Ian Gillan & The Javelins – Ian Gillan & The Javelins

L’atmosfera che si respira è quella di un fumoso locale sul cui piccolo palco un gruppo di vecchi amici regala una performance da custodire gelosamente tra i ricordi più belli ed emozionanti.

Il rock, quello primigenio sviluppatosi in America negli anni cinquanta e poi nella vecchia Europa con il decennio successivo, torna a circolare nelle vene di un mostro sacro come Ian Gillan, che intorno a primi anni sessanta se ne andava in giro per locali con i The Javelins a suonare Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Buddy Holly e compagnia di pionieri di una musica ed uno stile di vita che hanno marchiato a fuoco il secolo scorso.

Ora, alla veneranda età di settantatré anni, lo storico singer dei Deep Purple nonché uno dei più grandi artisti della storia del rock, torna con la sua prima band e ci regala una raccolta di cover che di questa musica hanno fatto la storia.
Un pezzo importante della storia di Ian Gillan passa da qui: prima di diventare una delle icone dell’hard rock, il vocalist si ritrovava con Gordon Fairminer, Tony Tacon, Tony Whitfield e Keith Roach a suonare rock ‘n’ roll e ora, rimessi occhialoni da sole e giacca d’ordinanza e con l’aiuto di Don Airey alle tastiere, ci travolge con questo splendido lavoro, con il quale si diverte e fa divertire.
Impossibile, almeno per chi ha superato abbondantemente il mezzo secolo di vita, non riconoscere brani del calibro di Do You Love Me o Rock And Roll Music e Chains, portati al successo dai Beatles negli anni sessanta, canzoni che hanno influenzato e continuano ad influenzare generazioni di musicisti in una sorta di immortalità artistica che non conosce secoli e nuovi millenni.
L’album è stato registrato in cinque giorni ad Amburgo questa primavera e vede la luce tramite la earMusic: l’atmosfera che si respira è quella di un fumoso locale sul cui piccolo palco un gruppo di vecchi amici regala una performance da custodire gelosamente tra i ricordi più belli ed emozionanti.

Tracklist
01. Do You Love Me
02. Dream Baby (How Long Must I Dream)
03. Memphis, Tennessee
04. Little Egypt (Ying-Yang)
05. High School Confidential
06. It’s So Easy!
07. Save The Last Dance For Me
08. Rock and Roll Music
09. Chains
10. Another Saturday Night
11. You’re Gonna Ruin Me Baby
12. Smokestack Lightnin’
13. Hallelujah I Love Her So
14. Heartbeat
15. What I’d Say
16. Mona (I Need You Baby)

Line-up
Ian Gillan – Voicals
Gordon Fairminer – Lead guitar
Tony Tacon – Rhythm guitar
Tony Whitfield – Bass
Keith Roach – Drums

IAN GILLAN – Facebook

Phalloplasty/Slamophiliac – This Split Sucks

Due esempi di brutale violenza in musica, molto simili tra loro e quindi tutti e due da annoverare tra le proposte di nicchia del mercato estremo underground statunitense: per gli amanti dello splatter gore musicale questo dovrebbe risultare comunque uno split interessante.

La CDN Records, con questo violentissimo split ,ci presenta due one man band statunitensi dedite al brutal death metal e al gore grind: i Phalloplasty e gli Slamophiliac.

Quattro devastanti brani a testa per un concentrato di operazioni chirurgiche, violenze e torture varie, un decadente e brutale esempio di perversione in musica che ha in Zack “Plasty” Shaw, in arte Phalloplasty, il primo esempio di totale e folle decadimento.
Il polistrumentista proveniente da Las Vegas ha iniziato la sua attività nel 2010 ed in otto anni ha dato alle stampe tre lavori sulla lunga distanza più un buon numero di ep e split: il suo approccio al genere è malatissimo ed insano, con un brutal death metal dai rimandi grind e gore per un assalto frontale che risulta puro delirio estremo.
Non sfigura sicuramente al suo cospetto Darryn Palmer, alle prese con altri quattro esempi di assalto senza compromessi firmato Slamophilliac.
Nominare i titoli di questi quattro deliri, tra torture, arti tagliati e sangue a go go rimane superfluo, ed anche per gli Slamophiliac vale il discorso del suo compare di torture e violenze varie.
Attivo dal 2013, in meno di cinque anni il nostro torturatore seriale ha licenziato otto album di cui Slam Rehab è l’ultimo abominevole parto targato 2017, più una serie di split ed ep per una discografia davvero imponente visto il poco tempo trascorso.
Due esempi di brutale violenza in musica, molto simili tra loro e quindi tutti e due da annoverare tra le proposte di nicchia del mercato estremo underground statunitense: per gli amanti dello splatter gore musicale questo dovrebbe essere uno split interessante, mentre gli altri ne stiano alla larga per non dover raccogliere le proprie viscere sparse sul pavimento di una cantina dai muri color porpora.

Tracklist
1.Phalloplasty – A Glorious Symphony Of Grinding Teeth
2.Phalloplasty – Ball Peen 2017
3.Phalloplasty – Psychosomatic Putrification
4.Phalloplasty – The Architecture Of Suffering
5.Slamophiliac – Imprisoned Within Reflective Glass
6.Slamophiliac – Cadaverous Flesh Revered
7.Slamophiliac – Immersed in Fecal Opulence
8.Slamophiliac – Mallet

Line-up
Phalloplasty:
Zack “Plasty” Shaw – All Instruments

Slamophiliac:
Darryn Palmer – All Instruments

PHALLOPLASTY – Facebook

SLAMOPHILIAC – Facebook

Death SS – Rock ‘N’ Roll Armageddon

Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Torna quella che probabilmente è la più grande e leggendaria metal band che il nostro paese possa vantare, essendo peraltro fonte di ispirazione da quarant’anni per una moltitudine di band dislocate in ogni parte del mondo.

Steve Sylvester questa volta è stato perfetto, donando a tempo debito un album che riassume in tredici brani la storia musicale della sua mostruosa creatura, un camaleonte musicale che non ha mai offerto un album uguale all’altro, rimettendosi in gioco ad ogni occasione a seconda dell’ispirazione del momento.
Una cosa è certa: i Death SS tornano sul luogo del delitto, come zombie famelici fagocitano il loro capolavoro più conosciuto (Heavy Demons) che al lor interno si rigenera e rinasce sotto forma di un’opera che è una sorta di ideale summa di tutta la produzione passata..
L’immagine del gruppo segue i binari delle primarie fonti di ispirazione per lo storico leader (Kiss) e da qui si può partire per descrivere un album che principalmente guarda all’hard & heavy, ma che lascia spazio ad una miriade di dettagli e sfumature.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è una caduta nel baratro senza fine del mondo dei Death SS: horror rock, dark, glam, heavy metal, hard rock e pulsioni moderniste e apocalittiche accompagnano una tracklist che profuma di incenso e di metal anni ottanta, un turbine di sensazioni che solo Steve Sylvester sa dosare prima di colpire al cuore dei suoi fans.
Oltre la line up ufficiale, che vede il chitarrista Al De Noble, il bassista Glenn Strange, il tastierista Freddy Delirio e il batterista Bozo Wolff accompagnare il leader supremo, si torna ad ascoltare la chitarra di Al Priest, membro del gruppo ai tempi di Heavy Demons (presente sul disco in veste di ospite in compagnia di Giulio “Ghiulz” Borroni dei Bulldozer).
Black Soul ci da il benvenuto avvolgendoci in un’atmosfera horror, seguita dalla title track della quale abbiamo ascoltato il devastante impatto ottantiano nel periodo che ha anticipato l’uscita del disco.
Il gruppo usa praticamente tutte le armi a sua disposizione, senza smarrire un’oncia di quell’ipnotica atmosfera epico/horror e teatrale di cui è maestro: Sylvester, non da meno, sciorina una prestazione da incorniciare e i brani da ricordare si sprecano, con Slaughterhouse, Creature Of The Night e The Glory Of The Hawk a prendersi il podio, almeno dopo i primi ascolti.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Tracklist
1.Black Soul
2.Rock ‘N’ Roll Armageddon
3.Hellish Knights
4.Slaughterhouse
5.Creature Of The Night
6.Madness Of Love
7.Promised Land
8.Zombie Massacre
9.The Fourth Reich
10.Witches Dance
11.Your Life Is Now
12.The Glory Of The Hawk
13.Forever

Line-up
Steve Sylvester – Vocals (lead)
Freddy Delirio – Keyboards
Glenn Strange – Bass
Al De Noble – Guitars
Bozo Wolff – Drums

DEATH SS – Facebook

Pyre – Human Hecatomb

Il quartetto di San Pietroburgo suona death old school e Human Hecatomb è un deflagrante esempio di metal estremo che esplode dalle casse con una forza dirompente.

La Redefining Darkness Records ristampa questo ottimo lavoro uscito originariamente nel 2014 e del quale ci eravamo occupati a suo tempo sulle pagine metal di In Your Eyes.

La band in questione si chiama Pyre, proviene dalla Russia e questo Human Hecatomb risulta per ora il loro unico full length all’interno di una discografia che comprende anche un ep e un paio di split.
La nuova edizione dell’album contiene molti contenuti speciali, tra cui una manciata di demo mai pubblicati e la cover di Nocturnal Hell dei canadesi Slaughter.
Il quartetto di San Pietroburgo suona death old school e Human Hecatomb è un deflagrante esempio di metal estremo che esplode dalle casse con una forza dirompente.
Stop and go a iosa, rallentamenti pesanti come macigni ed un growl echeggiante come nelle produzioni di vent’anni fa, fanno di questo lavoro un monolite sonoro, con il gruppo che dimostra di aver imparato perfettamente la lezione dei maestri le cui opere nascevano nell’oscurità dei primi anni novanta.
Le due scuole principali, scandinava e statunitense, sono ben rappresentate nel sound di questo lavoro con Entombed e Dismember da una parte ed Obituary dall’altra, ma potrei nominarvi almeno una decina di gruppi che hanno fatto la storia del genere e che vengono rappresentate con la giusta personalità dai Pyre.
I momenti salienti di questo lavoro sono sicuramente l’opener Mercyless Death, Flesh To Poles e la conclusiva Disturbia che lascia spazio ai contenuti extra che valorizzano ancora di più questa ristampa.
Inutile dire che se vi siete persi la prima pubblicazione, ora la Redefining Darkness Records vi regala l’occasione per rimediare, approfittatene.

Tracklist
1.Merciless Death
2.Far beyond The Unknown
3.Last Nail In Your Coffin
4.Possessed
5.Flesh To Poles
6.Under The Death Reign
7.We Came To Spill Thy Blood
8.Cursed Bloodline
9.Disturbia
10.Far Beyond The Unknown (demo)
11.Flesh To Poles (demo)
12.Cursed Bloodline (demo)
13.We Came To Spill Thy Blood (demo)
14.Nocturnal Hell (Slaughter cover)

Line-up
Dym Nox – Bass, Vocals
Kannib Maledik – Drums
Roman Rotten – Guitars
Fred Obsinner – Guitars

PYRE – Facebook

Opprobrium – Supernatural Death

Il duo della Louisiana ci investe con la sua furia, i ritmi serratissimi, i mid tempo rocciosi e le cavalcate devastanti che portano alle band storiche del genere, quelle che a metà degli anni ottanta muovevano i primi passi nel mondo del metal estremo.

Nuova riedizione di Supernatural Death degli Opprobrium, compilation a cura della Brutal Records, uscita originariamente un paio di anni fa.

La band della Louisiana, conosciuta dal 1986 come Incubus, cambiò monicker nel 1999 e nel 2000 esordì con l’album Discerning Forces, seguito da altri quattro lavori, l’ultimo licenziato nel 2016 ed intitolato Serpent Temptation
Il duo è composto da Moyses M.Howard alla batteria e Francis M.Howard alla chitarra e voce: il sound tracima violenza death/thrash come da tradizione, quindi siamo nel metal estremo di metà anni ottanta.
Il duo di Metairie ci investe con la sua furia, i ritmi serratissimi, i mid tempo rocciosi e le cavalcate devastanti che portano alle band storiche del genere, quelle che a metà degli anni ottanta muovevano i primi passi nel mondo del metal estremo.
Gli Slayer sono la band alla quale il duo si rapporta, anche se alcune soluzioni più death metal oriented sono ispirate dai primissimi Obituary e la produzione risulta in linea con la proposta old school del combo in un delirante massacro estremo.
Sessanta minuti sono tanti per un sound che non si discosta dalla solita formula, anche se una manciata di brani alza il valore di questa compilation (Voices From The Grave, Underground Killer, Sadistic Sinner ed Hell’s Fire).
Quella del gruppo statunitense è una proposta adatta solo ed esclusivamente ai fans del death/thrash metal vecchia scuola, uno dei generi underground per antonomasia, ma se vi piacciono i primissimi Slayer un ascolto è d’obbligo.

Tracklist
1. The Battle Of Armageddon
2. Voices From The Grave
3. Blaspheming Prophets
4. Underground Killer
5. Serpent Temptation
6. Hunger For Power
7. Blind Vengeance
8. Sadistic Sinner
9. Rigor Mortis
10. Cataleptic
11. Hell’S Fire
12. Assault
13. Incubus
14. Death
15. Curse Of The Damned City
16. Fear Of The Unknown

Line-up
Moyses M.Howard – Drums
Francis M.Howard – Guitars, Vocals

OPPROBRIUM – Facebook

Alice Cooper – A Paranormal Evening – Live at the Olympia, Paris

Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Ennesima celebrazione per quella leggenda vivente che di nome fa Vincent Damon Furnier ma che tutti conoscono nei panni di Alice Cooper, da quarant’anni uno degli artisti più amati della storia del rock e del metal.

Le vicende personali e la sua storia artistica fanno parte integrante del nostro mondo e fa piacere trovare la strega Alice ancora in ottima forma a settant’anni suonati, con un nuovo album licenziato lo scorso anno (Paranormal) e ora questo live che ne immortala le gesta nello show tenuto all’Olympia di Parigi.
Ritrovata una nuova giovinezza con la partecipazione nella super band Hollywood Vampires e altre collaborazioni, lo zio Alice non ci pensa neppure ad abdicare tenendosi ben stretta la corona di sovrano del rock teatrale e granguignolesco che egli stesso ha portato al successo con live spettacolari e album che sono scritti a caratteri cubitali nella storia del rock.
Rock’n’roll, hard rock, glam, heavy metal: Alice Cooper ha dettato le regole di questi generi, li ha modellati a suo piacimento e ci ha costruito sopra una carriera inimitabile diventando un’ispirazione primaria per generazioni di musicisti.
A Paranormal Evening At The Olympia Paris segue un programma ben collaudato, con una scaletta perfetta tra grandi classici e nuovi brani che ripercorrono la carriera di questo grande artista.
Per chi, almeno una volta, ha visto Alice Cooper dal vivo sa che la spettacolarità dell’evento è pari alla lista di grandi canzoni di cui l’artista statunitense dispone: I’m Eighteen, Under My Wheels, School’s Out, No More Mr. Nice Guy, Billion Dollar Babies, Poison, fino alle più moderne Brutal Planet e Woman Of Mass Destruction.
La band, composta da Nita Strauss, Tommy Henriksen e Ryan Roxie alle chitarre, dal bassista Chuck Garric e dal batterista Glen Sobel, asseconda con perizia i vari passaggi imposti dai generi che Cooper tocca con la sua musica, potenti quando serve, classicamente heavy e perfetti nel rock energico di cui si compongono le tracce più datate.
Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Tracklist
CD1
1. Brutal Planet
2. No More Mr. Nice Guy
3. Under My Wheels
4. Department Of Youth
5. Pain
6. Billion Dollar Babies
7. The World Needs Guts
8. Woman Of Mass Distraction
9. Poison
10. Halo Of Flies
CD2
1. Feed My Frankenstein
2. Cold Ethyl
3. Only Women Bleed
4. Paranoiac Personality
5. Ballad Of Dwight Fry
6. Killer / I Love The Dead themes
7. I’m Eighteen
8. School’s Out

Line-up
Alice Cooper – Vocals
Nita Strauss – Guitars
Tommy Henriksen – Guitars
Ryan Roxie – Guitars
Chuck Garric – Bass
Glen Sobel – Drums

ALICE COOPER – Facebook

Ultraphonix – Original Human Music

Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi.

Nel mondo del rock e del metal ne succedono di tutti i colori: con buona pace degli ascoltatori e dei fans accaniti di questo e quel genere gli artisti mettono al servizio di altri musicisti il loro talento ed esperienze o semplicemente collaborano, anche se, come in questo caso uno si chiama George Lynch, chitarrista dei leggendari Dokken, e l’altro è Corey Glover, voce carismatica dei non meno noti Living Colour.

Il metal classico anni ottanta incontra quello crossover del decennio successivo: un’affermazione che potrebbe apparire scontata (anche perché la storia dei due grani artisti e musicisti statunitensi non si ferma solo ai due gruppi citati), ma è indubbio che il nome delle due band citate faccia parte, più di altre esperienze vissute da Glover e Linch, della storia del metal/rock e siano pure le più lontane tra loro come approccio ed attitudine.
Diciamo subito che il progetto Ultraphonix è molto più vicino al background del cantante che del chitarrista, quindi in Original Human Music è Lynch a mettersi al servizio di un Glover debordante, sia nei brani in cui il funky prende il comando del sound, sia quelli in cui l’alternative metal ed il blues fanno la loro comparsa, più o meno evidente.
La sensazione è di essere al cospetto di una band vera, sanguigna e maledettamente coinvolgente, anche se il talento metallico di Lynch è forse leggermente soffocato dalla sound e dalla personalità del grande singer di colore.
Accompagnata da Pancho Tomaselli al basso e Chris Moore alla batteria, la coppia forma una band superlativa e l’album ne risente positivamente offrendo una raccolta di brani di crossover/rock/metal/funky/blues d’autore, con picchi qualitativi altissimi (Walk Run Crawl, Counter Culture e Free) tra i quali non manca qualche piccola caduta (Wasteland) o brani che scivolano ordinari ma illuminati dalla classe dei due leader (Take A Stand, What You Say).
Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi: da non perdere assolutamente specialmente se siete amanti del crossover rock!

Tracklist
01. Baptism
02. Another Day
03. Walk Run Crawl
04. Counter Culture
05. Heart Full Of Rain
06. Free
07. Wasteland
08. Take A Stand
09. Ain’t Too Late
10. Soul Control
11. What You Say
12. Power Trip

Line-up
Corey Glover – Vocals
George Lynch – Guitars
Pancho Tomaselli – Bass
Chris Moore – Drums

ULTRAPHONIX – Facebook

Wombripper – From The Depths Of Flesh

I Wombripper sorprendon con questo ottimo e devastante lavoro, fatto di un death metal vecchia scuola di matrice nord europea: un pezzo di granito estremo che vi seppellirà sotto una valanga di note.

Una devastante prova di forza estrema arriva dalla madre Russia con il primo full length dei Wombripper, band attiva dal 2012 e che fino ad ora aveva dato alle stampe un demo, un ep, ed uno split con i colleghi Torn Apart.

Passato un anno, la band torna con questo massacro intitolato From The Depths Of Flesh, una mazzata old school senza compromessi violentissima, feroce ed ispirata allo swedish death metal.
Scuola nordica, dunque, per i Wombripper i quali, senza timori reverenziali travolgono, distruggono e schiacciano tutto quanto si para di fronte, con un lotto di brani che risultano pura violenza in musica.
Le chitarre sanguinano, mentre i riff di scuola Entombed/Dismember provocano terremoti e la distruzione si concretizza con una serie di brani che ha nella coppia Restless e The Suicidal Recreation un perfetto esempio di death metal scandinavo.
Niente di nuovo quindi, ma una scarica di adrenalinica violenza che non ha pause nei suoi quaranta minuti di durata, valorizzata dalla terza splendida traccia del lotto, Godless Slaughter (In The Name Of Doom), mastodontica death metal song potenziata da un tellurico e melodico riff.
Quello che ad oggi è un trio, proveniente da Nizhny Novgorod, sorprende con questo ottimo e devastante lavoro, fatto di un death metal vecchia scuola di matrice nord europea: un pezzo di granito estremo che vi seppellirà sotto una valanga di note.

Tracklist
1.Still Unborn
2.Immolation Rites
3.Torn By The Nails
4.Frantic Exhumation
5.Restless
6.The Suicidal Recreation
7.Locked In The Iced Coffin
8.Godless Slaughter (In The Name Of Doom)
9.Prenatal Death

Line-up
Dan – Guitars, Vocals
Ivan – Guitars
A.V – Drums

WOMBRIPPER – Facebook

Haunt – Burst Into Flame

Il gruppo statunitense segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.

Debuttano sulla lunga distanza gli americani Haunt, quartetto proveniente da Fresno in California e con alle spalle l’ep Luminous Eyes licenziato lo scorso anno.

Nati come progetto solista del chitarrista, bassista e cantante Trevor William Church, in coppia con il batterista Daniel “Wolfy” Wilson, ed in seguito raggiunti dal bassista Matthew Wilhoit e dal chitarrista John William Tucker, gli Haunt danno vita ad un classico album heavy metal dai rimandi old school, un tuffo nella NWOBHM dei primi anni ottanta, anche se nati nell’assolata California.
Metal classico, dunque, ruggente e granitico, pregno di crescendo melodici, ritmiche in stile Saxon e duetti chitarristici dai rimandi maideniani: il sound degli Haunt è tutto qui, un perfetto esempio di hard & heavy tradizionale, roccioso e melodico.
Ovviamente non esiste originalità nella musica del gruppo statunitense, che segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche di cui sopra, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.
Burst Into Flame, licenziato dalla Shadow Kingdom Records, risulta così un buon album, inadatto a chi è affascinati dai suoni più cool di questa prima parte del nuovo millennio, perché gli Haunt si alleano alle truppe sassoni e vi tortureranno con la vergine di ferro, siete avvisati.

Tracklist
01. Burst Into Flame
02. Crystal Ball
03. Reflectors
04. My Mirage
05. Wanderlust
06. Frozen In Time
07. Heroes
08. Can’t Get Back
09. Looking Glass

Line-up
Daniel “Wolfy” Wilson – Drums
Trevor William Church – Vocals, Guitar, Bass
Matthew Wilhoit – Bass
John William Tucker – Guitars

HAUNT – Facebook

Like A Storm – Catacombs

Catacombs è un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Terzo album per la band neozelandese Like A Storm, formata dai fratelli Brooks (Chris, Matt e Kent) più il batterista Zachary Wood.

Il gruppo, dopo il debutto uscito nel 2009 (The End of the Beginning), ha raggiunto una discreta popolarità con Awaken The Fire, lavoro che gli ha dato la possibilità di suonare in giro per il mondo di supporto alle star dell’ alternative rock Alter Bridge.
Il sound del gruppo è un post grunge animato da scariche nu metal, niente di nuovo quindi, ma perfetto per fare breccia nei cuori del fans del rock radiofonico, anche se leggermente in ritardo sulla tabella di marcia.
I fratelli Brooks hanno sicuramente il vantaggio di saper scrivere canzoni melodiche, ruffiane ma dure ed alternative quel tanto che basta per non apparire troppo adolescenziali: il rock di matrice post grunge (Alter Bridge, Nickelback) si allea con il metal moderno tra metalcore e nu metal e ne esce un album piacevole anche se non troppo personale.
I Linkin Park sono la terza band che forma il triumvirato artistico ispiratore della musica dei Like A Storm, che partono benissimo con l’opener The Devil Inside per poi inserire il pilota automatico, così da viaggiare ad andature standard, senza troppi scossoni e senza grossi sbandamenti.
All’ascolto di Catacombs si evince la ricerca di una perfezione formale, tutto è carino e al posto giusto, le sferzate metalliche, così come le melodie pop rock, si prendono a turno la scena: l’intenzione di costruire una raccolta di hits porta i Like A Storm a perdere molto in genuina attitudine e personalità, un peccato che chi segue i trend saprà perdonare ai tre fratelli neozelandesi.
Catacombs è dunque un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Tracklist
1.The Devil Inside
2.Out Of Control
3.Catacombs
4.Complicated (Stitches & Scars)
5.Solitary
6.The Bitterness
7.Until The Day I Die
8.Hole In My Heart
9.Bullet In The Head
10.These Are The Bridges You Burned Down
11.Pure Evil

Line-up
Chris Brooks – Lead vocals, guitar, didgeridoo, keys/programming
Matt Brooks – Vocals, lead guitar, keys/programming
Kent Brooks – Bass, vocals, keys/programming
Zachary Wood – Drums

LIKE A STORM – Facebook

Coldbound – The Gale

In un genere in cui l’originalità è meno rilevante del potenziale emotivo, The Gale è uno scrigno che aperto ci travolge con la sue drammatiche e coinvolgenti trame tra Dark Tranquillity, Insomnium, Draconian e Swallow The Sun.

I Coldbound sono la band del polistrumentista e compositore Pauli Souka: The Gale è il quarto full length dal 2012, e con altri due ep forma una discografia di tutto rispetto in soli sei anni.

Il musicista finlandese, aiutato questa volta da Paulina Medepona (voce femminile in The Eminent Light) e Andras Miklosvari (tastiere ed orchestrazioni), dà vita a The Gale, un lavoro intenso sviluppato su un doom/death metal melodico e struggente.
Musica oscura che prende in considerazione il lato oscuro di ognuno di noi: la depressione, il suicidio ed in generale il male di vivere, temi che Souka racconta con la sua musica, a volte più vicina al black metal, in altri frangenti lontana dalla furia estrema e più ragionata ed atmosferica.
Nove brani per un’ora di male interiore raccontato attraverso mid tempo che si trasformano in lente litanie doom/death, con la chitarra che crea riff di sofferto metal melodico ed il growl che fa trasparire la tragica disperazione di un’anima alle prese con il suo travaglio interiore.
La title track si ricorda del passato black del nostro, con ritmiche più accentuate, ma è quando il sound si stabilizza su tempi più lenti e sofferti che The Gale offre il meglio di sé, con Endurance Through Infinity, My Solace e la conclusiva Towards The Weeping Sky ad emozionarci con le loro trame suggestivamente oscure e melodiche.
In un genere in cui l’originalità è meno rilevante del potenziale emotivo, The Gale è uno scrigno che aperto ci travolge con la sue drammatiche e coinvolgenti trame tra Dark Tranquillity, Insomnium, Draconian e Swallow The Sun.

Tracklist
1. 61° 43′ N 17° 07 E
2. The Invocation
3. Endurance Through Infinity
4. The Eminent Light
5. My Solace
6. The Gale
7. Winters Unfold
8. Shades of Myself
9. Towards the Sweeping Skies

Line-up
Pauli Souka- All Instruments/ Vocals
Andras Miklosvari- Keyboards tracks 4,5,6,7
Paulina Medepona- Vocals on The Eminent Light

COLDBOUND – Facebook

Voodoo Diamond – Darkness Becomes It

Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.

Nel mondo del metal moderno ed alternativo, la linea che divide un buon lavoro dalla solita ed ormai abusata formula in uso nel metallo da classifica rischia ogni volta di spezzarsi, rivelandosi ormai sottilissima e sempre più sollecitata da opere di bassissimo livello artistico.

L’eccezione che conferma la regola è rappresentata da quei gruppi che hanno tanto da dire in termini musicali e sorprendenti protagonisti di ottimi album come quello di debutto su lunga distanza dei londinesi Voodoo Diamond, trio multietnico con base nel Regno Unito, con due ep già licenziati prima che Darkness Before It, con l’aiuto del produttore Scott Atkins (Cradle Of Filth, Amon Amarth) e di Fredrik Nordstrom (Bring Me The Horizon, Arch Enemy, Architects, In Flames, Soilwork, Opeth) per quanto riguarda mix e mastering, esploda nei lettori dei giovani appassionati dai gusti moderni in giro per il mondo.
Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.
Ma ovviamente chi fa la differenza in questo lavoro è il songwriting ispiratissimo, che permette all’album di non avere pause o riempitivi, solo un lotto di potenziali singoli, perfetti nei refrain, buoni nel saper alternare melodie radiofoniche a rabbiose parti core, valorizzato da un gran lavoro chitarristico che non risparmia solos di stampo heavy in un contesto moderno ed alternativo.
Deny è il singolo lanciato per far innamorare perdutamente i fans del rock/metal moderno, ma non è sicuramente da meno la splendida opener Black Ice o Trigger, tracce che non lasciano scampo, per l’alchimia perfetta tra Trivium, Killswitch Engage, Parkway Drive e Linkin Park .
Ne sentiremo parlare dei Voodoo Diamond, le carte in regola per sfondare ci sono tutte e scommetto che al prossimo giro li ritroveremo come la new sensation lanciata da qualche major: per ora resta da godersi questo ottimo debutto.

Tracklist
1.Black Ice
2.With My Hands Clenched
3.Deny
4.While She Sleeps
5.Trigger
6.Broken Mirrors
7.Forgive Me Not
8.Givin It All
9.Son Of A Bastard Sun
10.Violins

Line-up
Filipe Martins – Vocals, Guitars
Alex Dias – Vocals
Doug Rimington – Bass

VOODOO DIAMOND – Facebook

Torn The Fuck Apart – A Genetic Predisposition To Violence

A Genetic Predisposition To Violence risulta un lavoro più che riuscito, nel quale si alternano con sagacia violenza e tecnica progressiva, senza rinunciare ad una melodica forma canzone che facilita l’ascolto anche a chi non è amante fedele del death metal più estremo.

A Genetic Predisposition To Violence è il quarto full length dei Torn The Fuck Apart, quartetto attivo da una quindicina d’anni nella scena estrema statunitense, condividendo diverse volte il palco con alcuni mostri sacri del death metal.

Questo ed una manciata di lavori di buona qualità fanno dei Torn The Fuck Apart un gruppo interessante, specialmente per gli amanti del death tecnico e dai rimandi brutal.
Gore a manetta, quindi, e tanta tecnica strumentale, fortunatamente mai fine a se stessa, anche per quanto riguarda questo nuovo album composto da dieci tracce che formano un massiccio esempio di metal estremo pregno di cambi di tempo, accelerazioni devastanti ed un mood progressivo che valorizza l’istinto violento e brutale che anima il gruppo americano.
I Torn The Fuck Apart hanno il pregio di non fermarsi alla sola violenza musicale, i brani sono tutti strutturati in modo che l’impatto venga alternato con l’uso di melodie chitarristiche di stampo prog/death, evitando il solito attacco frontale devastante abituale nel genere.
It Jammed The Woodchipper è il classico muro sonoro tecnico e brutale, un benvenuto nel mondo della band di Kansas City, che continua con la successiva Invitation Homicide.
Il crescendo progressivo è però in continua ascesa, e l’album prende una piega molto diversa dalle prime avvisaglie estreme, toccando corde atmosferiche già nella strumentale In The Confines Of Fear che funge da intro alla devastante e tecnicissima Dad’s Head For Dinner.
Il picco di questo lavoro arriva con il secondo brano strumentale dell’album, The Object Of Obsession traccia oscura e progressiva di stampo heavy metal, sorprendente nel contesto brutal death dell’album.
A Genetic Predisposition To Violence risulta perciò un lavoro più che riuscito, nel quale si alternano con sagacia violenza e tecnica progressiva, senza rinunciare ad una melodica forma canzone che facilita l’ascolto anche a chi non è amante fedele del death metal più estremo.

Tracklist
1.It Jammed The Woodchipper
2. Invitation Homicide
3.These Pliers Are Terrible For Pulling Teeth
4.In The Confines Of Fear
5.Dad’s Head For Dinner
6.Abhorrent Existence
7.Boiled, Chopped And Slopped
8.Collection Complete
9.The Object Of Obsession
10.Compulsion To Torture

Line-up
Mitchell – Bass
Jake Page – Drums
Michael langner – Guitars, Vocals
Nick Yeates – Guitars

TORN THE FUCK APART – Facebook

Lucifer – Lucifer II

Lucifer II, anche per i nomi coinvolti, non fa prigionieri: il carisma innato della Sadonis ed un songwriting di livello assoluto sono gli elementi che danno vita ad un album tra i migliori ascoltati quest’anno, almeno per quanto riguarda il genere proposto.

Johanna Sadonis tre anni fa si presentava sulle scena doom e occult rock in compagnia di Gaz Jennings, compagno di litanie doom del grande Lee Dorrian nei Cathedral e magica chitarra nel primo album targato Lucifer, licenziato proprio dalla Rise Above del mitico vocalist.

La firma con Century Media e la separazione con Jennings hanno portato a questo bellissimo secondo lavoro, semplicemente intitolato Lucifer II, nel quale la cantante berlinese, se ha perso un chitarrista dal curriculum importante, trova un altro elemento che non ha bisogno di presentazioni come Nicke Andersson (altra leggenda per i suoi trascorsi con Entombed e The Hellacopters) ad occuparsi di chitarra, basso e batteria, oltre al chitarrista Robin Tidebrink.
Lucifer II prende forma in un’atmosfera settantiana lasciando al primo album le sfumature occult rock, e regala nove brani di hard rock classico, a tratti ancora legato al doom, ma incentrato sulla parte rock’n’roll del genere.
L’interpretazione della Sadonis segue la scia del sound, meno evocativa rispetto al primo lavoro, mettendo sul piatto l’anima più melodica, mentre mette i panni della sacerdotessa doom solo nella splendida Dreamer, pezzo da novanta di questo nuovo album che trae linfa da Black Sabbath certo, ma anche dai Led Zeppelin con un prevedibile pizzico di The Heallacopters; il blues fa capolino e sposta gli equilibri del sound con le sfumature esoteriche che si diradano man mano che l’album entra nel vivo, regalando brani di rock vintage straordinari come Reaper On Your Heals e Before The Sun.
Rimane il dubbio che questa svolta possa in qualche modo essere stata causata dall’approdo ad una label importante, vero è però che Lucifer II, anche per i nomi coinvolti, non fa prigionieri: il carisma innato della Sadonis ed un songwriting di livello assoluto sono gli elementi che danno vita ad un album tra i migliori ascoltati quest’anno, almeno per quanto riguarda il genere proposto.

Tracklist
1. California Son
2. Dreamer
3. Phoenix
4. Dancing with Mr. D (The Rolling Stones cover)
5. Reaper on Your Heels
6. Eyes in the Sky
7. Before the Sun
8. Aton
9. Faux Pharaoh

Line-up
Johanna Sadonis – Vocals
Robin Tidebrink – Guitars
Nicke Andersson – Guitars, Bass Drums
Alexander Mayr – Live Bass
Martin Nordin – Live Guitar

LUCIFER – Facebook

Halcyon Way – Bloody But Unbowed

Bloody But Unbowed deflagra in tutta la sua potenza espressiva, unendo come da tradizione power metal statunitense, thrash, metal estremo e progressive, non rinunciando ad input moderni.

Tornano con questo monumentale lavoro gli statunitensi Halcyon Way, gruppo da considerare ormai storico nella scena metallica del nuovo continente, essendo attivi dall’alba del nuovo millennio ed arrivati oggial quarto full length, successore del notevole Conquer licenziato quattro anni fa.

Bloody But Unbowed conferma il quintetto di Atlanta come una delle massime espressioni del power/progressive metal americano, ambito nel quale non si rinuncia a contaminazioni estreme e moderne per un susseguirsi di sorprese a livello compositivo e meraviglie tecniche, a cominciare dalla prestazione del singer Steve Braun.
Ovviamente i complimenti non si fermano al solo vocalist, perché la band in toto sprigiona una potenza di fuoco esagerata e, con l’aiuto di una serie di prestigiosi ospiti, dà vita ad un’opera di notevole metallo potente e progressivo.
Registrato, mixato e masterizzato da Mark Lewis (Whitechapel, Trivium, Bad Wolves, Death Angel) ed accompagnato dall’artwork creato da Travis Smith (Opeth, Overkill, Death, Iced Earth), Bloody But Unbowed deflagra in tutta la sua potenza espressiva, unendo come da tradizione power metal statunitense, thrash, metal estremo e progressive, non rinunciando ad input moderni.
Sull’album è presente il The Nailhead Choir, composto come scritto da diversi ospiti come Todd LaTorre (Queensryche), Matt Barlow (Iced Earth/Ashes Of Ares), Ben Huggins (Galactic Cowboys), Sean Peck (Cage/Denner-Shermann), Troy Norr (THEM), Norm Skinner (Niviane), Sean Shields (ex-Halcyon Way) e lo stesso Steve Braun.
Pronti e via, si comincia a salire sulle montagne russe marchiate Halcyon Way per poi scendere in picchiata, con il fiato che già dalla title track manca, spezzato dal continuo saliscendi emozionale tra ripartenze power classiche, evoluzioni progressive e bordate metalliche potentissime.
Il gruppo è in forma smagliante, i brani risultano uno più bello dell’altro, da Blame a Superpredator, passando per Then Thousand Ways e la conclusiva spettacolare Desolate.
Nella versione europea, alla tracklist si aggiungono altre due tracce, per quello che risulta uno dei migliori album usciti negli ultimi tempi nel genere proposto.
Nevermore, Iced Earth, Pyramaze (il cui tastierista Jonah Weingarten dà il suo contributo nell’intro Devolutionize e nel brano The Church Of Me), Testament e Dream Theater, il tutto viene rivisto, corretto e trasformato nell’imperdibile sound degli Halcyon Way.

Tracklist
1. Devolutionize
2. Bloody But Unbowed
3. Blame
4. Slaves To Silicon
5. Superpredator
6. Primal Scream
7. Ten Thousand Ways
8. The Church Of Me
9. Cast Another Stone
10. Crowned In Violence
11. Burning The Summit
12. Desolate +
European edition bonus tracks:
13. Insufferable
14. Stand For Something

Line-up
Steve Braun – Vocals
Jon Bodan – Lead Guitars, Backing Vocals, Death Vocals
Max Eve – Guitars, Backing Vocals
Skyler Moore – Bass, Death Vocals
Aaron Baumoel – Drums

HALCYON WAY – Facebook

Abhorrence – Megalohydrothalassophobic

In un periodo di ritorni più o meno illustri gli Abhorrence fanno parte di quelli più cult e preferiti dai fans del death metal underground, testimoni anche loro di quella che fu la scena estrema all’alba degli anni novanta.

Old school death metal: con questa abusata, ma in questo caso perfetta definizione potrei già concludere l’articolo e passare ad altro, in quanto per questo nuovo ritorno degli storici deathsters finlandesi Abhorrence il tempo si è davvero fermato al 1991, anno che ha visto la band licenziare l’ultima testimonianza in quanto a musica inedita.

La band infatti nasce nel 1990, nel periodo che definire leggendario per il genere risulta un eufemismo.
Purtroppo l’attività del gruppo si sviluppa in un solo anno, tra il 1990 ed il 1991, vengono dati alle stampe, oltre all’ep, un demo ed uno split, poi il silenzio durato circa vent’anni ed il ritorno nel 2012 con la compilation Completely Vulgar e la testimonianza live, Totally Vulgar: Live at Tuska Open Air 2013, licenziata lo scorso anno prima di questo granitico ed oscuro mini cd.
Megalohydrothalassophobic è composto da quattro brani più intro, quattro tellurici esempi di death metal vecchia scuola che ricalcano il sound dei gruppi cardine del metal estremo.
Un clima malvagio ed oscuro, accompagnato da una forza d’impatto che ricorda le battaglie sonore dei Bolt Thrower, così come le malefiche note di Morbid Angel e Suffocation, incarnate in brani devastanti e da una componente “scandinava” comunque presente come Anthem for the Anthropocene o Hyperobject Beneath the Waves.
In un periodo di ritorni più o meno illustri, gli Abhorrence fanno parte di quelli più cult e preferiti dai fans del death metal underground, testimoni anche loro di quella che fu la scena estrema all’alba degli anni novanta.

Tracklist
1.Intro: The Mesh
2.Anthem for the Anthropocene
3.The Four Billion Year Dream
4.Hyperobject Beneath the Waves
5.The End Has Already Happened

Line-up
Tomi Koivusaari – guitar
Kalle Mattsson – guitar
Jukka Kolehmainen – vocals
Jussi “Juice” Ahlroth – bass
Waltteri Väyrynen – drums

ABHORRENCE – Facebook

Toxikull – The Nightriser

Ogni tanto si ha bisogno anche di band come i Toxikull, una sorta di panacea per la vostra fame di heavy metal veloce e maledettamente classico.

I gloriosi anni ottanta, con tutta la loro carica ed ignoranza, tornano ad essere protagonisti con i portohesi Toxikull, quartetto dedito ad un heavy/speed metal che non rinuncia ad iniezioni thrash per un risultato che, tutto sommato, sa risvegliare il metallaro duro e puro che è dentro a chi gli anni d’oro li ha vissuti.

The Nightraiser è il secondo lavoro del gruppo, un ep di sei brani successore di Black Sheep, primo album licenziato nel 2016: una raccolta di mitragliate speed metal dai molti riferimenti all’heavy e al thrash, assolutamente old school, suoni perfettamente assecondati da Lex Thunder e compagni che, senza fronzoli scaricano cinque brani più la cover di Rocker, brano degli Hollywood Rose (che in seguito diventeranno i Guns N’Roses).
Rozzi e cattivi, i Toxikull suonano heavy metal, veloce e adrenalinico; con la sezione ritmica che produce scintille, le chitarre che urlano e i chorus da gridare con quanto fiato in corpo, mentre la title track dà via all’headbanging sfrenato e Surrender Or Die scatena l’inferno metallico, sorretta da un irresistibile riff e un ritornello assolutamente travolgente.
Con la band portoghese verrete trasportati indietro nel tempo, mentre il chiodo d’ordinanza vi apparirà invecchiato e più aderente rispetto al passato, con Satan Bloody Satan che vi ricorderà che il diavoletto suggeritore è ancora li che vi parla all’orecchio.
Ogni tanto si ha bisogno anche di band come i Toxikull, una sorta di panacea per la vostra fame di heavy metal veloce e maledettamente classico.

Tracklist
1.Nightraiser
2.Surrender Or Die
3.Hellmaster
4.Freedom To Kill
5.Satan Bloody Satan
6.Rocker

Line-up
Lex Thunder – Vocals, Guitars
Michael Blade – Guitars
Antim “The Vicking” – Vocals, Bass
The Lorke – Drums

TOXIKULL – Facebook

The Evil – The Evil

Il sound è apocalittico, a tratti al limite dello sludge ma classicamente doom , le atmosfere di lirica evocazione rimanda ai nostri Goblin, mentre il lento scendere nei meandri più bui alterna impatto old school a più moderne soluzioni estreme.

La voce del destino, evocativa e drammatica, sarcastica e maligna, ci racconta di un mondo in febbrile discesa verso un’apocalisse sempre più vicina.

Le piaghe sociali e politiche, un’umanità travolta dai suoi stessi vizi scende lentamente verso l’inferno, accompagnata dalla musica dei The Evil, quartetto brasiliano formato da componenti di diversi gruppi della scena, ed arrivato oggi al primo parto discografico, una covata malefica di sette brani più intro, a rappresentare il male.
Doom metal pesantissimo, epico ed evocativo, liturgico e monolitico, con la voce della sacerdotessa Miss Aileen che ci dona brividi di terrore lungo la schiena con un’interpretazione teatrale e liricamente personalissima.
Il sound è apocalittico, a tratti al limite dello sludge ma classicamente doom , le atmosfere di lirica evocazione rimanda ai nostri Goblin, mentre il lento scendere nei meandri più bui alterna impatto old school a più moderne soluzioni estreme.
La presentazione dell’album da parte della Osmose parla di definitivo suono dell’apocalisse: ci sono molte maniere di immaginare una colonna sonora adatta alla fine del mondo, ma quella scelta dai The Evil risulta davvero credibile.
Siamo molto vicini ad entrare nella manciata di dischi dell’anno per quanto riguarda il genere: The Evil non ha un momento che non sia splendidamente angosciante, con i dieci minuti di Sacrifice To The Evil One picco di una raccolta di brani magnifici per l’intensità con la quale il male sgorga dalle ferite aperte dal gruppo brasiliano, a colpi di doom metal devastante.
L’uso delle tastiere di marca horror accentuano le atmosfere di pesantissimo e morboso metallo, spuntato dall’abisso per risucchiare in una caduta senza tempo tutto il mondo conosciuto ed i suoi abitanti.
Per gli amanti del genere i The Evil risultano una realtà da venerare e l’album un gioiello di arte nera imperdibile.

Tracklist
1. Voices From the Deep (Intro)
2. About None Guilty
3 . Screams
4. Sacrifice To The Evil One
5 . Satan II
6. Silver Razor
7. The Ancients

Line-up
MISS AILEEN – All Voices, Screams and Whispers
IOSSIF – Distortions and Screech Noises
THEOPHYLACTUS – Bass Fuzz
SAENGER– Drums and Percussions

THE EVIL – Facebook

Brutal Kraut – Brutal Kraut

Brutal Kraut è composto da otto brani nei quali death metal tecnico, thrash progressivo e gothic rock uniscono le forze per creare musica di spessore, melodica ed estrema, violenta e dark, in un contrasto di atmosfere che rimangono ovviamente confinate in un quadro musicale dai toni scuri, drammatica e teatrale.

Debutto molto interessante questo dei Brutal Kraut, quartetto tedesco dedito ad un death metal vario, progressivo e melodico, attraversato da umori gotici e dark, così da alternare atmosfere estreme classiche e melodie oscure.

La band arriva all’esordio sulla lunga distanza dopo il classico demo di rodaggio ed un ep (III Pieces) licenziato tre anni fa, entrando nel vasto mondo del metal estremo underground dalla porta principale, grazie ad un sound fresco e con quel tocco personale che fa la differenza.
Brutal Kraut è composto da otto brani nei quali death metal tecnico, thrash progressivo e gothic rock uniscono le forze per creare musica di spessore, melodica ed estrema, violenta e dark, in un contrasto di atmosfere che rimangono ovviamente confinate in un quadro musicale dai toni scuri, drammatica e teatrale.
La bravura dei musicisti coinvolti alza non poco l’asticella, i brani mantengono un’anima progressiva che permette di godere di ricami tecnici sopra la media, mentre si susseguono spumeggianti partiture heavy/thrash alternate a potenti esplosioni death metal ed atmosfere gotiche.
I Brutal Kraut hanno confezionato un piccolo gioiello metallico, composto da una serie di brani che si lasciano ascoltare con vivo interesse dalla prima nota dell’opener Layers Of Mind, passando per le sfumature doom/death di Release, il death melodico di matrice scandinava con cui è composta Breaker, ed il thrash progressivo di Criminal.
Dark Tranquillity, Crematory e Slayer vengono shakerati producendo un cocktail estremo molto interessante e coinvolgente: date una chance a questa ottima band tedesca, ne vale la pena.

Tracklist
1.Layers Of Mind
2.Release
3.Manic
4.Breaker
5.Face To Face
6.Facades
7.Criminal
8.Legends Never Die

Line-up
Rouven Constantin – Vocals,Guitars
Lukas Ludwig – Guitars
Marlin Constantin – Drums
Henry Ludwig – Bass

BRUTAL KRAUT – Facebook

Junkyard Drive – Black Coffee

Successore dell’acclamato album di debutto Sin & Tonic, uscito lo scorso anno, Black Coffee è un’irresistibile tuffo nel rock potenziato da riff di matrice zeppeliniana, in un contesto travolgente che il singer Kristian Johansen trasforma in oro con la sua magnifica prestazione.

Quando Black Coffee comincerà a girare sui vostri supporti musicali, resisterete giusto un brano o due, poi vi ritroverete a sbattere gli arti come indemoniati al suono prodotto dai Junkyard Drive e di queste undici nuove splendide perle di hard rock che, sventolando la bandiera a stelle e strisce, porta una ventata di sano rock’n’roll in questa fine estate 2018.

Successore dell’acclamato album di debutto Sin & Tonic, uscito lo scorso anno, Black Coffee è un’irresistibile tuffo nel rock potenziato da riff di matrice zeppeliniana, in un contesto travolgente che il singer Kristian Johansen trasforma in oro con la sua magnifica prestazione.
L’album non conosce pause, con il gruppo danese che si trasforma in una micidiale macchina hard rock’n’roll dove sua maestà il riff viene immortalato in una delle sue migliori apparizioni degli ultimi anni, con il chitarrista Birk a formare una coppia d’altri tempi con il cantante (vedi Page/Plant) e gli altri musicisti a fornire il potentissimo motore a questa inarrestabile fuori serie (Ben Høyer alla chitarra ritmica, Claus Munch alla batteria e Tim Meldal al basso).
Registrato ai Medley Studios di Copenaghen con Soren Andersen (Glenn Hughes, Mike tramp, Jesper Binzer) in veste di produttore, Black Coffee risulta quanto di meglio il genere abbia regalato in questo ultimo periodo, rivelandosi spettacolare anche quando il gruppo regala semi ballad ed atmosfere in crescendo che fungono da conto alla rovescia, prima che il sound esploda ed il cielo venga illuminato da fuochi d’artificio che lasciano in cielo scie luminose che riportano il nome del più famoso dirigibile della storia del rock, seguito da quello dgli Aerosmith, dei Cinderella e dei più giovani Rival Sons e Scorpion Child.
Inutile negare l’evidenza: Johansen meraviglia ed esalta, essendo un singer dotato di un’estensione vocale ed una personalità da rock star, e si permette di giocare con l’hard rock di brani travolgenti come il singolo Sweet Little Dreamer, Backseat Baby (Buckcherry era Time Bomb) ed il gran finale composto da tre autentiche esplosioni di verace e rock’n’roll che vede il gruppo andare oltre il consentito dalle vostre coronarie (Wasted Nights, Where I Belong e See You Next Time).
Le atmosfere southern della ballad Way To Long ed il crescendo di Same Old Story, non fanno che valorizzare questo bellissimo lavoro nato nella fredda Danimarca ma ispirato dalle calde terre di quell’America da vivere senza freni.

Tracklist
1. Time Is Over
2. Sweet Little Dreamer
3. Sucker For Your Love
4. Make Up Your Mind
5. Backseat Baby
6. Way To Long
7. Through The Door
8. Same Old Story
9. Wasted Nights
10. Where I Belong
11. See You Next Time !

Line-up
Kristian Johansen – Lead and backing vocals
Birk – Lead guitar and backing vocals
Ben Høyer – Rhythm guitar and backing vocals
Claus Munch – Drums and percussions
Tim Meldal – Bass and backing vocals

JUNKYARD DRIVE – Facebook