Verano’s Dogs – Summoning The Hounds

Grind/death devastante e senza compromessi, old school nell’approccio e potentissimo nell’impatto che ricorda le grandi band del passato, dalle quali i Verano’s Dogs attingono a piene mani per il loro progetto estremo.

La scena romana è da qualche anno un punto di riferimento per gli amanti del metal estremo di stampo death, brutal e grind core, un nido di creature mostruose che abitano sulle rive del Tevere, a due passi dal Vaticano.

I Verano’s Dogs sono un trio nato tre anni fa e composto da musicisti già attivi in altre band della scena capitolina, come Taste the Floor, NIS e Injury Broadcast; Summoning The Hounds è il loro primo album, registrato presso gli Hombrelobo Studios di Roma e licenziato dalla Metal Age Productions.
I cani del Verano (noto cimitero della capitale), gli animali che in alcune culture accompagnano i morti nel trapasso, debuttano dunque con questo massacro grind/death, dalla copertina fortemente ispirata all’old school death metal e con un sound che inserisce elementi hardcore in una carneficina sonora di tutto rispetto.
I cani difendono il loro territorio, attaccano e sbranano senza pietà nella title track che apre l’album: le unghie sporche di terra putrida con cui sono ricoperte da centinaia di anni le bare ormai marcite, si conficcano nelle carni mentre il trio composto da Pompeo (chitarra), Ulderico (voce e basso) e Pablo (batteria) intona la  colonna sonora estrema di questo quadro macabro, un grind/death devastante e senza compromessi, old school nell’approccio e potentissimo nell’impatto che ricorda le grandi band del passato da dove i Verano’s Dogs attingono a piene mani per il loro progetto estremo.
Il cane rimane la figura animale a cui è dedicato il mondo dei Verano’s Dogs e i brani, ispirati musicalmente da Repulsion, Terrorizer e Napalm Death, affrontano tematiche legate al suo immaginario, dalla mitologia alla letteratura: un album sicuramente consigliato.

Tracklist
1- Summoning the Hounds
2- Keeper of Hades
3- Bark at the Grave (ft.: Alex Gore from The Juliet Massacre)
4- Mind Necropolis
5- Cannibalism and Agriculture
6- Holiday in Baskerville
7- Rabid Moments
8- The Hound (A Lovecraft’s tale)
9- Deadly Whispher
10- The Rising of the Necrotic Hound (ft.: Demian from Airlines of Terror)

Line-up
Pompeo – Guitars
Ulderico – Vocals, Bass
Pablo – Drums

VERANO’S DOGS – Facebook

Hollowscene – Hollowscene

Gli Hollowscene sono una grande band lombarda di progressive rock. Il loro è un prog di stampo vintage, caldo e analogico, capace di guardare alla grande tradizione – britannica, soprattutto – degli anni Settanta.

Gli Hollowscene sono una grande band lombarda di progressive rock.

Recentemente si sono esibiti al FIM 2018 insieme a Prowlers, Anekdoten e La Fabbrica dell’Assoluto. Il loro è un prog di stampo vintage, caldo ed analogico, capace di guardare alla grande tradizione – inglese, soprattutto – degli anni Settanta. Non stupisce quindi, al riguardo, che questo loro interessantissimo lavoro sia uscito per Black Widow, da sempre attentissima al suono valvolare e primigenio di ciò che è progressive rock. Il disco si apre con la suite in cinque atti Broken Coriolanus: un vero e proprio caleidoscopio di suoni e sensazioni, di creatività ed emozioni, guidate dalla doppia tastiera e dalla doppia chitarra, sorrette da una sezione ritmica inappuntabile, non senza opportune spezie folk dovute al flauto. La suite è multiforme e cangiante, densa di cromatismi sonori e cambi di situazione, nello stesso tempo oscura e melodica, non priva di una tensione quasi drammatica e vagamente teatrale. Molto bella ed azzeccata poi l’idea di inserire, in chiusura dell’album, una cover di The Moon Is Down dei mitici Gentle Giant, con cui gli Hollowscene confermano una volta di più, non solo a livello timbrico, la ascendenza della loro visione musicale. Davvero un bellissimo disco.

Track list
1 Broken Coriolanus
2 The Worm
3 The Moon Is Down

Line up
Andrea Massimo – Guitar, Vocals
Walter Kesten – Guitar, Vocals
Demetra Fogazza – Flute, Vocals
Lino Cicala – Piano, Keyboards
Andrea Zani – Piano, Keyboards
Tony Alemanno – Bass
Matteo Paparazzo – Drums

HOLLOWSCENE – Facebook

Demetra Sine Die – Past Glacial Rebound

Una vera lezione di stupendo post-black sperimentale, con intrusioni dark, noise, drone e doom. Un nuovo ed ulteriore volto dei Demetra Sine Die, fedeli a sé stessi eppure sempre capaci di rinnovarsi.

E’ a dir poco strepitoso il nuovo capitolo dei Demetra Sine Die, eccellente gruppo italiano, giunto al terzo full-length, pubblicato dalla inglese Third I Rex.

Il lavoro si dipana attraverso sette tracce, tutte all’insegna di una grande varietà sonora. Post Glacial Rebound è – come anticipa il titolo – freddo e cerebrale, ma anche emozionale ed evocativo, intenso ed attento alle suggestioni che la musica – un grandioso mix di post-black, drone doom, noise e dark prog sperimentale – sa evocare ad ogni solco in maniera sublime. Quasi alla stregua di un film, le composizioni di questo nuovo CD dei Demetra Sine Die – nei suoi quarantasette minuti di durata complessiva – si presentano come una sorta di viaggio nello spazio, un’esplorazione cinematica che può ricordare, con il suo post-metal mutante, Tool, Virus e in particolare Oranssi Pazuzu. Si ascoltino al riguardo, tra loro collegate, l’opener Stanislaw Lem – il suo Solaris è stata una fonte d’ispirazione letteraria fondamentale – e la quarta traccia, Gravity: nelle due composizioni i sintetizzatori (tutti analogici, a cominciare dal Korg MS20) rendono atmosferico e fantascientifico il sound. Un taglio futuristico che non è tuttavia privo di calore, come sottolinea la sezione ritmica (il batterista Marcello Fattore, abilissimo nelle sue tessiture percussive, e il bassista Adriano Magliocco, dal tocco, a tratti, quasi grunge). I riverberi e gli squarci materici della chitarra di Marco Paddeu fanno il resto, compattando e variegando il magma sonoro esplorato dai Demetra Sine Die, declinandolo in termini ora tesi e drammatici (Lament), ora più melodici (Liars). Anche le linee vocali sono assai varie: abbiamo parti recitate (quelle iniziali di Eternal Transmigration hanno un che di pinkfloydiano), clean vocals ed uno screaming di stampo più classicamente black (in veste di ospite partecipa Luca Gregori dei torinesi Darkend), il che dona un tocco weird al tutto. La title-track conclusiva riassume tutte le caratteristiche della band ligure e di questo suo nuovo magistrale lavoro, densa e concettuale, spirituale e cangiante, pulitissima nelle soluzioni timbriche adottate di volta in volta e potente nell’impatto. La grafica di Anna Levytska, che ha collaborato tra gli altri con i Blut Aus Nord, incornicia il tutto. Capolavoro, tra i dischi dell’anno.

Tracklist
1 Stanislaw Lem
2 Birds Are Falling
3 Lament
4 Gravity
5 Eternal Transmigration
6 Liars
7 Post Glacial Rebound

Line up
Adriano Magliocco – Bass, Synthesizers
Marco Paddeu – Vocals, Guitar, Korg MS20
Marcello Fattore – Drums

DEMETRA SINE DIE – Facebook

Era Of Disgust – Teratogenesi

Venti minuti di squassante metal estremo che si muove crudele tra lo spartito di Teratogenesi.

Teratogenesi è il primo lavoro degli Era Of Disgust, band nata a Torino intorno al 2014, ma solo ora sul mercato con questo ep autoprodotto composto da cinque devastanti brani di deathcore, ma non solo.

I soliti problemi nella line up hanno rallentato la carriera del gruppo che, assestatosi con una formazione che vede Davide Di Girolamo e Filippo Peinetti alle chitarre, Saverio Bello alla voce, Sandro Pirrone al basso e Simone Merlenghi alla batteria, è ora pronto ad incendiare palchi.
Deathcore dicevamo, ma anche death metal classico e qualche sconfinamento nel brutal, per un sound che sprigiona violenza ad ogni nota, potentissimo e senza compromessi, tra ritmiche marziali che accelerano quando le sfuriate estreme prendono la strada del death metal tradizionale, un ottimo uso di growl e scream e chitarre compresse che deflagrano in urla elettriche lancinanti, tra attitudine classica e moderna.
Questo in poche parole è quello che vi troverete ad affrontare quando le prima note di Black Haze vi prepareranno allo tsunami estremo in arrivo quando il growl darà via al massacro.
Broken Shoulder è il singolo estratto da Teratogenesi, animato da un demone death, lo stesso che vive nelle note di Brutal Truth e Morbid Angel, o più semplicemente dei Thy Art Is Murder, il gruppo più vicino al concetto di musica estrema dei nostri.
Venti minuti di squassante metal estremo che si muove crudele tra lo spartito di Drowning ( a mio avviso il brano più violento, veloce ed intenso dell’ep), Infernal Mood, e P.O V., le altre tre bombe sonore firmate Era Of Disgust.
Un esordio davvero promettente, e un’altra band da seguire nel vasto panorama del metal estremo made in Italy: date un ascolto a queste cinque tracce e mettetevi con noi in attesa di un full length che a questo punto è il naturale approdo per gli Era Of Disgust.

Tracklist
1.Black Haze
2.Broken Shoulder
3.Drowning
4.Infernal Mood
5.P.O.V

Line-up
Davide Di Girolamo – guitar
Filippo Peinetti – Guitar
Saverio Bello – Vocals
Sandro Pirrone – Bass
Simone Merlenghi – Drum

ERA OF DISGUST – Facebook

ParcoLambro – ParcoLambro

Sei brani per quasi un’ora di musica che non conosce l’usura del tempo e che necessita, in modo d’essere apprezzata anche da chi non frequenta più certi lidi sonori da anni, della giusta apertura mentale per farsi attraversare da note provenienti dalle più disparate direzioni.

Questo album autointitolato, uscito nel 2017 per Music Force, mette in luce il quintetto bolognese ParcoLambro, band che offre un sound capace di tener fede agli intenti dichiarati in sede di presentazione, facendo riferimento a gruppi storici come Area (direi più la versione 2 guidata dal compianto Giulio Capiozzo, rispetto a quelli monumentali con Demetrio Stratos) e Soft Machine.

Se emulare i nomi presi a riferimento rappresenta decisamente una bella sfida, bisogna dire che i ParcoLambro reggono adeguatamente il confronto, grazie ad un approccio che è quello tipico della jam session, attualizzato comunque da un uso originale dell’elettronica e di una notevole varietà ritmica.
Come spesso accade in tali frangenti, a fare la parte del leone sono soprattutto i fiati e un organo che fornisce un notevole carico di psichedelia al tutto, ma anche la restante strumentazione è protagonista con pari dignità, per cui non resta, a chi lo voglia fare, di compiere quello che è comunque il tuffo in un passato musicale sigillato saldamente nel DNA della mia generazione (ovvero quella degli imberbi ragazzotti che nel ’79 gremivano l’Arena di Milano per ricordare uno dei più grandi vocalist mai apparsi sul pianeta), indipendentemente dai gusti e dagli ascolti sviluppati negli anni a venire.
Abbiamo così sei brani per quasi un’ora di musica che non conosce l’usura del tempo e che necessita, in modo d’essere apprezzata anche da chi non frequenta più certi lidi sonori da anni, della giusta apertura mentale per farsi attraversare da note provenienti dalle più disparate direzioni; infatti, se il brano d’apertura #5 sembra fornire coordinate riconducibili ai già citati modelli, arriva la prima parte di Nord con il suo incipit funky a smentire il tutto, mente in Not For You sembra a tratti di ascoltare la Mahavishnu Orchestra con i fiati a sostituire il violino, prima che a spiazzare ulteriormente arrivi una breve parte cantata, che resterà l’unica nell’intero lavoro.
Notturno è improvvisazione allo stato puro, mentre è un’altra traccia divisa in due parti, Ibis, a chiudere al meglio quest’opera impegnativa ma allo stesso tempo gratificante; non c’è solo una fredda esibizione di tecnica nel progetto musicale dei ParcoLambro, bensì il fluire privo di vincoli di una musica progressiva nel senso più genuino del termine.
Considerando che l’album non è proprio recentissimo, è auspicabile che a breve la band bolognese possa rifarsi viva con qualche succulenta novità.

Tracklist:
1. #5
2. Nord pt. 1
3. Nord Pt. 2
4- Not For You
5. Notturno
6. Ibis Pt. 1
7. Ibis Pt. 2

Line up:
Clarissa Durizzotto – sax alto
Mirko Cisilino – trombone, farfisa, moog, nordlead
Giuseppe Calcagno – chitarra, basso
Andrea Faidutti – chitarra, basso, voce
Alessandro Mansutti – batteria

PARCOLAMBRO – Facebook

 

Mr. Bison – Holy Oak

Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

I Mr. Bison sono uno dei migliori gruppi italiani di musica pesante con innesti psichedelici.

Provenienti da Cecina sono al quarto disco, e ad ogni uscita si può notare un miglioramento rispetto a quella precedente. Holy Oak è un disco che suona benissimo, potente, bilanciato e con ottime scelte sonore. La loro musica è uno stoner di livello superiore, con intarsi desert e sconfinamenti negli anni settanta, perché la loro musica ha fortissime radici in quegli anni. Il groove generato da questi signori toscani è un qualcosa che vi conquisterà, come ha già conquistato molti, soprattutto coloro che hanno avuto l’occasione di vederli dal vivo. Cosa li differenzia dagli altri gruppi? I Mr. Bison hanno una maniera differente di trattare la musica, la fanno sgorgare libera e fresca dagli ampli, hanno un tocco southern senza esserlo strettamente, hanno gli anni settanta dentro, ma senza essere derivativi, e riescono sempre ad essere piacevoli usando la musica pesante. Nel loro contesto si muovono moltissimi gruppi, la media qualitativa, soprattutto in Italia, è cresciuta molto, ma gruppi come i Mr. Bison ce ne sono pochi. E questo è un fatto oggettivo, non soggettivo, basta ascoltare Holy Oak, o i dischi precedenti, per capire che qui c’è qualcosa in più: sarà talento o gusto, ma esiste ed è tangibile. Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

Tracklist
1.Roots
2.Sacred Deal
3.Heavy Rain
4.Earth Breath
5.Holy Oak
6.The Bark
7.The Wave
8.Red Sun
9.Beyond the Edge

Line-up
Matteo Barsacchi – Guitar, Vocals
Matteo Sciocchetto – Guitar Vocals
Matteo D’Ignazi – Drums, Sounds

MR.BISON – Facebook

The Sponges – Official Demo

Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.

E’ un hard’n’heavy che guarda gli anni settanta/ottanta, pregno di ardore metallico, il sound offerto da questo gruppo proveniente dal trevigiano chiamato The Sponges.

Questi cinque brani compongono il demo di inediti con cui il giovane quartetto lascia definitivamente il mondo delle cover band (Led Zeppelin, Deep Purple e Judas Priest) per lasciare alla propria musica il compito di rappresentarli.
Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.
Warrior è una marcia hard rock rocciosa che perde qualcosina in impatto nel ritornello, mentre la seguente Run Or Burn risulta più metallica, un crescendo dai toni priestiani che si aggiudica la palma di miglior brano del demo.
La ballatona Love Is Gone spezza la tensione, prima che Song 4 torni a caricare di elettricità l’atmosfera e un riff potentissimo di scuola Zakk Wilde apra la conclusiva My Fucking Brain, il brano più “moderno” di questo primo lavoro targato The Sponges.
L’impatto non manca, i musicisti fanno del loro meglio per dare una loro personalità ai brani, quindi l’inizio è senz’altro positivo, e  noi attendiamo fiduciosi ulteriori sviluppi.

Tracklist
1.Warrior
2.Run Or Burn
3.Love Is Gone
4.Song 4
5.My Fucking Brain

Line-up
Alessandro Russo (Rusho) – Vocals
Davide Zanella – Drums
Sat – Guitars
Andrea Zanella – Guitars

THE SPONGES – Facebook

Ancient Veil – Rings of Earthly… Live

Una summa dal vivo che permette di ripercorrere lo splendido itinerario musicale di Eris Pluvia ed Ancient Veil. Una grande dimostrazione di vitalità e spessore del prog di casa nostra.

Nel 1991, tra i simboli della rinascita progressiva nel nostro paese, usciva Rings of Earthly Light dei liguri Eris Pluvia, stupenda opera di prog pastorale e bucolico, intriso di aromi canterburyani.

Oggi, gli Ancient Veil – che dagli Eris Pluvia sono derivati, con il vocalist e chitarrista Alessandro Serri, il sassofonista Edmondo Romano e la cantante Valeria Caucino – omaggiano quel luminoso passato, così storicamente importante, riproponendo altresì in versione live brani degli stessi Ancient Veil. Il CD in questione è così la registrazione del bellissimo concerto tenuto alla Claque di Genova l’11 di novembre del 2017: una stupenda alternanza di composizioni vecchie e nuove, un ponte gettato fra passato e presente, con il filo rosso rappresentato dall’amore per la musica di qualità a tener insieme i giorni di ieri e quelli di oggi, senza peraltro alcun compiacimento nostalgico o autoindulgente. La prestazione degli Ancient Veil è impeccabile e sentita (si nota la presenza di Fabio Zuffanti), mentre l’incisione è ottima. Da Rings of Earthly Light vengono riproposte la suite omonima e due brani, il resto è materiale Ancient Veil. E da questo imperdibile concerto emerge come le esperienze dell’uno e dell’altro gruppo si ricolleghino vicendevolmente senza soluzione di continuità. La creatività, del resto, non ha tempo.

Track list
1- Ancient Veil
2- Dance Around My Slow Time
3- The Dance of the Elves
4- Creature of the Lake
5- Night Thoughts
6- New
7- Ring of Earthly Light
8- Pushing Together
9- In the Rising Mist
10- I Am Changing
11- If I Only Knew
12- Bright Autumn Dawn

Line up
Alessandro Serri – Vocals, Guitars, Flute
Edmondo Romano – Reeds
Fabio Serri – Vocals, Piano, Keyboards
Massimo Palermo – Bass
Marco Fuliano – Drums
Valeria Caucino – Vocals
Marco Gnecco – Oboe
Fabio Zuffanti – Guitar
Stefano Marelli – Guitar

ANVIENT VEIL – Facebook

Tannoiser – Alamut

Con una classica formazione a tre, i Tannoiser propongono un lavoro che spazia con buona fluidità tra le influenze dichiarate (Celtic Frost, Electric Wizard e primissimi Cathedral), mettendo a frutto l’esperienza live maturata in questi anni.

Alamut è un ep della durata di circa mezz’ora che rappresenta l’esordio in formato fisico per i Tannoiser, band bresciana dedita ad un’interessante forma di doom (al 2016 invece risale l’altro ep Mekkano, uscito solo in digitale).

Con una classica formazione a tre, i Tannoiser propongono un lavoro che spazia con buona fluidità tra le influenze dichiarate (Celtic Frost, Electric Wizard e primissimi Cathedral), mettendo a frutto l’esperienza live maturata in questi anni.
Baba Vanga apre al meglio il lavoro con un giro di basso killer, facendo presupporre un approccio catchy al genere che in realtà poi non si rivelerà tale: infatti, sin dalla seconda traccia Paradacsa, il sound si fa sempre più buio, rallentato e disturbato, accompagnato dal ringhio sgraziato ma efficace dell’addetto alle quattro corde Bruno Almici. Le distorsioni pronunciate di Necrophage donano al brano un’aura particolare, mentre con March of Wrecks i ritmi divengono ancor più rarefatti, e se The Void rilancia in parte l’andatura, la conclusiva Mekkano pianta i classici chiodi sulla bara con il suo doom mortifero ed essenziale.
Proprio quest’utimo aspetto a tratti può rivelarsi un limite, perché un sound leggermente più ricco (magari con l’apporto di una tastiera sullo sfondo) valorizzerebbe ancora di più le buone intuizioni dei Tannoiser: Alamut è in ogni caso un altro buonissimo tassello, piazzato al posto giusto allo scopo di edificare sonorità oscure capaci di intrecciarsi efficacemente con un contenuto lirico affascinante che, partendo dalla citazione della storica fortezza iraniana che dà il titolo all’album, trae spunto dal passato finendo per tratteggiare scenari foschi per l’umanità riguardo al suo futuro.

Tracklist:

1. Baba Vanga 04:11
2. Paradacsa 05:33
3. Necrophage 05:20
4. March of Wrecks 03:59
5. The Void 05:52
6. Mekkano

Line up:
Davide Serpelloni Drums (2015-present)
Francesco Bellucci Guitars (2015-present)
Bruno Almici Vocals, Bass (2015-present)

2018

Wonderworld – III

Con III gli Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale.

Torna il trio italo/norvegese che, sotto il monicker Wonderworld, vede le gesta del nostro Roberto Tiranti al basso ed ovviamente al microfono, Ken Ingwersen alla chitarra e Tom Arne Fossheim alla batteria.

Ancora una volta il gruppo delizia gli ascoltatori con la sua personale rivisitazione dell’hard rock classico, elegante, raffinato e a tratti progressivo, melodico e pregno di ispirazioni hard blues di scuola Deep Purple, Glenn Hughes.
I tre musicisti, come ormai ci hanno abituato, lasciano il loro talento al servizio di questi ennesimi dieci gioiellini, classici ma rivestiti di un’aura fuori dal tempo, perfetti nel continuare la tradizione del rock duro di classe anche nel nuovo millennio.
La voce di Tiranti è sicuramente l’asso nella manica della band: interpretativo, sanguigno e dall’appeal in dote solo ai grandi, ma i suoi compagni non sono da meno con un Ingwersen in stato di grazia, preciso e raffinato, senza perdere in potenza con riff scolpiti nella storia del genere e Fossheim che lega il tutto con il suo drumming granitico.
Un’altra piacevole raccolta di brani rock dunque, nella quale melodie, gustosi solos e refrain da brividi ci accompagnano nel mondo dell’hard rock di classe, presi per mano da splendide perle come Stormy Night, Brand New Man e Stay Away From Me.
Con III Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale ed una vera e propria garanzia per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
01. Background Noises
02. Stormy Night
03. Big Word
04. Crying Out For Freedom
05. A Mountain Left To Climb
06. Brand New Man
07. Rebellion
08. The Last Frontier
09. Stay Away From Me
10. There Must Be More

Line-up
Roberto Tiranti – Vocals, Bass
Ken Ingwersen – Guitars, Backing vocals
Tom Arne Fossheim – Drums, Backing vocals

WONDERWORLD – Facebook

Una Stagione all’Inferno – Il mostro di Firenze

Un inquietante viaggio musicale nella storia di un mistero italiano forse mai del tutto risolto, reso in musica attraverso altrettanto inquietanti barocchismi, oscuri e progressivi.

Non poteva che essere la Black Widow di Genova, forte della sua competenza in materia, a distribuire questo disco, vero gioiello di dark prog d’alta scuola.

Il nome scelto dal gruppo – accompagnato da diversi e prestigiosi ospiti, tra i quali Roberto Tiranti e Pier Gonella – rimanda a Rimbaud, mentre il titolo ai drammatici e tragici fatti di cronaca nera che insanguinarono il capoluogo toscano dalla metà circa degli anni ’80. Una Stagione all’Inferno vuole mettere pertanto in musica quegli inquietanti e mai troppo distanti avvenimenti, la cui radice riporta al fondo buio dell’animo umano: un’impresa non facile, ma anche una scommessa vinta sul piano artistico e musicale. Classico e moderno nello stesso tempo, Il Mostro di Firenze – una sorta di concept, la cui tessitura complessiva non consente quasi di separare i singoli momenti che lo vanno a comporre – si rivela un gran bel disco di oscuro rock sinfonico (è forse questa la migliore definizione possibile dell’intero lavoro), quasi un viaggio barocco nelle tenebre condito da eccellenti parti strumentali e malinconiche melodie, in un sapiente alternarsi di situazioni, ora più pompose ed ora più intimiste. Veramente un ottimo lavoro, superbo sotto il profilo sia della scrittura sia dell’esecuzione.

Track list
1. Novilunio
2. La ballata di Firenze
3. Nella notte
4. Lettera anonima
5. Interludio macabro
6. L’enigma dei dannati
7. Serial Killer Rock
8. Il dottore
9. Plenilunio

Line up
Laura Menighetti – Vocals, Keyboards
Fabio Nicolazzo – Vocals, Guitars
Roberto Tiranti – Bass, Chorus
Pier Gonella – Guitars
Marco Biggi – Drums
Paolo Firpo – Sax, Akai Ewi 4000S
Kim Schiffo, Daniele Guerci, Laura Sillitti – Strings

UNA STAGIONE ALL’INFERNO – Facebook

The Red Coil – Himalayan Demons

Un continuo groove sludge stoner metal, con intarsi desert, intensità mostruosa e su tutto una potenza distorta che porta via.

Un continuo groove sludge stoner metal, con intarsi desert, intensità mostruosa e su tutto una potenza distorta che porta via.

Non è mai facile descrivere un disco che fa pensare a molte cose, e non soggettive ma oggettive. I milanesi The Red Coil faranno la gioia di chi ama la musica pesante nelle sue accezioni più disparate, e qui ce n’è per tutti i gusti. Il gruppo suona uno sludge stoner di rara potenza che non fa prigionieri e che costringe e sentirlo disparate volte. Lla band lombarda esordisce nel 2009 con l’ep Slough Off che riceve una buona accoglienza sia dal pubblico che dalla critica. Nel 2013 i nostri escono con il primo disco su lunga distanza, intitolato Lam, che procura loro  diversi concerti in giro per il nord Italia, soprattutto. Ed eccoci infine arrivati al presente Himalayan Demons, un disco gigantesco. La voce graffia ed è un mirino preciso che indirizza le bordate che arrivano dal resto del gruppo. Prendete i migliori Pantera e date loro un respiro sludge stoner e vi avvicinerete un minimo a cosa sia questo disco. Quando l’atmosfera è incendiata dalla loro musica, arrivano aperture melodiche ottime e totalmente inaspettate. Forte è anche l’influenza dello stile southern metal, che qui è presente in maniera diabolica. I The Red Coil sono un autentico godimento, riescono a trovare sempre la soluzione sonora giusta e rendono rovente il vostro impianto stereo, i loro inediti sono fantastici, ma rende bene e velocemente l’idea di cosa siano l’ultima traccia del disco, la cover di When The Leeve Breaks dei Led Zeppelin, fatta in maniera sublime e con la loro fortissima impronta. Un disco pesantemente fantastico.

Tracklist
1. Withdrawal Syndrome Wall
2. Godforsaken
3.Oriental Lodge
4. Opium Smokers Room
5. The Shroud
6. Moksha
7. The Eyes Of Kathmandu
8. When The Levee Breaks

Line-up
Marco Marinoni – voice
Luca Colombo – guitar
Daniele Parini – guitar
Gelindo – bass
Bull – drum

URL Facebook
https://www.facebook.com/theredcoil/

Heavenblast – Stamina

Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal.

Chiudete gli occhi e lasciatevi rapire da queste nove canzoni che vanno a comporre Stamina, ultimo lavoro lontano undici anni dal precedente degli Heavenblast, gruppo originario di Chieti attivo addirittura da metà anni novanta, ma per vari motivi con solo due full length all’attivo in precedenza,: l’esordio omonimo licenziato nel 2003, il precedente Flash Back, datato 2007.

Aiutata da un buon numero di ospiti sia in fase strumentale che al microfono, la band composta dalla cantante Chiara Falasca, dal chitarrista Donatello Menna, dal tastierista Matteo Pellegrini e dal batterista Alex Salvatore dà vita ad un elegante affresco di hard & heavy, partendo dalle molte melodie hard rock, seguite da cavalcate power metal e da bellissime parti progressive per un risultato interessante e dalla non facile lettura.
Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal, sia essa potente e veloce oppure raffinata ed intrisa di umori rock progressivi.
Ne esce un album vario in cui le strade intraprese sono molte e la band gioca a suo modo con le proprie ispirazioni in un caleidoscopio di note dall’alto livello tecnico e qualitativo.
Peccato per una produzione leggermente inferiore alla qualità espressa da brani sorprendenti come Purity, Alice In Psychowonderland, Don’t clean up this blood e la title track, dettaglio che non compromette l’ottima impressione suscitata da questo nuovo lavoro firmato Heavenblast.

Tracklist
1.Mind Introuder
2.Purity
3.Alice In Psychowonderland
4.We Are State
5.The Rovers
6.Don’t Clean Up This Blood
7.Sinite Parvulos Venire Ad Me
8.S.T.A.M.I.N.A.
9.Canticle Of The Hermit

Line-up
Chiara Falasca – Vocals
Donatello Menna – Guitars
Matteo Pellegrini – Keyboards, Piano
Alex Salvatore – Drums

HEAVENBLAST – Facebook

Derdian – DNA

DNA va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni, ma un’opera che ancora una volta conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Come mia abitudine vado contro il trend che vuole il metal in crisi qualitativa: anche quest’anno le opere che hanno arricchito le discografie degli amanti dei suoni classici non mancano di certo, magari meno glorificate dagli addetti ai lavori rispetto agli anni d’oro, ma pur sempre in grado di risplendere sugli scaffali degli ormai “pochi” negozi di settore.

Per quanto riguarda l’ormai sfavillante scena tricolore direi che mancavano proprio i Derdian a spingere il power progressive metal verso un altro anno da ricordare e, puntualmente, il gruppo milanese è tornato con questo nuovo monumentale lavoro dal titolo DNA.
Due cosine risaltano subito all’attenzione di chi con mano tremante infilerà il dischetto ottico nel lettore: il ritorno dietro al microfono di Ivan Giannini, uno dei singer più dotati della scena e l’uscita in regime di autoproduzione, davvero strano per un gruppo da oltre vent’anni in pista con album di altissima qualità ed un passato alla corte della storica label Magna Carta.
D’altronde anche DNA conferma l’assoluto valore di questa nostra splendida realtà, un gruppo che dal 2014, anno di uscita di Human Reset, ha infilato tre straordinarie opere come appunto Human Reset, Revolution Era (con Giannini temporaneamente sostituito da vocalist come Fabio Lione, Ralph Scheepers, Henning Basse e Terence Holler, tanto per nominarne alcuni) ed ora questo monumento al power prog sinfonico di oltre un’ora di saliscendi emozionali, cavalcate power, spettacolari trame progressive, il tutto nella più assoluta armonia e varietà stilistica con il sestetto che passa dal power al prog, dal folk all’hard & heavy, da atmosfere epiche ad parti swing ed ariose armonie dove le melodie sono regine incontrastate con una naturalezza straordinaria.
DNA è tutto qui, se vi basta, magari per convincervi andate direttamente alla traccia sette, quella Elohim che stupisce con lo swing che spezza l’epica cavalcata in crescendo; ma l’album va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni; un’opera che con l’aiuto di piccoli capolavori come la title track, Never Born, Red And White o Part Of This World conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Tracklist
1.Abduction
2.DNA
3.False Flag Operation
4.Never Born
5.Hail to the Masters
6.Red and White
7.Elohim
8.Nothing Will Remain
9.Fire from the Dust
10.Destiny Never Awaits
11.Frame of the End
12.Part of This World
13.Ya nada cambiara

Line-up
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals (backing)
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass
Ivan Giannini – Vocals

DERDIAN – Facebook

Goad – Landor

Nuovo lavoro da parte dello storico gruppo toscano, interprete di un incantevole hard prog gotico, dalle inflessioni ora più folk ora più doomeggianti. Puro romanticismo dark in musica, malinconico e melodico insieme.

In pista ormai dal lontano 1983, i fiorentini Goad confermano con questo loro nuovo lavoro tutta la propria creatività artistica, forti di un’identità che li vede pressoché unici nel panorama musicale di casa nostra.

La persistenza della tradizione: forse solo così si potrebbe definire la loro musica, erede del prog (King Crimson, Pink Floyd, VDGG), dell’hard rock anni Settanta (Led Zeppelin, Triumph, Rush, primi Uriah Heep) e del dark più occulto (High Tide, Atomic Rooster, Goblin, Devil Doll). In questa nuova opera – la dicitura non è casuale, in quanto Landor è una sorta di mono-traccia d’oltre cinquanta minuti suddivisa in tredici parti (o movimenti, se si vuole) – l’amore dei quattro toscani, a cui si aggiunto in veste di pianista e ingegnere del suono il lucchese Freddy Delirio (tastierista già con i Death SS e solista notevolissimo), per tematiche romantiche e decadenti trova una ulteriore e nuova declinazione, sonora e canora: progressive tastieristico, doom e impasti folk (con la passione per il gotico a fare, ogni volta, da collante) intersecano i loro piani, in quello che è un concept dalla struggente bellezza, letteraria, oltre che musicale. Non a caso, il secondo CD di questo doppio è un omaggio a Edgar Allan Poe, registrato dal vivo, al Parterre di Firenze, nel luglio dell’oramai lontano 1995: un documento davvero storico, quindi, inciso da una formazione della quale è rimasto solo il vocalist, che arricchisce ulteriormente questa pubblicazione. Alchimisti e teatrali interpreti dell’hard prog, non senza una profonda consistenza materica (si veda l’uso della doppia batteria in Landor), i Goad allora come oggi erano e restano da apprezzare senza riserve, coraggiosi e coerenti.

Tracklist
1- Written on the First Leaf of My Album
2- On Music
3- To One Grave
4- Bolero
5- Goodbye, Adieu
6- Life’s Best
7- Where Are Sights
8- Decline of Life
9- An Old Philosopher
10- The Rocks of Life
11- Defiance
12- Brevities
13- Evocation
14- I’ll Celebrate You
15- Fairyland
16- Dream Within a Dream
17- The Sleeper
18- To One in Paradise
19- Dreamland
20- Alone
21- The Haunted Palace
22- The City in the City
23- The End

Line up
Alessandro Bruno – Guitars, Reeds, Violin
Maurilio Rossi – Vocals, Bass, Guitar, Keyboards
Paolo Carniani – Drums
Enrico Ponte – Drums

GOAD – Facebook

Walkyrya – The Invisible Guest

Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya.

I Walkyrya, band in arrivo dalla provincia di Potenza, firmano per Time To Kill Records dopo tre album autoprodotti (il debutto omonimo licenziato nel 2002, The Banished Story uscito nel 2005, ed il precedente End Line datato 2015) e rilasciano il quarto lavoro di una carriera nata sul finire degli anni novanta e caratterizzata da un sound che ad ogni album ha cambiato pelle, arrivando a quello massiccio e pregno di groove di The Invisible Guest.

I “nuovi” Walkyrya suonano un thrash metal che alterna influenze classiche ed ispirazioni moderne, con un growl che a tratti si avvicina per impatto a quello usato nel death, per poi virare su fronti più melodici che non lasciano dubbi sull’impatto e la potenza di questa nuova raccolta di brani ricchi di refrain e chorus dal piglio classico ed attitudine live.
I Walkyrya affrontano il genere di petto, brani come l’opener Black Hills o All The Time ci presentano un quartetto che, senza andare troppo per il sottile, ci travolge con un muro di note dal groove micidiale, non mancando di velocizzare quel tanto che basta le ritmiche per omaggiare il thrash tradizionale.
Evil Clown ed Out Of Brain, altre due bombe lanciate sulle nostre teste dal gruppo, evidenziano le molte influenze che fatte proprie per dare vita a The Invisible Guest, partendo da Testament e Metallica per passare a Black Label Society e Pantera.
Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya; non perdete tempo e fatelo vostro, soprattutto se siete amanti delle band che hanno ispirato la band lucana.

Tracklist
1. Black Hills
2. Open Grave
3. All The Time
4. Drive Angry
5. Evil Clown
6. Venom Tears
7. Out Of Brain
8. March Or Die

Line-up
Vince Santopietro – vocals
Federico Caggiano – Guitar, chorus
Arcangelo Larocca – Bass
Tiziano Casale – Drums

WALKYRYA – Facebook

Progenie Terrestre Pura – starCross

I Progenie Terrestre Pura sono un gruppo che, usando il black death metal con venature industrial ed elettroniche, porta verso l’infinito il suo messaggio di angoscia e di incessante esplorazione sia dello spazio profondo che di noi stessi.

Torna uno dei progetti più originali e congrui della scena musicale italiana e non solo con un nuovo ep.

I Progenie Terrestre Pura sono il suono dello spazio e di una razza umana futuristica, o forse è un suono che arriva da una terra come la nostra persa in un multiverso differente dal nostro. Il loro black death cosmico è un qualcosa che colpisce nel profondo, e questo ep starCross è un avanzamento ulteriore della poetica musicale. L’ep si compone di cinque pezzi basati su una storia elaborata da Davide Colladon, deus ex machina dei Progenie Terrestre Pura. Tutto nasce dal fatto che la navicella A.S. Mori segue un segnale lanciato dalla spazio profondo, e l’ep è il racconto di questa esperienza alla maniera di questo fantastico gruppo. Nella loro poetica è centrale il rapporto tra l’uomo e lo spazio, rapporto filtrato dalla tecnologia, che però non riesce ad eliminare l’angoscia dell’uomo lanciato nello spazio profondo, anzi la acuisce. Non c’è gioia od onore nell’andare nello spazio tenebroso, ma solo un’incessante lotta contro i nostri limiti fisici e spirituali, con un’intelligenza che capisce benissimo cosa sta succedendo ma è sopraffatta dalla potenza e dalla pesantezza di ciò che coglie. I Progenie Terrestre Pura sono un gruppo che, usando il black death metal con venature industrial ed elettroniche, porta verso l’infinito il suo messaggio di angoscia e di incessante esplorazione sia dello spazio profondo che di noi stessi. Il trio italiano fa una proposta musicale fuori dalle categorie e dagli schemi, con una poetica ed una potenza musicale che non ha nessun altro. starCross è il primo lavoro in inglese, scelta operata per portare al massimo numero possibile di persone il loro messaggio. Il cantato in italiano, a mio avviso, dava un valore aggiunto, ma è comunque un qualcosa che arriva da una dimensione parallela, non è musica umana ma molto di più. Continua il viaggio nello spazio profondo, e l’arrivo non si chiama salvezza.

Tracklist
1.Chant of Rosha
2.Toward a Distant Moon
3.Twisted Silhouette
4.The Greatest Loss
5.Invocat

Line-up
Davide Colladon – Guitars, Composition
Emanuele Prandoni – Vocals, Lyrics
Fabrizio Sanna – Bass, Production

PROGENIE TERRESTRE PURA – Facebook

Inyan – A Bitter Relief

Il timbro musicale è molto influenzato dal grunge, linguaggio che non muore mai, al quale si aggiunge un’ottima struttura delle canzoni, che si dipanano dentro l’orecchio dell’ascoltatore, disegnando un racconto in musica.

Gli Inyan arrivano da Legnano e sono un power trio che fa stoner con forti venature grunge e con radici che affondano nel rock pesante.

I nostri sono tre amici che suonavano insieme da tempo per poi separarsi, infine si sono ritrovati per cominciare questa nuova avventura chiamata Inyan nell’aprile del 2011. Lo stoner rock è una materia immensa che si può declinare in varie maniere, e pochi gruppi riescono a trovare una via personale, vuoi per mancanza di fantasia o di bravura compositiva. Gli Inyan impostano tutto sulla loro personale visione della materia, e bisogna dire che spiccano dalla massa. Il loro timbro musicale è molto influenzato dal grunge, linguaggio che non muore mai, al quale si aggiunge un’ottima struttura delle canzoni, che si dipanano dentro l’orecchio dell’ascoltatore, disegnando un racconto in musica. I lombardi non sono particolarmente veloci od incalzanti, perché non ne hanno bisogno, ci sono ripartenze ed accelerazioni, ma mai cose fuori posto, e questa è una delle loro maggiori peculiarità: gli Inyan sono ciò che sono, e non una vuota forma per apparire ciò che in realtà non sono, come fanno molti gruppi. Il disco ha anche una produzione particolare, che mette in risalto il groove così come ogni strumento. La forza di questo gruppo è la sua personalità ed il suono, che esce molto bene dalle casse, in maniera lineare e godibile, per un disco che funzionerà molto bene anche dal vivo.

Tracklist
1.Ain’t No Place
2.Not Afraid
3.Meltin’ Pot
4.Back to Life
5.Don’t Even Matter
6.In This World
7.The Way You Wished
8.My Valentine

Line-up
Simone Cosentini – Vocals & Guitars
Federico Colombo – Bass Guitar
Mirko Bombelli – Drums

INYAN – Facebook

La Morte Viene Dallo Spazio – Sky Over Giza

Sky Over Giza è un lavoro che non mancherà di affascinare gli amanti dello space rock e delle colonne sonore, un lungo rituale che dallo spazio ci giunge come avvertimento: la morte sta arrivando e non riuscirete a salvarvi.

La label genovese BloodRock Records, da anni attiva nella scena underground italiana ed internazionale, ci presenta questa misteriosa realtà space rock, dalle forti ispirazioni psichedeliche ed influenzata dalle colonne sonore dei film di fantascienza italiani usciti qualche decennio fa.

Quattro musicisti dei quali non si conoscono le generalità hanno unito le loro forze, prima con l’incontro tra La Morte (flauto) e Lo Spazio (chitarra) ed in seguito raggiunte dalle due sacerdotesse al basso ed al synth/moog, per creare musica rituale, per lo più strumentale ed estremamente affascinante.
Sky Over Giza è un ep composto da quattro brani che formano una lunga jam psichedelica, illegale come un trip, acida e liquida nel suo incedere, mentre dallo spazio la morte, sotto svariate forme, si avvicina a noi accompagnata dai suoni e dalle atmosfere cosmiche che la musica del combo milanese disegna nella nostra mente.
La title track è una lunga intro che prepara l’ascoltatore all’arrivo degli zombie dalla stratosfera e il brano (Zombie Of The Stratosphere, appunto) dà il via all’invasione, con la voce in sottofondo che recita su un tappeto di suoni space rock.
Sigu Tolo è strutturata come un brano che segue delle immagini  sfocate dal fumo del rituale che ormai è giunto al culmine, mentre la conclusiva Fever torna a muoversi tra i pianeti gassosi in attesa che la morte inizi la sua discesa sulla terra.
Sky Over Giza è un lavoro che non mancherà di affascinare gli amanti dello space rock e delle colonne sonore, un lungo rituale che dallo spazio ci giunge come avvertimento: la morte sta arrivando e non riuscirete a salvarvi.

Tracklist
1.Sky over Giza
2.Zombies Of The Stratosphere
3.Sigu Tolo
4.Fever (Bonus Track)

LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO – Facebook

Al Ard – Al Ard

Un album di tale fattura deve’essere lavorato con pazienza e soprattutto compreso; personalmente, ritengo questo tipo di trasfigurazione del black metal la maniera ideale per far veleggiare nel nuovo millennio un genere sempre attuale ma pure accusato di obsolescenza dai suoi detrattori.

Questo primo lavoro è per gli Al Ard, band formatasi originariamente in Sicilia ma ora attiva nel nord Italia, la finalizzazione di un percorso che si protrae da qualche anno.

Il loro sound, che può essere approssimativamente definito industrial black metal, ingloba diversi elementi che vengono poi miscelati e riversati con sapiente ferocia, senza tralasciare di conferire al tutto un’aura drammatica, campionando per esempio, in Nero, parti tratte da Stendalì, pluripremiato corto datato 1960, con la voce della grande Lilla Brignone che recita un’orazione funebre scritta da Pasolini.
Questo immaginario in bianco e nero sembra confliggere con la modernità spinta che il trio offre ma, in realtà, ne è l’ideale complemento: tra Aborym, richiami alle sonorità in quota alla Cold Meat Industry che fu, incursioni etniche e ritmiche da drum’n’bass, gli Al Ard offrono una prova altamente disturbante, magari anche volutamente sporca a livello di produzione in certi frangenti.
A scopo esemplificativo prendiamo Who Want to Live Forgotten, traccia di rara violenza ma anche ricca di notevoli spunti deviati, e la sperimentazione delle due parti di Strange Old Practice, che si sviluppano tra rumorismo ed elettronica trasfigurata da una forte base sperimentale.
Certamente non siamo nel capo degli ascolti da prendersi alla leggera, perché un album di tale fattura deve’essere lavorato con pazienza e soprattutto compreso; personalmente, ritengo questo tipo di trasfigurazione del black metal la maniera ideale per far veleggiare nel nuovo millennio un genere sempre attuale ma pure accusato di obsolescenza dai suoi detrattori: gli Al Ard rispondono con i fatti, trasportando nel migliore dei modi l’ascolto su un piano che va ben oltre le prevedibili espressioni di blasfemia o le più rassicuranti pulsioni pagan/atmosferiche.
La musica deve anche scuotere, disturbare, talvolta anche respingere l’ascoltatore: del resto questo è il fragore della vita reale, qualcosa che resta sempre nel nostro campo uditivo anche se cerchiamo di sfuggirgli.

Tracklist:
1.Nero
2. For a Hint of Divinity
3. Pillar . Past . Present
4. Who Want to Live Forgotten
5. Strange Old Practice I
6. Red Bourbon
7. Strange Old Practice II
8.Scrutinizing A Glimpse of Chaos

Line up:
COD.511 – Vocals, Bass, Drum Machine
Symor Von Dankurt – Synth, Programming, Sampling
|x|on – Guitar, programming, sampling

AL ARD – Facebook