BLACK LABEL SOCIETY

Il lyric video di “All That Once Shined”, dall’album “Grimmest Hits”, in uscita a gennaio (Spinefarm Records).

Il lyric video di “All That Once Shined”, dall’album “Grimmest Hits”, in uscita a gennaio (Spinefarm Records).

Inverted Serenity – As Spectres Wither

As Spectres Wither è un album che riconcilia con il metal estremo dalle ambiziose parti tecnico progressive e gli Inverted Serenity escono rinforzati nella loro già buona reputazione che li accomuna agli storici Death, leggermente più brutali ed al passo con gli anni che scorrono inesorabili, anche per il metal estremo.

Negli ultimi tempi gli album arrivati in redazione che riguardano la frangia più tecnica del death metal non mi hanno convinto più di tanto: tutti lavori ineccepibili sotto l’aspetto prettamente tecnico, ma che mancano di quel tocco compositivo in grado di passare da un’accozzaglia di funamboliche e cervellotiche articolazioni a musica estrema sostenuta da grande tecnica e contemporaneamente in grado di stringere l’ascoltatore in una morsa emotiva che non lo faccia stancare.

Se poi si parla di death metal, oscuro e brutale, l’anima progressiva deve per forza fare in modo che il songwriting mantenga una sufficiente forma canzone per essere apprezzato, ed è quello che succede con il terzo album dei deathsters canadesi Inverted Serenity.
Il quartetto torna sul mercato con As Spectres Wither, nove brani devastanti di death metal old school ma dall’anima progressiva, tecnicamente suonato al meglio e con un songwriting che mantiene quella forma canzone (come già scritto) non così scontata di questi tempi.
La musica dei nostri non esce troppo dai binari di un death metal furioso e dall’approccio tradizionale, ma si fa bello di un lavoro chitarristico sopra la media senza perdere un grammo in impatto.
Dead Dialectics dà fuoco alle polveri e quando il banco salta sono dolori, con la band che gira a mille, la velocità che incalza, gli stop & go che sono forieri di parti progressive e l’atmosfera da tregenda che viene nobilitata da spartiti ardenti sotto le note di Cornerstones e Grave.
Lunar Cradle conclude un album che riconcilia con il metal estremo dalle ambiziose parti tecnico-progressive, e gli Inverted Serenity escono rinforzati nella loro già buona reputazione che li accomuna agli storici Death, dei quali appaiono leggermente più brutali oltre che al passo con gli anni che scorrono inesorabili, anche per il metal estremo.

Tracklist
1. Dead Dialectics
2. Mitral Genesis
3. We Who Wander
4. Cornerstones
5. Paragon
6. Mechanical Gods
7. Grave
8. Lunar Cradle
9. Mountains of Stoke (Hidden Track)

Line-up
Benjamin Deveau – Drums
Drew Peacock – Guitars, Vocals
Marc-André Simard – Guitars, Vocals
Tomas Ingham – Bass, Vocals

INVERTED SERENITY – Facebook

Mistheria – Gemini

Gemini è un lavoro suggestivo, la tipica opera che va assaporata proprio come una composizione classica, e la durata tutt’altro che breve non inficia la fluidità dell’ascolto, tra scale neoclassiche, brani dal piglio power sinfonico e progressivo ed altri che lasciano le luci della ribalta ai tasti d’avorio del musicista italiano.

Quello tra metal e musica classica è un connubio che dura ormai da quasi mezzo secolo, almeno da quando i Deep Purple nel 1969 si unirono alla Royal Philarmonic Orchestra, condotta da Malcolm Arnold, per uno storico live show;
nel corso degli anni l’incontro si è verificato sempre più spesso dando vita a diversi lavori divenuti poi dei classici.

Dal metal tradizionale a quello estremo, con l’importante aiuto di molte soluzioni progressive, questa per molti sacrilega alleanza è divenuta uno splendido modo per portare la musica classica all’attenzione dei fans del metal, e viceversa.
Mistheria è un compositore e produttore italiano la cui lunga esperienza e la moltitudine di collaborazioni lo hanno portato a scrivere il suo nome su una settantina di opere, affiancando musicisti storici, autentiche leggende e nomi comunque importanti del rock/metal mondiale.
Finita la sua collaborazione con il mastodontico Vivaldi Metal Project – The Four Season, progetto che vede impegnati più di un centinaio di artisti metal e classici, si è dedicato alla stesura e composizione di Gemini, opera licenziata dall’attivissima Rockshots Records, aiutato da una manciata di musicisti della scena internazionale.
La Trans Siberian Orchestra, il nuovo volto sinfonico e classico dei Savatage, fa capolino da questa raccolta di composizioni che, come negli album del supergruppo statunitense, propone brani originali alternati a cover di brani classici, ma nel caso di Gemini in versione strumentale e più orientati ad un più accentuato neoclassicismo.
Non a caso tra gli ospiti spicca la presenza di Chris Caffery, alla chitarra insieme a Roy Z, Roger Staffelbach, Leonardo Porcheddu e Ivan Mihaljevic , di Steve Di Giorgio al basso, con Dino Fiorenza, e John Macaluso alla batteria, il tutto orchestrato da Mistheria che, oltre alle tastiere, si è occupato degli arrangiamenti.
Gemini è un lavoro suggestivo, la tipica opera che va assaporata proprio come una composizione classica, e la durata tutt’altro che breve non inficia la fluidità dell’ascolto, tra scale neoclassiche, brani dal piglio power sinfonico e progressivo ed altri che lasciano le luci della ribalta ai tasti d’avorio del musicista italiano.
Diviso in tredici brani che si possono considerare come veri e propri movimenti, Gemini troverà ottimi riscontri in chi ama tali sonorità, mentre lascerà indifferenti tutti gli altri, ma è indubbia la capacità di Mistheria nel saper far convivere le due anime principali del sound in modo fluido e armonico, regalando emozioni a più riprese.
Un lavoro impressionate che non può mancare nella discografia degli amanti del metal classico e di quello orchestrale.

Tracklist
01 – Hands Of Fire
02 – Angels In The Shadow
03 – Fight Of The Bumblebee
04 – Moonlight Sonata
05 – Air “The Day After”
06 – Devil’s Step
07 – Prayer To God
08 – Prog Fantasy
09 – Falling Stars
10 – My Dear Chopin
11 – Asturias
12 – Adagio in G minor
13 – Metal Piano Sonata op.13

Line-up
Mistheria – music, arrangements, keyboards
Roger Staffelbach – guitar
Leonardo Porcheddu – guitar
Ivan Mihaljevic – guitar
Steve Di Giorgio – bass
Dino Fiorenza – bass
John Macaluso – drums

Chris Caffery – guitar
Roy Z – guitar

MISTHERIA – Facebook

SILENT WHALE BECOMES A° DREAM – REQUIEM

Un album in cui non c’è niente da perdere,se non sé stessi. Un ascolto che nemmeno ad un muro potrebbe risultare anonimo. È una porta aperta per una stanza di cui voi decidete il contenuto,irrazionalmente. Fatevi guidare dal vento gelido di questa band in un viaggio che sfugge agli occhi indiscreti.

Il concetto di “giudizio”, divino o umano che sia, è sempre soggetto a distorsioni e mistificazioni.

E allora a spiegarcelo meglio ci pensano i francesi Silent Whale Becomes A° Dream con il loro terzo album Requiem.
Perché di giudizio si parla, nella sua accezione più pura, quella da cui nessuno può nascondersi. È quello della coscienza, e di un mondo capace di assoggettare anche i più magnanimi a sensi di colpa inesistenti.
Come nei lavori precedenti, alla band francese non servono addobbi particolari, ma bastano quattro brani per raccontare qualcosa (addirittura, in Architeuthis era solo uno). Il titolo dell’album, così come quelli delle singole canzoni, rimanda al Dies Irae, proprio una delle sequenze del Requiem. La lingua latina, oltre che madre della nostra, risulta eternamente elegante e capace di immortalare ogni sensazione, come in questo caso.
Non si lasciano scappare questi particolari i nostri amici francesi, creando un mondo in musica verso il quale si può solo mettersi comodi, ma mai passivi. 57 minuti e 46 secondi in cui il benessere sconfinato ed eterno si intreccia all’inquietudine incalzante, all’angoscia che sta in agguato e sempre fa parte di noi.
Non manca la sana malinconia, per un futuro che si compone piano piano durante l’ascolto, e la breve pausa intorno al terzo minuto del brano Recordàre assomiglia ad un profondo respiro chiarificatore.
Questo calderone di emozioni si relaziona con lo scenario, che assume qui un ruolo quasi mistico, del mare. Dal mare può provenire un pericolo, ma soprattutto proviene il giudizio, il confronto. Ispirati dal mare, i francesi producono un sound quasi elitario, sulla scia dei God is an Astronaut, solo ed esclusivamente per chi sarà paziente e capace di seguirli, ma soprattutto di seguire sé stesso.
Ma come finirà questo loro racconto? Una risposta forse possiamo trovarla nel pezzo finale Lacrymósa Dies Illa (Giorno di lacrime, quello), che si sposta senza problemi, come delle soffici onde, tra inferno, purgatorio e, dulcis in fundo, paradiso. Come negli altri brani, vi è un’esplosione improvvisa, ma stavolta ha dei connotati diversi. Stavolta possiamo percepire la grandiosità nonostante i travagli passati.
In definitiva, i Silent Whale Becomes A° Dream hanno le idee chiare pur in un percorso che si mette sempre in discussione per sua stessa natura, e forse la parola chiave adatta per i loro lavori futuri, più che “giustizia” può essere “curiosità”.

Tracklist
1.Dies Iræ, Dies Illa
2.Cor Contritum Quasi Cinis
3.Recordàre
4.Lacrymósa Dies Illa

Line-up
S.
D.
E.
M.

SILENT WHALE BECOMES A° DREAM – Facebook

Minipony – Imago

Dischi come questo mostrano quante potenzialità ancora inesplorate ci siano nella musica pesante, un viaggio che continua.

I Minipony sono un duo formatosi a Bologna nel 2012, composto da Amadeus Galiano alla chitarra ed Emilia Moncayo alla voce, campionamenti e rumore.

La loro musica è uno strano e devastante ibrido di metal sperimentale, unito ad una dose di djent e qualcosa del thrash. Infatti il thrash doveva essere il genere prescelto come indirizzo sonoro, ma alla fine è prevalsa la curiosità e la voglia di percorrere sconosciuti sentieri sonori. Il loro suono è molto all’avanguardia, un attacco sonoro con linee musicali simili a quelle dei Meshuggah, per intenderci, spesso a ritroso nel tempo, con un’aggressività notevole e molto forte. Ci sono momenti nei quali si rimane sospesi come nei dischi del gruppo svedese, anche se qui si parla di qualcosa di maggiormente influenzato da generi dalle coordinate molto tecniche. Il fatto che siano solo in due non è per nulla limitante, anzi si rivelano un piccolo esercito metallico che avanza noncurante creando stati mentali differenti. Le voci maschili e femminili si alternano in maniera molto adeguata, creando un valore aggiunto. Il mondo che questo disco di esordio va a comporre è fatto di tante storie diverse, il tutto raccontato con una musica davvero devastante e completa sotto ogni punto di vista. Lavori come questo mostrano quante potenzialità ancora inesplorate ci siano nella musica pesante, un viaggio che continua. Attualmente i Minipony si sono trasferiti in Ecuador per la composizione e produzione di un altro disco e stanno preparando anche uno spettacolo da portare in giro per il mondo.

Tracklist
1.Intro
2.MilkWithSilk
3.Finish Hanging Drain Big Red Space
4.Gatos
5.Imago
6.The Meeting
7.Dragònprincesa
8.Human Centipede
9.Elephants Walking Over Spider Webs
10.Minipony Meat

Line-up
Amadeus Galiano – guitars, drums programming
Emilia Moncayo – lyrics, vocals, sampling

MINIPONY – Facebook

Black Hole – Evil In The Dark

Evil In The Dark è un album che va lavorato non poco per apprezzarne il sound fuori dai consueti schemi: un’opera di un’originalità unica, oscura e a tratti opprimente, destinata a lasciare il segno.

I veronesi Black Hole fanno parte di quella eletta schiera di band provenienti dagli anni ottanta che si possono sicuramente considerare di culto.

Il leggendario primo album, uscito nel 1985, è ancora oggi considerato uno dei lavori più oscuri mai usciti, non solo nella nostra penisola, così come un’aura misteriosa ha sempre accompagnato il leader Robert Measles, polistrumentista, personaggio schivo e fuori dai consueti circuiti che accomunano gran parte dei musicisti.
Il loro ultimo lavoro targato 2000 non era altro che una raccolta di registrazioni datate 1988/89, poi ancora silenzio prima che l’Andromeda Relix arrivasse a licenziare Evil In The Dark, opera che raccoglie vecchie sessioni dei primi anni novanta e nuove tracce.
Detto che la formazione dei Black Hole comprende Robert Measles, alle prese con voce, tastiere e drum machine, il chitarrista Michael Sinnicus ed il batterista Robin Hell, che compare su tre tracce, ci inoltriamo tra le trame occulte ed esoteriche di questa mastodontica opera oscura intitolata Evil In The Dark e nella sua alternanza di parti doom metal, dark e new wave anni ottanta, unite a sprazzi di progressive dark rock.
Un album di difficile catalogazione, un ascolto assolutamente affascinante ma dannatamente ostico, almeno per i canoni odierni; la musica dei Black Hole, infatti, è fortemente legata ad un concetto apocalittico, a tratti da colonna sonora, in altri momenti legata da un filo di spine alla musica elettronica e alla dark wave meno commerciale, cosa che si evince specialmente nelle due parti di X Files, cuore di questo lungo viaggio in quello che è, nella sua interezza, un peregrinare tra la parte più oscura di questo drammatico nuovo millennio.
Non fatevi ingannare dall’artwork : il cimitero sconsacrato, le croci rovesciate sulle tombe, i tre loschi figuri incappucciati con le asce sporche di sangue e l’oscura fortezza sul retro non vi porteranno tra facili storielle fantasy, ma toccherete con mano la terribile paura dell’occulto e della morte, del mistero e di un futuro incerto con le fredde tastiere dal suono che si insinuerà nella vostra testa come un diabolico serpente.
Evil In The Dark è un album che va lavorato non poco per apprezzarne il sound fuori dai consueti schemi: un’opera di un’originalità unica, oscura e a tratti opprimente, destinata a lasciare il segno.

Tracklist
1.Evil in the Dark
2.Alien Woman
3.Holy Grail
4.Octopus Tenebricus
5.The Way of Unwitting
6.Astral World
7.X Files
8.X Files Part II
9.Inferi Domine
10.Dangerous Beings
11.Nightmare
12.The Final death

Line-up
Robert Measles – All instruments
Michael Sinnicus – Guitars
Robin Hell – Drums

BLACK HOLE – Facebook

Purple Hill Witch – Celestial Cemetery

Il sound proposto dal gruppo è un doom metal classico, spogliato su questo lavoro dai pochi elementi stoner presenti sul precedente e più orientato alla psichedelia, tra Black Sabbath, Pentagram e Hawkwind.

I Purple Hill Witch sono un trio norvegese attivo dal 2010 e Celestial Cemetery è il loro secondo full length, licenziato dalla The Church Within Records e successore del debutto omonimo di tre anni fa.

Il sound proposto dal gruppo è un doom metal classico, spogliato su questo lavoro dai pochi elementi stoner presenti sul precedente e più orientato alla psichedelia, tra Black Sabbath, Pentagram e Hawkwind.
Una quarantina di minuti viaggiando dentro ad allucinanti storie di streghe, sinistri paesaggi medievali e terre oscure, un lento inoltrarsi in riti secolari con il tempo battuto da un basso pulsante, mentre la sei corde vola tra nuvoloni tempestosi, cieli oscurati dal terrore, mentre la liturgia metallica impartisce sfumature retrò, mistiche ed occulte.
Ghouls In Leather apre le danze, monumentali riff si scontrano con le atmosfere psycho rock di cui il sound dei Purple Hill Witch è pregno, mentre la title track è strutturata su un andamento più classicamente sabbathiano, con la voce che mantiene il tono evocativo classico del genere.
Around The Universe e la conclusiva Burnt Offerings confermano la devozione del trio per il sound dei gruppi citati in precedenza, non smuovendosi di un centimetro dal muro sonoro dei primi brani ed arrivando al termine senza grossi cedimenti ma neppure sorprese.

Tracklist
1. Ghouls in Leather
2. Harbinger of Death
3. Celestial Cemetery
4. Around the Universe
5. Menticide
6. The First Encounter
7. Burnt Offering

Line-up
Kristian – Guitar & Vocals
Andreas – Bass
Øyvind – Drums

PURPLE HILL WITCH – Facebook

L’Infinito Abisso Dell’Anima – In Viva Morte Morta Vita Vivo

Ciò che viene offerto dalla coppia di musicisti è un black atmosferico e depressivo dalla notevole intensità, cantato in italiano, e con un senso melodico sempre ben presente anche quando i ritmi si fanno più incalzanti.

L’Infinito Abisso Dell’Anima è un duo bergamasco formato da Ivan Bonomi e Vito Burini, al passo d’esordio con questo ottimo In Viva Morte Morta Vita Vivo.

Ciò che viene offerto dalla coppia di musicisti è un black atmosferico e depressivo dalla notevole intensità, cantato in italiano e quindi dai testi più facilmente comprensibili nonostante siano declamati per lo più tramite uno screaming in linea con il genere, alternato sovente ad un declamatoria voce pulita.
Se a livello lirico il lavoro talvolta tende ad eccedere in enfasi, nel tentativo di descrivere in maniera quanto mai esplicita un male di vivere che sfocia infine in una morte dai connotati liberatori, l’aspetto musicale è oltremodo convincente perché vengono superati brillantemente certi minimalismi del depressive black, pur mantenendone le linee guida essenziali.
E’ appunto grazie a questo che l’operato dei due spicca sulla concorrenza, proprio perché la tensione nel lavoro è costantemente alta, grazie al contributo di un senso melodico sempre ben presente anche quando i ritmi si fanno più incalzanti.
L’aforisma di Giordano Bruno che dà il titolo all’album ben inquadra gli intenti ed il sentire che vengono riversati senza pausa nel lavoro e, alla fine, i cinque brani attestati su nove minuti medi di durata coinvolgono adeguatamente, restituendo tutto il disagio che viene espresso tramite il suo genere musicale d’elezione, del quale vengono esaltate, come detto, le caratteristiche salienti, incluso il ricorso ad una produzione non limpidissima.
A livello personale ritengo che il lavoro offra il meglio all’inizio ed alla fine, con l’apertura di grande impatto affidata a Condannato All’Oblio e la chiusura improntata sul cupo e più rallentato incedere di Vertigini, dove l’intensità creata dal connubio tra le due voci raggiunge picchi notevoli, ma gli episodi centrali si rivelano tutt’altro che marginali od inferiori, essendo ovviamente fondamentali per comprensione e la condivisone della poetica che pervade l’intero album.
Chi ama questo tipo di approccio e di sonorità si può avvicinare, quindi, senza indugi a questa prima opera firmata L’Infinito Abisso Dell’Anima.

Tracklist:
1. Condannato All’Oblio
2. Spiragli D’Ombra
3. Quello Che Resta
4. Nenia
5. Vertigini

Line-up:
Ivan Bonomi: vocals, desperation, keyboards and lyrics
Vito Burini: guitars, bass, vocals and lyrics

L’INFINITO ABISSO DELL’ANIMA – Facebook

RUXT – 2/12/2017 – L’Angelo Azzurro

Sabato 2 dicembre, presso L’Angelo Azzurro Club di Genova-Borzoli, i RUXT presenteranno al pubblico il nuovo album Running Out Of Time.

Sabato 2 dicembre, presso L’Angelo Azzurro Club di Genova-Borzoli, i RUXT presenteranno al pubblico il nuovo album Running Out Of Time.

Misto – Helios

La giusta durata che non lascia spazio alla prolissità è un valore aggiunto alla fruibilità dell’opera, così che Helios si possa apprezzare nella sua interezza, mentre le onde si placano ed il nostro mare torna placido sulle ultime note di Time To Destroy My Life Capsule.

La musica di Misto è come il mare su cui si affaccia la sua città, Genova.

Da calma e tranquilla si increspa irrequieta o diventa impetuosa come le lunghe onde quando i venti soffiano forti , per poi tornare a dormire e, sonnecchiando, cullare la mente e il fisico di noi che da essa ci nutriamo, avidi di note.
Misto è il progetto solista del polistrumentista Mirko Viscuso, al secondo lavoro dopo l’ep Infinite Mirrors, licenziato lo scorso anno.
Parliamo di post rock strumentale, dall’anima progressiva e a tratti introspettivo, poetico ed incline ad un leggero mood psichedelico che lo rende misterioso, liquido e molto affascinante, proprio come il mare e come tale soggetto a repentini cambi di umore, in un vortice di tempi che non danno una precisa identità al sound, ma variano e si alternano, tra rock ed elettronica con  le burrasche elettriche che  agitano lo spartito avvicinandosi al post metal (Set Your Farearms Against The Sun).
Ma come per il mare, passata la tempesta si torna in armonia prima che attimi di musica dalle reminiscenze pinkfloydiane valorizzino la bellissima title track.
Helios è un lavoro strumentale che, come ci hanno abituato le giovani generazioni di musicisti, lascia da parte ogni forma di autocompiacimento tecnico a favore di un approccio emotivo altissimo: la giusta durata che non lascia spazio alla prolissità è un valore aggiunto alla fruibilità dell’opera, così che Helios si possa apprezzare nella sua interezza, mentre le onde si placano ed il nostro mare torna placido sulle ultime note di Time To Destroy My Life Capsule.

Tracklist
1.Buried Under Remote Lands
2.Polemic Guy Wants To Fight
3.Daffodils Crashing Into The Water
4.Set Your Firearms Against The Sun
5.Helios
6.Time To Destroy My Life Capsule

Line-up
Mirko Viscuso – All instruments

MISTO – Facebook

Hyrgal – Serpentine

La fertile scena black metal francese fa scaturire dai suoi più reconditi anfratti gli Hyrgal, al loro esordio con questo interessante Serpentine.

La fertile scena black metal francese fa scaturire dai suoi più reconditi anfratti gli Hyrgal, al loro esordio con questo interessante Serpentine.

Il trio di Bordeaux si muove nei solchi tracciati dai principali gruppi transalpini, nel senso che ben difficilmente in quelle lande troveremo un’adesione fedele ai dettami originari del genere, bensì un approccio più obliquo e talvolta (anche troppo) sperimentale.
Gli Hyrgal provano con successo a intraprendere una via intermedia, non rinnegando le basi canoniche del genere ma infiorettandole  delle giuste atmosfere senza disdegnare declivi che portano con successo a certo post black o, comunque, a sonorità più aperte e sognanti che sono caratteristica rinvenibile più facilmente al di là dell’Atlantico.
Ma tutto sommato gli scenari offerti dalle foreste del Canada o degli stati più settentrionali degli USA non sono così dissimili dai paesaggi alpini che entrano con forza nell’immaginario lirico e musicale dei nostri: in tal senso questa vicinanza produce gli effetti desiderati, grazie anche ad un prestazione complessiva di grande spessore che trova, per esempio, una testimonianza eloquente nella splendida Mouroir, traccia contraddistinta da un constante crescendo ritmico ed emotivo, ma non è certo da sottovalutare l’impatto di una Aux Diktats de l’Instinct, incalzante quasi fino all’asfissia.
Il trio aquitano convince con una prestazione solida e puntuale, dalla base ritmica incessante (Quentin Aberne,  basso, ed Emmanuel Zuccaro, batteria) alla prova del vocalist e chitarrista Clément Flandrois, capace di offrire pregevoli assoli nel brano di punta Etrusca Discipina, posto in chiusura del lavoro a suggellare la bontà dell’operato degli Hyrgal con un’apprezzabile varietà ritmica ed atmosferica; del resto la combinazione tra il genere, la provenienza geografica e l’etichetta responsabile dell’immissione sul mercato (la Naturmacht) era già di per sé garanzia di qualità per un buon 50%, per il resto tutto il merito va ai bravi e consigliati Hyrgal.

Tracklist:
I – L’Appel
II – Mouroir
III- Till
IV – Représailles
V – Aux Diktats de l’Instinct
VI – Rite
VII – Etrusca Disciplina

Line-up
Clément Flandrois – Vocals, Guitars
Quentin Aberne – Bass
Emmanuel Zuccaro – Drums

HYRGAL – Facebook

Urarv – AURUM

Aldrahn, il carismatico leader, afferma “we’re traveling to remote regions of metal music and mental space with this music”. Sono sicuramente sulla buona strada!

La faccia moderna del black metal è quella mostrata dai norvegesi Urarv che esordiscono, dopo un demo del 2016, con Aurum per la Svart Records: band nuova, ma capitanata da una “vecchia” conoscenza come Aldrahn, con illustre passato alle vocals e alle chitarre in Thorns, Dodheimsgard di Kronet Till Longe, Monumental Possession, A Umbra Omega senza dimenticare gli Zyklon-B.

Tutte band di alto livello alle prese con le diverse sfaccettature del black, dall’avantgarde all’ industrial e anche il nuovo progetto proclama con fierezza che l’arte nera ha sempre e ancora molto da dire. Opera potente, a suo modo visionaria, che in otto brani devastanti mostra sotto la superficie tante particolarità che possono essere colte dopo ripetute frequentazioni del disco; i ritmi martellanti carichi di tensione di Ancient DNA fanno da impalcatura per le linee melodiche nervose e spigolose della chitarra e le vocals, vero trademark, passano da veri e propri ululati a scenari deliranti, scagliando invettive piene di sinistro odio. Aldrahn ha un suo particolare stile, non è uno scream classico, ha una capacità interpretativa magnetica che identifica e rende peculiare ogni brano; in Broken Wand le linee vocali sono malevole e per niente rassicuranti, trascinando l’ascoltatore verso un abisso profondo, mentre la musica prodotta dal trio (Sturt al basso e Trish alla batteria) cavalca impetuosa per ricercare “uncharted territories”.
L’ inizio terremotante di Guru, nel suo impressionante divenire, scaglia proiettili incandescenti che annichiliscono il non prudente ascoltatore; le atmosfere gelide di Valens Tempel ricordano pagine indelebili del miglior black nordico, ma proiettano anche il suono verso spazi inesplorati, con vocals istrioniche e cangianti.
I nove minuti della finale Red Circle sublimano la ricerca sonora della band, con un suono teso, carico, dove la linea melodica si deve ricercare nel profondo della struttura e non affiora mai in superficie.
Band strana al di fuori dei normali canoni del genere, ma affascinante nella sua ricerca di un suono personale: credo però che il meglio debba ancora arrivare!

Tracklist
1. Forvitringstid
2. Ancient DNA
3. The Retortion
4. Broken Wand
5. Guru
6. Valens Tempel
7. Fancy Daggers
8. Red Circle

Line-up
Aldrahn – Guitars, Vocals
Sturt – Bass
Trish – Drums

URARV – Facebook

FRAGARAK

Il video di Alucinari IV – The Fall, dall’album A Spectral Oblivion'(Transcending Obscurity).

Il video di Alucinari IV – The Fall, dall’album A Spectral Oblivion'(Transcending Obscurity).

Damnation Defaced – Invader From Beyond

Sviluppato su una quarantina di minuti, il terzo lavoro dei Damnation Defaced scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici, valorizzati dal lavoro in sala del guru svedese Dan Swanö.

I tedeschi Damnation Defaced pubblicano un album death metal molto ispirato, il terzo sulla lunga distanza  intitolato Invader From Beyond, che alterna e amalgama la tradizione old school con il filone melodico e progressivo.

La presenza in studio di registrazione di uno come Dan Swanö è garanzia di qualità, e grazie alle cure del produttore e musicista svedese anche il nuovo lavoro del gruppo tedesco trova un equilibrio melodico di spessore, incastonato tra death metal brutale e parti progressive, con l’uso di synth e tasti d’avorio, se non in abbondanza, almeno presenti il giusto per donare un tocco di eleganza all’estremo attacco dall’aldilà.
Invader From Beyond gioca le sue carte così, senza mai affondare il colpo né dal lato melodico né da quello estremo, riuscendo a mantenere un continuo bilanciamento tra il death alla Bolt Thrower e quello melodico scandinavo, con un mood epico e prog che. senza andare a parare nelle realtà a firma Swanö, ci regala ottima musica estrema melodica.
Sviluppato su una quarantina di minuti l’album scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici che fanno da tappeto e struttura a bombe come Goddess Of Machines, The Observers, la diretta Back From Apathy e la progressiva Embraced By Infinity.
Invader From Beyond è una buona prova che vive anche del buon impatto di un gruppo al suo terzo lavoro, di solito quello della verità, e i Damnation Defaced le loro carte se le sono giocate al meglio.

Tracklist
01. NIOM: 004D004F0049004E
02. Goddess Of Machines
03. Invader From Beyond
04. Mark Of Cain
05. The Observer
06. The Key To Your Voice
07. Rendezvous With Destiny
08. All Comes To Its End
09. Back From Apathy
10. The Creator’s Fall
11. Embraced By Infinity

Line-up
Philipp Bischoff – Vocals
Lutz Gudehus – Guitar
Lutz Neeman – Guitar
Lucas Katzmann – Drums
Kim-Patrick Friedrichs – Bass

DAMNATION DEFACED – Facebook

KREATOR

Il video di ‘Hail To The Hordes’, dall’album “Gods Of Violence” (Nuclear Blast).

Il video di ‘Hail To The Hordes’, dall’album “Gods Of Violence” (Nuclear Blast).

W.E.B. – Tartarus

Gli W.E.B. hanno alle spalle una storia ultradecennale che farebbe presupporre un percorso leggermente più personale, anche se sarebbe riduttivo considerare il symphonic/dark black del gruppo una semplice fotocopia dei più famosi Septicflesh.

Se è sicuramente lecito per qualsiasi band trarre ispirazione dai Septicflesh dell’ultimo decennio, ovvero quelli della fase sinfonico orchestrale, lo è ancora di più se a farlo è un gruppo greco.

Gli W.E.B. però non sono agli esordi, ma hanno alle spalle una storia ultradecennale che farebbe presupporre un percorso leggermente più personale, anche se il symphonic/dark black del combo guidato da Darkface (Sakis Prekas) può essere considerato derivativo ma non una vera e propria fotocopia.
Tartarus, quarto full length della band ateniese, è un lavoro formalmente ineccepibile e si capisce che i musicisti coinvolti sono esperti e ben addentro la materia ma, a lungo andare, emerge il reale problema che opacizza il lavoro cioè la mancanza del guizzo, il classico tocco del campione che decide la gara o la genialità dello scultore che dà vita alla materia inerte.
Alla fine dell’ascolto, la title track , posizionata in scaletta subito dopo l’intro, resta il brano più ficcante e riuscito, mentre le restanti tracce sono apprezzabili per la loro adesione precisa ad uno stile compositivo certo non di banale riproposizione.
La trilogia finale Thanatos, comprensiva dell’imprimatur fornito dell’intervento vocale di Sotiris Vayenas nella sua prima parte Golgotha, conferma le impressioni destate fino a quel momento, ovvero che gli W.E.B. siano destinati a restare interpreti credibili ma inevitabilmente sbiaditi del sound caratteristico dei Septicflesh: un qualcosa, come detto, ugualmente apprezzabile, ma dagli sbocchi limitati se a farlo è una band in pista ormai da molti anni.

Tracklist:
1. Where Everything Begun
2. Tartarus
3. Ave Solaris
4. Dragona
5. I, the Bornless
6. Morphine for Saints
7. Cosmos in Flames
8. Thanatos Part I – Golgotha
9. Thanatos Part II – Epitaphios
10. Thanatos Part III – Mnemosynon

Line-up
Darkface – Vocals, Guitars
Petros Elathan – Bass
Sextus Argieous Maximus – Guitars
Nikitas Mandolas – Drums

W.E.B. – Facebook

Silenzio Profondo – Silenzio Profondo

Silenzio Profondo è un album riuscito, perfetto nell’uso del cantato italiano, potente e melodico il giusto per fare breccia nei nuovi e vecchi fans dell’heavy metal.

Giungono al debutto sulla lunga distanza i lombardi Silenzio Profondo, tramite l’attivissima Andromeda Relix che, come dal cilindro di un mago, estrae sempre ottime realtà dalla scena metal/rock nazionale.

Questa volta si parla di heavy metal potenziato da scudisciate thrash e cantato in lingua madre: la band ha da poco festeggiato i dieci anni di attività tra vari problemi di line up ed un terzetto di lavori costituiti dall’ep del 2007 Iniziando a Sperare, Alias uscito due anni dopo, ed Heartquake licenziato nel 2011.
Sei lunghi anni e finalmente, dopo ancora vari avvicendamenti in formazione, Silenzio Profondo arriva a confermare che le fatiche del gruppo non sono state vane, con otto brani di metal tra tradizione e modernità che l’idioma italiano avvicina a band storiche come gli IN.SI.DIA, anche se musicalmente parlando i nostri seguono la strada dell’heavy classico, lasciando al thrash metal solo qualche accelerazione e qualche ritmica di stampo groove che rappresenta la parte moderna del sound.
Prodotto e registrato professionalmente, Silenzio Profondo non lascia dubbi sulla buona tecnica del quintetto e sul sound che, pur cantato in italiano. riesce a mantenere un’ottima coesione con la musica, grazie a ritornelli melodici ed un impatto che rimane alto per tutta la durata di un album composto da brani medio lunghi.
Il tempo trascorso ha fatto crescere il gruppo mantovano che, oltre ad una notevole grinta, mette sul piatto l’esperienza e l’attitudine giusta per dare a brani di classico metallo pesante come l’opener Senz’anima, la maideniana A Stretto Contatto, la cavalcata Terzo Millennio e la metallica Donna Senza Testa la giusta atmosfera per non considerare Silenzio Profondo un album old school, bensì un lavoro di metal ben saldo nel nuovo secolo.
La title track è un crescendo che torna a far parlare di Maiden e che chiude un disco riuscito, perfetto nell’uso del cantato italiano, potente e melodico il giusto per fare breccia nei nuovi e vecchi fans dell’heavy metal.

Tracklist
1.Senz’anima
2.A stretto contatto
3.Terzo millennio
4.Fragile
5.Jack Daniel’s
6.Fuga dalla morte
7.Donna senza testa
8.Silenzio Profondo

Line-up
Maurizio Serafini – Vocals
Gianluca Molinari – Guitars
Manuel Rizzolo – Guitars
Tommaso Bianconi – Bass
Alessandro Davolio – Drums

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Mercyless – Coloured Funeral

L’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.

La debordante death metal band francese chiamata Mercyless è tornata da qualche anno a devastare palchi e padiglioni auricolari, prima con Unholy Black Splendor, uscito nel 2011 dopo tredici anni di silenzio (l’ultimo album di inediti licenziato risaliva infatti al 2000 e si intitolava Sure To Be Pure) e lo scorso anno con l’ottimo Pathetic Divinity.

Il 2017  ha visto la band impegnata in vari progetti minori ed ora arriva questa notevole iniziativa da parte della Xenokorp, ristampa il capolavoro del gruppo, quel Coloured Funeral uscito originariamente nel lontano 1993 e che risulta il cuore compositivo dei Mercyless, all’epoca sul mercato con quattro lavori in otto anni, dal 1992 anno di uscita del primo Abject Offerings, fino al 2000 ed alla pubblicazione Sure To Be Pure.
In mezzo il gruppo transalpino sparò due atomiche di death metal che oggi chiamiamo old school ma a quei tempi era il sound che regnava sul mercato estremo, scalfito dalla furia black metal che dalla Scandinavia scendeva verso l’Europa meridionale a colpi di chiese bruciate, omicidi e suicidi più o meno famosi.
Coloured Funeral e C.O.L.D (1996) sono sicuramente il meglio della produzione del gruppo, qui davvero sopra le righe con un lavoro che nulla aveva da invidiare ai gruppi storici e ai relativi lavori che hanno fatto scuola.
Prodotto da Colin Richardson, all’epoca guru del death metal mondiale, l’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.
Mirrors Of Melancholy, la tellurica Forgotten Fragments e Serenades (Into Your Limbs) sono brani di una bellezza estrema sconvolgente, con la band che non sfigurava di certo al cospetto di colleghi illustri come Asphyx, Morbid Angel ed Immolation, esibendo una sua precisa identità che lo rende ancor oggi un gruppo di primo piano anche se meno conosciuto rispetto a molti nomi contemporanei.
Se vi siete persi Coloured Funeral ai tempi avete la possibilità di rimediare, mentre se siete giovani e volete conoscere la storia del genere l’album è sicuramente un acquisto consigliato.

Tracklist
1. Spiral of Flowers
2. Mirrors of Melancholy
3. Travel Through a Strange Emotion
4. Forgotten Fragments
5. Contemplations
6. Agrazabeth
7. Serenades… (into Your Limbs)
8. Naked Forms
9. Beyond God

Line-up
Stéphane Viard – Guitars (lead)
Max Otero – Vocals, Guitars
Gerald Guenzi – Drums
Rade Radojcic – Bass

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