Il 17, 18 e 19 agosto 2017 il Tikitaka Village di Francavilla Al Mare – a due passi da Pescara – ospiterà la prima edizione del Frantic Fest, una tre giorni che si propone di radunare sotto la stessa bandiera rock, metal e punk.
In totale saranno venti le band – internazionali e nazionali – ad alternarsi sul palco del Frantic Fest, per un evento unico nel suo genere nel centro-sud Italia.
Le tre giornate del festival abruzzese saranno così suddivise:
Prevendite attive e disponibili sul circuito Ciaotickets:
▪ ABBONAMENTO EARLY BIRD: 30 € + ddp
(solo 200 biglietti disponibili a questo prezzo, in seguito 35 € + ddp)
Link all’acquisto ➟ https://goo.gl/5mPfpv
Abbonamento al botteghino: 50 €
▪ GIOVEDÌ 17 AGOSTO: 10 € + ddp (15 € al botteghino)
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▪ VENERDÌ 18 AGOSTO: 15 € + ddp (20 € al botteghino)
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▪ SABATO 19 AGOSTO: 15 € + ddp (20 € al botteghino)
Link all’acquisto ➟ https://goo.gl/hx2ZCu
Il Tikitaka Village è situato in Contrada Valle Anzuca, 66023 Francavilla Al Mare (CH).
Google Maps: https://goo.gl/5f78Ww
Crown Metal Booking Agency & Revalve Records Presentano:
Venerdi 15 Settembre 2017
Per un’unica e imperdibile data
THEATRES DES VAMPIRES LIVE AT TRAFFIC, ROMA
Opening Acts:
HERETIC’S DREAM
WAIT HELL IN PAIN
TRAFFIC LIVE, Via Prenestina N°738, Roma
Orari:
TBA
POSTO UNICO Intero:
€ 10,00
I THEATRES DES VAMPIRES Band Gothic Metal capitanata dalla bravissima Sonya “Scarlet” Siccardi la band è nota per il ricorrente tema del vampirismo nei loro testi e nell’immagine, la band ha riscosso un particolare successo in paesi come nel Regno Unito, nell’America del sud e in Russia, il 16 ottobre 2016 è uscito il loro decimo album “Candyland” per la Scarlet Records dalle sfumature Symphonic e con il loro Gothic che li ha sempre contraddistinti, tornano nella capitale dopo molto tempo per uno show imperdibile.
YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=r2whvqOU2gw
Ad aprire la serata ci saranno gli Wait Hell In Pain Band Alternative/Melodic Metal proveniente da Roma, la band è appena entrata nel roster della Revalve Records, il 22 Settembre segnerà il loro debutto discografico il titolo dell’album è ancora Top Secret. YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=LITeaqJsoYs
A seguire ci saranno gli Heretic’s Dream Band Prog Rock proveniente da Roma ma con base in UK, anche loro recentemente sono entratri nel roster della Revalve Records, il loro nuovo album uscirà nell’autunno di quest’anno.
YouTube:
Dark Veil Productions, in collaborazione con Kick Agency, presenta lo straordinario concerto acustico dei fratelli Vincent e Daniel Cavanagh di Anathema, poche date italiane a ridosso della promozione del nuovo disco della band, “The Optimist”. Nella bella cornice estiva del Giardino del Monk Club di Roma, porte aperte gratuitamente per regalare una notte magnifica di suoni. Ad aprire il concerto del duo britannico ci saranno in pari resa acustica i Rome in Monochrome, ottima band dell’underground romano in uscita a breve con il primo full-length di affine umore oscuro e malinconico. Nel comunicato stampa ufficiale l’introduzione di Daniel a questa straordinaria e limitata serie di serate.
VINCENT CAVANAGH & DANIEL CAVANAGH presents ANATHEMA ACOUSTIC As an exclusive summer special, the Cavanagh brothers embark on a week with taking out their acoustic guitars and do a set based around both new and old material from Anathema, as well as songs from artists that have inspired their musical career. As Daniel Cavanagh explains: “Delighted to be out and about with my brother and acoustic guitars. That’s where a lot of the songs are born, do it will be great to recreate some of the earliest and most intimate versions of the songs”. Anathemas new studio album “The Optimist” is released on June 9.
“Bones on the Beach” diventa “Bones in the Shed”: cambio di location ma non di programma! L’appuntamento è per Sabato 24 Giugno alla Shed Music Hall di Casapulla (Ce).
“Bones in the Shed” nasce da un’idea di MVO Concerti, in collaborazione con Live To Rock. Si propone come vero e proprio Metal Party estivo che alterna musica ad attività e momenti di intrattenimento. Il festival vuole diventare un appunatamento fisso dell’estate partenopea coinvolgendo gli appassionati del genere metal e rock in un evento che va oltre il semplice live musicale. Dal pomeriggio fino a tarda sera, mentre sul palco si susseguiranno le esibizioni di band emergenti ed artisti internazionali, band e pubblico potranno partecipare a giochi e attività varie (mini-tornei di volley, soccer, beer pong, giochi aperitivo, ecc. ecc.). A conferma dello scopo ludico del festival, lo slogan della manifestazione è: “Chi dice che i metallari non si divertono?!”
Inizialmente previsto sulla spiaggia col nome di “Bones on the Beach”, il festival ha dovuto affrontare, per motivi logistici, un cambio di location e, conseguentemente, di nome. “Bones in the Shed”, in collaborazione con “Rock and Blues 70”, si terrà Sabato 24 Giugno nello spazio esterno della Shed Music Hall, una sala concerti, realizzata in un capannone industriale, che fonde musica, passioni e tanto divertimento. L’appuntamento è in Via Sbarra, 41 a Casapulla (Ce) a partire dalle ore 18:30.
Ormai ci siamo, questo sabato ritorna l’appuntamento annuale con Acciaio Italiano Festival, dedicato alle migliori bands Hard ed Heavy underground Italiane e giunto all’ importante e prestigioso traguardo della settima edizione!
Jolly Roger Records in collaborazione con Classix Metal, Loud and Proud, Rock Hard e Fire Magazine presenta Acciaio Italiano Festival 7 che avra’ luogo Sabato 20 Maggio presso il prestigioso Estragon di Bologna.
Questa la bill:
VANEXA
FIL DI FERRO
(con ritorno live alla chitarra del chitarrista Miki Fiorito, con la band dal secondo album “Fil di Ferro” del 1988)
UNREAL TERROR
(presenteranno brani dal nuovo album, in uscita prossimamente e la biografia “Rules the Night” edita da Crac Edizioni)
WITCHWOOD
NATIONAL SUICIDE
GAME OVER
ARCANA 13
SILVERBONES
Sara’ presente un vero e proprio Metal Market con stands di Lp, Cd, memorabilia ed il merchandise delle bands partecipanti.
Apertura porte ore: 16:00
Inizio concerti ore: 16:30 – Fine concerti ore: 0:00
INGRESSO: in cassa 13,00 € / prevendita 13,00 € (+1,50 €) qui.
Senza l’obbligo di effettuare alcuna tessera – sara’ possibile uscire e rientrare liberamente.
Ai primi 50 ingressi verra’ consegnato un box gratuito griffato “Acciaio Italiano” con buoni sconto, moschettoni e stickers gentilmente offerti da EMP Mailorder.
A questo link la pagina evento Facebook
Grazie mille a chiunque voglia condividere, diffondere e supportare l’evento, a chi ci ha sempre seguito e a chi sara’ presente per la prima volta, sara’ una festa! Ci vediamo sabato 20 Maggio!
Si ringraziano sentitamente i seguenti sponsors che hanno aderito all’ iniziativa:
Andrea B. (Presente con il proprio stand)
Andromeda Distribuzioni Discografiche – Mailorder
Andromeda Relix (Presente con proprio stand)
BLACK WIDOW RECORDS (Presente con il proprio stand)
Blasphemous Art Records
BloodRock Records (Presente con il proprio stand)
crac edizioni
Cruz Del Sur Music
Dragonheart Records
Earthquake terror noise
FOAD Records
Goodfellas
L.M. Records
Ma.Ra.Cash records
Minotauro Records (Presente con il proprio stand)
Metal Factory
Metal On Metal Records
My Kingdom Music
NadirMusic Genova / Built 2 Kill Records
Nicola B. (Presente con il proprio stand)
Nightbreaker Productions
Origadget02 (Presente con il proprio stand)
Over-Zone
Pick Up Distribuzione
Scarlet Records (Presente con il proprio stand)
SG Records
Sound Cave
Terror From Hell Records
Tommy Rec
Undergrind Disco (Presente con il proprio stand)
Zanovello (Presente con il proprio stand)
We Rock Music Store
Terza edizione dell’Argonauta Fest, la vetrina dell’omonima etichetta, che quest’anno cresce ulteriormente e che vedrà quest’anno otto gruppi esibirsi dal vivo alle Officine Sonore di via Caduti Del Lavoro 13 a Vercelli. In questo mixtape esclusivo per MetalEyes troverete un piccolo assaggio di quello che vi aspetta. Alzate il volume.
Argonauta Fest III Mixtape
Terza edizione dell’Argonauta Fest, la vetrina dell’omonima etichetta, che quest’anno cresce ulteriormente e che vedrà quest’anno otto gruppi esibirsi dal vivo alle Officine Sonore di via Caduti Del Lavoro 13 a Vercelli. In questo mixtape esclusivo per MetalEyes troverete un piccolo assaggio di quello che vi aspetta. Alzate il volume.
1. Dustrider – Cosmo
2. No Good Advice – Mother Of Void
3. Nudist – Bloddy Waters
4. Eyes From North – Huit Heures Seize
5. The Buckle – Sixty – Two Feat. Xabier Iriondo
6. Naat – Dancalia
7. Otus – Echoes And Evocation
8. Varego – The Cosmic Dome
ARGONAUTA Records comunica gli ultimi due nomi per l’Argonauta Fest del 13 Maggio!
Ecco svelate le ultime due aggiunte all’Argonauta Fest, dopo l’annuncio degli headliner parigini EYES FRONT NORTH, dei fiorentini NUDIST, dei romani DUSTRIDER, dei genovesi NAAT e dei piemontesi THEBUCKLE.
Da Roma gli OTUS, autori di un incredibile album prima autoprodotto e poi ristampato da Argonauta a Marzo 2017, che ha ottenuto splendide recensioni su tutta la stampa specializzata, accomunando la band a nomi altisonanti quali CULT OF LUNA, OM e SUNN O))). Un assalto Post Metal dalle marcatissime strutture Doom e Sludge. Il primo singolo estratto dall’album “7.83Hz” è disponibile qui: https://youtu.be/pMiAwDOq7uQ
Da Genova i VAREGO, autori di un Heavy Prog Sludge con chiari riferimenti alle atmosfere che si respirano nei lavori di VOIVOD e NEUROSIS, che eseguiranno per intero il loro ultimo album “Epoch” uscito durante l’Autunno 2016. La band ha al suo attivo un recentissimo videoclip ufficiale pensato e girato come tributo alla scena Giallo/Horror italiana degli anni ’70/’80: https://youtu.be/lFowofdoxIs
La terza edizione dell’Argonauta Fest si terrà sabato 13 maggio 2017 con una formula interamente rinnovata. Visti infatti gli ottimi riscontri delle due passate edizioni, si inizierà già nel pomeriggio a partire dalle 17.
Otto band del roster Argonauta Records si esibiranno sul palco delle Officine Sonore di Vercelli, alternando sonorità che spaziano dallo Stoner al Post Metal, fino ad abbracciare territori Sludge Doom.
Un’ottima occasione per condividere una giornata di festa con tutto lo staff Argonauta e conoscere le band. E poi merchandise esclusivo e come di consueto birra a fiumi e ottima cucina!
EYES FRONT NORTH (Parigi, Francia) Blackened Post Metal
VAREGO (Genova) Heavy Prog Sludge
NUDIST (Firenze) Post Sludge
OTUS (Roma) Post Metal/Doom
DUSTRIDER (Roma) Heavy Psych
THEBUCKLE (Cuneo) Hard Stoner Rock
NAAT (Genova) Post Metal
NO GOOD ADVICE (Torino) Stoner Rock
PREVENDITE: www.argonautarecords.com/shop
Inizio concerti ore 17, 8 bands!
Sludge, Doom, Stoner, Heavy Psych, Post Metal!
All’interno: birre artigianali, vegan & steak food, merch esclusivo
Ingresso 12 euro in cassa (no tessere) prevendita 10 euro e preordini magliette evento in special price su www.argonautarecords.com/shop
Il racconto del concerto del 6 aprile al Magnolia.
Cinque anni sono trascorsi da quando vidi per l’ultima volta dal vivo i Pain Of Salvation: quel concerto, tenutosi al Live di Trezzo sull’Adda, mi aveva soddisfatto solo parzialmente perché incentrato fondamentalmente sui due Road Salt, dischi senza dubbio di buon livello, ma a mio avviso inferiori per impatto ed intensità alla produzione precedente .
Dopo le varie vicissitudini, di cui tutti sappiamo, che hanno afflitto per un lungo periodo Daniel Gildenlöw, è arrivato il recente In The Passing Light Of Daya risistemare le cose e, soprattutto, a ricollocare la band svedese al posto che le compete tra le più esaltanti espressioni musicali dell’ultimo ventennio.
Il buon pubblico accorso al Circolo Magnolia di Segrate testimonia l’approvazione dei fans nei confronti dell’ultima svolta stilistica, nonché l’attesa per rivedere all’opera Daniel con una band quasi del tutto rinnovata rispetto a quella che incise l’ultimo album di inediti (fa eccezione solo il batterista francese Leo Margarit).
Ad aprire la serata sono stati chiamati i Port Noir, giovane band svedese che accompagna i più famosi connazionali per l’intero tour europeo, della quale ammetto colpevolmente d’aver sentito parlare per la prima volta in questa occasione. Come spesso accade, quindi, si spera essenzialmente che il tempo a disposizione della band di supporto non sia troppo e che, soprattutto, passi più o meno piacevolmente.
E, invece, avviene l’inaspettato … questi tre ragazzi di Södertälje sono una vera folgorazione: il loro alternative metal, che sicuramente prende diversi spunti dagli altri famosi conterranei Katatonia, ammantandoli di una vena più moderna e meno malinconica, rifulge per intensità e compattezza, grazie ad un affiatamento perfetto tra i vari membri e l’ottimo utilizzo delle voci, con quella del chitarrista Andreas Hollstrand a supportare con continuità quella principale e più suadente di Love Andersson. I Port Noir riescono a rendere magicamente fresco ed avvincente un genere che troppo spesso viene afflitto dal manierismo, anche da parte dei suoi più famosi interpreti: così il loro set scorre via tra l’approvazione di un pubblico per lo più entusiasta e probabilmente sorpreso quanto il sottoscritto e chi lo accompagna .
Tutti sanno quanto sia difficile la vita per le band di supporto, specialmente in Italia e soprattutto quando c’è un’attesa fremente nei confronti degli headliner: ebbene, la possibile insofferenza è stata del tutto cancellata da una totale approvazione, tanto che se i Port Noir fossero rimasti sul palco per proporre altri due o tre brani nessuno avrebbe avuto alcunché da ridire, anzi … Questi ragazzi sono da tenere monitorati con estrema attenzione, perché in un futuro prossimo lo stesso numeroso pubblico che accompagna le tappe di questo tour potrebbe ritrovarsi lì solo per loro.
Dopo questo graditissimo antipasto, è con un piccolo ritardo sull’orario previsto che si presenta in scena il solo Daniel Gildenlöw in abiti ancora “borghesi”, per annunciare che la serata sarà dedicata ad Alberto Granucci, fondatore del fan club italiano dei Pain of Salvation, scomparso tragicamente pochi giorni fa e per la cui sorte non possiamo che unirci al cordoglio di parenti ed amici.
Una breve pausa ed ecco i nostri presentarsi al gran completo mettendo da subito a ferro e fuoco il palco con Full Throttle Tribe, uno degli episodi più duri dell’ultimo album: le bordate metalliche condotte dalle chitarre di Daniel e di Ragnar Zolberg e dal basso di Gustaf Hielm (uno che ha grande familiarità con suoni estremi avendo militato nei Meshuggah e ricoprendo il ruolo di bassista live nei Dark Funeral), sono sferzate di energia per un pubblico che può così testare la bontà dell’impianto sonoro del Magnolia e dell’ottimo lavoro dei fonici.
E’ la volta poi di Reasons e Meaningless, le due canzoni scelte per essere abbinate ad un video, diverse tra loro ma indubbiamente complementari, mentre è poi Linoleum, con il suo chorus killer, a rappresentare il primo passo indietro nella ricca discografia dei Pain Of Salvation.
Il trittico tratto da Remedy Lane eleva ad dismisura il pathos dell’esibizione, perché non si può nascondere che quell’album incarna, assieme al duo predecessore The Perfect Element I, uno dei momenti creativi più elevati della band, almeno fino all’uscita di In The Passing Light Of Day, che ne insidia il valore molto da vicino: A Trace Of Blood, Rope Ends e Beyond The Pale, un po’ come per tutta la restante scaletta, dal vivo si accendono di una luce diversa e ancora più vivida, capace di accentuare sia la robustezza delle basi ritmiche, sia le ampie ed incancellabili aperture melodiche.
Ashes, che segue subito dopo, può essere considerato il classico cavallo di battaglia per i Pain Of Salvation: forse non è il brano più bello che abbiano mai inciso, ma sicuramente il più noto, quello che li ha portati all’attenzione di un pubblico più vasto dopo due dischi magnifici ma passati un po’ sottotraccia; con questa canzone si tocca il punto più datato tra quelli toccati dalla scaletta, ed è un peccato, perché sia dallo stesso The Perfect Element Iche da Entropia e One Hour By The Concret Lake ci sarebbe stato molto da cui attingere.
Finita questa entusiasmante parentesi retrospettiva si ritorna all’ultimo album e, dopo aver sviscerato i momenti più metallici, è la volta dei brani caratterizzati da passaggi intimisti, quelli che fanno svoltare l’audience dall’headbanging alla commozione: la carezza di Silent Gold e la drammaticità di On a Tuesday, dove le violente accelerazioni sono i soprassalti vitali di un organismo che non vuole arrendersi all’ineluttabile, conducono alla parte conclusiva del concerto, che viene affidata a The Physics of Gridlock, traccia emblematica con il suo chorus dai rimandi western di quell’anima alternative rock che era stato il tratto comune di Road Salt Two.
L’uscita dal palco, dopo circa un’ora e tre quarti di concerto, chiama ovviamente un bis che non può essere che la title track dell’ultimo album: The Passing Light of Day è una splendida, sentita e commovente canzone d’amore che Daniel interpreta per buona parte da solo, per poi essere raggiunto dall’intera band nell’ideale chiusura di una serata pressoché perfetta.
Certo, quando ci si trova dinnanzi ad una band che, come i Pain Of Salvation, ha alle spalle una discografia cosi ricca, qualitativa e soprattutto stilisticamente sfaccettata, a seconda di quale sia la fase della loro carriera che si predilige, ognuno può essere più o meno soddisfatto della scelta della scaletta.
Così, chi ha amato la band nei due Road Salt forse avrebbe sperato in qualcosa di diverso, mentre chi invece considera In The Passing Light Of Dayun nuovo apice della carriera della band svedese avrà senz’altro approvato, considerando che poi l’altro album più rappresentato, Remedy Lane, è uno di quelli che mette d’accordo tutti.
C’è anche il fan più di vecchia data, come il sottoscritto, che come detto avrebbe apprezzato il recupero di qualche brano dai primi lavori, o chi dall’ultimo nato avrebbe voluto ascoltare dal vivo uno dei suoi momenti più intensi dal punto di vista emotivo, come If This Is The End e chi, infine, pensa che nel complesso tre brani in più ci sarebbero potuti stare, accontentando così tutte queste istanze.
Ma questi sono ovviamente i discorsi che si possono fare solo se si vuole cercare il pelo nell’uovo ad un concerto magnifico, una delle rare occasioni in cui la compenetrazione tra band e pubblico si rivela massimale, e questo è ciò che conta maggiormente, assieme al fatto d’aver ritrovato Daniel Gildenlöw in una forma smagliante, e per questo ognuno di noi deve ringraziare una divinità a sua scelta, o semplicemente il fato, per avercelo riconsegnato intatto in tutto il suo talento artistico ed umano.
MetalEyes IYE è media partner delle seconda edizione del Southern Storm Fest.
Meno di un mese al The Southern Storm Fest II, il metal fest che si terrà a Catania il prossimo 29 Aprile e che avrà l’onore di ospitare come headliner gli storici thrasher inglesi Onslaught. Ad aprire la serata il death prog dei romani Gravestone, cui seguiranno i doomster Rome in Monochrome e, sempre dalla Capitale, altre due band d’indubbio prestigio: i The Foreshadowing con il loro gothic doom e i deathster Hour of Penance. Un bill che spazia quindi in diversi ambiti del metal estremo per offrire al pubblico un’indimenticabile notte di musica!
Tutte le info su https://www.facebook.com/events/786733478141987/?fref=ts e https://www.facebook.com/nastyspikesevents/?fref=ts
E’ motivo di emozione ed orgoglio per la Nasty Spikes presentare la seconda edizione del Southern Storm Fest con una line-up di grande prestigio a testimonianza della volontà di accrescere ogni anno la qualità della proposta musicale.
Innanzitutto la scelta come headliner degli storici thrasher ONSLAUGHT che non necessitano di presentazione alcuna giacché calcano con la medesima, incontenibile energia i palchi internazionali da più di trent’anni. La band di Bristol ha vissuto una seconda giovinezza dopo la reunion avvenuta nel 2004: da quella data non ha più smesso di pubblicare album, prestigiose raccolte e di esibirsi in coinvolgenti live. Per il trentennale dall’uscita della febbricitante opera prima “Power From Hell”, i nostri hanno intrapreso un tour commemorativo delle cui roventi atmosfere ci daranno certamente un indimenticabile saggio.
Accanto a loro la presenza di altre due band di grandissimo rilievo internazionale, entrambe provenienti dalla Capitale: i deathster HOUR OF PENANCE che ci presenteranno i brani del nuovo album appena pubblicato ma già osannato “Cast the First Stone” e gli epigoni del gothic/doom metal THE FORESHADOWING, anche loro reduci dal successo dell’ultimo lavoro “Seven Heads Ten Horns” (2016). A seguire i ROME IN MONOCHROME con il loro doom impreziosito da influssi shoegaze e post-rock che proporranno in anteprima i pezzi dell’upcoming full-length “Away from Light“. In apertura al festival si esibiranno i death progressive romani GRAVESTONE che presenteranno il loro EP in uscita il 24 Febbraio e intitolato “Proud To Be Dead“.
Un’occasione unica per cogliere il meglio del Metallo estremo italiano e internazionale, ma anche per dimostrare che la scena metal siciliana è quanto mai vitale e sa sfidare la cronica crisi del settore uscendone vittoriosa grazie ad una passione autentica capace di far convergere pubblico, band e organizzatori verso un’unità d’intenti che va ben oltre le logiche del mercato.
Stay Metal &…Stay Tuned!!
Un FESTIVAL METAL a GENOVA non è una cosa da tutti i giorni e dobbiamo dare merito alla associazione PRESENTE FUTURO, con la collaborazione della Cornucopia Agency e della BLACK WIDOW RECORDS, se questo evento è oggi una realtà che speriamo vada avanti nel tempo.
Dunque il 13 MAGGIO al TEATRO CARIGNANO suoneranno alcune band di eccellente levatura tecnica e spettacolare, oltre che di livello internazionale come i mitici THE BLACK, con il loro Metal Mentis unico nel suo genere ed i rinnovati savonesi VANEXA, che tanto bene stanno facendo parlare nel mondo con l’ ultimo bellissimo album “Too Heavy to Fly”, assieme agli ARCANA 13 una delle più belle rivelazioni in ambiti dark metal con i loro riferimenti gotici, BELLATHRIX, band di Genova dal sound tipicamente heavy anni 80 formata da tre ragazzacce e due ragazzi, tutti elementi ben conosciuti in questi ambiti ed i DAMNATION GALLERY, una nuova realtà dell’heavy metal genovese con la vocalista Scarlet capace di dominare il palco come una vampira.
Proprio l’associazione PRESENTE FUTURO ha voluto offrire questo spettacolo a tutti i metallari e fans della musica heavy, ad un prezzo favorevolissimo di soli 10 € sperando che la proposta sia gradita a riscuota un buon successo.
La qualità della band è notevole, lo spettacolo è assicurato quindi non mancate di partecipare a questo evento che potrebbe segnare l’inizio di una serie di festival nella nostra città che ha voglia e bisogno di buona musica e di divertimento.
Inizio previsto per le ore 18.
Prezzo 10 €
Teatro Carignano
Viale Villa Glori – 16128 – Genova
+39 010 5702348
Black Widow Records
Tel.010 2461708
Tel.010 2544500
Eccezionale serata il 1 aprile al Centro Sociale Buridda di Genova, con la reunion dei grandi Stalker, uno dei gruppi hardcore e tanto altro fra i migliori da Genova. Molto interessanti anche le altre band in cartellone (Malclango, Satanic Youth, Naat).
La serata è di beneficenza per le Brigate di Solidarietà Attiva, una rete antifascista di solidarietà che opera dove c’è bisogno, come nelle zone del centro Italia colpite dal terremoto. Non farti fregare dalla Salamandra.
Cronaca del release party del nuovo album dei Tethra, Like Crows For The Earth.
La presentazione dell’ultimo album dei Tethra, Like Crows For The Earth, in quel di Cassano d’Adda, è stata contraddistinta da una forte presenza ligure, essendo stati chiamati a partecipare alla serata anche i genovesi Tenebrae e gli imperiesi Plateau Sigma, oltre ai lombardi Abyssian: mi sia concesso, quindi, un piccolo moto d’orgoglio campanilistico, visto che anche MetalEyes ha la sua base nell’aspra lingua di terra compressa tra l’Appennino ed il mare.
L’occasione si prospettava irrinunciabile per gli appassionati di sonorità oscure e gravitanti nei dintorni del doom, considerando che tutte le band presenti erano in qualche comodo collegabili al genere, sia pure ciascuna caratterizzata da un diverso approccio.
La location scelta dai Tethra è stata il The One Metal Live, locale che si trova nell’ampio seminterrato di un centro commerciale della cittadina lombarda, il che consente di poter suonare fino a tarda ora senza rischiare di disturbare la pubblica quiete, stante la notevole distanza dalle abitazioni (basta non abusarne, però … iniziare una serata con quattro band alle 22 porta inevitabilmente l’ultima ad esibirsi in orari improbabili, con tutte le controindicazioni del caso); lo spazio davanti al palco è sufficientemente ampio per ospitare un buon numero di persone, e il fatto che il bar si trovi in un’area separata consente di godere dei concerti rigorosamente al buio e senza il nocivo disturbo degli schiamazzi tipici di chi preferisce bere e parlare anziché ascoltare la musica (problema che affligge i locali piccoli strutturati, invece, su un unico ambiente).
Ad aprire la serata sono stati i milanesi Abyssian, dediti ad un buon gothic dark/doom ispirato, tra gli altri, dai Paradise Lost, ed autori nel 2016 di Nibiruan Chronicles, un album capace di ottenere ottimi riscontri a livello di critica. Purtroppo l’esibizione della band lombarda, guidata da un musicista di grande esperienza come Rob Messina, ex membro di una delle band storiche del death tricolore come i Sinoath, è stata complicata in primis dall’assenza di un batterista, condizione con la quale i nostri stanno convivendo da qualche tempo, ed anche da alcuni problemi tecnici complicati ulteriormente dalla necessità di ricorrere a percussioni campionate.
La band ha comunque onorato al meglio l’impegno facendo intravedere le proprie notevoli potenzialità e mi auguro, pertanto, di avere al più presto l’opportunità di rivedere all’opera gli Abyssian in una situazione “di normalita”.
Il secondo gruppo previsto nelle serata erano i Tenebrae, i quali, per fortuna, non sono stati afflitti dagli stessi problemi di chi li ha preceduti sul palco.
Inutile sottolineare come la conoscenza del repertorio e la frequentazione abituale delle esibizioni del gruppo genovese mi abbia consentito di godere appieno dell’esibizione, potendola più agevolmente parametrare rispetto al passato: ebbene, posso affermare tranquillamente che quella dell’altra sera è stata la migliore performance dei Tenebrae alla quale abbia mai assistito.
Complice l’accresciuta coesione tra i componenti (in questo caso i due mesi dalla presentazione del nuovo disco non sono trascorsi invano) e anche una maggiore cattiveria dovuta, forse, al fatto di non suonare “in casa” (cosa che magari mette a proprio agio, ma inconsciamente fa smarrire qual pizzico di adrenalina in grado di fornire una marcia in più), il set è filato via in maniera travolgente, estraendo il meglio dallo splendido My Next Dawn.
La title track, The Fallen Ones e As The Waves sono tracce magnifiche che non si finirebbe mai di ascoltare e, in quest’occasione Marco Arizzi, Pablo Ferrarese e compagni le hanno rese in maniera impeccabile e coinvolgente. Una gran bella iniezione di consapevolezza ed autostima per una band che ha dovuto soffrire, in passato, di tutte le problematiche connesse all’instabilità della line-up.
Ancora Liguria, spostandoci però verso l’estremo ponente, con la salita sul palco dei Plateau Sigma, altra band che ho potuto vedere già più volte dal vivo grazie alla vicinanza geografica. Il quartetto imperiese ha dovuto un po’ comprimere il proprio set per il già citato slittamento in avanti dell’orario, ma ciò non ha pregiudicato un’esibizione che, questa volta, ha privilegiato il volto aggressivo ed orientato al funeral/death doom, piuttosto che i momenti più rarefatti e le pulsioni post metal che fanno ugualmente parte del background della band, come ampiamente riscontrabile dall’ascolto del magnifico Rituals.
Il fulcro dell’esibizione è stato, comunque, un brano dall’alto tasso evocativo come Cvltrvm, contornato da altre tracce cariche di tensione, riversate sul pubblico da un gruppo caratterizzato da una proposta resa peculiare dall’alternanza vocale e chitarristica di Francesco Genduso e Manuel Vicari; le sonorità offerte dai Plateau Sigma non sono fruibili con immediatezza da chi non ne conosca già il repertorio, ma riescono a convincere ugualmente al primo impatto per l’intensità e la voglia di osare esibite sul palco.
E finalmente arrivò il momento della presentazione del nuovo album da parte dei Tethra. Clode, vocalist e membro della band fin dagli esordi, nei quattro anni trascorsi dall’uscita di Drown Into The Sea Of Life, ha dovuto far fronte ad uno stravolgimento della line-up che lo ha visto quale unico superstite della formazione accreditata su quel disco.
Un elemento, questo, che non può certo essere estraneo ai cambiamenti abbastanza sostanziali a livello di sonorità riscontrati nel nuovo e bellissimo Like Crows For The Earth (album che ho avuto occasioni di ascoltare più volte nei giorni precedenti e del quale parlerò più diffusamente nei prossimi giorni): il doom death granitico che era la base portante del sound si è stemperato in un gothic doom, sempre robusto ma senz’altro più fruibile, specie per la presenza di alcuni brani contenenti soluzioni capaci di trascinare il pubblico, uno su tutti Deserted, definibile quale una potenziale hit, se questo non fosse un termine che non dovrebbe mai stare nella stessa frase che contiene la parola doom …
Clode, a mio avviso, è ulteriormente migliorato anche a livello vocale (benché fosse assolutamente all’altezza della situazione anche in precedenza, sia chiaro): specialmente le clean vocals sono oggi ancor più profonde ed evocative, e questo si rivela fondamentale in un lavoro nel quale tale soluzione ricorre più frequentemente che in passato.
I musicisti dei quali il vocalist novarese si è circondato sono apparsi perfettamente a loro agio, sobri e precisi, con nota di merito per Luca Mellana, capace di trasmettere le giuste vibrazioni con i suoi misurati ma efficaci assoli.
Anche se potrà sembrare un aspetto marginale, è stato interessante constatare un cambiamento anche a livello di immagine, con i Tethra passati ad una più elegante camicia color nero grafite al posto del saio sfoggiato in precedenti occasioni; la scaletta non ha seguito fedelmente quella del nuovo disco ma è stata rimescolata, inserendo anche a metà del set due brani tratti dal precedente lavoro.
In questo modo la magnifica The Groundfeeder, altro esempio eloquente dell’evoluzione del sound dei Tethra, è stata proposta nella parte iniziale, pur essendo la traccia che, di fatto, apre la seconda metà di Like Crows For The Earth, mentre comunque il finale è stato rispettato in pieno con la chiusura affidata all’altrettanto splendida title track.
Tra gli incitamenti di un pubblico non numerosissimo (in linea con le tendenze degli eventi doom in Italia) ma sicuramente partecipe, Clode e compagni hanno riproposto come bis la “catchy” Deserted, brano destinato a diventare un loro cavallo di battaglia in sede live, mettendo la parola fine ad una serata di musica che, personalmente, mi ha consentito di rivedere in un colpo solo, sia tra i musicisti che tra il pubblico, un consistente numero di belle persone con le quali è sempre un piacere condividere il tempo e le proprie passioni.
P.S. Un sentito ringraziamento a Chiara per il prezioso contributo fotografico.
Un viaggio, per forza di cose appena introduttivo e con uno speciale occhio di riguardo verso l’attualità, che procede a ritroso nel tempo, una discesa verso le malevole origini.
Low-fidelity: come tutti sapranno, una produzione volontariamente o involontariamente a bassa fedeltà, registrazioni più o meno approssimative realizzate grazie a strumenti più o meno approssimativi.
Daniel Johnston, Beat Happening, e molti altri: il lo-fi nel suo senso moderno, filologicamente e storicamente, nasce in contesto indie sul finire degli anni ottanta, e il Black Metal si riscopre subito interessatissimo alla faccenda. Se a partire dagli anni ’90, se a partire da un certo punto in poi la bassa fedeltà divenne lo standard dell’élite oscura, se un (relativamente) buon numero di album ormai “classici” vennero registrati in totale scarsezza di mezzi ed equipaggiamenti, oggi il lo-fi – nella sua accezione più estrema e rigorosa – serve una non troppo vasta cerchia di produzioni, e quello che potremmo definire come “lo spirito originario” del metallo nero si riscopre un prodotto sovente di nicchia. Nonostante il BM sia probabilmente il genere che più di ogni altro ha mantenuto una certa attitudine verso i suoni sporchi, oggi certi estremismi sono per la maggior parte annegati in una relativa limpidezza sonora, un’accurata fase di produzione in cui fanno capolino qua e là contaminazioni tra generi, più o meno appropriate. Per quanto esso abbia, fin dalle origini, ricercato con particolare costanza e devozione i purismi al di là di ogni compromesso discografico, nel tempo ha dovuto prendere atto di essere anche tremendamente duttile. Volente o nolente, ha saputo rinvigorire contesti diversi e lontani tra loro (si pensi alla recentissima ondata blackgaze, alla quale fanno capo Alcest, Ghost Bath, Astronoid, Deafheaven & Co.).
Comunque, al di là delle molte e diverse suggestioni che dal Black Metal hanno attinto a piene mani, al di là delle fasi di produzioni recenti – sempre più accurate -, non si fa troppa fatica ad affermare che esso sia nato come il prodotto compiuto di una certa attitudine mentale: di uno spirito del “fai-da-te” in musica, in cui la penuria di apparecchiature e il disinteresse verso la perfezione formale divengono – in astratto – fondamentali alla riuscita di un disco. Diciamo quindi che, più che una classifica filologicamente ordinata sulla “bellezza” o sull’importanza sociologica, questa è una lista introduttiva di produzioni in cui la componente low-fidelity ha determinato in maniera importante la stessa particolare riuscita dell’album. Da alcuni progetti seminali e storici come Ulver, Beherit, Darkthrone fino a nomi ormai ignorati dai più – eppure in certi ambienti leggendari – come Satanize e Todesstoß. Da oggetti misteriosi che si approssimano al BM low-fidelity con una forte vena di sperimentazione, come Murmuüre e Black Magick SS, fino ai rumori allucinanti e purissimi di Créda Beaducwealm. Da Atvar, mastermind di Circle of Ouroborus e Rahu, fino alla scuola portoghese. Dagli inizi fino ai giorni nostri: ecco secondo noi 50 album essenziali registrati in bassissima fedeltà. Un viaggio – per forza di cose appena introduttivo e con uno speciale occhio di riguardo verso l’attualità, come consuetudine qui su Metal Eyes – che procede a ritroso nel tempo, una discesa verso le malevole origini.
Candelabrum – Necrotelepathy (2016)
Wóddréa Mylenstede – Créda Beaducwealm (2016)
Black Cilice – Mysteries (2015)
Axis of Light – L’appel Du Vide (2015)
Black Magick SS – The Black Abyss (2015)
Bekëth Nexëhmü – De Svarta Riterna (2014)
Volahn – Aq’Ab’Al (2014)
Akitsa / Ash Pool – Ripped From Death, Forced To Live, And Die Again (2013)
Clandestine Blaze – Harmony of Struggle (2013)
Black Cilice – Summoning the Night (2013)
Circle Of Ouroborus – Mullan Tuoksu (2012)
Rhinocervs – RH-12 (2012)
Irae – Seven Hatred Manifestos (2012)
Rahu – The Quest for the Vajra of Shadows (2012)
Xothist – Xothist (2011)
Bilskirnir / Barad Dûr – Lost Forever / Selbstmord (2011)
Murmuüre – Murmuüre (2010)
Wormsblood – Mastery of Creation (2009)
Satanize – Demonic Conquest in Jerusalem (2009)
Circle of Ouroborus – Night Radiance (2009)
Cripta Oculta – Sangue do Novo Amanhecer (2009)
One Master – The Quiet Eye of Eternity (2009)
Horrid Cross – Demo II (2009)
Bone Awl – Meaningless Leaning Mess (2007)
Arkhva Sva – Gloria Satanae (2007)
Benighted Leams – Obombrid Welkins (2006)
Furdidurke – Furdidurke (2006)
Mgła – Presence (2006)
Ash Pool – Genital Tombs (2006)
Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber (2005)
Threnos – By Blood and by Earth (2004)
Moloch – Чернее Чем Тьма (2004)
Todesstoß – Spiegel der Urängste (2004)
S.V.E.S.T. – Urfaust (2003)
Xasthur – Nocturnal Poisoning (2002)
Akitsa – Goétie (2001)
Grausamkeit – Christenschmähung (2000)
Mütiilation – Remains of A Ruined, Dead, Cursed Soul (1999)
Paysage d’Hiver – Paysage d’Hiver (1999)
Ulver – Nattens Madrigal (1997)
Ildjarn – Forest Poetry (1996)
Burzum – Filosofem (1996)
Moonblood – Blut und Krieg (1996)
Vlad Tepes / Belkètre – March to the Black Holocaust (1995)
Graveland – Carpathian Wolves (1994)
Fimbulwinter – Servants of Sorcery (1994)
Darkthrone – Transilvanian Hunger (1994)
Beherit – Drawing Down The Moon (1993)
Darkthrone – A Blaze in the Northern Sky (1992)
Blasphemy – Fallen Angel Of Doom (1990)
E venne il momento delle famigerate classifiche di fine anno …
E venne il momento delle famigerate classifiche di fine anno …
C’è chi le adora, chi le schifa e chi le ritiene un male necessario: diciamo senza pudore che la Triade alla guida di MetalEyes rappresenta democraticamente ognuna di queste posizioni per cui, visto che come sempre la verità sta nel mezzo, divulgheremo quanto scaturito in quest’annata, senza la pretesa che il tutto venga visto come una verità rivelata bensì, semplicemente, un aiuto ad orientarsi nelle scelte nei confronti di chi ritenesse d’essersi perso qualche uscita importante.
Non nascondiamo neppure che tutti gli album che verranno citati sono stati recensiti da MetalEyes, e ciò non è dovuto solo ad un truffaldino stratagemma per ottenere qualche clic in più sui singoli articoli ma, soprattutto, al fatto che non abbiamo davvero il tempo di ascoltare altro che poi non venga tramutato in contenuti per la nostra webzine.
Abbiamo pensato di creare cinque categorie, per ognuna delle quali indicheremo i migliori cinque dischi, oltre ad altri quindici che verranno classificati sesti a pari merito: una generale, una dedicata ai dischi italiani, ed altre tre riferite a macro generi denominati, rispettivamente, metal estremo (black/death/trhash), materia oscura (doom, gothic, post metal, dark, ma anche ambient e neo folk) e hard’n’heavy (e qui ogni specifica è superflua).
Tra gli otto mesi trascorsi ancora all’interno di In Your Eyes ed i quattro successivi al distacco ed alla relativa nascita di MetalEyes, abbiamo recensito ben oltre 1000 album, gran parte dei quali di buon fattura e che non hanno trovato spazio in questa selezione per questioni marginali; ma questo è un esercizio che è quasi un gioco e, come tale, ha delle regole alle quali si deve sottostare se si vuole partecipare.
Cliccando su ogni disco che troverete nelle classifica verrete indirizzati alla recensione dove, se proprio non vorrete leggere i nostri sproloqui, avrete comunque la possibilità di ascoltare un estratto dei lavori in questione.
Quindi, buona lettura o buon ascolto, e auguri per un 2017 altrettanto foriero di ottimi dischi e soprattutto meno luttuoso, anche in campo musicale.
Alcuni mesi dopo l’uscita in digitale del nuovo album, i Tenebrae hanno scelto la data del 3 dicembre 2016 per la presentazione dal vivo di My Next Dawn, presso la tradizionale location dell’Angelo Azzurro, quello che ormai è rimasto, di fatto, il solo avamposto genovese per gli amanti del rock e del metal.
Come già scritto in sede di recensione, i Tenebrae, con il loro ultimo lavoro, hanno trovato la probabile quadratura del cerchio di un percorso musicale che, con i due precedenti full length Memorie Nascoste e Il Fuoco Segreto, affondava le sue radici nella scuola progressive tricolore ammantandone le atmosfere di un’aura a tratti gotica: con My Next Dawn, invece, Marco “May” Arizzi sposta decisamente la barra su una forma di metal oscura ed atmosferica, dai molti richiami al doom, che si va a completare con l’uso della lingua inglese anziché di quella madre.
Ero molto curioso di scoprire quale sarebbe l’accoglienza del pubblico nei confronti della nuova opera, alla luce di una sua dimensione più ortodossamente metal: ho sempre ritenuto, infatti, che un elemento penalizzante nei confronti della band genovese fosse, per assurdo, proprio il fatto di muoversi all’interno della scena metal pur proponendo un genere che lo stesso leader in passato ha sempre preferito definire art rock: con My Next Dawn l’equivoco (ammesso che fosse tale) pare essersi definitivamente risolto, pur senza disconoscere l’enorme valore artistico delle due precedenti prove, ed il numero considerevole di persone accorse per l’occasione ha suffragato questa mia sensazione.
Veniamo quindi al racconto della serata: il compito di aprire è stato affidato ai milanesi Checkmate, band che onestamente non conoscevo, sia perché di recente formazione, sia per la proposta di un genere che non rientra tra i miei ascolti abituali: mi sono imbattuto, quindi, in un metal alternativo piuttosto grintoso e convincente in più di un passaggio, contraddistinto dall’alternanza tra voce femminile e growl maschile, ma forse non ancora abbastanza peculiare per riuscire a fare breccia nell’attenzione di ascoltatori distratti da miriadi di uscite. Le potenzialità per riuscirci però paiono esserci tutte, alla luce di quanto offerto nel corso della breve esibizione, dimostrandolo anche con la rielaborazione piuttosto personale di un brano storico come You Spin Me Round dei Dead Or Alive, dedicata alla memoria del recentemente scomparso Pete Burns.
Nel 2017 i Checkmate hanno pianificato l’uscita del loro album d’esordio, prova alla quale li attendiamo con un certo interesse.
Dopo un cambio di palco piuttosto rapido sono entrati in scena i Tenebrae, alla prima uscita dal vivo con la formazione che ha registrato My Next Dawn – Paolo Ferrarese (voce), Marco Arizzi (chitarra), Fabrizio Garofalo (basso), Fulvio Parisi (tastiere) e Massimiliano Zerega (batteria).
Come in ogni release party che si rispetti, la band ha presentato dal vivo per intero la nuova opera, con la sola eccezione della riproposizione, a metà del set, della title track dell’album d’esordio Memorie Nascoste, per la quale stato chiamato sul palco l’originario tastierista Flavio Bignone. La resa on stage di My Next Dawn è stata decisamente ottimale, partendo comprensibilmente un po’ in sordina per poi snodarsi in un costante crescendo, grazie alla buona coesione dimostrata dai vari componenti e da suoni piuttosto buoni che hanno consentito di godere appieno di tutte le sfumature contenute nell’album.
Il nuovo corso dei Tenebrae ha senz’altro riscosso i favori dei presenti, ma non si trattava certo di una previsione azzardata: proprio l’orientamento più metallico del sound ha senza dubbio favorito l’assimilazione, da parte di un pubblico con un simile background, di brani splendidi come The Fallen One, Careless, My Next Dawn e As The Waves, solo per citare gli episodi migliori di una scaletta inattaccabile per qualità.
Paolo Ferrarese ha dimostrato ancora una volta le sue doti di vocalist versatile, riuscendo a passare con disarmante semplicità da evocative clean vocals ad un growl profondo, incisivo e sempre intelligibile, ed ha visto valorizzata ancor più la sua convincente prestazione dal prezioso controcanto femminile prestato per l’occasione da Ilaria Testa, tastierista della band sul precedente Il Fuoco Segreto, mentre Marco Arizzi non apparterrà probabilmente alla categoria dei virtuosi delle sei corde, ma possiede la dote non comune di riuscire a comunicare emozioni con il suo strumento, una peculiarità questa che, a mio modo di vedere, è ben più importate rispetto a quello che per altri chitarristi troppo spesso si rivela un arido sfoggio di tecnica esecutiva.
Il resto della band ha ben sorretto il lavoro dei due, contribuendo in maniera decisiva alla riuscita di una serata che ha visto, finalmente, un locale piuttosto affollato da un pubblico partecipe e desideroso di far sentire ai Tenebrae la propria approvazione relativa ad una svolta stilistica che, sicuramente, poteva presentare qualche rischio. Nonostante tutto, infatti, il trademark caratteristico della band genovese non viene meno, cambia solo il modo con il quale viene veicolato al pubblico e questo si è potuto cogliere appieno proprio quando è stata proposta Memorie Nascoste, una canzone che, pur nella sua evidente diversità rispetto ai brani di My Next Dawn, ha dimostrando senza ombra di dubbio che l’impronta compositiva è rimasta immutata.
Dopo diversi periodi carichi di dubbi e di incertezze è probabile che i Tenebrae, sia grazie all’accordo raggiunto con la Black Tears di Daniele Pascali, sia dopo aver potuto toccare con mano l’affetto e la vicinanza dei propri estimatori, possano trovare nuovo impulso ed ulteriore convinzione nel proporre la propria musica, perché, è inutile girarci attorno, My Next Dawn è stato in assoluto uno dei migliori album usciti quest’anno in Italia in ambito metal e si tratta solo di fare in modo che se accorga un numero di presone sempre maggiore.
Nel nostro piccolo noi di MetalEyes IYE la nostra parte la stiamo facendo, il resto è compito degli appassionati della buona musica.
Sono passati ben tredici anni dall’ultima apparizione dei King Crimson in Italia, occasione in cui toccarono anche la mia città, Genova; stranamente, nonostante l’evento riguardasse una delle band che hanno segnato indelebilmente i miei gusti musicali, possiedo solo ricordi sbiaditi di quella serata, sintomo del fatto che, all’epoca, la fredda e chirurgica precisione esibita da Fripp e soci non riuscì a rendere memorabile l’evento.
Così, al momento di partire per Milano, recarmi nuovamente a vedere i King Crimson sembra più un doveroso rito che non la finalizzazione di un qualcosa atteso da tempo, forse anche perché condizionato dall’ascolto di un album come Radical Action (sul quale mi ero espresso in questa sede qualche settimana fa), capace di trasmettermi solo a intermittenza le emozioni che cerco da sempre nella musica, pur con la riproposizione di gran parte dei brani storici.
Dopo aver preso posto nell’accogliente sede milanese del concerto, il Teatro degli Arcimboldi, la prima prova da superare per gli spettatori è quella di scendere a patti con l’idiosincrasia frippiana verso qualsiasi dispositivo audio o fotografico: una richiesta che ai più credo appaia bizzarra, se non addirittura fuori dal tempo e frutto dei capricci e delle bizzarrie di una vecchia star (chi era a Genova nel 2003 ricorderà il nostro avvolto per l’intero concerto da una luce violetta che ne celava di fatto le sembianze …), ma che, ripensandoci, finisce invece per rendere a tutti un gran bel servizio.
Infatti, oggi sembra impensabile partecipare ad un qualsiasi evento senza riprenderne o fotografarne diversi momenti, quasi che chiedessimo alla memoria del supporto tecnologico di sostituirsi alla nostra; in realtà, non credo sia un caso se i concerti che meglio ricordo sono proprio quelli che vidi quando la parola cellulare evocava solo l’immagine di furgoni blu o celesti …
Obbligati, quindi, obtorto collo, a guardare direttamente ciò che avviene sul palco anziché tramite il display di un tablet o di uno smartphone (pena il cazziatone preventivo dei solerti addetti), gli spettatori possono godersi senza distrazione alcuna circa tre ore di musica che dimostreranno come il vero extraterrestre, “l’uomo che cadde sulla terra”, risponda al nome di Robert Fripp, con tutto il rispetto per il compianto Bowie.
Quella dei King Crimson è appunto arte aliena perché inimitabile in ciascuna delle diverse sembianze che il musicista inglese ha voluto donare alla sua creatura e, sabato scorso, persino chi l’ha sempre ritenuta una snobistica e fredda espressione di pura tecnica sarebbe stato costretto a ricredersi. L’uomo sembrerebbe aver fatto pace con il mondo e forse con sé stesso, visto che non ha lesinato un solo cavallo di battaglia, affidando ai fiati del sempreverde Mel Collins il compito di riscaldarne le note, anche se, come vedremo, tale scelta racchiude anche qualche controindicazione; nulla a che vedere, quindi, con quanto accadde nella serata del Carlo Felice, in cui venne perfidamente offerta al pubblico la sola produzione più recente, relegando ai bis tre brani ottantiani (Three Of A Perfect Pair, Frame By Frame ed Elephant Talk) e gettando in pasto ad un famelico pubblico di nostalgici il contentino finale di Red, quale briciola dei capolavori del passato.
Con un quarto d’ora di ritardo rispetto all’orario previsto si parte, e l’incipit di Larks’ Tongues in Aspic Part I è una sferzata emotiva violenta, quasi stordente per quanto inattesa: la bizzarra band che si esibisce sul palco, composta da una linea di tre batteristi piazzati in prima fila con alle spalle un quartetto di eleganti signori dall’età media piuttosto elevata, è in realtà un orologio di alta precisione in cui tutto funziona alla perfezione, anche in quelle parti che parrebbero frutto di improvvisazioni e che, invece, sono esito di una meticolosità certosina oltre che di un talento superiore. Pictures Of A City è la conferma che questo viaggio a ritroso è appena iniziato e Dawn Song, frammento di Prince Rupert Awakes, rafforza la sensazione che questa volta nulla o quasi della produzione passata verrà lasciato indietro. Red è il secondo momento topico, e qui devo ribadire l’impressione avuta ascoltando il live, ovvero che l’inserimento dei fiati in un brano così asciutto e squadrato lascia più di una perplessità. Poco male, quando una band subito dopo può offrire un‘altra pietra miliare come Cirkus, traccia d’apertura di un disco magnifico, anche se un po’ sottovalutato rispetto agli altri, quale Lizard. In questo caso, come in Dawn Song, Jakko Jakszyk fatica il giusto nel riprodurre le tonalità di Gordon Haskell, che era già di suo un cantante molto atipico, ma tutto sommato ne esce piuttosto bene, mentre Mel Collins può sfogare le sue doti senza apparire troppo invadente.
L’ascolto delle prime note dell’ossessivo giro di chitarra di Fracture fa compiere a molti un altro salto sulla poltroncina: sia Lizard che Starless And Bible Black erano stati del tutto ignorati in Radical Action, per cui si immaginava che avvenisse altrettanto in quest’occasione: qui, oltre alla velocità sempre innaturale delle dita di Fripp, si fanno apprezzare le tre piovre in prima fila (da sinistra verso destra, guardando il palco: lo storico Pat Mastelotto, Jeremy Stacey, subentrato a Bill Rieflin e alle prese anche con le tastiere, e Gavin Harrison, protagonista in passato con gli ottimi Porcupine Tree). Epitaph, subito dopo, riporta a quelle atmosfere, definibili in maniera più appropriata come progressive, che ammantavano l’intero album d’esordio, mentre, dopo uno dei molti intermezzi strumentali di gran pregio, l’andamento beffardo e più catchy di Easy Money si prende giustamente la scena: qui va detto che, nonostante le mie perplessità, Jakszyk regge bene il confronto con un brano cantato originariamente da John Wetton, pur possedendo una timbrica decisamente diversa.
Ancora altre tracce di destrezza esecutiva preludono, prima, al percussivo crescendo di The Talking Drum e, dopo, alla spettacolare seconda metà di Larks’ Tongues In Aspic.
Si conclude così la prima parte dello show e, visto che la speaker, in sede di presentazione, l’aveva definito “primo set”, volendola leggere in maniera tennistica si può dire che i King Crimson abbiano inflitto all’ipotetico avversario al di là della rete un bel 6-0 …
Dopo una tale scorpacciata di pezzi storici, al rientro la band fa subito intendere, con Fairy Dust, che in questa sessione dell’esibizione verranno proposti meno brani “monumento”, anche se dopo l’evocativa Peace, è la delirante Indiscipline ad infiammare nuovamente il teatro, rivelandosi non solo una gradita apertura alla trilogia ottantiana ma offrendo al trio di percussionisti un terreno ideale per esibire la loro sopraffina tecnica.
L’inconfondibile melodia di In The Court Of The Crimson King si palesa senza preavviso, facendo temere una imminente conclusione della serata, visto che nell’immaginario collettivo il brano manifesto della band sarebbe potuto essere posizionato in coda allo show.
Così con è, per fortuna, e si prosegue con un mix tra la produzione più recente e quella storica un po’ meno incisiva (Letters e Sailor’s Tail, che facevano parte di Islands, gran disco, per carità, ma a mio avviso il più debole della prima parte dell’epopea crimsoniana), il che fa leggermente scemare la tensione emotiva in questa fase del concerto, fino ad arrivare alla convincente doppietta di inediti in studio Radical Action / Level Five, dall’impostazione non dissimile da quella che Fripp introdusse con Discipline.
Si creano così tutti i presupposti per arrivare all’autentica esplosione emotiva costituita da Starless, un brano capace di provocare quel turbamento che è prerogativa solo delle opere destinante all’immortalità: l’assimilazione della melodia prodotta dal peculiare tocco chitarristico di Fripp è un qualcosa che segna la linea di demarcazione tra l’uomo ed il bruto e, insomma, per farla breve, è impossibile non commuoversi nell’ascoltare per la prima volta dal vivo un simile capolavoro.
Fine del secondo set (conclusosi stavolta con un punteggio meno netto ma con un ultimo game memorabile …) e ritorno sul palco dei nostri per un bis il cui titolo era già scolpito nella pietra: 21st Century Schizoid Man, un brano profetico che, a 47 anni di distanza, ribadisce una volta di più la visionarietà del talento frippiano: del resto qui si parla di qualcuno che, con il senno di poi, tra pause prolungate, decisioni apparentemente illogiche e repentine infatuazioni mistico-filosofiche, ha forse prodotto meno di quanto avrebbe potuto fare, riuscendo ugualmente ad imprimere il suo geniale marchio sull’arte musicale della seconda metà del novecento.
Il momento in cui Tony Levin (a proposito, sempre un piacere per occhi e orecchie vederlo alle prese con il suo stick) imbraccia la macchina fotografica è il segnale stabilito per il libero scatenamento dei flash degli smartphone, oltre che il momento in cui si realizza la fine definitiva di queste tre ore di magia; la sensazione è quella d’aver assistito ad un evento in cui i primi a divertirsi siano stati proprio i musicisti, cosa non del tutto scontata in simili frangenti e conditio sine qua non per il completo coinvolgimento degli spettatori.
Considerazioni finali: Fripp si avvia alla settantina, io ho scollinato il mezzo secolo già da un po’ e tutto ciò che mi sta attorno (affetti, amici, animali e cose) porta impresso il segno inesorabile del tempo che scorre.
Così, poter assistere ancora una volta ad un concerto dei King Crimson si rivela in fondo un’arma a doppio taglio: in quegli attimi il tempo letteralmente si ferma ma, quando tutto finisce, il piacere lascia spazio al rimpianto verso tutto ciò che è stato e non potrà più essere, specie se ciò a cui si assiste è la fulgida rappresentazione di musica composta per la maggior parte più di quarant’anni fa, suonata oggi e che, tra altri quarant’anni, anche se purtroppo non ci potranno più essere Fripp a suonarla né gran parte dei presenti agli Arcimboldi ad ascoltarla, continuerà ad apparire sempre un passo avanti rispetto a chi si voglia cimentare con le sette note.
La pagina Facebook riferimento per gli appassionati riparte ed avvia una collaborazione con MetalEyes IYE !
Dopo 6 mesi di stop, Il 1 ottobre riprende vita Band Italiane Rock e Metal , pagina Facebook che, per diversi anni, ha costituito un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati e per gli stessi musicisti.
Per descriverne contenuti e finalità lasciamo direttamente la parola a colei che ne è stata l’artefice, Caterina “Spakka” Zarpellon, una figura tra le più attive nella scena rock/metal nazionale:
Band Italiane Rock e Metal nasce a dicembre 2012, dal mio desiderio di conoscere il panorama underground rock e metal nostrano, di cui ero ignara, e di farne partecipi più persone possibile. Nasce come una vetrina per i curiosi, per chi è stufo della “solita musica” e vuole ampliare le proprie conoscenze. Inizialmente vengono presentate le band, 4-5 con frequenza settimanale, ed inserite in un elenco, che in tre anni è arrivato a contare più di 1.400 band. Oltre a pubblicizzare video e file audio delle band, i loro annunci, live, ricerca membri e scambio date, si è creato un canale di contatto con agenzie di booking, promoters, locali, sale prova, fabbricanti di strumenti, programmi radiofonici. Tra le varie attività della pagina vorrei ricordare un festival organizzato in collaborazione con Breakdown, programma radiofonico di quel periodo, presso le OFFICINE SONORE di Vercelli il 2/11/2013, e diversi live durante il 2014 presso il ROCK SATISFACTION di Castronno (Va); il servizio di recensione tramite SADIK UNDERGROUND REVIEW; il “FEMALE DAY” giornata dedicata alle donne presenti nei vari gruppi rock e metal italiani; il blog, con la pubblicazione delle locandine dei live e del “Video del giorno”; la copertina della pagina che ospitava settimanalmente una band diversa; la mia collaborazione con la testata giornalistica romana TEMPI DISPARI, tramite report dei live e videointerviste alle band. Per problemi personali ho chiuso a malincuore la pagina a marzo 2016. Ma la passione non si può spegnere ed ora verrà riaperta il 1 ottobre. L’intento rimane lo stesso: essere strumento di diffusione e punto di ritrovo per le band. Avrò l’ausilio di quattro collaboratori, da varie zone d’Italia, con i quali spero di rendere un servizio migliore rispetto precedente. Dato che la pagina è stata cancellata, si ripartirà da zero e le band saranno catalogate in differenti elenchi, a seconda del loro genere di appartenenza, per facilitarne la consultazione. Vi aspetto numerosi, a supportare le Band Italiane Rock e Metal, dal 1 ottobre!
Le buone notizie non finiscono qui: infatti, noi di MetalEyes IYE siamo onorati di annunciare l’avvio della collaborazione con Caterina, grazie alla quale i nostri contenuti riguardanti la scena underground nazionale saranno raggiungibili anche dalla pagina Band Italiane Rock e Metal, mentre le band che si rivolgeranno a lei avranno la possibilità di attivare un canale di comunicazione diretto con la nostra webzine per quanto riguarda, in particolare, l’invio del materiale e l’ottenimento di una recensione in tempi ragionevoli.
Ovviamente questi sono solo alcuni degli aspetti di una collaborazione che sarà più ampia e certamente fruttuosa, visto che prende le mosse da un comune sentire e dalla volontà di rendere la nostra passione per la musica rock e metal un virus dalla diffusione inarrestabile.
Quindi non resta altro che invitarvi, dal 1 ottobre, a riprendere le buone abitudini quotidiane visitando la pagina Band Italiane Rock e Metal e, già che ci siete, facendo lo stesso anche con MetalEyes IYE.
Per un appassionato di musica, di quella fuori dai canoni commerciali ma intrisa di sudore, passione e talento, un evento come il Tibia Night, organizzato presso il CSOA Pinelli in quel di Genova, dovrebbe essere un occasione imperdibile visto che, oltre alla qualità e la varietà della musica offerta, c’è anche la possibilità di passare una serata mangiando e bevendo a prezzi “sociali”, senza cioè la necessità di accendere un mutuo per riuscire a sostenere la spesa di due birre .
L’uso del condizionale (“dovrebbe”) lo spiegherò alla fine, nel frattempo provo a riassumere quanto accaduto nel corso della serata: il programma prevedeva quattro esibizioni, quella del padrone di casa Fabio Cuomo, dei piacentini Søndag, dei verbanesi Muschio e degli imperiesi Plateau Sigma.
Fabio Cuomo non è solo il batterista che i più conoscono come mente degli ottimi Eremite, ma è soprattutto un musicista la cui voglia di sperimentare e di percorrere strade che travalicano l’idea di rock e metal, lo ha portato a creare una forma espressiva davvero sorprendente. Prendendo le mosse dalla musica ambient (quella di Eno, da solo o in compagnia di Fripp) e dal kraut rock (Klaus Schulze), Fabio costruisce musica che non cessa mai di perseguire un’idea melodica, tramite passaggi pianistici lontani per fortuna anni luce dalla stucchevolezza neoclassica che pare andare tanto di moda di questi tempi.
Ciò che colpisce, al di là del mero valore artistico, è l’idea di proporre musica di questo tipo, che presupporrebbe un’audience silenziosa ed assisa compostamente in un ambiente ovattato e magari elegante, in un centro sociale o in luogo dove, comunque, si sono raccolte persone con l’intento di ascoltare sonorità pesanti. Il fatto stesso di non esibirsi sul palco, ma di collocarsi in maniera defilata in un angolo della sala, non è certo un atto di snobismo ma semmai, l’idea di raggiungere gli ascoltatori con un flusso sonoro che giunga dallo stesso livello e non dall’alto. L‘effetto conclusivo è straniante quanto del tutto convincente.
Il compito di iniziare a far piovere dallo spazioso palco del Pinelli infuocati lapilli sonori spetta ai Søndag, quartetto che fa propria con grande convinzione la lezione passata del grunge e del rock alternativo di questi ultimi anni, fornendone un’interpretazione fragorosa e di sicuro impatto. Peccato solo che i suoni non sempre ottimali abbiano impedito di cogliere più efficacemente le strutture melodiche di brani apparsi, comunque, di buona levatura.
I ragazzi emiliani sono prossimi alla pubblicazione in ottobre del loro primo full length: anche se manca ancora l’ufficialità, il lavoro dovrebbe godere del supporto di un’etichetta di un certo peso, per cui le aspettative per la loro prossima prova non sono poche.
I Muschio fanno parte invece della scuderia dell’Argonauta ed appartengono a quella categoria di strane creature musicali che, con una formazione non usuale (due chitarre e la batteria), riescono a fare un discreto baccano attingendo alla pesantezza dello sludge, alla ruvida intensità del post hardcore e imbastardendo il tutto con ampie digressioni psichedeliche.
Il risultato è una mazzata non indifferente, più per la densità del sound che non per la sua effettiva pesantezza: le due chitarre lavorano quasi all’unisono, facendo dimenticare la rinuncia alle parti vocali a chi, come il sottoscritto, non è propriamente un sostenitore di questa particolare scelta.
Indubbiamente influisce sulla resa finale anche la presenza sul palco di un trio di musicisti di notevole esperienza, nonostante il nome Muschio sia relativamente nuovo. Una conferma, senza dubbio, delle ottime referenze che accompagnavano una band confermatasi di assoluta qualità.
La chiusura del Tibia Night è affidata ai Plateau Sigma, band per la quale ho esaurito ogni aggettivo fin dalla recensione del loro recente Rituals, vertice assoluto di una produzione di elevato livello medio. Rivisti dal vivo a qualche mese di distanza rispetto al concerto di Imperia, dove presentavano per la prima volta il nuovo materiale, i quattro ponentini hanno dato vita ad una esibizione di rara intensità emotiva, resa impeccabile anche dall’essersi rodati con le diverse date sostenute nel corso di quest’anno, accompagnando sovente nomi di spicco della scena metal (senza dimenticare il concerto del prossimo 27 novembre a Misano Adriatico con Ahab, The Foreshadowing e Weeping Silence). Il genere proposto è doom (perché tale resta, sia chiaro) ai massimi livelli, reso peculiare da una componente postmetal e progressive, esaltato dalla costante alternanza delle voci e, conseguentemente, delle diverse sfumature sonore espresse.
Potrei dire che oggi i Plateau Sigma, assieme a Doomraiser, Caronte, (Echo) e Abysmal Grief, occupano stabilmente le parti alte di un’ideale scala di valori del doom tricolore, ma nel farlo si rischia di sminuire la portata di una band la cui creatività male si adatta ai ristretti confini di genere.
Concludo con la promessa spiegazione di quel “dovrebbe essere un occasione imperdibile” che ho scritto nell’introdurre il report: inutile far finta di nulla, anche questa serata, nonostante ci fossero tutti i presupposti per attrarre un pubblico numeroso (sabato, nessuna delle due squadre di calcio impegnate nel vicino stadio, una location ampia e persino raggiungibile con i mezzi pubblici anche a tarda ora) è stata onorata da pochi intimi, perché, al netto dei musicisti, sotto il palco non ci saranno mai state più di 20-25 persone.
Considerando che questa è ormai una costante in tutti i concerti ai quali ho assistito negli ultimi anni, è evidente quanto una tale tendenza sia preoccupante, non essendoci sentore di una sua possibile inversione. Genova è storicamente poco ricettiva, ma non è che altrove, all’interno dei nostri confini, le cose vadano meglio quando si tratta di presenziare a concerti di band dedite a generi che necessitano d’essere un minimo “lavorati” all’atto dell’ascolto.
Peggio per gli assenti, mi chiedo però dove siano tutti quelli che, a parole, si definiscono appassionati di metal, ma che quando si tratta di supportare tangibilmente le band se ne guardano bene dal farsi vivi …
Oggi, 22 agosto 2016, prende il via a questa nuova avventura targata MetalEyes IYE: come si può intuire dal nome prescelto e dal logo che campeggia in alto nella nostra homepage, è evidente la connessione con In Your Eyes e, in effetti, MetalEyesIYE vuole essere appunto la costola metallica della webzine ligure che ha sempre avuto, quale propria peculiarità, quella d’essere aperta a qualsiasi tipo di contaminazione musicale e culturale, senza porsi alcun tipo di paletto.
Negli ultimi tempi, l’ingresso di diversi collaboratori, tra cui il sottoscritto, dediti soprattutto all’ascolto del metal e dei sottogeneri ad esso connessi, ha portato ad un aumento esponenziale del materiale riferito a questo genere, per cui, dopo una lunga riflessione, si è ritenuto opportuno separare la componente metal dalla testata madre; l’intento è quello di favorire uno sviluppo parallelo di entrambe le realtà, senza ingenerare alcun tipo di confusione in chi ci ha seguito in tutti questi anni: così, mentre In Your Eyes potrà comunque mantenere le proprie caratteristiche, riscontrabili nell’apertura verso diverse forme musicali apparentemente antitetiche e a contenuti di carattere non strettamente musicale (come la letteratura, la poesia, l’arte grafica, ecc.), MetalEyes IYE si occuperà solo ed esclusivamente di musica, abbracciando tutte le forme di metal ed i sottogeneri in possesso di quelle sfumature stilistiche ad esso riconducibili od affini.
In comune con la webzine “madre” resterà comunque un’assoluta indipendenza e, soprattutto, la volontà di supportare in particolare la scena underground e tutti quei musicisti e le etichette che faticano a trovare spazi nelle testate più importanti, soprattutto a livello cartaceo; questo non vuol dire, però, che ci si asterrà da un atteggiamento critico nei confronti del materiale che ci verrà proposto: semplicemente, eviteremo in maniera accurata, perché ciò non fa parte del nostro stile, di deridere, mortificare o ledere la dignità dei musicisti che ci propongono i loro lavori, meritevoli di rispetto a prescindere proprio perché guidati dalla nostra stessa passione per la musica.
Infine, l’ultima missione, sicuramente la più ardua, è quella di far capire a tutti quelli che avranno voglia di seguirci quanta sia la musica di ottima qualità che attende soltanto d’essere portata alla luce; ci rendiamo conto che non sia semplice riuscire a intercettarla, vista l’enorme quantità di dischi che vengono immessi in un mercato che non ha più la capacità ricettiva di un tempo, però è anche vero che chi si trincera dietro un modo di pensare tolemaico, sostenendo e supportando soltanto i soliti vecchi dinosauri ed ignorando qualsiasi novità, non troverà sicuramente terreno fertile dalle nostre parti.
Che dire ? Seguiteci e, soprattutto, se avete voglia e tempo di unirvi alla nostra avventura, scriveteci per proporvi come nostri collaboratori.