River Call
7. Cascade of Mutilations
8. Chimaera Canal
9. Lynn

Line-up
Nikolas Gorgo Bruni – Vocals
Elia Murgia – Guitars
Edoardo Scali – Guitars
Dario Lastrucci – Bass guitars
Thomas Passanisi – Drums

SUICIDAL CAUSTICITY

Darkfall – At The End Of Times

I Darkfall offrono furia metallica, estrema ed oscura, un lavoro chitarristico di buona presa e ritmiche che affondano gli artigli tanto nel thrash metal quanto nel più frenato ma potentissimo death.

Dalla splendida cittadina di Graz arrivano i Darkfall, entità estrema che si aggira per il territorio austriaco da metà anni novanta.

Pur con così tanti anni di attività il gruppo ha licenziato una manciata di lavori minori e un solo album sulla lunga distanza, quel Road To Redemption uscito quattro anni fa e che ora trova il suo degno successore con At The End Of Times, album composto da dieci bombe sonore sempre in bilico tra thrash metal e melodic death.
Il risultato non può che essere buono anche per via di un’ottima produzione ed un songwriting che non abbassa la guardia pur svolgendo il suo compito lungo cinquantadue minuti, non pochi per un lavoro del genere.
I Darkfall offrono furia metallica, estrema ed oscura, un lavoro chitarristico di buona presa e ritmiche che affondano gli artigli tanto nel thrash metal quanto nel più frenato ma potentissimo death, così da offrire un lavoro per tutti i gusti, anche se a mio parere più vicino ai palati dei fans del death melodico.
Soilwork ed At The Gates, oscurati da passaggi evil e veloci fraseggi thrash, questo è il riferimento proposto da brani come l’opener Ride Through The SkyThe Way Of Victory che, come suggerisce il titolo, porta con se un’atmosfera epica che ricorda gli Amon Amarth.
La lunga Ashes To The Gods, l’intro sinfonico e maligno di Welcome The Day You Die, sono più che fulgidi esempi della musica prodotta dal gruppo austriaco con questo At The End Of Time, album che si colloca tra le migliori uscite offerte dall’underground metal in questi ultimi mesi dell’anno, per quanto riguarda il genere.

Tracklist
01. Ride Through The Sky
02. The Breed Of Death
03. The Way Of Victory
04. Deathcult Debauchery
05. Ashes Of Dead Gods
06. Your God Is Dead
07. Blutgott
08. Welcome The Day You Die
09. Ash Nazg – One Ring
10. Land Of No Return MMXVII

Line-up
Thomas Spiwak – Vocals
Sascha Ulm – Guitars, Vocals
Stephan Stockreiter – Guitars
Markus Seethaler – Bass, Guitars
Thomas Kern – Drums

DARKFALL – Facebook

Suffer In Silence – Beautiful Lies

Un album intenso e coinvolgente nella suo essere estremo, suonato e cantato ottimamente da un Patrick Amati notevole dietro al microfono ed autore di un lavoro chitarristico di grande spessore.

La Sliptrick Records ci regala un altro ottimo lavoro tutto italiano, confermando l’ottimo fiuto in un po’ tutti i generi della grande famiglia metallica.

Con i Suffer In Silence si parla di devastante death metal con un uso perfetto delle melodie che non inficiano la resa brutale dell’opera.
Beautiful Lies è il terzo album di questa one man band capitanata dal polistrumentista Patrick Amati, aiutato alla batteria dal fido Filippo Cicoria ed in fase di produzione da Neil Grotti e Mat Lehmann degli storici Electrocution.
Un album intenso e coinvolgente nella suo essere estremo, suonato e cantato ottimamente da un Patrick Amati notevole dietro al microfono ed autore di un lavoro chitarristico di grande spessore.
Solos classici, chitarre acustiche spagnoleggianti, furia tempestosa in stile blackened death metal scandinavo, riff schiacciasassi ed un lavoro alle pelli da piovra, fanno di Beautiful Lies un lavoro sorprendente, con le canzoni che  passano una dietro l’altra senza il minimo intoppo, mentre la voglia di premere di nuovo il testo play a fine corsa è più che legittima.
Bellissime le parti acustiche che compaiono come spiriti malinconici tra il caos ragionato che Amati ha creato in brani, a tratti devastanti, come l’ opener Nostalgia, la splendida Eternal Slaves, solcata da una parte atmosferica creata dalle chitarre acustiche, mentre Lost è uno strumentale da brividi e la cover di The Four Horsemen chiude le ostilità e ci congeda da questo ottimo musicista e dal suo splendido lavoro.
Dark Tranquillity e Dissection sono stati sicuramente due dei maggiori ascolti nel passato di Patrick Amati, ma il sound di Beautiful Lies è molto di più di un riferimento a questi grandi nomi.

Tracklist
1.Nostalgia
2.Forced To Hate
3.Eternal Slaves
4.Live With No Tomorrow
5.S.I.S.
6.Lost
7.Zero Respect
8.Dreams Of Glory
9.The Four Horsemen

Line-up
Patrick Amati – Vocals, Guitars, Bass, Synth / Album Guest:
Filippo ‘Ciko’ Cicoria – Drums

SUFFER IN SILENCE – Facebook

Enslaved – E

E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza.

Attesissimo ritorno degli Enslaved, uno dei più interessanti gruppi metal degli ultimi anni e non solo, un combo che sta cambiando dalle fondamenta la musica pesante: E è la migliore testimonianza di ciò.

Non sembra, ma sono già passati venticinque anni dal loro esordio Vikingligr Veldi, black metal puro e norvegese, per poi arrivare al secondo Frost, un inno all’orgoglio di essere norvegesi e pagani. Da quel momento gli Enslaved hanno cominciato ad esplorare un orizzonte musicale più vasto di quello originario, che era comunque splendido, arrivando a toccare vette molto alte, mantenendo un percorso artistico molto originale e personale. Tutti i tredici album precedenti degli Enslaved sono meritevoli di attenzione ma, dal disco del 2015, In Times, le cose sono cambiate ulteriormente, poiché per loro quello è stato uno spartiacque, nel senso che può essere considerato un punto di rottura importante, una pietra miliare che ha segnato un prima ed un dopo. In Times è un album di metal estremo progressivo, se si dovesse dare una definizione, nato dall’esigenza di dover chiudere una parte della carriera, unendo il vecchio ed il nuovo per dare poi vita a qualcosa di ancora diverso. E quel qualcosa di nuovo si intitola E: il quattordicesimo disco della più che ventennale carriera di questi musicisti di Bergen può essere considerato quello della libertà totale, nel quale si sono espressi senza aver aver nessun obbligo, se non quello di fare ciò che volevano. Si è parlato e scritto molto intorno alla genesi di questo disco, al cambio operato con In Times che ha fatto perdere parte dei propri fans, dei lunghissimi tour, ma di fronte a questo lavoro tutto viene spazzato. E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza. Fin dalla prima lunga suite Storm Son si rimane affascinati dalla costruzione sonora, pura psichedelia tenebrosa, sempre pienamente e fieramente nordica, come se i vichinghi avessero suonato con i Pink Floyd e Syd Barrett, perché di quest’ultimo qui c’è l’assolutezza di certe soluzioni sonore, un gusto per il surrealismo ed una grazia davvero fuori dal comune. Non volendo assolutamente fare nessuna polemica, posso affermare che avevo apprezzato il precedente In Times solo dopo un po’ di tempo, avendo bisogno di qualche indizio in più per poter assaporare ciò che vi era contenuto. Qui invece è stato amore a prima vista, folgorazione totale, si scappa da Midgard per arrivare direttamente a sentir suonare gli Enslaved in Asgard. La ricchezza strutturale di questo disco è scioccante, in sei pezzi si viene catapultati in quella che a tutti gli effetti un’opera teatrale che travalica la musica, un inno all’unione tra natura e uomo, che è un po’ il sotto testo di tutta la poetica degli Enslaved. E ha al suo interno momenti black metal, cavalcate death, tanta psichedelia, incredibili momenti di organo e sax, in una ricerca totale di un suono altro. Ogni canzone contiene un mondo di generi e sottogeneri al suo interno, tutti legati da un’opera immane di cesellatura perfettamente compiuta. Ascoltando E si apprezza la compiutezza di una visione musicale inedita, perché questo è un disco più estremo anche dei loro esordi black metal, nel quale si osa dalla prima all’ultima nota spingendo la musica estrema in un futuro ancora tutto da costruire, ma che prima non c’era. Magnificenza assoluta per un capolavoro del metal, che potrà non piacere a chi è rimasto tenacemente ancorato alla prima parte della carriera del gruppo di Bergen, e sui gusti non si può davvero discutere, anche perché uno dei motivi della grandezza degli Enslaved è che la loro discografia copre tutta la gamma del metal estremo ed oltre, per cui ognuno può scegliere ciò che gli aggrada maggiormente.
Set the controls for the heart of the sun.

Tracklist
1. Storm Son
2. The River’s Mouth
3. Sacred Horse
4. Axis Of The Worlds
5. Feathers Of Eolh
6. Hiindsiight

Line-up
Ivar Bjørnson | guitars.
Grutle Kjellson | vocals & bass.
Håkon Vinje | vocals & keys.
Cato Bekkevold |drums.
Ice Dale | lead guitar.

ENSLAVED – Facebook

Necrotted – Worldwide Warfare

Se la band voleva farci male, ci è senz’altro riuscita con un lavoro estremo, violento e senza la minima apertura melodica, ma decisamente poco vario.

Una bomba atomica estrema questo nuovo lavoro dei deathsters tedeschi Necrotted, fautori di un death metal moderno, colmo di blast beat e mid tempo dal groove pesante come un carro armato, mentre mitragliate thrash metal portano il livello di violenza al massimo consentito per il genere.

Un macello dunque, perpetuato da questi sei guerrieri che affroantno la materia con piglio e senza compromessi, mettendo sul piatto un impatto clamoroso.
Le lodi si fermano qui, mentre una leggera stanchezza si fa spazio in chi ascolta, provato da questo devastante sound che lascia qualcosa indietro per quanto riguarda la varietà risultando solo un macigno estremo.
Una lunga traccia di trentasei minuti, questo è di fatto Worldwide Warfare, una montagna che crolla, un vulcano che erutta senza soluzione di continuità mentre noi ci perdiamo tra mid tempo che avanzano come un gigante d’acciaio che tutto travolge.
Siamo al terzo album e niente è cambiato, death metal moderno che travolge senza pietà, una serie di brani che formano un unico pezzo di granito death/thrash/core che violenta i padiglioni auricolari, forte di esplosioni estreme come l’opener Worldwide, la tritaossa Hunt Down The Crown e la devastante Our Dominion.
Se la band voleva farci male, ci è senz’altro riuscita con un lavoroestremo, violento e senza la minima apertura melodica, ma decisamente poco vario … In Worldwide Warfare c’è solo distruzione e, infine, la morte.

Tracklist
1. Worldwide
2. No War But Class War
3. Hunt Down The Crown
4. Vile Vermin
5. The Lost Ones
6. My Foray, Your Decay
7. Unity Front
8. Our Dominion
9. Babylon
10. Forlorn Planet

Line-up
Fabian Fink – Vocals
Pavlos Chatzistavridis – Vocals
Philipp Fink – Guitar
Johannes Wolf – Guitar
Koray Saglam – Bass
Markus Braun – Drums

NECROTTED – Facebook

Eshtadur – Mother Gray

Un lavoro davvero bello, un’autentica sorpresa in arrivo da un paese non certo famoso per i suoi trascorsi metallici, a tratti entusiasmante nel suo cambiare atmosfere estreme con una facilità disarmante.

E’ in Colombia che cresce e si sviluppa questo mostro metallico chiamato Eshtadur, un quintetto di deathsters che, senza guardare troppo a questa o quella scena, ci travolge con un sound potentissimo, mastodontico come un’onda che si avvicina alla costa con il suo muro d’acqua scuro come il cielo prima dell’apocalisse.

Mother Gray è il terzo full length, numero perfetto come lo è questo lotto di brani estremi, melodici, ma assolutamente devastanti, resi ancora più magniloquenti da poche ma importantissime parti orchestrali, incastonati come diamanti grezzi nella struttura di canzoni straordinarie come Cornered At The Earth.
Sono diciasette anni che il gruppo licenzia bombe sonore, non pochi, più che sufficienti per maturare ed arrivare a questo lavoro, estremo, melodico e progressivo, anche nei momenti più estremi, in cui Jorg August ingoia tutto il male del mondo e lo risputa fuori tramite un growl che ha pochi eguali: efferato, rabbioso, pura disperazione urlata al mondo tramite la stupenda Desolation.
Ma il lento ed apocalittico incedere del brano lascia spazio alla furia di Time Hole To Paris, melodic death metal tripallico dove chitarre, basso e batteria si alleano per una battaglia all’ultimo sangue.
Fine del brano, ci si aspetta un altra partenza a razzo ed invece la band ci riporta a camminare tra la lava del vulcano, con March Of The Fallen, brano doom/death d’antologia, che in un crescendo apocalittico prima ci regala un assolo heavy e poi torna, sovrastato dal magma nel più buio antro dell’inferno.
C’è ancora tempo per la clamorosa cover di Burning Heart, tributo a Jimi Jamison dei rockers americani Survivor suonata con una manciata di ospiti tra cui Bjorn Strid (Soilwork) e Per Nilsson (Scar Simmetry).
Un lavoro davvero bello, un ‘autentica sorpresa in arrivo da un paese non certo famoso per i suoi trascorsi metallici, eppure a tratti entusiasmante nel suo cambiare atmosfere estreme con una facilità disarmante: death metal melodico  di un’altra categoria.

Tracklist
2.Plaguemaker
3.Cornered at the Earth
4.Desolation
5.Time Hole to Paris
6.March of the Fallen
7.The Day After I Die
8.Heavns to the Ground
9.Last Day of the Condor
10.Burning Heart

Line-up
Jorg August – Vocals
Juan Ortiz – Guitars
Mauro Marin – Drums
Sebas Patiño – Guitars
Victor Valencia – Bass

ESHTADUR – Facebook

Necrovorous – Plains Of Decay

Il secondo devastante lavoro sulla lunga distanza per i deathsters greci Necovorous possiede tutti i crismi per essere consigliato agli amanti del death metal old school.

Un macigno death metal niente male Plains Of Decay, nuovo lavoro dei Necrovorous, attivi in Grecia da una dozzina d’anni, protagonisti di molti lavori minori, ma arrivati con questo maligno e devastante album al secondo sulla lunga distanza.

Kostas K. non le manda certo a dire e con il suo brutale vocione ci spinge nel vorticoso rifferama composto dal gruppo, che si avvale di altri due energumeni come Marios P. (chitarra e basso) e Vangelis F.(batteria).
Molto presente nella scena estrema underground e con una buona esperienza in sede live, il gruppo proveniente dalla capitale conferma l’ottima tradizione ellenica nel metal estremo, magari per le belligeranze black ma altrettanto meritevole d’attenzione se si parla di death metal classico.
The Sun Has Risen in a Land I No Longer See apre le ostilità, seguita dal massacro Cherish The Sepulture: l’odore di marcio si fa prepotente e fastidioso nelle narici, i piedi avanzano nella melma e i sei minuti abbondanti di Eternal Soulmates ci costringono ad accelerare il passo, prima che le frenate doom alla Asphyx di Psychedelic Tribe of Doom ci facciano cadere in un oscuro e terrorizzante abisso.
Le influenze del gruppo greco sono da attribuire alla tradizione classica del death metal più torbido (Death, Massacre, Necrophagia), mentre la letale Misery Loves Death Company e l’andamento funereo della conclusiva The Noose Tightens, death doom metal song intensa e apice dell’album, mettono il sigillo su questo scrigno di morte targato Necrovorous.

Tracklist
1. The Sun Has Risen in a Land I No Longer See
2. Cherish The Sepulture
3. Eternal Soulmates
4. Plains of Decay
5. Psychedelic Tribe of Doom
6. Faces of Addiction
7. Red Moon Rabies
8. Misery Lovers Dead Company
9. Lost in a Burning Charnel Ground
10. The Noose Tightens

Line-up
Kostas K. – Vocals
Marios P. – Guitars, Bass
Vangelis F. – Drums

NECROVOROUS – Facebook

Goatpenis – Anesthetic Vapor

Il suono dei Goatpenis è incessante, monolitico e tempestoso, eppure hanno un grandissimo senso della melodia, infatti riescono a costruire le canzoni con un andamento molto ondulato e non soltanto nella direzione della velocità, dando una struttura forte alle loro canzoni.

Venticinque anni di onorata carriera di massacri e olocausti sonori per i black metallers brasilani Goatpenis, e la storia continua.

Questo Anesthetic Vapor è sicuramente uno dei dischi migliori della loro già ottima carriera, cominciata nell’ormai lontano 1993, quando il Brasile vomitava gruppi come i Sarcofago ed altri, aprendo la strada a tanti gruppi sudamericani che poi avrebbero seguito la strada asfaltata da questi pionieri. In questo sesto album per i Goatpenis non c’è nessun cedimento, ma anzi si alza il livello di violenza in questa guerra. Il loro black metal veloce e saturo raggiunge apici molto alti, fondendosi con il death metal, che è un’altra caratteristica molto importante del loro suono. La produzione è molto accurata, non è assolutamente lo fi e permette di gustare al meglio questo suono davvero potente e magniloquente, che si potrebbe definire “war black death metal”. I Goatpenis mostrano la razza umana per quello che è, una distesa di cadaveri che fanno altri cadaveri, un sacco di carne morta e non molto di più. Questi brasiliani parlano di morte e sangue in maniera non casuale, sanno leggere tra le pieghe e la piaghe della storia. Il loro suono è incessante, monolitico e tempestoso, eppure hanno un grandissimo senso della melodia, infatti riescono a costruire le canzoni con un andamento molto ondulato e non soltanto nella direzione della velocità, dando una struttura forte alle loro canzoni. Anesthetic Vapor è un disco che farà felici i loro fans, ma è un gran disco per tutti, e continua la storia dei ragazzi di Santa Catalina.

Tracklist
01 Intro – Tambours Géants
02 Anesthetic Vapors
03 Humanatomy Grinder Chatter Studie
04 Machiavelli Reputation – Chapter
05 Excrementory Genocide
06 Carnivorous Ability
07 Krieg Und Frieden
08 Front Toward Enemy
09 Hallucinatory Sirens
10 Oppressive Ferric Noise
11 Pleasant Atrocities March

Line-up
Sabbaoth – Bass / Vocals
Virrugus Apocalli – Guitars

GOATPENIS – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Massimo Argo

Voto
75

Devangelic – Phlegethon

L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva.

Dalla scena estrema romana, nido di mostruose creature metalliche brutali, ne abbiamo parlato in abbondanza in passato facendovi partecipi di molte delle opere uscite dalle menti di Corpsefucking Art, Degenerhate (tra le altre) ed appunto Devangelic.

Il passato per questa congrega di brutali musicisti si chiamava Resurrection Denied, ottimo esordio targato 2014, seguito dall’ep Deprecating the Scriptures l’anno dopo, mentre il presente è Phlegethon, nuovo lavoro licenziato dalla Comatose Music ed incentrato su un viaggio immaginario tra gli elementi più oscuri e brutali della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri.
L’inferno di Dante ben si adatta all’atmosfera da tregenda che il gruppo conferisce al proprio sound, una tempesta di suoni maligni accompagnati da un growl animalesco o, in questo caso, luciferino, profondo e più adatto per descrivere l’ambiente demoniaco che viene descritto da musica e testi.
L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva, già evidenziata nel primo lavoro, che è esemplificativo del livello raggiunto dai quattro deathsters capitolini.
Non ci si annoia con i Devangelic, anche se la proposta è ovviamente più indicata agli amanti del genere (e non potrebbe essere altrimenti), trattandosi di puro brutal death metal ispirato dalla scena statunitense con tanto di cover, nella versione digipack,  di He Who Sleeps tratta dal mastodontico Gateways to Annihilation dei Morbid Angel.
Ottima conferma e album da annoverare tra le migliori uscite tricolori nel genere, Phlegethon non deluderà gli amanti del brutal death metal, i quali avranno di che crogiolarsi tra gli inferi in questo ultimo scorcio d’anno.

Tracklist
1. Plagued By Obscurity
2. Mutilation Above Salvation
3. Of Maggots And Disease
4. Malus Invictus
5. Abominated Impurity Of The Oppressed
6. Condemned To Dismemberment
7. Wretched Incantations
8. Manifestation Of Agony
9. Decaying Suffering
10.Asphyxiation Upon Phlegethon
—-
11.He Who Sleeps (Morbid Angel cover)
12.Abominated Impurity Of The Oppressed (Promo 2016)

Line-up
Paolo Chiti – Vocals
Mario Di Giambattista – Guitars
Damiano Bracci – Bass
Marco Coghe – Drums

DEVANGELIC – Facebook

Putrid Offal – Anatomy

I Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici.

Torna quel muro estremo transalpino che sono i Putrid Offal, gruppo che seguiamo da quando il quartetto è tornato sul mercato in occasione dell’ep Suffering, licenziato tre anni fa.

Dieci anni di silenzio dividevano gli inizi della carriera dei Putrid Offal dal ritorno nel 2014, seguito da una costanza nelle uscite sorprendente.
Infatti dopo l’ep il gruppo francese ha licenziato una compilation con i vecchi brani scritti nei primi anni novanta e soprattutto il full length Mature Necropsy del 2015.
Tornano dunque con questo ep intitolato Anatomy, composto da due brani inediti (Anatomy e Didactic Exploration), due ri-registrazioni (Rotted Flesh e Gurgling Prey, presenti nel primo demo, con il primo anche nel full length) e due brani live, tanto basta per sconvolgere l’ascoltatore con il loro devastante death/grind.
Niente di nuovo, solo la conferma che i Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici per mandare in tilt il vostro lettore cd.
Come da tradizione, gran lavoro delle due voci (growl e scream) che continuano imperterrite a darsi battaglia tra accelerazioni, pochi rallentamenti e potenza inaudita espressa come se non ci fosse un domani.
I Putrid Offal non lasciano scampo, se vi prendono siete fottuti…

Tracklist
1. Anatomy
2. Didactic Exploration
3. Rotted Flesh
4. Gurgling Prey
5. Requiem for a Corpse
6.Purulent Cold

Line-up
Franck Peiffer – Vocals
Phil Reinhalter- Guitars
Frédéric Houriez – Bass
Laye Louhenapessy – Drums

PUTRID OFFAL – Facebook

Fragarak – A Spectral Oblivion

L’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Sono ormai un bel po’ di anni che, prima nella sezione dedicata al metal di In Your Eyes e ora su MetalEyes IYE, vi teniamo informati sul metal che viene suonato nell’estremo oriente, soprattutto in India.

Il paese asiatico è un enorme scrigno di musica metal/rock, con una manciata di eccellenze in campo estremo e classico che non sfigurano sicuramente al cospetto dei più blasonati colleghi europei.
Il death metal progressivo, un genere che in Europa comincia ad inciampare in quanto a freschezza compositiva, sulle rive del Gange trova nuova linfa tra lo spartito dei Demonic Resurrection e dei Fragarak, di cui vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita del primo full length (Crypts of Dissimulation).
Non sono le uniche band da nominare, ovviamente, ma con questo nuovo album il gruppo di New Delhi risponde da par suo al bellissimo lavoro dei colleghi di Mumbai con questo mastodontico A Spectral Oblivion, ottantacinque minuti di musica estrema progressiva sopra le righe, violenta, atmosfericamente oscura, splendida colonna sonora di un mondo e di una società estrema raccontata per mezzo di un death metal old school, tecnicamente di un altro pianeta e dal sound che varia tra la furia del genere e le parti acustiche, progressivamente ineccepibili.
La differenza non da poco tra queste due spettacolari band sta nell’uso delle orchestrazioni da parte dei Demonic Resurrection, mentre nei Fragarak, l’epico andamento dei brani porta a sfumature evocative che si manifestano tra i ricami acustici di una bellezza devastante.
Supratim Sen usa tutti i mezzi in possesso di un singer di genere per rendere ancora più drammatica e maligna l’atmosfera, con growl profondi e scream laceranti, mentre i suoi compagni inventano fughe su e giù per uno spartito dato alle fiamme dagli strumenti che divampano tra le loro mani.
A Spectral Oblivion sembra durare lo spazio di un brano e l’ascoltatore viene catturato dalle lunghe suite, inframezzate da intermezzi acustici, con un attenzione particolare per In Rumination II – Reflections, Spectre – In Oblivion Awaken e Of Ends Ethereal.
Come nel primo album, l’influenza degli Opeth si fa sentire nelle parti progressive, mentre il lato estremo dei Fragarak mantiene le sue splendide coordinate old school death metal.
Un album bellissimo, l’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Tracklist
1.In Rumination I – The Void
2.In Rumination II – Reflections
3.The Phaneron Eclipsed
4.Ālūcinārī I – Transcendence
5.Fathoms of Delirium
6.Ālūcinārī II – Revelations
7.Spectre – An Oblivion Awakens
8.Ālūcinārī III – A Reverie
9.This Chastising Masquerade
10.Of Ends Ethereal
11.Ālūcinārī IV – The Fall

Line-up
Supratim Sen – Vocals
Kartikeya Sinha – Bass
Arpit Pradhan – Guitar
Ruben Franklin – Guitar

FRAGARAK – Facebook

Gravewards – Subconscious Lobotomy

Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile, riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.

Death metal oscuro e feroce, quattro brani estremi che ricordano i malvagi passi della scena di primi anni novanta, specialmente tra Olanda e Regno unito, con una sola concessione americana, ma fortemente presente,costituita dai primi Obituary.

Dall’assolata e caldissima Grecia arrivano i Gravewards, giovane gruppo proveniente dalla capitale che debutta nel mondo dell’underground estremo con Subconscious Lobotomy, demo autoprodotto fatto di quattro devastanti brani incisi come ai vecchi tempi su trecento cassette, e noi di Metaleyes, che dell’underground vi facciamo puntualmente partecipi, ve li presentiamo in tutta la loro attitudine definibile eufemisticamente old school.
Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.
Fotis al basso e Vasilis alle pelli, con Nikos a costruire riff su riff, mentre con il growl urla come un animale ferito (ricordando non poco il Tardy di Cause Of Death), offrono quattro devastanti canzoni (bellissima Crawling Chaos) che non lasciano trasparire il minimo accenno di modernità ed il loro sound  si infrange come un’onda tempestosa sulle scogliere del death metal old school.
La produzione in linea con la musica suonata questa volta è perfetta per aumentare il fascino e l’atmosfera estremamente sinistra dell’album: Gorefest, Obituary e l’oscuro e bellicoso sound dei Bolt Thrower sono i padrini di questa nuova realtà ellenica da tenere sicuramente sotto osservazione.

Tracklist
1.Casket Entrapment
2.Subconscious Lobotomy
3.Crawling Chaos
4.Deathwomb Incubation

Line-up
Fotis – Bass
Vasilis – Drums
Nikos – Vocals, Guitars

GRAVEWARDS – Facebook

Haemorrhage – We Are The Gore

Un bombardamento sonoro imperdibile per gli amanti di un genere che, quando è suonato a questi livelli, non lascia scampo.

E se l’album dell’anno, parlando di death metal estremo dai rimandi grind, arrivasse dalla vecchia Europa?

Forse molti non avevano fatto i conti con gli storici gore grinders spagnoli Haemorrhage che, sul finire dell’anno e quasi in zona Cesarini, mettono la palla in fondo al sacco con un colpo da maestro, mettendo una seria ipoteca sulla palma delle migliori torture in musica di questo 2017.
Infermieri e medici di un ospedale dove la gente non guarisce, ma lascia questo mondo sotto atroci sofferenze, fanno la ola all’ascolto di questa bomba sonora dal titolo We Are The Gore: una dichiarazione di intenti, un devastante tributo ai primi Carcass, valorizzato da una produzione esplosiva e da un songwriting che nel genere lascia di sale.
Sotto i ferri finiscono povere vittime inconsapevoli del sadico rito Haemorrhage, dal 1992 a sezionare corpi umani (vivi ovviamente) nell’ospedale più macabro del mondo dove le sale operatorie non sono altro che asettici covi dove i nostri massacrano a colpi di grind death metal dalla forza brutale, suonato divinamente e pregno di tutta la sadica malignità di un gruppo di serial killer sotto le mentite spogli di paramedici.
Mastering curato da Brad Boatright (Obituary, Nails, Skinless) e via con la lezione di anatomia firmata Haemorrhage, tra velocità al limite, cambi di tempo, blast beat e solos che tagliano la carne come affilati bisturi, o lacerano come seghetti per amputare, mentre il sangue abbonda, le urla sono puro e disperato dolore e la mezzora passa esaltante tra trombe d’aria brutali che devastano senza pietà.
Il singolo e video della title track anticipa questo bombardamento sonoro imperdibile per gli amanti di un genere che, quando è suonato a questi livelli, non lascia scampo.

Tracklist
1.Nauseating Employments
2.Gore Gourmet
3.We Are the Gore
4.Transporting Cadavers
5.Bathed in Bile
6.The Cremator’s Song
7.Medical Maniacs
8.Forensick Squad
9.Gynecrologist
10.Miss Phlebotomy
11.C.S.C. (Crime Scene Cleaners)
12.Prosector’s Revenge
13.Organ Trader
14.Intravenous Molestation of the Obstructionist Arteries (O-Pus VII)
15.Artifacts of the Autopsy

Line-up
Luisma – guitar, vocals
Ana – guitar
Lugubrious – vocals
Ramon – bass
Erik – drums

HAEMORRHAGE – Facebook

Moonscape – Entity

Entity è un’opera incentrata su un melodic death metal sulle orme del blasonato Crimson, capolavoro degli Edge Of Sanity e che, senza raggiungere quelle vette qualitative, risulta un buon ascolto per gli amanti del genere.

Il sottoscritto quando sente parlare di Edge Of Sanity alza il collo e le orecchie diventano antenne per captare ogni nota che fuoriesce dall’opera in questione, se poi la foto promozionale ritrae il protagonista con una maglietta di quel gruppo, le attese si moltiplicano.

Fortunatamente i Moonscape, progetto solista del musicista norvegese Håvard Lunde, non deludono le aspettative che un nome scomodo come quello della creatura di Dan Swanö inevitabilmente provoca, risultando un’opera estrema interessante.
Entity offre quindi un death metal progressivo e melodico sulla scia del capolavoro Crimson, l’ album più famoso dei Sanity, e viene addirittura presentato in due versioni: quella tradizionale, divisa in nove brani distinti e quella alla “Crimson”, che tradotto significa una sola traccia intitolata Entity della durata di quaranta minuti, nella quale Lunde ed i suoi ospiti si dilettano in questa nuova proposta, influenzata non solo però dalla mente del geniale svedese.
Infatti, echi delle prime opere del Lucassen menestrello sotto il monicker Ayreon, sono le varianti in un approccio death melodico che attraversa il tappeto musicale su cui poggia la struttura dall’opera, mentre il prog non manca di nobilitare partiture che dall’estremo passano con disinvoltura al rock, colorato di nero ma aperto a soluzioni che sanno di arcobaleni progressivi: Entity è in buona sostanza una lunga jam suonata e composta da un ottimo musicista che omaggia al meglio quello che è evidentemente il proprio principale punto di riferimento.
Questo costituisce pregio e difetto per questo lavoro targato Moonscape, che se lascia ottime sensazioni perdendo qualcosa in personalità, inconveniente al quale Lunde saprà sicuramente rimediare in futuro: il presente invece si chiama Entity e si merita un ascolto.

Tracklist
1.Disconsolation (The Hidden Threat)
2.A Farewell To Reality
3.Into The Ethereal shadows
4.Abandonment
5.Under Absent Clouds
6.A Stolen Prayer
7.A Crack In The Clouds
8.The Bargaining
9.Entity

Line-up
Håvard Lunde

Guests:
Jim Brunaud (The Gaemeth Project) as “Father” – lead vocals
Matthew Brown (Arkhane) as “Man” – lead vocals and chants
Kent Are Sommerseth (Unspoken, Varulv) as “Demon” – lead vocals
David Russell – piano
Leviathan (ex- Unspoken, Kvesta) – lead guitars
Andreas Jonsson (ex- Spiral Architect) – lead guitars
Diego Palma (LordDivine) – keyboards
Simen Ådnøy Ellingsen (Shamblemaths) – acoustic and clean lead guitars
Jon Hunt – keyboards • John Kiernan – lead guitars
Alex Campbell (Seek Irony) – lead guitars
Noah Watts – lead guitars
Sean Winter – tenor saxophone
Justin Hombach (AeoS) – lead guitars

MOONSCAPE – Facebook

Exhumed – Death Revenge

Copertina old school, atmosfere da horror di serie b e tanto impatto fanno sì che l’album sia un gradito ritorno per il gruppo californiano, in palla e devastante sia nelle ritmiche che nei non pochi solos, con le chitarre torturate dalle mani di Bud Burke e Matt Harvey.

Un’altra band storica della scena death metal mondiale torna con un album di inediti tramite la Relapse, gli Exhumed.

Dopo averci regalato la re-release del primo album (Gore Metal: A Necrospective 1998-2015), uscita un paio di anni fa, il gruppo statunitense torna dunque con un lavoro composto da tracce inedite quattro anni dopo Necrocracy.
Gli Exhumed, pur non trovando mai la notorietà di altri gruppi della scena, suonano metal estremo dai primi anni novanta e i loro primi album erano dei tributi alla loro maggiore influenza, i Carcass dei primi lavori, con Slaughtercult a fare da punto fermo di una discografia immensa tra ep e split album e con otto full length licenziati, compreso questo ottimo Death Revenge.
Matt Harvey e compagni non deludono le attese degli amanti della band, sempre in bilico tra death metal old school e grind e con una forte componente brutal, che si evince in questo ultimo lavoro.
Death Revenge è un album vario, che alterna con maestria e tutta l’esperienza accumulata dai musicisti le varie componenti che formano il mondo del death metal, scaraventando contro un muro a colpi di ripartenze brutali, scariche grind e death metal d’alta scuola.
Copertina old school, atmosfere da horror di serie b e tanto impatto fanno sì che l’album sia un gradito ritorno per il gruppo californiano, in palla e devastante sia nelle ritmiche che nei non pochi solos, con le chitarre torturate dalle mani di Bud Burke e Matt Harvey.
Mike Hamilton e Ross Sewage vanno a costruire un muro ritmico impressionate e vario, mentre Death Revenge non lascia respiro con una serie di mitragliate estreme dal massacro assicurato.
Defenders Of The Graves (un titolo, un programma), Night Work, la sontuosa The Anatomy Act Of 1832, sette minuti di death metal a tratti esaltante, sono i brani cardine di un album riuscito e che dà una nuova giovinezza allo storico gruppo statunitense: consigliarne l’acquisto è il minimo.

Tracklist
1.Death Revenge Overture
2.Defenders of the Grave
3.Lifeless
4.Dead End
5.Night Work
6.Unspeakable
7.Gravemakers of Edinburgh
8.The Harrowing
9.A Funeral Party
10.The Anatomy Act of 1832
11.Incarnadined Hands
12.Death Revenge
13.Death Revenge Underture
14.A Lesson In Violence

Line-up
Bud Burke – lead guitar, vocals
Matt Harvey – vocals, guitar
Mike Hamilton – drums
Ross Sewage, bass, vocals

EXHUMED – Facebook

Usnea – Portals into Futility

Magnifico disco degli statunitensi che raggiungono il loro apice creativo: funeral, sludge e death fusi in modo magistrale.

A tre anni da un ottimo lavoro come Random Cosmic Violence la band statunitense di Portland si ripresenta con una magnifica opera, sempre su Relapse Records.

La band raggiunge, forse, il suo apice creativo, mantenendo il proprio trademark improntato su un suono dove si mescolano funeral-doom, death, sludge e aromi black: gli Usnea non sono i primi a cimentarvisi, ma  lo fanno con grande passione e importante conoscenza della materia; il songwriting è di alto livello e la capacità della band di creare suggestive atmosfere e melodie sempre su una base molto heavy, li fanno primeggiare. I cinque brani, tutti di lungo minutaggio, com’è giusto per il genere proposto, non sono particolarmente complessi ma sono ricchi di idee compositive sempre adeguate e la band si permette di suggerire la lettura di alcune opere distopiche e sci-fi, per meglio metabolizzare la struttura dei brani: ad esempio il brano Demon haunted world, disperato, cupo e opprimente è legato strettamente all’ omonimo libro di Carl Sagan del 1996. Altri scrittori noti e importanti come Frank Herbert (Dune) e Philip Dick (Valis) rappresentano suggestioni importanti per addentrarsi in cangianti brani come Pyrrhic Victory e A crown of desolation: nel primo la pesantezza del suono, l’alternarsi di vocals in scream e growl e l’atmosfera disperata si sfalda lentamente, nella parte centrale, in note cosmiche dove oscure dimensioni creano incubi in cui si smarrisce la memoria di sé. Nel brano finale A crown of desolation, mostro di abbondanti sedici minuti, si sublima la profondità emotiva della band, la devastante disperazione prende il sopravvento e un “io” travolto da minacce arcane perde completamente la speranza di ritrovare fragili equilibri; le vocals urlate, sgraziate accompagnate da un oscuro coro delineano scenari in cui la mente si spegne ed esplode come un nero cristallo impazzito.
Veramente un lavoro magnifico da assaporare lentamente, nota per nota, lasciandosi coinvolgere dalla notevole arte degli Usnea.

Tracklist
1. Eidolons and the Increate
2. Lathe of Heaven
3. Demon Haunted World
4. Pyrrhic Victory
5. A Crown of Desolation

Line-up
Joel Williams Bass, Vocals
Zeke Rogers Drums
Johnny Lovingood Guitars
Justin Cory Guitars, Vocals, Piano

USNEA – Facebook

Belphegor – Totenritual

Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance.

Dopo tre anni di astinenza da Conjuring The Dead ritorna la congrega austro satanica nota nei grimori come Belphegor.

Dal lontano 1995, se si vogliono considerare solo i dischi completi, i Belphegor massacrano le nostre orecchie e il nostro cervello, cercando di aprire i cancelli dell’inferno. Con molta onestà ci si poteva aspettare una prova certamente dignitosa e magari un po’ molle, invece gli austriaci firmano uno dei loro album più belli e complessi dal punto di vista compositivo. La potenza è la stessa se non addirittura di più, ma è distribuita in maniera diversa. I Belphegor hanno costruito una carriera sulla potenza sonora nel tentativo di saturare ogni possibile stilla di spazio con un suono nero e marcio. Oltre a tutto ciò ora, gli austriaci hanno portato a compimento ciò che avevano cominciato a far intravedere con i due album precedenti, e in particolare con l’ultimo Conjuring The Dead, ovvero composizioni con molti sviluppi sonori, dove la potenza black metal si sposa con quella del death come sempre, ma con un respiro più ampio. I Belphegor sono entrati in una fase differente della loro maniera di comporre, e hanno reso il loro suono più ricco e variegato rendendolo ancora più possente e magnifico. Totenritual è una danza sull’abisso e a volte ben oltre, non ci si ferma nemmeno davanti alla morte e tutto parla di Satana e delle ribellione primigenia dell’uomo. La musica del disco ci proietta in una nera cava fatta di dolore e molto vicina al sud del paradiso, dove ci sono demoni che ci faranno soffrire molto. Piovono membra sanguinolente, e noi persi sulla spiaggia mentre aspettiamo Caronte non possiamo fare altro che resistere, ma non possiamo vincere. Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance. Si sale e si scende in continuazione, non c’è tregua, anche se sono notevoli gli intarsi melodici in mezzo alla lava. I Belphegor si amano o si odiano, e c’è chi adora solo i primi album, ma qui c’è un’opera di valore assoluto, un massacro senza se e senza ma, fatto alla loro maniera.
Venite, manca il vostro sangue in calce al contratto.

Tracklist
1. Baphomet
2. The Devil’s Son
3. Swinefever – Regent of Pigs
4. Apophis – Black Dragon
5. Totenkult – Exegesis of Deterioration
6. Totenbeschwörer instrumental
7. Spell of Reflection
8. Embracing a Star

Line-up
Helmuth: Heretic Grunts/ Chainsaw
Serpenth: Bass Devastator/ Vokills
Bloodhammer: Drums
Impaler: 6-String Storm [Live]

BELPHEGOR – Facebook

Gutslit – Amputheatre

Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte.

Che una società come quella indiana lasci spazio alla brutalità è un dato di fatto, con milioni di persone racchiuse in gigantesche metropoli dove la vita vale meno di zero, le malattie decimano gran parte della popolazione e la violenza molte volte degenera.

Film e musica spesso raccontano fantasie mentre la realtà è ancora più terrificante e a noi amanti dell’horror e del gore non rimane che ignorare le solite prese di posizione del benpensanti, infastiditi da una copertina o dalla brutalità della musica, ma totalmente indifferenti a quello che accade ai propri simili in molti luoghi del mondo.
Questo brutal death metal proveniente da Mumbai, la metropoli più pericolosa del mondo, non può che convincere gli amanti del genere, rivelandosi dannatamente coinvolgente, devastante e deliziosamente gore.
Loro sono i Gutslit, quartetto nato una decina di anni fa e arrivato al secondo album, licenziato dalla Transcending Obscurity dopo uno split ed un primo lavoro intitolato Skewered in the Sewer.
Impatto a iosa, blast beat e velocità a manetta per un sound che poggia le sue radici nella storia del genere, non rinunciando alle caratteristiche peculiari tanto amate dai fans del death metal più estremo.
Amputheatre sta tutto qui, nel suo essere un buon esempio di musica brutale e senza compromessi, un massacro che non concede tregua con il growl malvagio di un boia che tortura sadicamente le proprie vittime fino alla morte, che per i poveri malcapitati risulta una liberazione.
Mezz’ora scarsa che non conosce il minimo cedimento, consigliato senza riserve a chi fa del brutal e delle sue band un ascolto abituale.

Tracklist
1.Amputheatre
2.Brazen Bull
3.From One Ear to Another
4.Necktie Party
5.Blood Eagle
6.Brodequin
7.Maraschino Eyeballs
8.Scaphism
9.Death Hammer

Line-up
Gurdip Singh Narang – Bass
Aaron Pinto – Drums
Prateek Rajagopal – Guitars
Kaushal LS – Vocals

GUTSLIT – Facebook

Apophis – Under A Godless Moon

Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Apophis è il dio serpente, divinità che incarna il male e le tenebre nelle credenze dell’antico Egitto, terra e popolo che con divinità poco raccomandabili avevano a che fare abitualmente.

Portatori di guerre, pestilenze e terribili maledizioni, gli dei egizi sono stati ampiamente menzionati nell’ormai lunga storia del metal con gruppi che ci hanno scritto un’intera discografia, un solo album o semplicemente si sono ispirati per il monicker.
Gli Apophis di cui vi parliamo sono australiani, una one man band di cui si conosce pochissimo se non il nome del polistrumentista autore di questo piccolo gioiello estremo, Aidan Cibich che, oltre a suonare tutti gli strumenti si è prodotto, masterizzato e mixato l’intero album, intitolato Under A Godless Moon.
Presentato come un’opera melodic death metal con atmosferiche parti doom, l’album risulta interamente strumentale, suonato e prodotto benissimo e composto da un lotto di brani che, se al doom schiacciano l’occhiolino in pochissime occasioni, ci travolgono con una serie tempeste sonore estreme, dove la sei corde è assoluta protagonista, meravigliosa compagna del musicista australiano che da par suo la fa suonare e cantare come una sirena persa nelle acque del Nilo.
Poche atmosfere, dunque, e tanto death metal melodico, squisitamente thrash in qualche passaggio ma debitore della scena scandinava e il pensiero non può che andare al nostro Hitwood, progetto death strumentale del polistrumentista italiano Antonio Boccellari a cui Cibich si avvicina non poco, mantenendo solo un approccio più estremo ed oscuro.
Un paio sono i brani atmosferici (Chaos Under Cimmerian Skies e Ad Absolutum Finem), il resto è un ottimo e alquanto tempestoso melodic death che trova la sua naturale valorizzazione strumentale tra le trame di tracce davvero belle come Watchtowers Of Anubis, la title track e The Kinslayer, anche se l’album merita di essere apprezzato nella sua interezza.
Cibich, al contrario di molti suoi colleghi, non si incarta in inutili giochini tecnici ma punta tutto sulle emozioni che la sua musica elargisce a piene mani, confermandosi figlio di una generazione di musicisti che con le loro opere stanno regalando nuova linfa ai lavori strumentali.

Tracklist
1.Chaos Under Cimmerian Skies
2.Cyclopean Rage
3.Monarchs Throne
4.The Kinslayer
5.Fountains Of Crimson
6.Ad Absolutum Finem
7.Empyreal
8.Watchtowers Of Anubis
9.Firestorm Of Luna
10.Under A Godless Moon

Line-up
Aidan Cibich

APOPHIS – Facebook