Sinaya – Maze Of Madness

Dal Brasile arrivano ad aprire crani in un brutale massacro estremo le Sinaya, quartetto tutto al femminile che, se vi ruberà gli occhi a livello estetico, vi stordirà immediatamente quando la prima nota di Life Against penetrerà come un trapano nei vostri ormai distrutti padiglioni auricolari.

Chi ha detto che per suonare thrash/death metal devastante e dai rimandi old school bisogna essere degli ometti brutti sporchi e cattivi?

Dal Brasile arrivano ad aprire crani in un brutale massacro estremo le Sinaya, quartetto tutto al femminile che, se vi ruberà gli occhi a livello estetico, vi stordirà immediatamente quando la prima nota di Life Against penetrerà come un trapano nei vostri ormai distrutti padiglioni auricolari.
Voce cartavetrata ed in linea con i singer thrash/death metal di origine controllata, blast beat, sono gli elementi fondanti di accelerazioni speed metal e cavalcate heavy /death che sono pugni potenti e letali alla bocca dello stomaco.
Mentre sputerete sangue e i conati vi bloccheranno il respiro, le Sinaya vi prenderanno per le palle, con una serie di tracce che abbinano thrash old school dai rimandi ottantiani (primi Slayer) e death metal che ricorda i primi Sepultura (e non potrebbe essere altrimenti) specialmente per l’impatto con cui le quattro streghe estreme si abbattono sull’ascoltatore.
Deep In The Grace, Buried By Terror e via tutte le altre tracce formano un solido macigno metallico dal titolo Maze Of Madness: Mylena Monaco (voce, chitarra), Renata Petrelli (chitarra), Bruna Melo (basso) e Cynthia Tsai (batteria) non potevano debuttare meglio su lunga distanza, confermando la sempre buona salute dell’underground metallico brasiliano.

Tracklist
1. Life Against Fate
2. Abyss to Death
3. Always Pain
4. Bath of Memories
5. Crowd in Panic
6. Infernal Sight
7. Deep in the Grave
8. Buried by Terror

Line-up
Mylena Monaco – Vocals/Guitar
Renata Petrelli – Guitar
Bruna Melo – Bass
Cynthia Tsai – Drums

SINAYA – Facebook

Sahon – Chanting For The Fallen

Chanting For The Fallen perpetua la tradizione del gruppo sud coreano, ispirato dai maestri Slayer e Venom per mezz’ora di metal sparato ad alta velocità come si faceva negli anni ottanta.

La scena estrema asiatica è arrivata negli ultimi anni alla nostra attenzione grazie soprattutto al lavoro della Transcending Obscurity, label importantissima per lo sviluppo dei suoni metallici a livello mondiale.

Death, thrash, black, heavy metal e sonorità moderne: i paesi asiatici regalano sorprese a non finire in campo metallico, tra giovani promesse e gruppi da anni a combattere per un posto al sole nel sottobosco musicale.
I Sahon, per esempio, sono una band che da anni mette a ferro e fuoco la scena thrash metal di Seul: attivi dal 1999, hanno attraversato questi primi anni del nuovo millennio licenziando cinque full length fino al 2013.
Chanting For The Fallen è il sesto album della serie e continua quindi la tradizione del gruppo sud coreano, ispirato dai maestri Slayer e Venom per mezz’ora di metal sparato ad alta velocità come si faceva negli anni ottanta.
L’attitudine old school si intreccia con un’ottima produzione ed accende una miccia metallica che finisce la sua corsa nel candelotto che, all’esplosione, rilascia otto spari nella notte, urgenti, diretti e senza compromessi.
La buona tecnica dei musicisti (Yong-Ho basso e voce, Sun batteria e Chang-Myung chitarra) permette loro di giocare con ritmiche mozzafiato e solos veloci come il vento creato dall’esplosione del loro sound, dedicato alle storiche band di cui sopra ma che lascia trasparire una personalità acquisita con gli anni.
Chanting For The Fallen è il classico lavoro da spararsi in toto senza andare troppo per il sottile e ad un volume ovviamente consono.

Tracklist
1.Faith Of Savagery
2.At The Edge Of Cliff
3.Survive
4.Condemnation
5.Charge Til The End
6.Born To Lose Live To Win
7.Joy Of Hatred
8.You Shall Pay

Line-up
Yong-Ho – Bass, Vocals
Sun – Drums
Chang-Myung – Guitars

SAHON – Facebook

Cold Snap – All Our Sins

All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto.

Non solo calcio, pallacanestro e pallanuoto è ciò che arriva dalla Croazia, ma ora anche ottimo groove metal, nella fattispecie quello dei Cold Snap, che escono su Arising Empire dopo aver vinto il concorso indetto dalla stessa etichetta.

I nostri sono peraltro famosi in madrepatria e ascoltando questo loro nuovo disco si può capire facilmente il perché. Il loro suono è un groove metal molto moderno ed incalzante, con elementi di nu metal e decise svolte nel deathcore e anche nel death metal, senza però mai perdere di vista la melodia. Si può benissimo dire che questo gruppo incarni le nuove tendenze del metal al meglio, non annacquandole come fanno molti gruppi. All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto. La forza del disco sta nel buon bilanciamento tra potenza e melodia, la composizione dei pezzi non è mai scontata ma ben strutturata e lo sviluppo delle trame musicali è assai corretta. Il ritmo che ha questo gruppo esce allo scoperto fin da subito, in quanto ha un incedere che basa le sue strutture in vari generi e sottogeneri ben amalgamati fra loro. I Cold Snap hanno vinto il concorso indetto dalla Arising Empire perché hanno chiaramente qualcosa in più rispetto alla maggioranza dei gruppi in giro, e All Our Sins lo dimostra molto bene. Era il momento per un disco come questo, dato che ultimamente tanti gruppi che sono nel giro metalcore/groove metal sono smaccatamente e forzosamente melodici, mentre qui il metal è l’elemento fondante di tutto, la trave portante del suono, che ha anche molti elementi dell’hardcore; infatti il gruppo ha una forte mentalità DIY, che non è andata smarrita neppure entrando nel roster della sussidiaria della Nuclear Blast.

Tracklist
01. Hešto And Pujto
02. Fallen Angels
03. Nothing
04. Demons
05. Crawling
06. Remission
07. 2 4 The System
08. Witness Of Your Sickness
09. No We’re Not Even
10. Pain Parade
11. Hated
12. Distance

Line-up
Jan Kerekeš – Vocals
Dario Sambol – Drums
Zoran Ernoić – Bass
Dario Berg – Vocals, Samples
Dorian Pavlović – Guitar
Zdravko Lovrić – Guitar

COLD SNAP – Facebook

Death Strike – Fuckin’Death

Ristampa da parte della Dark Descent Records del demo degli storici Death Strike una delle diverse band fondate dal bassista e cantante dei Master, Paul Speckmann.

I Death Strike sono uno dei numerosi progetti di Paul Speckmann, storico cantante e bassista di una decina di realtà estreme, tra cui i leggendari Master, uscito ultimamente sul mercato con il progetto Johansson & Speckmann in compagnia dell’altro stakanovista del metal estremo, lo svedese Rogga Johansson.

I Death Strike durarono lo spazio di un demo, questo Fuckin’ Death licenziato dal gruppo nel 1985.
In origine i brani erano solo quattro, poi nel 1991 la Nuclear Blast ristampò il lavoro con l’aggiunta di altre quattro canzoni inedite: quello che ora viene ripreso dalla Dark Descent è appunto la versione con le otto tracce.
Il clima infernale dell’album di matrice death/thrash primordiale porta ad evidenti similitudini con gli Hellhammer e gli Slayer, in un contesto ancora più oscuro.
Solos slayerani, doppia cassa a palla, mid tempo luciferini ed il vocione demoniaco ma di estrazione thrash di Speckmann, sono le caratteristiche di questo lavoro la cui data di uscita favorisce il sentore old school dei brani, che risultano un’orgia di metal estremo senza compromessi.
Una nuova ristampa per questo leggendario lavoro potrebbe far pensare ad un ritorno a sorpresa: vedremo, nel frattempo se siete fans del musicista statunitense e volete possedere ogni sua opera, i Death Strike sono davvero una chicca per intenditori.

Tracklist
1. The Truth
2. Mangled Dehumanization
3. Pay To Die
4. Re-Entry And Destruction
5. The Final Countdown
6. Man Killed America/Embryonic Misconceptions
7. Pervert
8. Remorseless Poison

Line-up
Paul Speckmann – Vocals, Bass
Kirk Miller – Guitars
John Leprich – Drums

DEATH STRIKE – Facebook

Alphastate – The Grind

Gli Alphastate sono protagonisti di un album a tratti davvero brillante: il loro metal è valorizzato da un’ottima produzione e si avvicina al sound dei primi Nevermore, quindi con un approccio moderno e thrash, buona tecnica e con quel tocco drammatico/progressivo marchio di fabbrica della storica band americana.

Una piccola bomba sonora è questo The Grind, secondo album degli Alphastate, band formatasi circa quattro anni fa e con un primo lavoro già edito dal titolo Out Of The Black.

Gli ateniesi, guidati da Manos Xanthakis, sono protagonisti di un album a tratti davvero brillante: il loro metal è valorizzato da un’ottima produzione e si avvicina al sound dei primi Nevermore, quindi con un approccio moderno e thrash, buona tecnica e con quel tocco drammatico/progressivo marchio di fabbrica della storica band americana.
Il cantante, molto interpretativo, risulta una via di mezzo tra il compianto Warrel Dane e Bruce Dickinson, quindi con grandi aperture vocali ed un piglio evocativo ad accompagnare il metal tecnico, oscuro e d’assalto di cui è composto The Grind.
Non si riposa un attimo la band greca, mostra i muscoli per tutta la durata dell’album tra ritmiche thrash, solos dal taglio classico, power metal oscuro di matrice statunitense e ottime aperture melodiche che si stagliano su chorus travolgenti.
Non solo Nevermore, ma anche Iced Earth e Testament sono le fonti di ispirazione per tracce devastanti come l’opener Trapped, la monumentale Phantom Desires e le maideniane Theater Of Lies ed Heaven’s World.
Il disco, pur mantenendo la sua aura oscura, si dimostra vario nel combinare elementi classici e moderni, con la potenza thrash e l’heavy metal classico uniti nel deturpare i padiglioni auricolari dei fans.
La produzione, come scritto, aiuta non poco The Grind nel rivelarsi un lavoro ben suonato e dal buon songwriting, quindi il consiglio è quello di non perderlo, specialmente se si è amanti delle band citate.

Tracklist
1.Trapped
2.Phantom Desires
3.Speak Your Mind
4.Theater of Lies
5.The Grind
6.Forevermore
7.Behind the Dark
8.Heaven’s World
9.Man Made God

Line-up
Vocals – Manos Xanthakis
Pete Breaker – Guitars
TBA – Bass
Fivos Andriopoulos – Drums

ALPHASTATE – Facebook

Hirax – Born In The Street 1983-1984

Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

La FOAD ristampa in vinile i primi demo degli Hirax, band dello storico cantante Katon De Pena, unico membro originale del gruppo rimasto in formazione dal lontano 1984.

Facente parte della scena di San Francisco, covo di fiere metalliche come Testament, Megadeth, Exodus e Metallica, la band ancora in attività (l’ultimo album si intitola Immortal Legacy ed è uscito nel 2014) ed è una delle più amate realtà della prima ondata thrash metal che invase il mondo musicale, anche se in termini commerciali rimasero un passo indietro rispetto alle band citate.
I demo di cui si compone Born In The Streets 1983/1984 sono Hirax, omonimo lavoro del 1984, e La Kaos, licenziato un anno prima, integrati da una manciata di brani inediti che fanno della compilation una chicca per gli amanti della band di Katon De Pena.
Influenzato dalla New Wave Of British Heavy Metal, il gruppo americano sfoggiava una rabbiosa grinta heavy speed, con la voce del cantante a valorizzare le fughe velocissime dei suoi compari e dimostrandosi come uno dei migliori interpreti della scena.
I brani inediti hanno la pecca del suono deficitario e da garage e rimangono essenzialmente delle testimonianze storiche interessanti per i fans e nulla più, mentre il demo omonimo dimostra di cosa fossero capaci gli Hirax quando decidevano di spingere a tavoletta.
La Kaos ci riserva il lato rock’n’roll della band con almeno due perle di hard & heavy come My Baby e She’s Man Killer, che tanto sanno di Thin Lizzy.
Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

Tracklist
Side A
1.Born in the Streets
2.Battle Cry
3.Stand and Be Counted
4.Believe in the King
5.To Be Free
6.The Saviour
7.War Hero

Side B
8.Intro / Life Goes On
9.She’s Man Killer
10.My Baby
11.Y.B.D.
12.Runnin’

Line-up
Katon W. De Pena – Vocals
Steve Harrison – Bass
Lance Harrison – Guitars
Mike Vega – Drums

HIRAX – Facebook

Nocturnal Breed – The Whiskey Tapes Germany

The Whiskey Tapes Germany è una compilation con inediti e cover dei black/thrashers Nocturnal Breed, dedicata ovviamemte solo ai fans più accaniti del gruppo.

I norvegesi Nocturnal Breed sono uno dei gruppi più famosi della scena black/thrash europea, essendo attivi dalla metà degli anni novanta con una serie di album che glorificano il black metal old school.

Ovviamente per black metal vecchia scuola si intende quello dei pionieri nati negli anni ottanta e divenuti famosi per opere estreme che al thrash metal univano un’attitudine luciferina e cattiveria come se piovesse.
Venom, Slayer e primissimi Bathory sono stati i nomi più importanti di questo genere che, negli ann,i ha unito al thrash e al black metal un’attitudine rock’n’roll, facendone un sottogenere seguitissimo nel sottobosco estremo.
I Nocturnal Breed si sono sempre imposti per la loro neanche troppo velata natura black, d’altronde il paese di origine parla chiaro e così anche i loro cinque full length (più un buon numero di lavori minori).
The Whiskey Tapes Germany è una compilation di brani rimasterizzati e di molti inediti per i fans tedeschi, con la chicca Evil Dead,  tributo a Chuck Schuldiner licenziato nel 2011, e la bellissima e devastante versione di Under The Blade dei Twisted Sister.
Le curiosità finiscono qui perché il resto è formato dabrani che non aggiungono nulla a quanto già edito dal gruppo, poco curato nei suoni e quindi da portare all’attenzione dei soli fans del genere ed in particolare della band scandinava.
Questa raccolta non è malvagia, ma come detto non va oltre il piacere di chi i Nocturnal Breed già li conosce e li apprezza, mentre gli altri a mio avviso troveranno pochi spunti interessanti.

Tracklist
1. Intro – Splinter-Day (Video Intro – Fields of Rot)
2. Metal Church (Prev. Unreleased)
3. I’m Alive (Org Keyboard Version) Prev. Unreleased 1997
4. Miss Misery (Prev. Unreleased)
5. Evil Dead (R.I.P. Evil Chuck Edit 2011)
6. Under The Blade (Alternate Mix)
7. Ballcusher (Raw Mix)
8. Metal Thrashing Mad (Experimental Mix)
9. Dead Dominions (The Hour of Death Is At Hand – Short Edit)
10. Killernecro (Ubernecro Version)
11. Barbed Wire Death (Demo 1998) (Prev. Unreleased)
12. No Retreat… No Surrender (Speed Metal Legions Version)
13. Rape The Angels (Reh. Sept.1997)
14. Maggot Master (Experimental Studio Demo)
15. The Artillery Command (Alt Mix)
16. Alcoholic Rites (Experimental Studio Raw Mix)

Line-up
S. A. Destroyer – Bass, Vocals
Axeman I. Maztor – Guitars
Tex Terror – Drums, Vocals
V. Fineideath – Guitars

NOCTURNAL BREED – Facebook

Omega Diatribe – Trinity

Il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore.

Un macigno sonoro di dimensioni bibliche in arrivo dall’Ungheria tramite Metal Scrap, che ci presenta il nuovo album di questi cinque cannibali musicali che agiscono sotto il monicker di Omega Diatribe.

Cannibali perché la band fagocita metal estremo, lo metabolizza e lo vomita pregno di groove, passando con disinvoltura da parti di devastante deathcore al più corposo e meno marziale groove metal.
Gli Omega Diatribe sono in giro a far danni dal 2013, la loro discografia in cinque anni vede tre full length ed un paio di ep, non male, segno che di cose da dire ne hanno molte e lo fanno tramite una proposta estrema ed intensa, pur con i limiti che il genere impone.
Niente di nuovo quindi, ma sicuramente d’impatto, tanto che Trinity risulta una montagna di metal estremo moderno che si muove producendo terremoti devastanti.
Con doppia voce, ma lontana dal solito clichè growl/voce pulita, il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore, sempre in guardia per i duri colpi inferti dal gruppo.
Ci vuole il fisico per assorbire le bordate deathcore che gli Omega Diatribe sparano senza pietà con neanche troppo velate ispirazioni a Meshuggah, Gojira e i Machine Head più arrabbiati.
Il quintetto ungherese non le manda certo a dire, travolge tutto con riff ultra heavy risultando uno schiacciasassi impazzito di groove death metal, magari non originalissimo ma sicuramente debordante ed ottimamente suonato, e tanto basta.

Tracklist
1.Souls Collide
2.Filius Dei
3.Trinity
4.Spinal Cord Fusion
5.Divine of Nature
6.Replace Your Fear
7.Oblation
8.Chain Reaction
9.Denying Our Reality
10.Compulsion
11.Wraith
12.Tukdam

Line-up
Gergo Hajer – Guitar
Tamás Höflinger – Guitar
Ákos Szathmáry – Bass
Tamás Kiss – Drums
Milán Lucsányi – Vocals

OMEGA DIATRIBE – Facebook

Walkyrya – The Invisible Guest

Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya.

I Walkyrya, band in arrivo dalla provincia di Potenza, firmano per Time To Kill Records dopo tre album autoprodotti (il debutto omonimo licenziato nel 2002, The Banished Story uscito nel 2005, ed il precedente End Line datato 2015) e rilasciano il quarto lavoro di una carriera nata sul finire degli anni novanta e caratterizzata da un sound che ad ogni album ha cambiato pelle, arrivando a quello massiccio e pregno di groove di The Invisible Guest.

I “nuovi” Walkyrya suonano un thrash metal che alterna influenze classiche ed ispirazioni moderne, con un growl che a tratti si avvicina per impatto a quello usato nel death, per poi virare su fronti più melodici che non lasciano dubbi sull’impatto e la potenza di questa nuova raccolta di brani ricchi di refrain e chorus dal piglio classico ed attitudine live.
I Walkyrya affrontano il genere di petto, brani come l’opener Black Hills o All The Time ci presentano un quartetto che, senza andare troppo per il sottile, ci travolge con un muro di note dal groove micidiale, non mancando di velocizzare quel tanto che basta le ritmiche per omaggiare il thrash tradizionale.
Evil Clown ed Out Of Brain, altre due bombe lanciate sulle nostre teste dal gruppo, evidenziano le molte influenze che fatte proprie per dare vita a The Invisible Guest, partendo da Testament e Metallica per passare a Black Label Society e Pantera.
Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya; non perdete tempo e fatelo vostro, soprattutto se siete amanti delle band che hanno ispirato la band lucana.

Tracklist
1. Black Hills
2. Open Grave
3. All The Time
4. Drive Angry
5. Evil Clown
6. Venom Tears
7. Out Of Brain
8. March Or Die

Line-up
Vince Santopietro – vocals
Federico Caggiano – Guitar, chorus
Arcangelo Larocca – Bass
Tiziano Casale – Drums

WALKYRYA – Facebook

Inkvisitor – Dark Arts of Sanguine Rituals

Agli Inkvisitor non mancano certo attitudine ed impatto, ma a questo giro lasciano molto in qualità arrivando alla sufficienza solo per qualche buon assolo in crescendo, che porta alle classiche cavalcate tutto impatto ed ignoranza tipiche del genere.

Nella terra dei mille laghi si suona anche speed/thrash, uno dei generi per cui la definizione old school calza a pennello, forse il genere più conservatore e tradizionalista di tutta la scena metallica.

Ovvio che, per attirare, una band dedita a questo tipo di suono deve per forza avere dalla sua un talento compositivo fuori dal comune, virtù che agli Inkvisitor manca, o comunque non viene espressa al meglio su questo loro ultimo lavoro.
La band, attiva dal 2012 e falcidiata dai cambi di line up (inclusa la stessa formazione che ha registrato l’album) ha già, aveva esordito sulla lunga distanza tre anni fa con Doctrine of Damnation, album formato da dieci brani che non andavano più in la di uno speed metal d’assalto.
Questo secondo full length dal titolo Dark Arts of Sanguine Rituals risulta un ambizioso concept incentrato su una storia noir che ha come protagonista un detective alle prese con un misterioso caso di omicidio.
Il quintetto finlandese il genere lo sa suonare, su questo non ci piove, le ritmiche corrono veloci, i solos squarciano lo spartito e la voce particolarmente aggressiva varia la tonalità sfiorando addirittura una sorta di growl.
Il problema di Dark Arts of Sanguine Rituals è la mancanza di un paio di brani trascinanti e il poco appeal dei chorus, difficilmente memorizzabili in un contesto metallico che a tratti inciampa in qualche forzatura estrema.
Agli Inkvisitor non mancano certo attitudine ed impatto, ma a questo giro lasciano molto in qualità arrivando alla sufficienza solo per qualche buon assolo in crescendo, che porta alle classiche cavalcate tutto impatto ed ignoranza tipiche del genere.
Per concludere, Dark Arts of Sanguine Rituals è un lavoro per cui l’ascolto è consigliato ai soli fans dello speed metal, ma con riserva.

Tracklist
1.Dark Arts of Sanguine Rituals
2.Second Sacrament
3.A Shadow Suspended by Dust
4.The Confession
5.Mindslaver
6.Necromancy Cascade
7.Paradigm Shift
8.War Is Path to Victory
9.The Revenant (Redeemer)
10.Quagmire Twilight (Deleted Scene)

Line-up
Jesse Kämäräinen – Guitar
Tino Jäntti – Drums
Markus Martinmäki – Vocals
Sakari Soisalo – Bass
Mikko Saviranta – Guitar

INKVISITOR – Facebook

Druknroll – Unbalanced

Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.

Vi avevamo parlato dei Druknroll lo scorso anno, in occasione dell’uscita dell’ep Bad Math, mini album di tre brani che seguiva un cospicua discografia composta da una manciata di full length ed altrettanti lavori minori sparsi in una dozzina d’anni.

Il progetto, nato come one man band del musicista russo che gli dà il nome, licenzia tramite Metal Scrap Unbalanced, album che conferma le notevoli potenzialità di quella che ad oggi risulta una band a tutti gli effetti con Drunknroll ad occuparsi di chitarra, basso tastiere e batteria, il singer Horror, Knip alle prese con chitarra, batterie e diavolerie elettroniche e Denys Malyuga alla chitarra solista.
Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.
Ne esce un album sicuramente originale e progressivo, composto da dieci brani, compresi i tre che formavano il precedente ep in cui thrash metal moderno di scuola Strapping Young Lad, Voivod, industrial (Ministry) e melodic death metal (Soilwork) si uniscono per travolgere l’ascoltatore con una cascata di note a formare brani fuori dai soliti schemi, con l’arma in più chiamata Horror alla voce (perfetto in ogni passaggio e vario nella sua interpretazione così come il sound) ed un songwriting ispirato.
Non ci si riposa, il gruppo tiene l’ascoltatore in tensione passando da un genere all’altro o riuscendo ad amalgamare influenze ed ispirazioni in un solo sound per formare brani devastanti, potentissimi e pregni di cambi di tempo e varianti progressive.
Oltre al trio di canzoni presenti in Bad Math (Bad Math, On The Hook e The Heroes of the War), la title track, Philosophy Of Life e Mirror vi lasceranno senza fiato, originali ed estreme composizioni all’interno di un lavoro straordinario.
I Druknroll meriterebbero sicuramente più attenzione, la loro proposta risulta personalissima, amalgamando generi ed influenze all’apparenza lontane ma perfettamente unite nel puzzle musicale di Unbalanced.

Tracklist
1. Hundred
2. Unbalanced
3. Bad Math
4. It’s Not My Way
5. Philosophy of Life
6. On the Hook
7. Eternal Confrontation
8. Mirror
9. The Heroes of the War
10. Dark Matter

Line-up
Druknroll – guitars, bass, keys, drums
Horror – vocal
Knip – guitar, sound effects,drums
Denys Malyuga – solo-guitar

DRUKNROLL – Facebook

Overkill – Live In Overhausen

Gli Overkill propongono il fantastico show alla Turbinhalle 2, dove furono riproposti due degli album che hanno caratterizzato la carriera del gruppo statunitense, il primo Feel The Fire e lo storico Horrorscope.

Che gli Overkill siano ancora una perfetta macchina da guerra lo dimostra l’ultimo lavoro, quel The Grinding Wheel licenziato dalla band lo scorso anno e che ci proponeva infatti il duo Bobby “Blitz” Ellsworth e D.D Verni ancora in splendida forma.

Con Live In Overhausen, gli Overkill tornano indietro di un paio d’anni, proponendo il fantastico show allaTurbinhalle 2, dove furono riproposti due degli album che hanno caratterizzato la carriera del gruppo statunitense, il primo Feel The Fire e lo storico Horrorscope, uscito nel 1991 e che, prima dell’esplosione dei suoni alternativi e la crisi del thrash metal, divenne il lavoro più famoso della band.
Ovviamente Live In Overhausen è un tripudio, con gli Overkill che, specialmente dal vivo, non fanno prigionieri ed una scaletta ad incendiare i thrashers tedeschi, prima con i brani di Horrorscope e di seguito con la track list del primo lavoro.
Sono passati solo un paio d’anni, quindi immaginiamo che “Blitz” e compagni non abbiano perso la carica che li contraddistingue in questo live, quasi due ore di fila a suonare thrash metal con l’energia di un gruppo di giovincelli e l’esperienza di chi il genere lo mastica da una vita, con una coerenza che ne fa uno dei nomi più rispettati della scena mondiale.
Da Coma, brano d’apertura di Horrorscope, questo live è un viaggio a ritroso nel mondo Overkill, grazie a due degli album più rappresentativi e i fans accorsi sentono l’atmosfera dell’evento, interagendo alle tante sollecitazioni del gruppo, impegnato in una performance tellurica e nel pieno rispetto della loro fama.
Molti i brani che la band non suonava più da anni, anche per assecondare una discografia ragguardevole (Live Young Die Free, Second Son, Blood And Iron e Kill At Command) e che d’incanto tornano ad infiammare i presenti, come se gli anni non fossero mai passati e il chiodo sulle spalle dei fans odorasse ancora di pelle nuova.
L’opera viene licenziata dalla Nuclear Blast nelle versioni Blu Ray e doppio cd, DVd e doppio cd ed in vinile; il live nella versione visiva è inframezzato da immagini storiche dei protagonisti, ed interventi di chi all’epoca recensì i due lavori, in una sorta di live/documentario.
Un’uscita che dimostra come gli Overkill siano ancora una garanzia, anche e soprattutto su un palco, la fotografia di un evento che per i thrashers è davvero imperdibile.

Tracklist
1.Coma
2.Infectious
3.Blood Money
4.Thanx For Nothin’
5.Bare Bones
6. Horrorscope
7.New Machine
8.Frankenstein
9.Live Young Die Free
10.Nice Day – for a Funeral
11.Soulitude
12 Raise The Dead
13.Rotten To The Core
14.There’s No Tomorrow
15.Second Son
16.Hammerhead
17.Feel The Fire
18.Blood and Iron
19.Kill at Command
20.Overkill
21.Fuck You

Line-up
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
D.D. Verni – Bass
Dave Linsk – Lead Guitar
Derek Tailer – Rhythm Guitar
Jason Bittner – Drums

OVERKILL – Facebook

Nerobove – Monuments to Our Failure

I musicisti siciliani cambiano monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.

Ci eravamo occupati dei See You Leather tre anni fa sulle pagine metalliche di IYE per parlarvi del loro ep Back To Aleph, composto da quattro brani di metal estremo, un ottimo mix di thrash/death e progressive doom.

I ragazzi sono cresciuti e si sono trasformati nei Nerobove, un’entità estrema che continua a produrre metal estremo di qualità e con ancora più impatto e convinzione.
Francesco Ciccio Paladino (batteria), Luca Longo (voce e chitarra), Salvatore Leonardi (voce e chitarra) e Liliana Teobaldi (basso) hanno deciso di cambiare monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.
Sul fronte prettamente musicale la band, mantenendo, le coordinate stilistiche del precedente ep, consolida la sua prerogativa di band fuori dagli schemi prestabiliti dei sottogeneri che formano il mondo del metal estremo, così da lasciare chi il thrash metal progressivo su cui si basa la loro proposta venga contaminato da virus letali di death metal classico e soffocanti sfumature doom.
Sette brani medio lunghi formano Monuments To Our Failure, album dallo svolgimento impervio, una scalata difficile ed impegnativa verso la cima di un sound che non lascia nulla alla semplicità ma che la band tiene imbrigliato a suo piacimento tra lo spartito, passando con una disinvoltura sorprendente da sfuriate estreme a cavalcate progressive e crescendo arabeggianti (Of Mud And Bones), come e meglio che in passato.
La tecnica strumentale permette ai Nerobove di districarsi nelle ragnatele musicali create con una personalità che lascia senza fiato.
Entrate nel mondo letterario delle opere da cui prendono spunto i temi di brani possenti e progressivi come l’opener Nekyomanteia , La Bête Humaine o la conclusiva Gloomy Sunday, e lasciatevi travolgere dalla forza espressiva dei Nerobove, un’esperienza uditiva assolutamente da non perdere.

Tracklist
1. Nekyomanteia
2. Not Waving But Drowning
3. Diluvio
4. Of Mud And Bones
5. La Bête Humaine
6. Anamnemesis
7. Gloomy Sunday

Line-up
Luca Longo – guitar, vocals
Salvatore Leonardi – guitar, vocals
Liliana Teobaldi – bass
Francesco Paladino – drums

NEROBOVE – Facebook

Eversin – Armageddon Genesi

Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Parlare solo di scena tricolore per quanto riguarda gli Eversin appare riduttivo: la band siciliana, infatti, ha dimostrato nel corso degli anni di avere sempre più un taglio internazionale, sia per quanto riguarda il curriculum live sia per quello discografico, dall’alto livello qualitativo in un genere per niente facile come il thrash metal.

Armageddon Genesi segue di tre anni il bellissimo Trinity: The Annihilation, album che aveva portato una tempesta di suoni slayerani sulla scena estrema, marchiata a fuoco dal gruppo con il proprio sound devastante ed a suo modo originale nel saper fondere al meglio il thrash metal classico e quello moderno.
Il nuovo album vede un ulteriore passo verso un approccio unico e personale al genere: la band, con ancora in sella tutti e quattro i cavalieri dell’apocalisse (Ignazio Nicastro/Guerra, Giangabriele Lo Pilato/Pestilenza, Angelo Ferrante/Carestia, Danilo Ficicchia/Morte) lascia quasi definitivamente i suoni dai rimandi old school per un impatto moderno, creando un suono particolare, che se ha molte affinità con i Kreator più sperimentali (Ferrante su questo lavoro appare come un Mille Petrozza indemoniato) alza un muro metallico mostruoso ed invalicabile.
Dalle prime note di Legions si capisce che armageddon e apocalissi si abbatteranno su di noi con una violenza che non lascia scampo, con il basso di Nicastro che forma con il drumming di Ficicchia un maremoto ritmico sul quale le dissonanze chitarristiche di Lo Pilato e le urla petrozziane di Ferrante ingigantiscono a dismisura il clima da fine del mondo, in questo ennesimo monumentale macigno estremo targato Eversin.
Con la partecipazione di Ralph Santolla (purtroppo proprio ieri è giunta la tragica notizia del suo decesso) sulla cadenzata e a suo modo marziale Soulgrinder, e di Lee Wollenschlaeger dei Malevolent Creation sulla title track, l’album imprime una marcia in più al sound del gruppo, che si fa moderno, ritmicamente inarrestabile e devastato da una chitarra i cui assoli sono strumenti di tortura metallica.
Se Havoc Supreme può ricordare Winter Martyrium( da Renewal dei Kreator), le atmosfere apocalittiche delle varie Where Angels Die, Seven Heads e della conclusiva To The Gates Of The Abyss, sono sunto di tutto quello che la band ha fagocitato in questi anni e rigettato sotto forma di metallo dall’indiscussa potenza espressiva.
Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Tracklist
01. A Dying God Walks The Earth
02. Legions
03. Jornada Del Muerto
04. Soulgrinder (feat. Ralph Santolla)
05. Havoc Supreme
06. Where Angels Die
07. Seven Heads
08. Armageddon Genesi (feat. Lee Wollenschlaeger)
09. To The Gates Of The Abyss

Line-up
Ignazio Nicastro – Bass
Angelo Ferrante – Vocals
Giangabriele Lo Pilato – Guitars
Danilo Ficicchia – Drums

EVERSIN – Facebook

Crushing The Deceiver – Crushing The Deceiver

Il primo omonimo album del quartetto di matrice cristiana non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola.

La Roxx records, label statunitense attiva nel proporre band di ogni genere che abbiano quale comune denominatore la religione cristiana, dopo i Californiani Deliverance ci presentano i Crushing The Deceiver, quartetto di Clovis, con il loro thrash metal possente e che sfiora in molte occasioni il death.

Il primo omonimo album del quartetto non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola: Grant Mohler. che si occupa della parte vocale, Johnny Rios alle chitarre, con Ryan Morrow al basso e Trent Allen alla batteria, sono partiti per una missione non facile, quella di avvicinare più persone possibili a Dio attraverso il metal estremo.
Se ci riusciranno lo vedremo più avanti, l’importante è la musica e allora iniziamo col dire che Crushing The Deceiver è un album riuscito, almeno per chi è avvezzo a queste sonorità.
La band, aiutata da una manciata di musicisti della scena cristiana come Michael Phillips (Join The Dead, Deliverance), Greg Minier (The Crucified, Applehead) e Shawn Beaty (Dogwood) non le manda certo a dire e rifila una serie di diretti in pieno volto, per una mezzora di thrash metal tripallico e duro come l’acciaio.
La voce, che a tratti sfiora  un growl di stampo death, tende a risultare leggermente forzata, ma è un dettaglio perchè la macchina gira a dovere e la band rende grazia al signore con devastanti bombe metalliche come The Light Inside Me, In God’s Hand e Forever Free.
La furia si placa con la conclusiva Gabriel’s Song, brano acustico che accende la luce divina su questo primo omonimo lavoro dei Crushing The Deceiver.

Tracklist
1. An Angels Armor
2. The Light Inside Me
3. Guide The Way To You
4. In God’s Hands
5. Pushing Back Hell
6. Crushing The Deceiver
7. Born Again
8. Forever Free
9. Gabriel’s Song

Line-up
Grant Mohler – Vocals
Johnny Rios – Guitars
Ryan Morrow – Bass
Trent Allen – Drums

CRUSHING THE DECEIVER – Facebook

Coroner – Punishment For Decadence

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Il trio svizzero non ha bisogno di presentazioni, almeno per chi il genere lo mastica da un po’, un trio di infallibili musicisti con a capo Tommy T. Baron, chitarrista mostruoso e anima del gruppo nato a Zurigo nel 1983 e che in carriera ha scritto una manciata di capolavori di thrash metal tecnico e progressivo tra i quali Punishment For Decadence è il secondo lavoro.
La discografia dei “Voivod” svizzeri si ferma nel 1993, ma bastano cinque anni ed altri tre album (No More Color, Mental Vortex e Grin) per entrare nella leggenda del metal estremo.
Punishment For Decadence viene licenziato dunque nel 1988 dalla Noise Records, label che si prenderà carico in seguito delle uscite più importanti del metal suonato nel centro Europa, e nella formazione, oltre al già citato chitarrista troviamo Ron Royce (voce, basso) e Marquis Marky (batteria).
L’album èuna scheggia impazzita di thrash metal ultra tecnico, veloce e progressivo, la voce cartavetrata di Royce si scaglia su una serie di cavalcate dove la doppia cassa impera e la chitarra è splendida protagonista di intrecci armonici che faranno scuola e straordinari solos che impazzano su brani a tratti esaltanti.
L’anima progressiva del terzetto svizzero si fa largo tra la tempesta di metallo che si abbatte sull’ascoltatore con i primi due brani, Aborted e Masked Jackal.
Arc-Lite è uno strumentale magnifico, una prova di tecnica spaventosa da parte dei tre musicisti, mentre l’album continua a regalare perle estreme come Skeleton On Your Shoulder e la devastante The New Breed, con Tommy T. Baron che esce dai canoni del genere per regalare solos dall’impostazione shred.
Primo capolavoro di questa straordinaria band, Punishment For Decadence testimonia la bravura, non solo strumentale, dei Coroner, replicata con gli album successivi, ma queste sono altre storie metalliche.

Tracklist
1. Intro
2. Absorbed
3. Masked Jackal
4. Arc-Lite
5. Skeleton on Your Shoulder
6. Sudden Fall
7. Shadow of a Lost Dream
8. The New Breed
9. Voyage to Eternity
10. Purple Haze

Line-up
Ron Royce – Vocals, Bass
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums

CORONER – Facebook

Blood Tsunami – Grave Condition

Il sound dei Blood Tsunami rispecchia perfettamente il monicker: un’ondata anomala di sangue che si riversa sull’ascoltatore senza soluzione di continuità, tra ritmiche forsennate e chitarre che sputano veleno.

Tornano i thrashers norvegesi Blood Tsunami, quartetto originario di Oslo in giro a far danni da ormai quattordici anni.

Grave Condition è il quarto full length per la band di Peter Michael Kolstad Vegem e soci, un’altra scorribanda metallica all’insegna della velocità e del metal anni ottanta rivisto in chiave Blood Tsunami.
Una produzione che mette in evidenza tutti gli strumenti, un ottimo songwriting, impatto ed attitudine a livelli esponenziali, sono le caratteristiche principali di una band e di un lavoro che nel genere si può sicuramente considerare un piccolo gioiello.
Il sound dei Blood Tsunami rispecchia perfettamente il monicker: un’ondata anomala di sangue che si riversa sull’ascoltatore senza soluzione di continuità, tra ritmiche forsennate e chitarre che sputano veleno.
Le canzoni ci sono e Grave Condition non perde un grammo della sua ferocia, mentre la mezz’ora di durata risulta perfetta e scivola via tra chorus e ripartenze devastanti, dall’opener e singolo Poison Tongue, passando per The Collapse e In The Dungeon Of The Rats e la conclusiva Steel Meets Steel, violentissima thrash black song e degna conclusione dell’album.
I riferimenti sono i primi Slayer e Kreator in un contesto ben piantato nel nuovo millennio: il genere, suonato a questi livelli, ha ancora molto da dire.

Tracklist
1. Poison Tongue
2. The Allegory Of The Cave
3. The Collapse
2. The Allegory Of The Cave
5. The Acid King
6. The Cruel Leading The Fool
7. In The Dungeon Of The Rats
8. For Faen i Hælvete!
9. Steel Meets Steel

Line-up
Peter Michael Kolstad Vegem – Guitar and vocals
Carl Thomas Morales Janfalk – Bass
Bård G. Eithun – Drums
Kristoffer “Dor” Sørensen – Guitar

BLOOD TSUNAMI – Facebook

My Haven My Cage – Sweet Black Path

Sweet Black Path è il nuovo album della one man band italiana chiamata My Haven My Cage, un ottimo esempio di thrash/death vecchia scuola contaminato dalla musica popolare spagnola e normanna, creando interessanti e particolari atmosfere tra irruenza ed epici momenti folk.

Uscito lo scorso anno ed arrivato a MetalEyes solo oggi, Sweet Black Path è il secondo album della one man band siciliana My Haven My Cage.

Il musicista Mauro Cardillo ha dato vita alla sua creatura qualche anno fa, con il primo lavoro intitolato The Woods Are Burning del 2016, che viene dunque seguito da queste nuove otto tracce che, se lasciano ancora per strada qualcosa per quanto riguarda la produzione, offrono non poco a livello artistico, il sound infatti si basa su di un thrash/death con affascinanti inserti di musica folk normanna e spagnola.
Ovviamente il mastermind sa il fatto suo, sia tecnicamente che a livello compositivo, e già dall’opener Abyss I Am l’impressione di essere al cospetto di un album interessante e a suo modo originale è forte.
Immigrant Song e Delirium mostrano che la strada compositiva intrapresa dai My Haven My Cage è quella giusta: passaggi heavy/thrash vengono impreziositi da lunghe parti strumentali in cui atmosfere folk ricamano momenti di musica totale, la voce cartavetrata ed in linea con il genere viene accompagnata da linee corali dal flavour epico, mentre Hope viene introdotta da una suggestiva atmosfera semiacustica prima che la furia estrema riprenda il sopravvento.
Lamb Of God (Aleppo) è un brano che segue strade progressive, così come la folk/thrash/prog/death Werther Dies, traccia che lascia spazio alla conclusiva title track, che suggella un lavoro molto intenso.
Da migliorare sicuramente la produzione che rimane a mio avviso il tallone d’Achille di questo nuovo lavoro firmato My Haven My Cage, gradita sorpresa ed ulteriore gioiellino dall’underground tricolore.

Tracklist
1.Abyss I am
2.Immigrant Song
3.Delirium
4.Hope
5.Peaceful
6.Lamb of God (Aleppo)
7.Werther Dies
8.Sweet Black Path

Line-up
Mauro Cardillo – All Instruments

MY HAVEN MY CAGE – Facebook

Coroner – No More Color

A detta di molti il successivo Mental Vortex è stato il migliore disco dei Coroner ed è quasi sicuramente vero, ma No More Color è l’espressione massima degli inizi della band, nella quale viene espressa davvero tutta la grandezza di un thrash diverso e bellissimo.

I primi tre introvabili e costosissimi album dei Coroner sono finalmente stati rimasterizzati e ristampati dalla Century Media Records.

Gli svizzeri sono stati e sono tuttora un gruppo fondamentale, ma la storia non è stata né lineare né facile. No More Color è il terzo disco del 1989, e testimonia ciò che sono sempre stati i Coroner: un gruppo bravissimo e fuori posto. Per la media di fine anni ottanta erano una band troppo difficile per l’ascoltatore medio del thrash metal, ma se si ascolta nel 2018 questo disco, ogni trenta secondi vi verrà da dire che avete già sentito da qualche parte questo passaggio, e anche che questo bridge non è sconosciuto. Thrash molto tecnico, ma non per questo meno traboccante di passione, quello dei Coroner è stato l’asfalto posato su una strada che moltissimi hanno percorso dopo di loro. Non poteva essere di meno per un gruppo di roadies dei connazionali Celtic Frost. In No More Color ci sono momenti di autentico entusiasmo, linee melodiche di altissimo livello, e soprattutto una composizione stellare. Effettivamente per il 1989 era forse troppo, ed infatti i nostri nel 1993 incisero l’ultimo disco Grin, preceduto da Mental Vortex e chiusero per il momento la loro avventura. Nel 2010 fecero un reunion tour, e ora sono in pausa. Cosa lasciano i Coroner ? Tantissimo, basta ascoltarli e capirete perché ci sono persone che li nominano e si illuminano loro gli occhi. In poche parole, qui c’è la tecnica, la passione e la tensione musicale che uno ama nel metal, ecco questo dei Coroner è uno dei migliori metal possibili. La rimasterizzazione, in verità abbastanza scarsa, porta a galla in maniera ancora più marcata la pulizia e la bellezza dei paesaggi sonori di questi svizzeri. Una delle cose più belle dei Coroner è che non cercano scorciatoie, non fanno i furbi, ma lavorano duramente e cercano sempre vie nuove per esprimere il loro talento e l’ascoltatore. A detta di molti il successivo Mental Vortex è stato il loro miglior disco ed è probabilmente vero, ma No More Color è l’espressione massima degli inizi della band, nella quale viene espressa davvero tutta la grandezza di un thrash diverso e bellissimo.

Tracklist
1. Die By My Hand
2. No Need To Be Human
3. Read My Scars
4. D.O.A.
5. Mistress of Deception
6. Tunnel of Pain
7. Why It Hurts
8. Last Entertainment

Line-up
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums, Vocals (backing), Lyrics
Ron Royce – Bass, Vocals

CORONER – Facebook

Coroner – R.I.P.

R.I.P. è il primo dei full length ristampati dalla Century Media utili a ricordare chi fossero i Coroner, una band di fondamentale importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

La Century Media ha rimesso meritoriamente in circolazione i primi tre dei cinque full length pubblicati dai Coroner, una band che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, vista la sua importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

Presupponendo che queste righe vengano lette da qualcuno che non abbia mai sentito parlare del gruppo svizzero, si può tranquillamente affermare che con R.I.P., album d’esordio uscito nel 1987, veniva decisamente alzata l’asticella qualitativa in un genere che, poco più a nord, era da qualche anno letteralmente esploso sotto i colpi inferti dalla triade formata da Kreator, Sodom e Destruction.
Ciò che sorprende in un lavoro come R.I.P. è il suo non essere a rischio di obsolescenza: infatti, nonostante una produzione che per forza di cose trent’anni fa non poteva essere paragonabile a quelle odierne, questi tre magnifici musicisti dimostravano una creatività ed una padronanza strumentale non comune, che brani come Suicide Commando e Coma esibivano in maniera eloquente.
Dopo lo scioglimento avvenuto nei primi anni novanta, successivamente al’uscita di Grin, il solo vocalist e bassista Ron Royce non è più stato coinvolto con altre band all’interno della scena, mentre Marquis Marky è stato impegnato con gli Apollyon Sun di Tom G.Warrior e Tommy T.Baron ha svolto un ruolo da protagonista nei due album più sperimentali (non a caso) dei Kreator, Outcast ed Endorama.
Oggi la band risulta in teoria ancora attiva, ma dopo il tour effettuato all’inizio del decennio e l’annuncio di un possibile nuovo disco qualche anno fa, di fatto non si hanno più notizie che confermino questa possibilità: sperare non costa nulla, perché personaggi di questa levatura potrebbero avere ancora moltissimo da dire.

Tracklist:
1. Intro
2. Reborn Through Hate
3. When Angels Die
4. Intro (Nosferatu)
5. Nosferatu
6. Suicide Command
7. Spiral Dream
8. R.I.P.
9. Coma
10. Fried Alive
11. Intro (Totentanz)
12. Totentanz
13. Outro

Line-up:
Tommy T. Baron – Guitars, Vocals (backing)
Marquis Marky – Vocals (backing), Drums
Ron Royce – Vocals, Bass

CORONER – Facebook