Triste Terre – Grand œuvre

Interessante esordio di questo duo francese, capace di creare ambientazioni maestose, imponenti e ammantate da tristezza e nostalgia: un black avanguardistico intriso di suggestioni doom e funeral.

Varie suggestioni emana l’esordio dei Triste Terre, gruppo francese di recente costituzione, con tre EP all’attivo dal 2016: un avanguardistico black metal intriso di doom, aromi funeral, dissonanze e capacità di creare ambientazioni misteriose e maestose.

Naal, compositore delle musiche e dei testi, accompagnato da Varenne al contrabbasso e Lohengrin alla batteria, ci propone in quasi sessantacinque minuti musica molto interessante capace di costruire imponenti affreschi che potrebbero ricordare per alcuni aspetti il suono degli inglesi Lychgate. L’uso sapiente dell’organo apre scenari che trasportano chi ascolta in territori ricchi di pathos e orrore. La lunghezza dei brani, in media superiore ai dieci minuti, permette di addentrarsi in territori multidimensionali, dove la furia black (Corps Glorieux) si amalgama perfettamente con parti nostalgiche e ammantate di tristezza, che pervade comunque ogni nota dell’ opera. Ogni brano nel suo divenire nasconde idee, suoni che conquistano e ogni ascolto scopre partiture che non si erano evidenziate prima; lentamente il suono si apre a nuove sensazioni ed è come emergere da profondi abissi prima di scoprire la maestosità della proposta. Il suo essere avanguardistico non comporta momenti di stanca o di noia, anzi è una continua sfida lasciarsi sommergere da imponenti strutture che non mancano di potenza e di coesione e i brani sono perfettamente delineati nel loro saliscendi emozionale, sia quando guardano al suono black, sia quando le note si sciolgono in momenti atmosferici di gran pregio. La componente doom è ricca di tensione e talvolta deflagra in momenti death doom pregevoli; le armonie, alcune molto dolci, sono sempre coperte da una aura sinistra a creare ambientazioni malsane e non confortevoli (Luer émerite). Un debutto davvero interessante in una scena, quella francese, molto attiva e sempre con progetti atmosferici piuttosto personali.

Tracklist
1. Œuvre au noir
2. Corps glorieux
3. Nobles luminaires
4. Grand architecte
5. Lueur émérite
6. Tribut solennel

Line-up
Naâl – Bass, Guitars, Vocals, Songwriting, Lyrics
A.Varenne – Contrabass
Lohengrin – Drums

TRSITE TERRE – Facebook

Inner Shrine – Heroes

Heroes è un lavoro relativamente breve che gode di un’elegante levità nel suo scorrere dai tratti quasi cinematografici: l’operato del duo toscano si rivela in ogni frangente fresco ed evocativo, grazie anche ad una notevole scorrevolezza che compensa l’assenza, di fatto, di una forma canzone vera e propria.

Gli Inner Shrine sono stati una delle prime band che in Italia negli anni novanta fu in grado di accogliere le tendenze gothic doom provenienti dall’Inghilterra, per poi cercare di rielaborarle in senso operistico con l’utilizzo di più voci femminili.

In tal senso, pur nel suo apparire piuttosto acerbo al momento dell’uscita, Nocturnal Rhymes Entangled in Silence, datato 1997, è tutt’oggi da considerarsi uno degli album più importanti del genere pubblicato dalle nostre parti.
La carriera del gruppo fiorentino è stata un po’ frammentaria ma Luca Lotti, assieme al compagno della prima ora Luca Moretti, nel nuovo decennio ha ridato slancio all’attività degli Inner Shrine, prima con l’uscita di Mediceo (2010) e Pulsar (2013) e poi di questo Heroes.
Rispetto a vent’anni fa il sound ha perso oggi parte della sua asprezza per evolversi in un bellissimo metal atmosferico dalla natura per lo più strumentale dato che, salvo sporadici interventi vocali maschili, c’è un ricorso molto efficace a vocalizzi femminili di stampo operistico che in pratica assumono il ruolo di un vero e proprio strumento.
Le ariose aperture melodiche e le solenni partiture che delineano il lavoro, più che assomigliare ai modelli del gothic doom più noti, si avvicinano maggiormente ad entità particolari dello scorso secolo come gli Elend o Malleus, il tutto in una versione molto meno classica da un lato e meno intrisa di elementi dark esoterici dall’altro.
Heroes è un lavoro relativamente breve che gode di un’elegante levità nel suo scorrere dai tratti quasi cinematografici: l’operato del duo toscano si rivela in ogni frangente fresco ed evocativo, grazie anche ad una notevole scorrevolezza che compensa l’assenza, di fatto, di una forma canzone vera e propria, l’unico aspetto del lavoro che potrebbe lasciare perplesso qualcuno (penso ben pochi, però).
La rielaborazione posta in chiusura del brano Cum Gloria, originariamente presente in Mediceum, vale a rendere piuttosto evidente come il sound degli Inner Shrine si sia evoluto in qualcosa di più etereo ma pur sempre affascinante, perché l’apoteosi sinfonico atmosferica di tracce come Ode of Heroes o Gaugamela o l’incedere più dolente e malinconico di Doom e Sakura, producono un carico emotivo a tratti esaltante e così diretto che già al primo ascolto si viene avvolti in maniera inevitabile da questo magnifico lavoro, ennesima dimostrazione di come in Italia non si è secondi a nessuno quando si tratta di proporre sonorità che fondono la tradizione classica con il metal.

Tracklist:
1. Donum (Intro)
2. Akhai
3. Ode of Heroes
4. Doom
5. Firebringer
6. Guagamela
7. Sakura (Metal Version)
8. Cum Gloria (Extended Version)

Line-up:
Luca Liotti
Leonardo Moretti

INNER SHRINE – Facebook

Hex A.D. – Netherworld Triumphant

Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Terzo full length per i rockers norvegesi Hex A.D., quartetto che fa delle sonorità vintage la sua prerogativa.

La band norvegese asseconda la tradizione scandinava per i suoni hard rock di matrice settantiana, li potenzia con mid tempo di ispirazione doom classica e li personalizza con atmosfere progressive, per un risultato che va oltre le aspettative, almeno per chi ancora non si era imbattuto nei suoi lavori.
Netherworld Triumphant è dunque un album che soddisferà non poco gli amanti del rock pesante di matrice classica, un mix perfetto di Deep Purple, Uriah Heep e primi King Crimson, votati alla musica del destino.
Himmelskare funge da intro prima che il gruppo capitanato dal vocalist e chitarrista Rick Hagan cominci a disegnare su uno spartito vintage tappeti di musica maggiormente progressiva, nelle due parti della title track che formano dieci minuti abbondanti di rock duro di ottima qualità.
L’uso dell’hammond conferisce quel tocco lordiano ai brani che risultano il punto di forza del sound firmato dagli Hex A.D., i quali continuano a macinare grande rock con il doom sabbathiano della pesantissima Warchild, brano potente ed evocativo perfetto per chi ama in egual misura Black Sabbath ed Uriah Heep.
Sette brani per cinquanta minuti calati alla perfezione in una musica che, se prende ispirazioni ed influenze dalle band storiche citate, si avvale di un buon songwriting che non lascia indifferenti.
La lunga Ladders To Fire chiude alla grande questo nuovo lavoro con i suoi tredici minuti di sunto compositivo, tra lenti passaggi doom, hard rock e slanci progressive.
Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Tracklist
1. Himmelskare
2. Skeleton Key Skeleton Hand
3. Netherworld Triumphant pt. I
4. Netherworld Triumphant pt. II
5. WarChild
6. Boars On Spears
7. Ladders To Fire

Line-up
Rick Hagan – Vocal, guitar
Mags Johansen – Organ, mellotron, keyboard
‘Arry Gogstad – Bass
Matt Hagan – Drums

HEX A.D. – Facebook

Caustic Vomit – Festering Odes to Deformity

I Caustic Vomit, rispetto a molti dei validi interpreti del death doom più incompromissorio, mostrano spunti di varietà che ben si inseriscono all’interno di un contesto che, comunque, mette la melodia decisamente in secondo piano a favore dei risvolti più ruvidi del genere.

La Redefining Darkness Records, etichetta specializzata nella ricerca di realtà nascoste nei meandri più reconditi del sottosuolo musicale porta in superficie i russi Caustic Vomit i quali si rendono protagonisti di un demo d’esordio davvero notevole.

Il monicker scelto lascia pochi dubbi sul sound offerto che è un death doom primordiale soffocante, con il growl rantolante tipico delle forme più estreme del genere.
I tre brani si snodano mediamente per una decina di minuti ciascuno con il primo, Immured in Devouring Rot, che pare attingere maggiormente dalla scuola britannica dei primi anni novanta per gli accentuati rallentamenti nel finale, il secondo, Churning Bowel Tunnels, che risulta invece un esempio del più putrido death, ed il terzo, Once Coffined Malformities, che oscilla infine tra queste diverse pulsioni regalando anche intriganti parti di chitarra solista nel finale. I Caustic Vomit, rispetto a molti dei validi interpreti del death doom più incompromissorio, mostrano spunti di varietà che ben si inseriscono all’interno di un contesto che, comunque, mette la melodia decisamente in secondo piano a favore dei risvolti più ruvidi del genere.

Tracklist:
1. Intro / Immured in Devouring Rot
2. Churning Bowel Tunnels
3. Once Coffined Malformities

Line-up:
M. – Bass
L. – Drums, Lyrics
R. – Guitars
S. – Guitars, Vocals

0N0 – Cloaked Climax Concealed

Gli 0N0 sono una band che merita un approfondimento retrospettivo alla luce di quanto offerto in questa concisa ma interessante uscita.

Gli slovacchi 0N0 mi erano fino ad oggi sconosciuti nonostante la loro attività sia piuttosto consistente.

Questo 7″ arriva dopo due full length ed alcune altre uscite di minor minutaggio ed è una buona opportunità per fare la conoscenza di un gruppo che prova ad interpretare la materia death doom inserendovi massicce dosi di industrial, andando così a costruire due brevi quanto incisivi monoliti sonori in cui le due componenti confluiscono in maniera soddisfacente e abbastanza fluida.
Cloaked Climax Concealed non contiene memorabili aperture melodiche o un riffing cadenzato ed avvolgente, bensì offre dieci minuti di austera e gelida incomunicabilità resa al meglio da un buon operato strumentale e da una produzione che evita al tutto di apparire un un’inintelligibile coacervo di suoni.
Il primo brano The Crown Unknown è decisamente più urticante e squadrato mentre nel successivo Hidden In The Trees (Sail this Wrecked Ship) fanno capolino barlumi melodici nel finale, complice un diverso uso della voce rispetto al corrosivo growl offerto fino a quel momento.
Gli 0N0 sono una band che merita un approfondimento retrospettivo alla luce di quanto offerto in questa concisa ma interessante uscita.

Tracklist:
1. The Crown Unknown
2. Hidden In The Trees (Sail this Wrecked Ship)

Line-up:
S – Vocals
A – Guitars, Vocals
T – Guitars, Vocals, Programming

0N0 – Facebook

 

Red Beard Wall – The Fight Needs Us All

All’interno del panorama della musica pesante la loro miscela è unica e da ascoltare con attenzione, e c’è anche un’evoluzione sonora, con tanta abrasività ma anche tanta melodia da scoprire.

Torna il duo texano dei Red Beard Wall, dopo il debutto nel 2017 che li aveva mostrati come un gruppo nient’affatto comune.

Con questo nuovo capitolo la questione si inacidisce maggiormente, il suono diventa più ansiogeno e corrosivo rispetto al precedente lavoro, anche perché il mondo là fuori sta peggiorando notevolmente e velocemente. Il titolo è già assai esplicativo, The Fight Needs Us All, perché questa guerra mondiale fatta da una piccolissima percentuale di popolazione, quella ricca, contro la stragrande maggioranza, quella meno abbiente, ci coinvolge a tutti. Oltre ad una lettura politica si può leggere il titolo ed il disco anche come esortazione per l’eterna battaglia che si svolge dentro di noi. Il suono dei Red Beard Wall è molto particolare, è uno stoner sludge che ha in Aron Wall, cantante e chitarrista, la sua particolarità dato che con la sua voce e la sua chitarra è il perfetto contraltare alla batteria di George Trujillo. La voce è sia in growl molto acuto che in chiaro, una frequenza che muta con l’andare della narrazione musicale. La musica è molto particolare e ricca, nonostante gli strumenti siano solo due, chitarra e batteria. Con un impianto così minimale non è facile trovare un assetto originale, ma i Red Beard Wall ci sono ampiamente riusciti, proponendo uno stile particolare e soprattutto due album molto validi. Al primo ascolto di The Fight Need Us All potrebbe sembrare registrato con gli alti in eccesso, invece continuando ad ascoltarlo si capisce che bisogna cogliere in maniera più approfondita tutto l’insieme, che è un groove ribassato e molto potente, nella piena tradizione texana ma con grande innovazione. All’interno del panorama della musica pesante la loro miscela è unica e da ascoltare con attenzione, e c’è anche un’evoluzione sonora, con tanta abrasività ma anche tanta melodia da scoprire.

Tracklist
1.Come on Down
2.To My Queen
3.Ode to Green
4.Reverend
5.The Warming
6.Reign of Ignorance
7.Tell Me the Future of Existence
8.The Fight Needs Us All

Line-up
Aaron Wall – Vocals / Guitar
George Trujillo – Drums

RED BEARD WALL – Facebook

Lucifer’s Fall – Tales From The Crypt

L’album è di fatto è una raccolta di brani già licenziati in passato dai Lucifer’s Fall con l’aggiunta di alcun cover: non imprescindibile, ma quanto meno utile per farsi un’idea di quello che propongono questi doomsters australiani.

Sono passati un paio d’anni da quando ci occupammo degli australiani Lucifer’s Fall, quintetto di Adelaide attivo dal 2013 e al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Tales From The Crypt nulla toglie e nulla aggiunge a quanto scritto in passato: la band offre agli amanti del genere un heavy doom classico, alternando brani più heavy a lenti passaggi sabbathiani.
Una proposta old school, ad iniziare dalla produzione che tanto sa di cripta maleodorante (come suggerisce il titolo), dove riti antichi risvegliano dal sonno millenario cadaveri rinsecchiti, poveri resti condannati a vagare sulla terra all’arrivo della notte; i primi due brani (Trapped In Satan’s Chains e Dirty Shits) fanno parte dell’anima hard & heavy del gruppo, con un rock duro ispirato alle band storiche e dall’attitudine settantiana che lascia poi spazio a jam classic doom come Deceiver e Cursed Priestess. L’album è di fatto è una raccolta di brani già licenziati in passato dai Lucifer’s Fall, con l’aggiunta di alcun cover che si rifanno alle discografie di Reverend Bizarre, Exciter ed Angel Witch: non imprescindibile, ma quanto meno utile per farsi un’idea di quello che propongono questi doomsters australiani.

Tracklist
1.Trapped in Satan’s Chains
2.Dirty Shits
3.Unknown Unnamed
4.Deceiver
5.Die Witch Die
6.Death of the Mother
7.Cursed Priestess (rehearsal)
8.Damnation (rehearsal)
9.The Mountains of Madness (rehearsal)
10.(Fuck You) We’re Lucifer’s Fall
11.Cromwell (partial unrehearsed jam) (Reverend Bizarre cover)
12.Stand Up and Fight (barely rehearsed version) (Exciter cover)
13.Angel Witch (Live 3D Radio) (Angel Witch cover)

Line-up
Deceiver – Bass, Guitars, Vocals
Unknown and Unnamed – Drums
Cursed Priestess – Bass
The Invocator – Guitars (lead)
Heretic – Guitars (rhythm)

LUCIFER’S FALL – Facebook

Open Door Of Doom – Open Door Of Doom

L’esordio degli Open Door Of Doom non è nulla di epocale ma sicuramente conserva sapori ed aromi di un tempo, sempre graditi a chi ama queste sonorità.

Gli Open Door Of Doom sono una band nata dalla collaborazione del trio australiano Eldritch Rites (Shayne Joseph, Trevor Scott e Adam Holmes) ed il cantante britannico Craig Capps (Cloak Of Shadows).

Ovviamente il monicker prescelto, al di là del background dei protagonisti, non lascia dubbi sul genere offerto, ovvero una doom che attinge alla tradizione del genere prendendo quali dichiarati punti di riferimento i Reverend Bizarre e i Pagan Altar.
L’operazione, risalente alla scorsa primavera e riproposta oggi formato digitale dalla Loneravn Records,  riesce piuttosto bene a questo inedito quartetto, visto che l’innesto della particolare voce di Craig (che in altri contesti esibisce anche un cognome d’arte come Osbourne, tanto per non lasciare dubbi di sorta sulle sue fonti di ispirazione) si rivela più funzionale ad un contesto che ripropone in maniera efficace la quintessenza del doom rispetto a quanto avvenuto recentemente con i meno convincenti Cloak Of Shadows.
In effetti, il trio australiano dimostra la sua competenza in materia ed in particolare un brano come Buried Alive sorprende con un finale incalzante, dopo essersi trascinato indolente per nove dei suoi tredici minuti e passa di durata, ma anche Deemed a Sinner tiene altra la soglia di attenzione dell’ascoltatore in virtù del buon lavoro chitarristico di Joseph.
Il nostro emulo di Ozzy non è sicuramente il miglior vocalist del pianeta ma in questo specifico ambito ci sta benissimo, forse perché la sua timbrica ben si inserisce in un contesto che rifugge qualsiasi idea di modernità per privilegiare un sound essenziale ma piuttosto efficace, soprattutto quando trova sfogo in repentine cavalcate oppure nei momenti in cui, come nel finale di These Confessions, prende piede un’indole psichedelica.
L’esordio degli Open Door Of Doom non è nulla di epocale ma sicuramente conserva sapori ed aromi di un tempo, sempre graditi a chi ama queste sonorità.

Tracklist:
1. Buried Alive
2. Ode2m
3. Deemed a Sinner
4. These Confessions

Line-up:
Trevor Scott – Bass
Adam Holmes – Drums
Shayne Joseph – Guitars
Craig Osbourne – Vocals

Mammoth Weed Wizard Bastard – Yn Ol I Annwyn

Si conclude la trilogia iniziata nel 2015: cosmic doom per i gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard, band personale con una forte identità.

Si chiude la trilogia, intrapresa nel 2015 con “Noec Ac Anoeth” e proseguita nel 2017 con “Y Proffwyd Dwyll” e i gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard dimostrano, ancora una volta, di essere una band unica, capace di sedurre e ammaliare con il loro cosmic doom proiettato verso spazi oscuri e ancora insondati.

La band si è creata una propria identità nell’arco di breve tempo, quattro anni, e oggi con la nuova opera conclude il suo viaggio intergalattico regalandoci più di un’ora di suoni potenti, misteriosi variando la struttura degli otto brani, rendendoli assolutamente coinvolgenti. I cinque musicisti creano arte a un livello superiore immergendoci totalmente nel liquido amniotico delle loro influenze, siano esse atmosfere da “soundscapes” di immaginari film siano essi delicati abbozzi acustici, siano essi infiniti viaggi galattici; potenza, capacità melodica e fascino sono miscelati sublimamente e sono sovrastati dalla incredibilie e “otherwordly” voce di Jessica Ball, che con arti seduttive magiche è capace di penetrarti nel cuore e nel cervello senza più uscirne: le atmosfere incantate di Fata Morgana ci conducono in paesaggi fiabeschi e rilassanti, prima che le chitarre di Davies e Leon ristabiliscano tensione e potenza. La varietà di strutture ci porta ad assaporare lati melodici finora inediti della band che con i quattro minuti di Du bist jenzt nicht in der zukunft propone con affascinanti keyboards e suoni di archi un lato diversamente “pop” straniante e algido. L’uso abbastanza costante di moog e cello “colorano” le strutture dei brani ammorbidendo l’atmosfera che rimane comunque sempre tesa e viscerale; la ritmica incalzante e ipnotica della title track ci ricorda che la band, pur variando i suoni, ha ben chiaro in mente cosa vuol ottenere, un articolato e coinvolgente cosmic space doom. I brani sono molto ben suonati, mostrano una evoluzione lenta e costante e anche in uno strumentale lungo, come Katyusha, dall’incedere maestoso e sinistro, i musicisti mantengono grande convinzione e rendono i tredici minuti un lungo trip multidimensionale. Influssi del suono Hawkwind sono ormai perfettamente intessuti nei brani e un’ attitudine prog permea l’atmosfera generale; la band dichiara di non essere affatto interessata alla scena doom attuale, preferendo evolvere un suono che ora rappresenta completamente la loro identità. A detta del chitarrista Paul Davies l’eventuale sviluppo futuro del suono potrebbe essere un synth album, una soundtrack per un immaginario film, senza chitarre: progetto affascinante sicuramente ma spero ugualmente che la trilogia non ponga fine a questo progetto unico e assai affascinante.

Tracklist
1. Tralfamadore
2. The Spaceships of Ezekiel
3. Fata Morgana
4. Du bist jetzt nicht in der Zukunft
5. Yn Ol I Annwyn
6. Katyusha
7. The Majestic Clockwork
8. Five Days in the Abyss

Line-up
Jessica Ball – Vocals
James Carrington – Drums
Paul Michael Davies – Guitars, Effects
Wes Leon – Guitars, Effects
Stuart Sinclair – Bass

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook

Teverts/El Rojo – Southern Crossroads

Southern Crossroads è uno split da non perdere per gli amanti dello stoner doom rock che vogliono approfondire la conoscenza della scena tricolore.

Questo split curato dalla Karma Conspiracy Records ci presenta due realtà psych/stoner provenienti dalle calde terre del sud Italia, Teverts ed El Rojo.

I due gruppi ci invitano ad una passeggiata nelle aride terre dove si respira l’afosa atmosfera del deserto americano che tanto ha ispirato le band storiche del genere.
I Teverts, con più di dieci anni di attività, un paio di lavori pubblicati ed una esperienza live che li ha portati a dividere il palco con nomi importanti della scena stoner/doom nazionale, ci ipnotizzano con il loro stoner rock venato di psichedelia.
Road to Awakeness ipnotizza con le sue sfumature che evidenziano una vena pinkfloydiana su un tappeto di rock duro proveniente dagli angoli più remoti della Sky Valley.
Un sound lavico, un sinuoso discendere lungo aridi crinali come micidiali serpi, questo risulta lo stoner rock dei Teverts.
Gli El Rojo arrivano dalla provincia di Cosenza, hanno pubblicato il loro debutto lo scorso anno (16 Inches Radial) e con The Longest Ride si avvicinano di più al doom classico rispetto ai loro compagni di split.
Un doom chiaramente pregno di umori stonati, potente, pachidermico, venato da ispirazioni settantiane e dalle band di casa Hellhound Records, è quello che troviamo in The Longest Ride, magnifico brano che in coppia con il precedente vanno a formare uno split da non perdere per gli amanti del genere che vogliono approfondire la conoscenza della scena tricolore.

Tracklist
01. Road to Awakeness (Teverts)
02. The Longest Ride (El Rojo)

Line-up
Teverts :
Phil – Guitars/voices
Mario – Bass
Angela – Drums

El Rojo:
Evo Borruso – Vocals
Luigi Grisolia – Guitar 2016 – 2018
Fabrizio Miceli – Guitar 2019 – now
Fabrizio Vuerre – Guitar
Pasquale Carapella – Bass
Antonio Rimolo – Drums

TEVERTS – Facebook
EL ROJO – Facebook

Endimion – Latmus

Latmus si dipana per circa un’ora di musica destinata a restare confinata, a livello di ascolti, entro i confini degli appassionati più accaniti del genere i quali, comunque, non resteranno delusi da una prova di buona sostanza.

Ritroviamo i cileni Endimion a ben otto anni dall’uscita del precedente full length che aveva messo in evidenza luci ed ombre di una proposta ancora troppo abbozzata per potersi rivelare competitiva nel contesto del death doom internazionale.

Latmus mostra un naturale quanto auspicato progresso, pur senza smarrire le caratteristiche di un sound ancora volutamente privo di fronzoli e spunti atmosferici.
Il genere, nell’interpretazione di questa band sudamericana, vive di un impatto piuttosto ruvido nel quale il riffing è il growl spingono il tutto verso il lato più estremo del genere; con tutto ciò, però, il sound appare meglio focalizzato e non del tutto scevro di aperture melodiche o acustiche.
L’utilizzo della lingua spagnola fornisce pur sempre una connotazione particolare a un sound che convince molto più che in passato grazie a una maggiore fluidità nell’alternare le diverse componenti.
Palabra vacías è un brano che si rivela abbastanza esaustivo in tal senso, in quanto mostra diversi spunti di pregio che non vengono confermati da una traccia inizialmente piuttosto tetragona per poi aprirsi melodicamente grazie a buon lavoro chitarristico.
Latmus si dipana, così, per circa un’ora di musica destinata a restare confinata, a livello di ascolti, entro i confini degli appassionati più accaniti del genere i quali, comunque, non resteranno delusi da una prova di buona sostanza.
Detto questo gli Endimion, anche nell’ambito di una scena fertile come quella doom cilena, restano un gruppo di seconda fascia ma non per questo meritano d’essere trascurati

Tracklist:
1. Ascenso
2. Palabra vacías
3. Vigilia
4. Espectro
5. Efialtis
6. Arpegios de viento
7. Eones de piedra
8. Naos Katara
9. Orgasmos de Selene
10. Contemplación

Line-up:
Matias Ibañez – Vocals
Francisco Campos – Guitars
Victor Ibañez – Bass
Fabian Alarcon – Drums
Tomas Ibañez – Guitars

ENDIMION – Facebook

Horrisonous – A Culinary Cacophony

Band da non perdere di vista per un auspicato passo avanti verso una personalità più accentuata, gli Horrisonous convincono comunque e si meritano una chance dagli amanti del death/doom di matrice old school.

Si chiamano Horrisonous, vengono dall’Australia e suonano death/doom come si faceva nei primissimi anni novanta, aggiungendo al sound pesantissimo tematiche gore.

Niente di nuovo sotto il sole di Sydney dirà qualcuno, ed effettivamente il quintetto proveniente dalla terra dei canguri si impossessa di una formula consolidata e suona metal estremo con poca fantasia, ma tanta potenza ed impatto.
Piace questo debutto, intitolato A Culinary Cacophony e licenziato dalla Memento Mori, primo full lenght del gruppo dopo l’ep d’esordio uscito nel 2016 (The Plague Doctors), un lavoro che torna a valorizzare quel tipo di sound che dagli inossidabili Asphyx porta agli Incantation ed ai tedeschi Incubator.
Massiccio e senza alcuna possibilità di trovare la minima melodia i più facile ascolto, A Culinary Cacophony ha il pregio di far dimenticare presto la sua totale devozione alle band citate, affascinando dopo pochi ascolti grazie a brani potentissimi e ben strutturati come Perpetual Mincing, Flesh Presented for Orgasmic Torment e la conclusiva The Number of the Feast.
Band da non perdere di vista per un auspicato passo avanti verso una personalità più accentuata, gli Horrisonous convincono comunque e si meritano una chance dagli amanti del death/doom di matrice old school.

Tracklist
1.Kuru Worship
2.The Gavage
3.Perpetual Mincing
4.A Tale of Matriphagy
5.Flesh Presented for Orgasmic Torment
6.Crispy Chunks of the Obese
7.Nourishment Through Excrement
8.The Number of the Feast

Line-up
Bianca Jamett – Bass
Stuart Prickett – Guitars
Dan Garcia – Guitars
Yonn McLaughlin – Vocals
Aled Powell – Drums

HORRISONOUS – Facebook

Tankograd – Totalitarian

Questi quattro polacchi si insinuano con il loro sound nel nostro immaginario quasi di soppiatto, e quello che ad un primo ascolto può sembrare un disco di doom come tanti, a lungo andare continua a ronzare in testa sotto forma di squarci melodici ed intuizioni da band di ottimo livello: un buon motivo per prestare attenzione ad un lavoro davvero intrigante.

L’esordio dei polacchi Tankograd è all’insegna di un doom aspro, essenziale e poco incline a svolazzi atmosferici che male si addicono a tematiche sempre ostiche come quelle inerenti la guerra.

I racconti di natura bellica proposti dalla band di Varsavia sono volti ad esibire il volto più cupo e anche squallido dei conflitti, nulla a che vedere quindi con la narrazione di gesta eroiche o di epiche battaglie. Il cantato, sempre in lingua madre, ad eccezione di Arkhangelsk, non è affatto monocorde ma cerca d’essere espressivo in ogni frangente e per far questo Herr Feldgrau adotta uno stile che dal pulito giunge sino ad un harsh neppure troppo spinto; tale buona varietà è strettamente connessa all’andamento del lavoro, che mantiene un’oscurità solo venata di malinconia, comunque lontana da derive troppo estreme con la band che preferisce lasciare fluire il sound in maniera ossessiva quanto lineare, senza disdegnare aperture soliste di buona fattura (Żelazne trumny).
Considerando anche che il doom non è certo il genere più sviluppato in terra polacca, Totalitarian è a suo modo un lavoro sorprendente per qualità, convinzione ed un’interpretazione non così scontata (in effetti, proprio volendo cercare un termine di paragone, in prima battuta vengono in mente i grandi KYPCK, ma i Tankograd perseguono una poetica tutta loro).
Questi quattro polacchi si insinuano con il loro sound nel nostro immaginario quasi di soppiatto, e quello che ad un primo ascolto può sembrare un disco di doom come tanti, a lungo andare continua a ronzare in testa sotto forma di squarci melodici ed intuizioni da band di ottimo livello: un buon motivo per prestare attenzione ad un lavoro davvero intrigante.

Tracklist:
1. Ostatni sen Joachima
2. Arkhangelsk
3. Lot do kraju
4. Żelazne trumny
5. Mir

Line-up:
Herr Schnitt – Bass
Herr Doktor – Drums
Herr Berg – Guitars
Herr Feldgrau – Guitars, Vocals

TANKOGRAD – Facebook

Onirophagus – Endarkenment (Illumination Through Putrefaction)

Endarkenment possiede le caratteristiche per trascinare chiunque nel gorgo di oscurità che gli Onirophagus riescono a creare, magari senza strabiliare e men che meno mostrando bagliori di novità, ma offrendo con competenza e convinzione quelle sonorità che affondano le loro nodose radici negli anni novanta, con un occhio di riguardo ai primi vagiti della sacra triade albionica.

Endarkenment (Illumination Through Putrefaction) è il secondo full length di questa band catalana dedita ad un death doom piuttosto tradizionale ed equilibrato tra le sue componenti.

Offrire quattro brani per quasi un’ora di musica, come sempre, crea una certa selezione naturale tra i potenziali ascoltatori ma non è certo cosa che possa spaventare o scoraggiare chi ama il genere.
Endarkenment possiede, infatti, tutte le caratteristiche per trascinare chiunque nel gorgo di oscurità che la band di Barcellona riesce a creare, magari senza strabiliare e men che meno mostrando bagliori di novità, ma offrendo con competenza e convinzione quelle sonorità che affondano le loro nodose radici negli anni novanta, con un occhio di riguardo ai primi vagiti della sacra triade albionica.
Con ben tre chitarristi in formazione il riffing degli Onirophagus si rivela molto incisivo ed efficace e, in quei rari momenti in cui viene dato sfogo a passaggi solisti, le melodie che ne scaturiscono sono piuttosto dolenti ed avvolgenti: questo rende tutto l’insieme molto meno ostico da recepire rispetto a quanto prefigurato viste le premesse e le caratteristiche del sound offerto.
Dysthanasia, Book of the Half Men e la lunghissima title track sono tracce più rallentate e pachidermiche, mentre prossima a certo death dai tratto morbosi è Dark River, probabilmente l’episodio di punta in virtù appunto di una maggiore sintesi e varietà ritmica.
Il growl di Paingrinder è quanto serve per dare voce al meglio ad una proposta del genere, che segna il ritorno della band a ben sei anni dal precedente full length con una formazione per metà nuova, il che rende Endarkenment una sorta di ideale ripartenza eseguita con il piede giusto.

Tracklist:
1. Dysthanasia
2. Book of the Half Men
3. Dark River
4. Endarkenment

Line-up:
Paingrinder – vocals
Moregod – guitars
Uretra – drums
Desecrator – guitar
Grindmad – bass
Shogoth – guitar

ONIROPHAGUS – Facebook

Even Vast – Warped Existence

Warped Existence risulta un’opera imperdibile per gli amanti dei suoni doom/sludge ma non solo: la natura estremamente eterogenea di brani come I Know, Somebody o Upon Deaf Ears, costituisce una risorsa per entrare nelle corde degli ascoltatori più attenti e liberi dalle catene che imprigionano la musica nelle buie celle dei generi.

Gli Even Vast tornano dopo dodici anni dall’ultimo lavoro con una line up rinnovata ed un sound che, abbandonate le spoglie dark/gothic, si riveste di doom/sludge di matrice britannica (Cathedral, Orange Goblin): una montagna che si sgretola a colpi di riff pesantissimi, convincente in ogni passaggio, che non lascia vuoti e ci investe con tutta la sua potenza.

Luca Martello, chitarrista e fondatore del gruppo, costruisce una diga sonora su cui vanno ad infrangersi onde sludge/rock che ricordano fragori alternative, in un incontro/ scontro tra la tradizione anglosassone e quella statunitense e con la presenza qua e là di un sax che ne sottolinea l’alta personalità della proposta.
Entrare in sintonia con un lavoro del genere non è impresa facile perché la band, senza soluzione di continuità, ci investe e ci aggredisce con un bombardamento sonoro potentissimo, per poi ricamarci sopra tendenze che vanno dallo stoner al doom, dall’alternative all’hard rock, in un sorta di sabba al cui centro danzano Danzig, Life Of Agony e Kyuss, mentre Lee Dorrian è il sacerdote folle che lo officia.
Warped Existence risulta un’opera imperdibile per gli amanti dei suoni doom/sludge ma non solo: la natura estremamente eterogenea di brani come I Know, Somebody o Upon Deaf Ears, costituisce una risorsa per entrare nelle corde degli ascoltatori più attenti e liberi dalle catene che imprigionano la musica nelle buie celle dei generi.

Tracklist
1.Warped Existence
2.I Know
3.Imaginary Friend
4.I Wish
5 Somebody
6.How Long
7.Same Old Story
8.Inside Your Head
9.Upon Deaf Ears
10.Be There

Line-up
Luca Martello – guitars
Chris Taylor – lead vocals
Nicholas Mark Roe – drums
Steve Kilpatrick – bass
Alessandro D’Arcangeli – sax/chorus

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Illimitable Dolor – Leaden Light

Il death doom atmosferico degli Illimitable Dolor trova qui la sua ideale sublimazione, grazie ad un songwriting che in ogni suo frammento è finalizzato ad evocare emozioni struggenti, anteponendo l’aspetto melodico a qualsiasi altra sfumatura stilistica.

Quando gli Illimitable Dolor circa due anni fa apparvero sulla scena, nonostante il valore intrinseco del bellissimo album d’esordio, c’era la sensazione che potessero rappresentare solo un estemporaneo progetto parallelo ai The Slow Death, band che forniva buona parte della line up, in virtù anche delle motivazioni che erano alla base della loro formazione, ovvero l’omaggio a quello che fu per anni il vocalist di quella band, Greg Williamson, scomparso nel 2014.

In realtà, l’uscita di diversi singoli e lo split album con i Promethean Misery hanno mantenuto ben attivo il gruppo, cosicché questo nuovo Leaden Light non arriva inatteso ma costituisce ugualmente una piacevole sorpresa.
Infatti il death doom atmosferico degli Illimitable Dolor trova qui la sua ideale sublimazione, grazie ad un songwriting che in ogni suo frammento è finalizzato ad evocare emozioni struggenti, anteponendo l’aspetto melodico a qualsiasi altra sfumatura stilistica.
Ciò che ne deriva sono cinquanta minuti nel corso dei quali il genere viene offerto al suo massimo livello sconfinando sovente nel funeral a livello ritmico e mantenendo sempre al massimo la tensione emotiva.
Leaden Light, in fondo, dimostra che per scrivere un grande disco in ambito doom non serve fare voli pindarici ma è sufficiente incanalare l’ispirazione all’interno di una struttura ben delineata che non lascia spazio a divagazioni, volta com’è ad avvolgere l’ascoltatore in una cappa di malinconia che alla lunga diviene un confortevole approdo.
Gli Illimitable Dolor, che oggi al trio dei fondatori Stuart Prickett (chitarra e voce), Yonn McLaughlin (batteria e voce) e Dan Garcia (basso) aggiungono il tastierista Guy Moore, prendono il meglio delle band europee ed americane dedite al genere, vi inseriscono quella dose necessaria di plumbea drammaticità dei conterranei Mournful Congregaton e da tutto ciò fanno scaturire cinque tacce stupende, commoventi e cullanti, tra le quali spiccano l’opener Armed He Brings The Dawn, la traccia più lunga del lavoro, con la quale gli australiani avviluppano in maniera irrimediabile l’ascoltatore nelle loro spire per poi annichilirlo emotivamente con il capolavoro Horses Pale And Four, semplicemente una delle migliori dimostrazioni di funeral/death doom atmosferico ascoltate negli ultimi tempi.
Leaden Light è l’ennesimo grande disco che il genere sta offrendo in questo periodo e, ovviamente, chi ama simili sonorità non può fare a meno di gioire soprattutto quando proposte di tale livello non provengono dai nomi più noti e consolidati della scena, bensì da band relativamente nuove e sicuramente meno conosciute: la certezza che queste sonorità saranno il nostro consolatorio rifugio anche negli anni a venire, è una delle poche che ci restano di questi tempi, per cui teniamocela ben stretta …

Tracklist:
1. Armed He Brings The Dawn
2. Soil She Bears
3. Horses Pale And Four
4. Leaden Light Her Coils
5. 2.12.14

Line-up:
Stuart Prickett – Guitars, Vocals (The Slow Death, Horrisonous)
Yonn McLaughlin – Drums, Vocals (The Slow Death, Nazxul)
Dan Garcia – Bass (The Slow Death)
Guy Moore – Keyboards (ex-Elysium)

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Maestus – Deliquesce

Un atmosferico funeral doom è quanto ci offrono gli statunitensi Maestus: imponenti squarci strumentali evocativi,intrisi di romantica oscurità.

Importante e significativa seconda opera degli statunitensi Maestus, band formatasi nel 2013 e autrice nel 2015 del buon debutto Voir Dire; la materia trattata dagli artisti di Portland non è di immediata fruizione e tanto meno veloce assimilazione.

Il funeral doom offre tanto a livello sensoriale, ma come già affermato in passato, ha bisogno di dedizione, di attenzione, di una sensibilità particolare, non è per le masse ma per chi ama ascoltare con il cuore, lasciandosi travolgere da onde emotive di alto livello siano esse nostalgiche, amare, angoscianti e intrise di “extreme darkness”. Il quintetto statunitense, tra cui spicca la figura del bassista dei Pillorian, dimostra di avere buone frecce nel suo arco e in quattro lunghi brani, in media sopra i dieci minuti, propone un suono cangiante, con molte sfumature che esprimono la voglia dei musicisti di accostarsi anche ad altri suoni siano essi black e death. La band è capace di essere aggressiva e potente, ma il lato atmosferico è prevalente, l’amalgama tra le chitarre e le tastiere, suonate magnificamente da Sarah Beaulieu, raggiunge forti livelli di intensità e maestosità mantenendo alta l’attenzione e donanodoci un lavoro significativo. Ampi squarci strumentali ci rammentano quanto sia stata importante l’opera dei seminali Shape of Despair nella formazione musicale dei musicisti; il suono del piano all’inizio e alla fine della title track dona un tocco romantico a un brano estremamente coinvolgente ed evocativo. La capacità di variare l’atmosfera all’interno delle tracce, così come la versatilità dei due fratelli vocalist impreziosisce la struttura sonora mantenendo la tensione sempre alta e ricca di interesse. I cinquanta minuti di Deliquesce rappresentano la quintessenza dell’arte di una band che sta seguendo un proprio percorso, cercando una personalità definita. In definitiva i Maestus sono da seguire con attenzione e sono certo che chi ha a cuore l’ascolto di queste sonorità non mancherà l’appuntamento con la loro arte.

Tracklist
1. Deliquesce
2. Black Oake
3. The Impotence of Hope
4. Knell of Solemnity

Line-up
SP – Guitars, Keyboards, Vocals
KRP – Bass, Vocals
NK – Guitars
SB – Keyboards
CC – Drums

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Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals