Backflip – The Brainstorm Vol.2

Difficile immaginare cosa ci avrebbe riservato questo album, visto l’hardcore completamente innovativo della band portoghese. Questa volta i Backflip si sono superati, offrendoci un prodotto davvero valido e originale

Il primo volume di The Brainstorm, rilasciato nel 2015, ha sicuramente dimostrato tutto il potenziale dei Backflip.

Dopo due anni, la band portoghese pubblica il secondo volume del suddetto lavoro, The Brainstorm Vol.2, offrendo però un sound quasi del tutto nuovo rispetto al suo predecessore e presentando un hardcore molto moderno e sofisticato: tuttavia la band non abbandona il suo stile aggressivo e travolgente.
Se nel primo volume di The Brainstorm il sound dei Backflip era riconducibile a dei grandi esponenti del genere quali gli H2O, nel secondo è quasi inevitabile pensare a band come gli Stick To Your Guns.
Nell’album in questione troviamo tutta la grinta tipica dell’hardcore, riscontrabile soprattutto nell’ultima traccia To The Bone. Questa grinta, però, va addolcendosi nel ritornello, dove troviamo un sound più melodico e la voce della cantante (Ines Oliveira) che cambia dal tipico timbro “crudo” dell’hardcore ad uno più caldo e pulito. Il loro sound è caratterizzato, dunque, dai cori presenti in ogni traccia, dalla rapidità del genere “spezzata” dai melodici ritornelli e da elaborati riff di chitarra derivanti dalle varie influenze presenti.
Insomma, un album che farà rimanere senza parole chi si aspetta un HC old school, ma che si farà comunque apprezzare dal pubblico. Ascoltando in successione The Brainstorm Vol.1 e The Brainstorm Vol.2 si nota chiaramente il cambiamento del sound da parte della band portoghese.
I Backflip vogliono dimostrare tutta la loro crescita e la loro maturità acquisita in questi due anni, proponendo al pubblico un nuovo tipo di hardcore: sicuramente questi ragazzi non ci deluderanno in futuro con il loro nuovi lavori.

TRACKLIST
1) Born Headfirst
2) Burning High
3) Loyal Opposition
4) Redemption
5) Symptoms
6) To The Bone

LINE-UP
Inês Oliveira – Vocals
João Vidigal – Bass + Vocals
Pedro Vida Conceição – Drums
João Saraiva – Guitar

BACKFLIP – Facebook

Giöbia – Magnifier

Un album che è un’immersione in un liquido profondo che respira forte e rende questo viaggio un momento spirituale, come solo i grandi dischi tout court sanno fare.

Seconda ristampa per un disco che è un’ autentica gemma del sottobosco italiano.

Magnifier è come una costruzione medievale araba, tende all’ infinito per vie diverse, armoniose e bellissime. Fondamentalmente è un disco di musica psichedelica declinato in moltissime forme, dall’heavy psych allo stoner in quota desert, fino al fuzz più distorto. Sembra di sentire i Blue Cheer con droga più buona e con idee più chiare, e con un ottimo tiro. La band milanese possiede le stigmate del grande gruppo, e in questo disco mostra tutte le sue capacità e le sue future potenzialità. Space rock sia come sottogenere ma anche e soprattutto per indicare quanto che questo rock altri occupa uno spazio ben preciso, con confini mutevoli e contenuti distorti. Poche volte il passato è stato rielaborato così bene ed in maniera talmente calzante da diventare fulgido futuro. Questa seconda ristampa contiene un inedito e ha una.nuova masterizzazione assai valida, come l’ artwork inedito di Laura Giardino. Un album che è un’immersione in un liquido profondo che respira forte e rende questo viaggio un momento spirituale, come solo i grandi dischi tout court sanno fare.

TRACKLIST
01 This world was being watched closely
02 The Pond
03 The Stain
04 Lentamente la luce svanirà
05 Devil’s Howl
06 Magic Potion
07 Sun Spectre
08 The Magnifier

GIOBIA – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Nad Sylvan – The Bride Said No

Valorizzato da un una serie di ospiti d’eccezione, l’album è un tuffo nella musica progressiva più elegante, dove non mancano teatralità, melodie da pomp rock e tanta poesia.

Progressive rock d’autore sulle pagine di MetalEyes con Nad Sylvan, conosciuto nell’ambiente del genere per essere il cantante di Steve Hackett e degli Agents Of Mercy.

The Bride Said No è il secondo lavoro solista per il vocalist, dopo Courting The Widow uscito un paio di anni fa.
Il progressive rock creato da Sylvan nasce tra lo spartito dei gruppi settantiani, (in particolari i Genesis) per toccare lidi new prog, sempre e comunque di derivazione britannica.
Valorizzato da un una serie di ospiti d’eccezione come Roine Stolt, Steve Hackett, Guthrie Govan, Tony Levin, Jonas Reingold, Nick D’Virgilio, Doane Perry e molti altri, l’album è un tuffo nella musica progressiva più elegante, dove non mancano teatralità, melodie da pomp rock e tanta poesia con un Sylvan ispirato e perfettamente calato nei panni di nuovo Peter Gabriel.
Ed infatti, per chi non conoscesse ancora i lavori del cantante, sia solisti che in aiuto allo storico chitarrista dei Genesis, ricordo che Gabriel rimane la sua fonte primaria d’ispirazione.
Dopo l’intro, The Quartermaster irrompe con le tastiere che seguono strade progressive alla Arena/Pendragon, quindi new prog alla massima potenza, mentre When The Music Dies è più smaccatamente pop.
The White Crown è un bellissimo brano classicamente progressive, tra Genesis e E.L .P, uno dei migliori di questo album assieme alla teatrale Crime Of Passion, sottolineata da una prestazione sontuosa del cantante.
A French Kiss An A Italian Cafe, brano altalenante, fa da preludio ai dodici minuti della title track, perfetto esempio del sound in mano al vocalist, perennemente in bilico tra tradizione settantiana e le sonorità della generazione di prog band inglesi degli anni novanta.
In conclusione, un buon ritorno per Nad Sylvan il quale, pur senza far gridare al capolavoro ed aiutato da una manciata di maestri del genere, esce con un album piacevole e ricco di sfumature ed atmosfere indimenticabili per gli amanti del migliore rock progressivo.

TRACKLIST
1 Bridesmaids
2 The Quartermaster
3 When The Music Dies
4 The White Crown
5 What Have You Done
6 Crime Of Passion
7 A French Kiss In An Italian Café
8 The Bride Said No

LINE-UP
Nad – vocals, guitars, piano, keyboards, acoustic guitar, orchestration, programming
Jade Ell – vocals
Sheona Urquhart – vocals, saxophone
Tania Doko – vocals
Steve Hackett – guitar
Roine Stolt – guitar
Guthrie Govan – guitar
Tony Levin – Chapman stick, upright- and electric bass
Jonas Reingold – bass
Nick D ́Virgilio – drums, percussion
Doane Perry – drums
Anders Wollbeck – additional sound design, keyboards, programming, orchestration
Alfons Karabuda – water phone

NAD SYLVAN – Facebook

MalClango – MalClango

L’impianto delle canzoni è free jazz, nel senso che non sia ha struttura, ma si tratta di jams solidificate, e in questi gironi di note possiamo trovare noise, math, e nervosità varie con uno stile fortemente americano anni novanta e duemila, ma anche debitore di molte bellissime esperienze italiane, come ad esempio i Fluxus.

Il rumore è un piacere che ha molte forme, declinazioni, e strutture, il tutto figlio del caos. I MalClango fanno uno splendido rumore.

Lasciate a casa la canzonetta, la stofa e pure il ritornello e immergetevi in acque che non conoscete ancora. Certo queste acque sono mosse, ma il piacere è figlio del pericolo. I MalClango sono un gruppo romano formato da membri di Juggernaut, Inferno e Donkey Breeder. Chi conosce la scena sotto la superficie italiana ha già forse intuito dove andremo a parare, E invece no, perché qui tutto muta in un continuum che esce fuori dallo spazio tempo per diventare lineare come la carta moschicida. Le composizioni sono progressive, ovvero vanno avanti e non hanno ritorni, mentre gli strumenti suonano al loro massimo. L’impianto delle canzoni è free jazz, nel senso che non sia ha struttura, ma si tratta di jams solidificate, e in questi gironi di note possiamo trovare noise, math, e nervosità varie con uno stile fortemente americano anni novanta e duemila, ma anche debitore di molte bellissime esperienze italiane, come ad esempio i Fluxus. In realtà è tutta nouvelle vague, ma è una fortuna che lo sia, perché sinceramente di proclami e sicurezze nella musica sono pieni i cimiteri, qui bisogna fidarsi di tre oranghi che improvvisano e tutto passa più veloce, perché alla fine è tutta una lotta contro l’ansia ed il ritmo circadiano. Un disco da esplorare in gioco libero, perché la mappa è davvero estesissima. Molto rumore per molto.

TRACKLIST
1.Patatrac
2.Nimbus
3.Ostro
4.Petricore
5.Anatomia Di Un battibecco
6.GranBurrasca
7.Sant’Elmo

MALCLANGO – Facebook

Voodoo Highway – The Ordeal

Il sound di The Ordeal, nella sua classicità, risulta originale, mescolando in un pentolone con tanto di strega ai fornelli Led Zeppelin, Deep Purple e Black Sabbath con il rock di matrice novantiana.

Sembra cosa facile scrivere di un album hard rock, eppure il finire nei soliti cliché è facilissimo, specialmente se l’opera risulta ottima o quanto meno interessante.

A mggior ragione, poi, se ci si trova al cospetto di lavori di caratura sopra la media come questo nuovo lavoro dei Voodoo Highway (alzi la mano chi ha pensato al capolavoro dei Badlands), intitolato The Ordeal, in uscita tramite Sleaszy Rider (ormai diventata un punto di riferimento riguardevole per l’hard & heavy Europeo) e che dimostra ancora una volta l’ottima salute della scena nostrana e l’elevata qualità e che ha raggiunto in tre album la musica del gruppo ferrarese.
Arrivato dunque al terzo lavoro, dopo i già ottimi Broken Uncle’s Inn del 2011 e Showdown, uscito ormai quattro anni fa , il quintetto ci delizia con otto brani per mezz’ora di immersione nel suono che ha fatto risplendere gli anni settanta, tra citazioni e tributi alle band più note, ma con una personalità debordante ed un tocco moderno che risulta un’overdose di adrenalina per noi mortali ascoltatori di musica del diavolo.
Non credo di dire eresie se affermo che il sound di The Ordeal, nella sua classicità, risulta originale, mescolando in un pentolone con tanto di strega ai fornelli, Led Zeppelin, Deep Purple (lo spirito di Lord sguazza tra i tasti d’avorio senza freni), Black Sabbath  e il rock di matrice novantiana, erede di quello suonato vent’anni prima e spettacolarmente impresso nelle note dell’opener The Deal o della seguente Litha.
Ecco, nominando Led Zeppelin, Deep Purple e Black Sabbath sono anch’io caduto nel più mero semplicismo, ma è indubbio che la band parta da queste sue tre certezze per poi inventarsi un sound fatto di atmosfere cangianti, mentre il blues c’è ma rimane nascosto da un tappeto di suoni tastieristici purpleiani e ritmiche sabbathiane.
The Rule fa due passi negli anni ottanta, metallica e dura quanto basta, mentre Blue Ride corre sulle strade dell’hard blues, questa volta uscito allo scoperto per rivendicare la sua impronta indelebile sulla musica del gruppo.
Unico difetto dell’album è che la bellezza dei brani, unita alla mezz’ora scarsa di durata complessiva, ci fa arrivare in un attimo alla fine: To Ride The Tide, che chiude questo bellissimo lavoro, dura e calda, delicata e sanguigna ci dà l’arrivederci sui palchi nelle serate di questa estate da vivere in rock’n’roll style.

TRACKLIST
01 – The Deal
02 – Litha
03 – NY Dancer
04 – Quietude
05 – The Rule
06 – Blue Ride
07 – Grace Of The Lord
08 – To Ride The Tide

LINE-UP
Filippo Cavallini – bass
Federico Di Marco – vocals
Vincenzo Zairo – drums
Massimiliano Sabbadini – hammond and keyboards
Filippo Romeo – guitars

VOODOO HIGHWAY – Facebook

Loathe – The Cold Sun

Malato e contagioso il sound di questo gruppo che riesce a nobilitare nella sua terribile vena estrema un genere inflazionato come il metalcore, trasformandolo in una creatura malvagia, sadica e fredda come un sole morto.

La colonna sonora di un apocalisse,  dove il raffreddamento del Sole porta alla salita in superficie dell’inferno e delle sua distruttive fiamme, si chiama The Cold Sun, primo full length dei Loathe, misteriosa creature britannica che fino ad ora aveva licenziato un primo album (Despondent By Design) nel 2010.

Trentacinque minuti di delirio estremo, moderno e progressivo, oscuro e maturo, per un salto nell’atmosfera devastante di una fine del mondo tra sfuriate metalcore violentissime ed attimi di fredda quiete dark.
Ma non solo, nella musica estremamente teatrale del gruppo vivono le anime schiave dell’hardcore e del groove metal, le ritmiche pesantissime che diventano frustate veloci e taglienti, mentre l’elettronica aggiunge atmosfere glaciali al già freddo mood che si respira tra le note di questo originale e quanto mai estremo lavoro.
C’è metalcore e metalcore, quello dei Loathe è pregno di musica disturbante, un groviglio di umori che come serpenti si si avvolgono e si nutrono a vicenda, una musica cannibale, ingorda di suoni e sfumature che si evincono dall’ascolto di brani intensi come It’s Yours, East Of Eden o la tremenda P.U.R.P.L.E.
Malato e contagioso il sound di questo gruppo che riesce a nobilitare nella sua terribile vena estrema un genere inflazionato come il metalcore, trasformandolo in una creatura malvagia, sadica e fredda come un sole morto.
Un ottimo lavoro, non per tutti ma consigliato agli amanti del metal estremo con ampie vedute e non prigionieri di confini tra generi.

TRACKLIST
1. The Cold Sun
2. It’s Yours
3. Dance On My Skin
4. East Of Eden
5. Loathe
6. 3990
7. Stigmata
8. P. U.R.P.L.E
9. The Omission
10. Nothing More
11. Never More
12. Babylon

LINE-UP
Kadeem France – vocals
Erik Bickerstaffe – guitar & vocals
Shayne Smith – bass & vocals
Connor Sweeney – guitar & vocals
Sean Radcliffe – drums

LOATHE – Facebook

Pigeon Lake – Barriers Fall

Barriers Fall è un gioiellino di genere, lontano dalla rabbia sincopata e molte volte adolescenziale del metalcore da classifica, e vicino alle anime travagliate che si aggirano nella la scena musicale moderna.

Rock alternativo, progressivo e melanconicamente dark, attraversato da umori metallici moderni che squarciano lo spartito, mentre l’oscurità lascia il posto a una rabbiosa disperazione.

Il quartetto norvegese chiamato Pigeon Lake torna dopo tre anni dal primo full length, Tales Of a Madman, con questa raccolta di brani, sofferti e maturi, intimisti ed atmosfericamente depressivi che formano Barriers Fall, album elegante ed intenso.
Il gruppo ha nella voce del singer Christopher Schackt il suo punto di forza, dal tono non comune e molto interpretativo, che dona ai brani un’intensità ed uno spessore che si tocca con mano, mentre il sound si rivolge agli alternative rockers amanti delle sfumature dark, progressivamente moderne.
Barriers Fall mantiene un atmosfera intrisa di depressiva malinconia, mentre la musica alterna parti grintose vicine al metal moderno a liquide atmosfere dark, passando agevolmente da un’interminabile tonalità di colori che si mantengono sul grigio per arrivare al buio totale del nero.
Un gruppo maturo che delle proprie ispirazioni si nutre, mantenendo un approccio personale ad un genere che ormai non è più una novità, ma che come in questo caso sa regalare ottima musica alternativa.
Un album da ascoltare con la dovuta calma, dandogli la possibilità di farci partecipi dei suoi umori, mentre le splendide linee vocali dell’opener Ragnarock e di Lyra ci introducono nel mondo dei Pigeon Lake e la rabbiosa parte metallica fa capolino tra le note di A Familiar Problem e Perfect Place. le tracce più estreme di questo intenso lavoro.
Consigliato agli amanti del rock/metal alternativo dalle tinte dark, Barriers Fall è un gioiellino di genere, lontano dalla rabbia sincopata e molte volte adolescenziale del metalcore da classifica, e vicino alle anime travagliate che si aggirano nella la scena musicale moderna.

TRACKLIST
1.Ragnarok
2.Lyra
3.Barriers fall
4.The Futility of You
5.Hide and Seek
6.Sunder
7.A Familiar Problem
8.Perfect Place
9.Let’s Pretend

LINE-UP
Christopher Schackt – Vocals/Guitar
Magnus Engemoen – Lead Guitar
Haakon Bechholm – Bass Guitar
Jonas Rønningen – Drums

http://www.facebook.com/PigeonLakeMusic

Coastland Ride – Distance

Distance torna dopo sei anni a riempire di solare e arioso AOR i padiglioni auricolari dei rockers dal cuore tenero, con una raccolta di brani molto belli nei quali l’ispirazione ottantiana e da arena rock è accompagnata da sfumature di rock americano.

I paesi scandinavi e l’hard rock melodico: un sodalizio che è tradizione ancora prima che le creature oscure del metal estremo cominciarono a traviare anime sul finire degli anni ottanta.

Se poi parliamo in particolare di Svezia, il genere è nobilitato da moltissimi anni con più di una band che ha trovato il successo commerciale soprattutto nel secolo scorso.
Il trio con il monicker  Coastland Ride, per esempio, è attivo da vent’anni in quel di Sundsvall, da dove Markus Nordenberg, Anders Rybank e Mikael Bohlin sono partiti, prima come progetto in studio per approdare come sestetto dal vivo sbancando il Rock Weekend AOR tenutosi a Stoccolma.
Il terzo full length esce sempre per l’etichetta tedesca Avenue Of Allies, che ha ristampato il primo album omonimo nel 2011, mentre nello stesso anno il gruppo licenziava On Top Of The World.
Distance torna quindi dopo sei anni a riempire di solare e arioso AOR i padiglioni auricolari dei rockers dal cuore tenero, con una raccolta di brani molto belli nei quali l’ispirazione ottantiana e da arena rock è accompagnata da sfumature di rock americano.
La prima impressione che lascia questo lavoro è l’ottima prova di Nordenberg, un cantante che ricorda a tratti il miglior Catley, mentre la musica ci conduce su nuvole che lasciano cadere le note come gocce di pioggia sulle strade americane, per un amore a prima vista tra l’AOR di scuola scandinava e l’hard rock suonato a casa Bon Jovi.
Molta importanza viene data ai tasti d’avorio, fondamenta di un sound che non lascia dubbi sulle sue influenze, costantemente in bilico tra i due generi con cui i tre musicisti svedesi giocano senza mai perdere la bussola.
L’opener e primo singolo Winds, hard rock melodico di gran classe, la successiva Saviour e la splendida Dead For Seven Days, il passo nel pomp rock di Nation Of Grace, il raffinato rock semiacustico di Hardcoded Life, sono i momenti più intensi di questo ottimo lavoro consigliato agli amanti del rock melodico.

TRACKLIST
01. Winds
02. Saviour
03. Love Is On Your Mind
04. Dead For Seven Days
05. Here In My Heart
06. Eye Of The Storm
07. Nation Of Grace
08. Spotlight Sun
09. Higher Ground
10. Princess Little Wonderland
11. Hardcoded Life
12. Reasons To Try

LINE-UP
Markus Nordenberg – Lead & background vocals, keyboards
Anders Rybank – Keyboards, guitars, bass, drums & programming, background vocals
Mikael Bohlin – Guitars, keyboards & programming

COASTLAND RIDE – Facebook

From Oceans To Autumn – Ether​/​Return To Earth

Il campo base del viaggio è il post rock, ovvero una musica ariosa e sognante, ma poi si arriva ad esplorare territori come i migliori Rosetta, e ci si spinge a regalare momenti molto simili alle atmosfere pinkfloydiane.

La musica può essere un mezzo per raggiungere svariati scopi, e la stessa canzone è altamente soggettiva se ascoltata da due persone differenti.

A volte però la musica è soltanto un velo di maya che nasconde altre cose, ed in questo caso tantissimi altri mondi e multiversi. From Oceans To Autumn è un creatore di mondi, una tensione continua verso l’infinito usando la musica come un vettore spaziale per portarci lontano. Già nel precedente A Perfect Dawn ci eravamo stupiti di fronte ad un disegno musicale davvero superiore e completamente diverso dai nostri parametri abituali. Qui è tutto ancora più maestoso ed etereo. Brandon Helms diventa un David Lynch musicale e disegna scena per scena un doppio disco incredibile e bellissimo. Il campo base del viaggio è il post rock, ovvero una musica ariosa e sognante, ma poi si arriva ad esplorare territori come i migliori Rosetta, e ci si spinge a regalare momenti molto simili alle atmosfere pinkfloydiane. I due cd sono un viaggio verso lo sconosciuto, verso galassie di suoni e rumori, atmosfere rarefatte e poi fughe verso il centro della stanza, e il momento dopo si apre la finestra e si vola. Le differenze fra i due dischi sono abbastanza sostanziali, nel senso che il primo cd offre un taglio maggiormente post rock, mentre il secondo è allo stesso tempo maggiormente ambient ma anche più chiuso e meno arioso, più inquieto. Impossibile stabilire quale dei due sia meglio, anche perché sono quasi due dischi diversi anche se c’è un filo che li lega, e che è quello di essere stati composti da un genio che risponde al nome di Brandon Helms, un compositore classico nato fortunatamente nei nostri tempi. Questa potrebbe benissimo essere infatti musica classica, per consistenza, forza e potenza, ma anche per la delicatezza e la negazione di barriere musicali. Molto coraggiosa anche la scelta di produrre due cd che devono essere ascoltati a fondo il più possibile, in un momento in cui la fruizione della musica è quella dello streaming, un rubinetto velocissimo dove tutto scorre ascoltato in superficie, mentre questo è un nettare divino che va degustato. Meraviglie.

TRACKLIST
disc 1 “ether”:
1. quintessence/core
2. medium
3. air/elysium
4. stratus/vapor

disc 2 “return to earth”:
1. arrival
2. live again
3. visible light II
4. keep awatchful eye
5. Isle
6. 211 south
7. Reconnect
8. through the ages

FROM OCEANS TO AUTUMN – Facebook

Starsick System – Lies, Hope & Other Stories

Niente di più e niente di meno che belle canzoni di quel rock dato per morto troppe volte, ma assolutamente in buona salute ed in formissima è quello che troviamo tra i solchi di questo nuovo lavoro targato Starsick System.

Questo è il rock’n’roll del nuovo millennio, che si nutre del meglio che la musica alternative ha regalato in questi anni e l’accompagna con un buon bicchiere di hard rock, come un Chianti d’annata …

Questo scrivevo un paio d’anni fa, quando feci la conoscenza dei nostrani Starsick System in occasione dell’uscita del loro bellissimo debutto, Daydreamin’.
Sono passati due anni, nel frattempo il quartetto di Pordenone ha calcato instancabilmente i palchi di mezza nazione ,con la chicca di aprire per i Black Label Society di Zakk Wilde, facendo sbattere teste e natiche a colpi di rock’n’roll moderno, alternativo ma legato con un filo invisibile alla tradizione a stelle e strisce.
Lies, Hope & Other Stories conferma e valorizza gli sforzi di questa macchina da guerra rock tutta italiana e chi, incuriosito dal primo lavoro si avvicinerà a questa nuova raccolta di brani, troverà una band sul pezzo, matura, perfetta in ogni sua componente e soprattutto in grado di competere con act più famosi ma non per questo migliori dei quattro moschettieri dell’alternative rock tricolore.
Hard rock, post grunge e street metal, la ricetta è sempre la stessa per un piatto di leccornie musicali di cui abbuffarsi ancora una volta, con i quattro musicisti al loro posto (Sandron, Donati, Bidin, Battain) per una formazione vincente che non si cambia ma risulta ancora più legata e coesa.
Moderno rock’n’roll, niente di più e niente di meno che belle canzoni di quel rock dato per morto troppe volte, ma assolutamente in buona salute ed in formissima è quello che troviamo tra i solchi di questo nuovo lavoro targato Starsick System., con Sandron vocalist dall’appeal straordinario, una perturbazione rock che fa danni su una serie di brani irresistibili come I’m Hurricane, che dopo l’intro apre le danze a suon di hard rock dal riff sudista, mentre Bulletproof e Sinner completano il trittico iniziale, un temporale estivo, fulmineo e devastante che si abbatte sulle nostre teste.
Lampi e tuoni, ritmiche al limite del metal, chitarre torturate, melodie che entrano in testa al primo ascolto e chorus da cantare, saltando nelle pozzanghere lasciate dall’improvvisa tempesta, mentre Scars e Perfect Lies rompono l’atmosfera rilassata delle super ballatone post, southern grunge come Everything And More e Hope.
Questa estate guardatevi in giro, i quattro rockers non mancheranno di portare il loro nuovo lavoro in una dimensione live che risulta la vera casa per la band e per la sua musica … e ci sarà da divertirsi, parola di MetalEyes.

TRACKLIST
1.Nebulus
2.I’M the Hurricane
3.Bulletproof
4.Sinner
5.The Promise
6.Scars
7.Everything and More
8.Come one, Come All
9.Perfect Lie
10.Hope
11.You Know My Name

LINE-UP
Marco Sandron – Vocals, Guitars
David Donati – Guitars
Ivan Moni Bidin – Drums
Valeria Battain – Bass

STARSICK SYSTEM – Facebook

Aurelio Follieri – Overnight

Un album scritto con maestria e passione, un ascolto piacevole che esprime il talento, non solo tecnico ma anche compositivo, del musicista.

Torniamo a parlare di rock strumentale con il debutto di Aurelio Follieri, una vita in compagnia dello strumento re della nostra musica preferita, la chitarra.

Alle prese con la sei corde già dalla tenera età, il musicista nostrano ha dedicato gran parte della sua carriera al ruolo di turnista, dedicandosi pure ad una serie di cd didattici per chitarristi in collaborazione con la label PlayGame Music.
Anche per Follieri è finalmente giunto il momento di un album solista, interamente strumentale e creato nel suo studio con l’aiuto di Michele Santoleri alla batteria e Valter Robuffo al basso, mentre in qualità di ospiti troviamo Claudio Signorile, che ha suonato il basso su Circle of Life, e Lorenzo Zecchino, che ha eseguito il solo di pianoforte su Heavy Ballad.
Overnight è un disco notturno, creato appunto nelle ore dove la luce lascia il posto al buio ed alla introspezione, un album rilassato, modellato senza fretta dal musicista nell’arco di due anni, un’ora di note ariose ed un sound che non ha bisogno di molta grinta per esprimersi, lasciando all’ascoltatore l’esperienza di viaggiare su trame elettriche ed acustiche senza mai fermarsi.
In effetti, Overnight è un lavoro che andrebbe ascoltato mentre si passeggia tra le strade bagnate della notte, persi tra le luci soffuse di vecchi lampioni, con il solo rumore dei primi furgoni a lasciare giornali davanti a chioschi arrugginiti dal tempo, mentre One Step, For You, Mary Ann o la bellissima Heavy Ballad ci abbracciano e ci stringono tra note raffinate che Follieri ha creato per la sua opera.
Un album scritto con maestria e passione, un ascolto piacevole che esprime il talento, non solo tecnico ma anche compositivo del musicista.

TRACKLIST
1.Circle Of Life
2.Euphoria
3.One Step
4.Flyin Hight
5.For You
6.Voices
7.Mary Ann
8.Goliath
9.To the Light
10.Mechanical Heart
11.Anarchy
12.Heavy Ballad
13.Mournig Breeze
14.Majasty

LINE-UP
Aurelio Follieri – Guitars
Valter Robuffo – Bass
Michele Santoleri – Drums

AURELIO FOLLIERI – Facebook

Scars Of Tears – Just Dust

Nel genere Just Dust è un lavoro riuscito, abbastanza personale nel rievocare un sound inflazionato e per questo meritevole di interesse da parte dei fans del genere.

Periodo di ottime proposte in arrivo dalla Sliptrick Records alle quali si aggiungono i gothic metallers greci Scars Of Tears, con il loro nuovo e secondo lavoro Just Dust, successore del debutto omonimo licenziato tre anni fa, che offre un alternative gothic/dark metal sulla scia dei nostrani Lacuna Coil, anche se la band greca a tratti risulta più estrema del gruppo italiano.

Ottimo l’uso delle voci, che si alternano come di moda in questo periodo tra voce femminile, growl e clean, variando quel tanto che basta l’atmosfera dei brani che si mantengono su di una buona qualòità.
In un genere inflazionato come quello suonato dalla band di Kastoria , le melodie ed il songwriting fanno tutta la differenza del mondo ed infatti Just Dust risulta un album composto da buone canzoni, melodiche, metalliche ma ruffiane il giusto per farsi apprezzare da chi mastica con frequenza queste sonorità.
Just Dust parte forte con un paio di brani potenti e metallici come la title track e Darkest Hour, il growl rabbioso si scontra con l’ ottima voce femminile, molto rock e che ricorda la nostra Cristina Scabbia, ma con il passare del tempo il sound da alternativamente metallico si sposta su coordinate elettro dark, fino al brano più intenso dell’album, la ballad Love And Soul, sinfonica ed evocativa.
Si torna ad alternare metal alternativo moderno e gothic metal nelle restanti canzoni, che portano l’album verso la fine, confermandone la buona riuscita nel suo complesso.
Nel genere Just Dust è un lavoro riuscito, abbastanza personale nel rievocare un sound piuttosto battuto di questi tempi e per questo meritevole di interesse da parte dei fans del genere.

TRACKLIST

1.Just Dust
2.Darkest Hour
3.Infeasible
4.Slayer
5.Icefall
6.Love and Soul
7.Wait
8.Here and Now
9.Need to Flight
10.We Are the Same
11.Endless Sky
12.Ashes of a Draw

LINE-UP

Petros Nikolaou – Guitars
Salagiannis Thanasis – Bass
Chris Polizos – Drums
Charitini Anastasiadou – Vocals
Babis Stefanidis – Vocals

SCARS OF TEARS – Facebook

Dogmate – Dual

In questo lavoro l’ hard rock alternativo ha preso le redini del sound del gruppo, mettendo leggermente più in ombra le sfumature stoner del primo album.

Avevamo incontrato i romani Dogmate in occasione del primo lavoro sulla lunga distanza, uscito tre anni fa dal titolo Hate, una mazzata pesantissima di hard groove stoner.

Li ritroviamo con il nuovo album, Dual, licenziato questa volta dalla Murdher Records e con un nuovo cantante, Michele ‘197’ Allori, che sostituisce Massimiliano Curto.
Le novità non si fermano qui, il sound infatti pur mantenendo un forte impatto groove risulta più alternativo rispetto all’atmosfera generale che si respirava sul precedente lavoro, che appariva molto più desertica e diretta.
I brani attuali sono più vari a livello ritmico e il gruppo non fa venire meno la sua carica, mantenendo un approccio non dissimile, ma è fuor di dubbio che in Dual l’ hard rock alternativo abbia preso le redini del sound del gruppo, mettendo leggermente più in ombra le sfumature stoner del primo lavoro.
Non manca il gran lavoro alla sei corde di Stefano Nuccetelli, sempre vicino allo stile di Zakk Wilde, mentre la sezione ritmica si ritaglia una performance da applausi per varietà e potenza (Ivan Perres alle pelli e Roberto Fasciani al basso).
Il nuovo arrivato dietro al microfono rende giustizia al lavoro ritmico così vario e dinamico con una prestazione che passa agevolmente da toni melodici a rabbiose e potenti frustate, ed il risultato non può che essere apprezzato.
Un salto nell’hard rock moderno e groovy del nuovo millennio, con una dose di rock alternative a legare il tutto, ed un lotto di canzoni potenti e perfette per spezzare colli in sede live: questo è Dual, sostenuto da brani come Mules Of Society, Who Knew e l’alternativa, con echi di System of A Down, Disembodied Understanding.
Era buona la prima e si continua su un buon livello con la seconda, confermando i Dogmate come ottima realtà da scoprire per gli amanti del genere.

TRACKLIST

1.Dual Mind
2.Mules Of Society
3.The Way It Is
4.Who Knew
5.The Only Thing I Failed
6.(Un)firm Act
7.Disembodied Understanding
8.Story Told
9.Stygian
10.Xàpwv

LINE-UP

Michele ‘197’ Allori – Vocals
Stefano ‘Sk’ Nuccetelli – Guitars
Ivan ‘Ivn’ Perres – Drums
Roberto ‘Jeff’ Fasciani – Bass

DOGMATE – Facebook

Lightyears – Erase

Cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente, così come un approccio dark wave formando così un sound elegante ma nervoso, raffinato ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.

Rock, in una parola tutta la musica degli ultimi sessant’anni e che in tutti questi anni ha cambiato pelle centinaia di volte, adattandosi ai tempi, alla cultura e diciamolo, alle mode, mentre i decenni passano e chi di rock vive ascolta il suo evolversi ma anche la sua natura primaria.

Tempi, questi, di rock che denominato alternativo, tempi dove il suo figlio più ribelle (il metal) lo ha portato verso nuovi orizzonti accompagnato in questo suo viaggio appena intrapreso nel nuovo millennio, con molti dei sottogeneri che hanno segnato i decenni passati.
I Lightyears sono un quintetto nostrano, arrivano da Ferrara ed Erase è il loro debutto in formato ep, licenziato dalla Wormholedeath/The Orchard su licenza esclusiva di Too Loud Records: cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente così come un approccio dark wave e che vanno a formare un sound elegante ma nervoso, raffinato (anche per l’ottima voce della singer) ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.
Ed Erase vive la sua cangiante atmosfera con la consapevolezza di essere composto da buone canzoni rock, con l’energia e l’impatto di un sound che dal metal acquista l’energia e dall’alternative rock le melodie neanche troppo nascoste nell’opener Say It, come nel singolo Show Me, In A Bitter Taste o nell’ultima e metallica Sticks & Stones.
Un buon inizio, cinque ottimi brani che sono un punto di partenza per il gruppo ferrarese che suona un rock con tutte le sue ispirazioni ed influenze: sta a voi farlo vostro, ma un ascolto i Lightyears se lo meritano.

TRACKLIST
1. Say It
2. The Story
3. Show Me
4. A Bitter Taste
5. Sticks & Stones feat. Chuck Ford

LIGHTYEARS – Facebook

Les Discrets – Prédateurs

Prédateurs si va a collocare in una sorta di terra di mezzo, dove la rinuncia alle passate sonorità non ha portato con altrettanta decisione all’approdo verso un sound maggiormente definito, facendo ragionevolmente pensare che possa trattarsi di un passo interlocutorio

Sono già passati cinque anni dall’uscita di Ariettes Oubliees, anche se a livello temporale non sembra, visto che i Les Discrets hanno comunque continuato a lanciare frequenti segnali, pur se concretizzati a livello discografico dall’uscita del solo Live At Roadburn nel 2015 e del singolo Virée Nocturne la scorsa estate.

Questo periodo appare, invece, molto più lungo alla luce delle novità riscontrabili in questo lavoro che prende le distanze, in maniera abbastanza evidente, rispetto a quanto fatto in precedenza dalla creatura musicale partorita dalla mente di Fursy Teyssier.
Se almeno fino al disco precedente, pur trattandosi di una semplificazione forse anche superficiale, non era del tutto azzardato considerare i Les Discrets come autori di una sorta di versione alleggerita dello shoegaze degli Alcest, realtà con la quale esiste da sempre un legame a doppio filo, con Prédateurs il musicista transalpino ha imboccato con risultati alterni una strada il cui possibile approdo è tutto da definire, potendo risultare un’intrigante forma di trip hop (emblematico appunto il brano Virée Nocturne) ma anche un pop intimista e spruzzato di elettronica, indubbiamente di buona qualità esecutiva ed altrettanta pulizia sonora, ma in diversi momenti piuttosto inoffensivo.
In effetti, il rischio più grande che corre Teyssier (come sempre accompagnato nella sua avventura da Audrey Hadorn), con questa sua svolta, è quello di non incidere come dovrebbe/potrebbe, pur proponendo un lavoro di indiscutibile perizia e gradevolezza; la totale assenza di qualsivoglia accelerazione o cambio di ritmo rende oggettivamente difficile esprimere qualcosa che vada oltre un blando apprezzamento da parte dell’ascoltatore.
Forse Teyssier aveva voluto lanciare un indizio, definendo la musica dell’album come cinematografica e, alla luce di diversi ascolti, viene proprio da pensare che la musica contenuta in Prédateurs potrebbe risultare più efficace se abbinata alle immagini di una pellicola ambientata nello scenario decadente di una periferia parigina, immortalata nelle sue ore notturne.
Definire brutto questo lavoro non sarebbe né giusto né corretto, perché l’artista francese ha perlomeno il merito di non aver voluto ripercorrere, con il pilota automatico inserito, la stessa strada che gli aveva regalato un certo successo al’inizio del decennio e, come già detto, la gradevolezza di certi passaggi depone a favore delle sue doti di compositore.
Resta il fatto che Prédateurs si va a collocare in una sorta di terra di mezzo, dove la rinuncia alle passate sonorità non ha portato con altrettanta decisione all’approdo verso un sound maggiormente definito, facendo ragionevolmente pensare che possa trattarsi di un passo interlocutorio, anche se forse dopo un quinquennio sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di differente.
Poi, quando si ascoltano canzoni come la già edita Virée Nocturne, Le Reproche o Rue Octavio Mey, appare palese quale sia il talento e la sensibilità artistica di cui dispone Fursy Teyssier, e forse anche per questo è difficile non restare parzialmente delusi e perplessi di fronte a quest’ultima fatica targata Les Discrets.

Tracklist:
1.Prédateurs
2.Virée Nocturne
3.Les Amis De Minuit
4.Vanishing Beauties
5.Fleur Des Murailles
6.Le Reproche
7.Les Jours D’Or
8.Rue Octavio Mey
9.The Scent Of Spring (Moonraker)
10.Lyon – Paris 7h34

Line up:
Audrey Hadorn – Vocals & Lyrics
Fursy Teyssier – Guitars, bass, vocals, visuals

LES DISCRETS – Facebook

Nitrogods – Roadkill BBQ

I musicisti sono di provata esperienza, quindi i brani viaggiano che è un piacere, la produzione è perfetta per rompere membrane di vecchie casse impolverate e il tutto suona rock’n’roll come padre Lemmy ha insegnato ai fedeli.

Lemmy ed i suoi Motorhead , oltre a lasciare un vuoto incolmabile tra gli amanti dell’ hard & heavy più grezzo e rock’n’roll, sono uno dei gruppi più venerati ed emulati che il mondo della nostra musica preferita possa vantare.

I Nitrogods, trio tedesco arrivato al terzo album, sono una di quelle band che vivono nel mito del bassista inglese, eppure stiamo parlando di musicisti di spessore della scena metallica tedesca come il chitarrista Henny Wolter (Thunderhead, Primal Fear, Sinner) ed il batterista Klaus Sperling (Freedom Call, Primal Fear), qui al servizio del mastodontico bassista/cantante Claus “Oimel” Larcher.
Voce che sembra arrivare da qualche buco dell’inferno dove Lemmy, bottiglia di Jack nella mano destra e seno prosperoso di una groupie nell’altra, si sollazza con buona pace di Satanasso, e sound che fa sbattere natiche e teste al ritmo di un rock’n’roll ipervitaminizzato, senza soluzione di continuità, leggermente più melodico delle sfuriate hard & heavy a cui ci aveva abituato Mr.Kilmister.
Roadkill BBQ è un buon lavoro, che perpetua un rito hard rock ormai consolidato nei soliti ed abusati cliché, ma che sa come far divertire, specialmente se lo si ascolta correndo per le strade con la vostra quattroruote o in un fumoso ed alcoolico localino a tema.
I musicisti sono di provata esperienza, quindi i brani viaggiano che è un piacere, la produzione è perfetta per rompere membrane di vecchie casse impolverate e il tutto suona rock’n’roll come padre Lemmy ha insegnato ai fedeli.
Inutile e superfluo il solo nominarvi una traccia, l’album è da spararsi con le modalità dette sopra ed arriverete alla fine con la voglia di rischiacciare il tasto play e scolarvi un’altra birra 0 whiskey.
Nella versione deluxe troverete un bonus cd con le cover di Overkill, Bomber, Aces Of Spades e Iron Fist … vi devo dire chi le ha scritte?

TRACKLIST
1. Rancid Rock
2. Roadkill BBQ
3. My Love’s A Wirebrush
4. Boogeyman
5. Bad Place Wrong People
6. Wheelin´
7. A Los Muertos
8. The Price Of Liberty
9. Race To Ruin
10. I Hate
11. Father
12. Where Have The Years Gone
13. Russian Rocket (Bonus)
14. Did Jesus Turn Water Into Beer (Bonus)

LINE-UP
Henny Wolter – Guitars
Oimel Larcher – Bass, Vocals
Klaus Sperling – Drums

NITROGODS – Facebook

Adrenaline Mob – We The People

We The People è uno dei migliori prodotti dell’hard rock attuale, potente, melodico e coinvolgente, il tutto valorizzato da un’ottima produzione.

Torna la macchina da guerra hard rock chiamata Adrenaline Mob, con il nuovo disco We The People.

Negli ultimi tempi non ci sono stati momenti facili per il gruppo, specialmente dopo la morte per infarto del loro batterista Aj Pero mentre era in tour con i Drowning Pool. A quel punto i due fondatori Mike Orlando e Russell Allen hanno deciso di prendere tempo e hanno suonato in altri progetti. Gli Adrenaline Mob, dalla loro comparsa nel 2012, sono uno dei gruppi di maggior successo in ambito hard rock, e hanno conquistato grosse fette di pubblico grazie al loro vitaminico sound a stelle e strisce, debitore della migliore tradizione, ma anche capace di dare esprimere maggiore energia e nel contempo melodia al suono. Gli Adrenaline Mob confermano come l’hard rock di successo in America sia fatto da molti italo americani, forse sarà per il maggior senso della melodia dovuto alle radici mediterranee. Dopo questa pausa è bastato un messaggio tra Allen ed Orlando per riprendere come sempre al Sonic Stomp Studios, teatro di tutte le loro produzioni, facendone scaturire dopo sei mesi questo disco, We The People, che è la cosa migliore della loro già buona discografia. Il lavoro è molto potente e suonato a mille all’ora, con un notevole apporto fornito dal nuovo batterista di Long Island Jordan Cannata, davvero molto preciso e possente. We The People porta il marchio di fabbrica della band, ovvero un ottimo hard rock melodico che porta l’ascoltatore a godersi davvero tutte le tracce. Come si può notare dal titolo, il disco è anche figlio dell’attuale situazione politica americana, dove il popolo è spesso preso a calci nel culo (come in ogni altra parte del mondo) e logicamente la rabbia sale: qui non troverete prese di posizione politiche, ma solo giuste constatazioni di come stiano andando le cose.
We The People è uno dei migliori prodotti dell’hard rock attuale, potente, melodico e coinvolgente, il tutto valorizzato da un’ottima produzione.

TRACKLIST
01. King Of The Ring
02. We The People
03. The Killer’s Inside
04. Bleeding Hands
05. Chasing Dragons
06. Til The Head Explodes
07. What You’re Made Of
08. Raise ‘Em Up
09. Ignorance & Greed
10. Blind Leading The Blind
11. Violent State Of Mind
12. Lords Of Thunder
13. Rebel Yell

LINE-UP
Russell Allen – Lead Vocals
Mike Orlando – Guitar, Vocals
Jordan Cannata – Drums
David Z – Bass

ADRENALINE MOB – Facebook

Raging Dead – When The Night Falls

Una conferma o una nuova realtà, fate voi, rimane il fatto che l’album risulta un ottimo lavoro e i Raging Dead hanno sempre più fame e si nutriranno di voi dopo avervi investito con When The Night Falls.

Vi avevamo parlato dei Raging Dead un paio di anni fa, in occasione dell’uscita del primo ep, Born In Rage.

Due anni dopo ritroviamo il quartetto nostrano con un nuovo lavoro (questa volta sulla lunga distanza) ed un contratto con la label americana Pavement Entertainment.
L’horror/sleazy/punk metal della band continua la sua decadente marcia tra le tombe scalfite dal tempo in un cimitero dimenticato nel mezzo della pianura padana, un rock’n’roll sinistro e marcio come i cadaveri che, uno ad uno escono dai buchi brulicanti di vermi in una serata di luna rosso sangue, mentre i quattro non-morti imbracciano i propri strumenti dando inizio allo zombie tsunami intitolato When The Night Falls.
Un sound diretto, sporco e cattivissimo, dieci tracce aggressive come un’ orda famelica che investe il Nord Italia ed infetta il mondo intero, questo risulta l’esordio sulla lunga distanza dei Raging Dead, i quali portano all’attenzione degli ascoltatori il loro rock ricco di sfumature ed atmosfere che si rifanno alle leggende del genere, senza dimenticare l’aggressività stradaiola del metal ottantiano e alle più giovani, ma ancora più maligne, forme di rock estremizzato come quelli di Murderdolls e Rob Zombie.
Un album tirato dall’inizio alla fine, un morso famelico che amputa arti a colpi di punk/rock/metal senza soluzione di continuità, mentre gli zombie continuano il loro massacro, la notte si fa giorno e la title track, Nightstalker e Bloodlust trascinano i resti delle vittime nel buio della tomba per terminare il banchetto.
Una conferma o una nuova realtà, fate voi, rimane il fatto che l’album risulta un ottimo lavoro e Cloud Shade, Matt Void, Simon Nightmare e Tracii Decadence hanno sempre più fame e si nutriranno di voi dopo avervi investito con When The Night Falls.

TRACKLIST
1. Streets Of Rage
2. When The Night Falls
3. Within Shadow
4. Army Of The Restless
5. Nightstalker
6. Bloodlust
7. Crimson Garden
8. Scratch Me
9. Doomsday
10. Ballad Of The Storm

LINE-UP
Cloud Shade – Vocals, Guitars
Matt Void – Guitars
Simon Nightmare – Bass
Tracii Decadence – Drums

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L’Ira Del Baccano – Paradox Hourglass

La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo uno delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano.

Torna uno dei migliori gruppi di improvvisazione psichedelica pesante. Il viaggio de L’Ira Del Baccano continua potentissimo senza scendere mai, come una psichedelia di soglia inconscia.

I suoni questa volta sono maggiormente melodici, mentre lo schema di composizione rimane invariato, ovvero non c’è, essendo un flusso di coscienza musicale che diventa una magnifica e lunga jam, passibile di mutazioni ad ogni atto de L’Ira del Baccano. Il disco è quindi la fotografia del momento, uno splendido bassorilievo magico che può variare, increspandosi come le onde di un mare capriccioso, o seguendo il disegno di muse capricciose, ma è sempre una musica magnifica. Paradox Hourglass è una nuova terra inesplorata in un mappamondo bellissimo come quello della musica di questo gruppo, che lascia sempre un bellissimo gusto nel padiglione auricolare dell’ascoltatore. La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo una delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano, perché ve ne possono essere altre in molti multiversi.

TRACKLIST
1. PARADOX HOURGLASS – Part 1(L’Ira Del Baccano)
2. PARADOX HOURGLASS – Part 2 (No Razor for Occam)
3. ABILENE
4. THE BLIND PHOENIX RISES

LINE-UP
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook