Ephyra – The Day Of Return

The Day Of Return si avvale di una forte componente etnica influenzata dalla tradizione orientale: il gruppo cerca negli strumenti popolari di Giappone e Mongolia una via per donare all’opera qualcosa di diverso, continuando nel suo concept narrativo che prevede quel riuscito mix dei generi descritti, diventato il proprio marchio di fabbrica.

Per molti il genere è ormai in una fase di stallo da cui difficilmente riuscirà ad uscirne, per altri invece il metal estremo melodico ha nei suoi cliché il punto di forza, specialmente se usati in modo sagace come nell’ultimo lavoro dei nostrani Ephyra.

La band lombarda, infatti, continua la sua avventura nel mondo del metal con il nuovo album intitolato The Day Of Return, il terzo in cinque anni, dal debutto Journey licenziato nel 2013, passando per il bellissimo Along The Path, di cui vi avevamo parlato sulle pagine di In Your Eyes tre anni fa.
Il nuovo album amplifica le caratteristiche degli Ephyra, band che si muove tra il death metal melodico ed il folk, e lascia alle non poche sfumature epiche il compito di esaltare gli amanti del genere crogiolandosi nella prestazione della singer Nadia Casali e del suo alter ego Francesco Braga.
Registrato negli studios di Mattia Stancioiu, The Day Of Return si avvale di una forte componente etnica influenzata dalla tradizione orientale: il gruppo cerca negli strumenti popolari di Giappone e Mongolia una via per donare all’opera qualcosa di diverso, continuando nel suo concept narrativo che prevede quel riuscito mix dei generi descritti, diventato il proprio marchio di fabbrica.
Rispetto al precedente lavoro, tutte le parti che compongono il sound Ephyra si sono accentuate, formando un muro sonoro nel quale gli strumenti classici del rock si uniscono a quelli tradizionali e le due voci, perfettamente inserite nel contesto ed aiutate da cori dal taglio power epic, contribuiscono non poco alla riuscita di una raccolta di brani che non prevedono cadute di tono.
Gli Ephyra ci provano e riescono a fare un altro passo avanti verso un sound sempre più personale, la strada è quella giusta e le molte canzoni sopra la media che compongono The Day Of Return ne sono la prova.
Il riff che apre la title track e, di fatto, l’album invita con piglio estremo e drammatico alla danza che parte ai primi ricami vocali della Casali, seguiti dal growl incisivo di Francesco Braga.
La sezione ritmica è potente e precisa, con le chitarre che rincorrono gli strumenti tradizionali in brani che mantengono il piglio estremo con naturalezza, con i vari passaggi che non risultano mai forzati, anche quando le ripartenze risultano bordate potentissime e i cambi d’atmosfera, tra le potenti cavalcate melodi death e le parti folk, spezzano il trend di brani come Wayfarer o The Spirit Of The Earth.
Lasciate da parte facili pregiudizi sul genere e godetevi questo ennesimo ottimo lavoro targato Ephyra, band che conferma l’ottimo momento della scena tricolore, mai come di questi tempi perfettamente in grado di reggere il confronto con quelle straniere.

Tracklist
01.The Day of Return
02.Your Sin
03.Run Through the Restless Fog
04.Wayfarer
05.Sublime Visions
06.Being Human
07.The Spirit of the Earth
08.Dance Between the Rocks
09.Infinite Souls
10.True Blood

Line-up
Nadia Casali – Vocals
Francesco Braga – Growl, Scream Vocals
Matteo Santoro – Guitars, Ocarina & Choirs
Paolo Diliberto – Guitars & Choirs
Patrick Segatto – Bass
John Tagliabue – Drums

EPHYRA – Facebook

Alchem – Viaggio Al Centro Della Terra

Viaggio Al Centro Della Terra è un bellissimo esempio dell’arte dark progressiva della quale nel nostro paese siamo precursori ed indiscussi maestri.

Sicuramente di non facile catalogazione, la musica degli Alchem è un viaggio onirico e raffinato nelle note misteriose del dark rock progressivo, un genere di culto che nel nostro paese ha trovato ammiratori, grandi band nel passato e nel presente ed etichette che ci si sono costruite meritevoli reputazioni, cullando e proponendo artisti di indiscusso spessore.

Gli Alchem sono nati quasi vent’anni fa dal connubio tra il talento del chitarrista Pierpaolo Capuano e quello della splendida interprete Annalisa Belli.
Nel corso degli anni i due musicisti hanno collaborato con vari esponenti della scena progressiva tricolore, e al duo nel frattempo si è unito il bassista Luca Minotti, che completa la line up ufficiale.
Su Viaggio al Centro della Terra troviamo ancora una serie di ospiti come Emilio Antonio Cozza (Emian) al violino, Diego Banchero (Il Segno del Comando) al basso, Manuel de Petris al violino, Paolo Tempesta al basso e alla seconda chitarra, Massimiliano Fiocco (Ragno 89) alla batteria e Alessandra Trinity Bersiani (Glareshift). Il tutto valorizza non poco un’opera affascinante, con i brani che sono flashback, immagini in bianco e nero, progressivi ed elegantemente dark, gotici nella forma più pura, sorprendentemente metallici come Il Canto Delle Sirene, sinuosi come la danza di un serpente nell’opener Behind The Door, o spettacolari nel sound che rimanda ai Goblin più duri della title track.
La Belli a tratti lascia senza fiato: stupenda sirena dark, si avvicina in I Don’t Belong Here alle vette espressive di Kate Bush, mentre la musica viaggia tra liquide parti elettroniche, ritmiche progressive di scuola King Crimson e sfuriate elettriche tra alternative rock e prog metal.
Viaggio Al Centro Della Terra è un bellissimo esempio dell’arte dark progressiva della quale nel nostro paese siamo precursori ed indiscussi maestri: l’opera, di una bellezza a tratti disarmante, vive della raffinata interpretazione della cantante così come del pathos trasmesso dai musicisti che donano emozioni a non finire nel crescendo della superba Pioggia D’Agosto, piccolo capolavoro che conclude questo imperdibile lavoro.

Tracklist
1. Behind the Door
2. Spirit of the Air
3. Il canto delle sirene
4. In My Breath
5. Viaggio al centro della Terra
6. I Don’t Belong Here
7. Butterflies Are Singing
8. Armor of Ice
9. Viaggio al centro della Terra – Fragments of Stars
10. Pioggia d’agosto

Line-up
Annalisa Belli – Vocals, Keys
Pierpaolo Capuano – Guitars, Drums, Flute
Luca Minotti – Bass & Programming

ALCHEM – Facebook

Blue Cash – When She Will Come

I Blue Cash hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

MetalEyes è nato inizialmente per approfondire la parte metallica di In Your Eyes, ma non ha mai fatto mistero delle sue radici rock, radicate in ognuno dei suoi collaboratori, ed è per questo che un album come When She Will Come dei country bluesmen nostrani Blue Cash diventa un momento, come tanti ce ne sono stati e continueranno ad esserci, per dare spazio a suoni in apparenza lontani da quelli ai quali abitualmente ci dedichiamo.

Il quartetto friulano, formato da ottimi musicisti con svariate esperienze nel mondo musicale, suona un rock semiacustico, ispirato in primis al grande Johnny Cash, leggenda del country rock americano, musicista, compositore e poeta, amato anche da molti artisti lontani dalle corde musicali del man in black.
Da Johnny Cash la band parte per un viaggio nel rock, fatto di strade impervie, crocicchi sperduti nelle pianure polverose degli States, di blues e psichedelia, di rock’n’roll e jazz lungo una quarantina di minuti ma che potrebbe durare mezzo secolo.
I Blue Cash, quindi, non si accontentano di tributare il grande artista americano, ma esplorano con l’aiuto della sua influenza il vasto mondo della musica americana, con la personalità di chi ha il talento per marchiare a fuoco con il proprio monicker il sound di cui si compone When She Will Come.
Si passa così da brani country folk a bellissime tracce che ricordano l’assolato confine con il Messico (Stay With Me), dal rock swing di Message To A Friend al rock’n’roll venato di jazz della divertentissima Jenny Doin’ The Rock.
Andrea Faidutti (chitarra e voce), Alan Malusà Magno (chitarra e voce), Marzio Tomada (contrabasso e voce) e Alessandro Mansutti (batteria) hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

Tracklist
01.Intro Death & the Devil
02.The End
03.Junkie Man
04.Do It for Nothing
05.Stay with Me
06.King of Nothing
07.Message to a Friend
08.The Gift
09.Jenny Doin’ the Rock
10.When She Will Come
11.Outro the Devil & Death
12.Maledetti Cash

Line-up
Andrea Faidutti – chitarra e voce
Alan Malusà Magno – chitarra e voce
Marzio Tomada – contrabasso e voce
Alessandro Mansutti – batteria

BLUE CASH – Facebook

Otehi – Garden Of God

Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro.

Gli Otehi sono un gruppo romano che parte dallo stoner per andare molto lontano. Il loro suono è un lento e possente incedere di suggestioni sciamaniche messe in musica, come un nativo che ti prende per mano dopo aver mangiato un peyote.

Garden Of God è una mostra di delizie, e i cinque pezzi che fanno parte del disco sono tutte ottime composizioni, si prendono il tempo che devono per arrivare a destinazione, ma in realtà la destinazione non ce l’hanno, perché è il viaggio l’importante, il vero scopo del tutto. Esplorare attraverso il suono, la psichedelia arriva e si maschera, cambiando i contorni di ciò che pensavamo sicuro, cambia il gioco rendendolo più vero. Gli Otehi sono un gruppo che si differenzia per la sua impronta personale, per fare un desert stoner connotato e strutturato molto bene nel quale ogni nota ha la sua importanza, ed è una scala verso il cielo. Nato nel 2011, questo trio ha sempre portato avanti con convinzione un certo tipo di discorso musicale, riuscendo a trovare una via personale e potente. Ascoltando Garden Of God si capisce che la musica pesante può benissimo sposare la psichedelia, un matrimonio alchemico che cambia la composizione chimica di chi lo ascolta e di chi lo suona. Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro. Fare musica da meditare per un gruppo stoner è un gran bel obiettivo e questi ragazzi lo hanno centrato in pieno.

Tracklist
1.Sabbath
2.Naked God
3.The Great Cold
4.Verbena
5.Purified
6.Esbath

Line-up
Domenico Canino – Guitar, Effects, Voice & Tribal Instruments
Maciej Wild Mikolajczyk – Bass, Voice, Effects & Tribal Instruments
Corrado Battistoni – Drums, Percussions

OTEHI – Facebook

Dite – The Hollow Connection

Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un’altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Un rock alternativo che si colora di pastelli progressivi, un quadro musicale quanto mai vario tra impulsi elettrici moderni e cambi umorali in un sound che guarda anche al passato senza perdere un briciolo di quella naturale propensione al rock del nuovo millennio che i Dite esprimono ad ogni nota di The Hollow Connection, il loro primo lavoro sulla lunga distanza.

I Dite sono sono un quartetto di musicisti originari della provincia di Belluno con esperienze in altre band con le quali si sono confrontati con generi diversi come il folk metal, l’alternative rock e il prog metal, ed unite le forze hanno dato vita al gruppo nel 2014 con l’intento di unire le loro esperienze ed ispirazioni in un unico sound.
Il loro primo ep, An Explanation, viene riproposto in nuova veste all’interno di questo nuovo lavoro: The Hollow Connection, registrato ai Nadir Studio di Tommy Talamanca, leader storico dei Sadist, in quel di Genova, risulta un’ora abbondante di rock emozionante, tecnico e fuori per lunghi tratti dai soliti schemi predefiniti che ormai incatenano la musica moderna.
I Dite fin da subito cercano una loro strada, anche se molte delle atmosfere di questo album possono portare alla mente i Tool, magari con toni meno introspettivi e più aperti a soluzioni ed emozioni delicatamente rock.
Ma i parallelismi con band più famose finiscono quando la band con maturità ci confonde piacevolmente, tra parti marcatamente pop, coinvolgenti armonie semiacustiche o elettriche sfumature alternative e post rock.
Cambiano le immagini e i colori con cui i Dite giocano con lo spartito, mettendo a disposizione dell’ascoltatore non solo un bagaglio tecnico di tutto rispetto, ma la bellissima ed emozionante voce di Mattia Fistarol.
L’album ha nelle prime tracce più spinta ed urgenza espressiva (il singolo In Pills, Leap Of Faith) per poi deliziarci con un rock progressivo d’autore e concedere almeno due brani capolavoro: Selling A Friend e God’s Bowl, dove Fistarol duetta con una splendida voce femminile.
In Sharp Eye  un canto estremo sottolinea il ritorno ad un sound più energico, sempre in bilico tra post rock e progressive e, con l’anima bagnata dalla pioggia di Seattle, ci lascia alla conclusiva e strumentale title track.
Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Tracklist
1.In Pills
2.Leap Of Faith
3.Fill This Page
4.If So
5.Selling A Friend
6.Normal Being
7.God’s Bowl
8.About Chance
9.Scars Of Light
10.Venus
11.Sharp Eyes
12.The Hollow Connection

Line-up
Mattia Fistarol – Vocals, Guitars
Filippo Viel – Guitars
Simone Giovinazzo – Bass
Emil Bortoluzzi – Drums

DITE – Facebook

Void Of Silence – The Sky Over

The Sky Over è uno degli album più commoventi ascoltati nell’ultimo decennio e regala quasi un’ora di musica dalla bellezza abbacinante.

Il ritorno dei Void Of Silence, otto anni dopo l’ultimo full length The Grave of Civilization, non può che rappresentare un evento per tutti gli appassionati di doom che attendevano da diversi anni un nuovo album della band romana.

Chi aveva già iniziato a disperare al riguardo ha ottenuto segnali confortanti alcuni mesi fa con l’uscita dei Towards Atlantis Lights, sorta di supergruppo che vedeva all’opera Ivan Zara assieme ad altri illustri esponenti della scena funeral/death doom internazionale, come Kostas Panagiotou e Riccardo Veronese.
Ed è cosi che, come auspicato, la consolidata partnership tra il chitarrista e Riccardo Conforti ha offerto un nuovo funereo lavoro che eguaglia (e a tratti supera anche) per intensità un album celebrato come Human Anthitesis.
Luca Soi (ex-Arcana Coelestia) alla voce, infatti, si rivela il valore aggiunto fondamentale per rendere ancor più evocativo il sound dei Void Of Silence che, forse come mai in passato, trova sfogo in brani intrisi di un afflato melodico dolente ed atmosferico.
Il lungo e inarrestabile crescendo emotivo di The Void Beyond è una prima testimonianza di lacerante struggimento emotivo, nella quale il vocalist raggiunge vette di lirismo incredibili a suggellare le magnifiche intuizioni strumentali di Zara e Conforti.
Fondamentalmente il disco vive di tre momenti chiave corrispondenti ad altrettanti brani di durata superiore al quarto d’ora: la già citata traccia d’apertura e le altre due gemme intitolate The Sky Over e Farthest Shores
La prima rappresenta il momento melodico più alto del lavoro, grazie ad un Ivan Zara che inanella assoli di dolente e cristallina bellezza, mentre la seconda rimane sulle stesse coordinate di evocativa solennità, ideale colonna sonora di un concept dedicato a tutti quei personaggi che, perennemente in bilico su quella sottile linea di confine che divide l’eroismo dall’incoscienza, sfidarono nel primo novecento i ghiacci artici con spedizioni audaci e spesso risoltesi in maniera tragica.
Ecco perché il sound dei Void Of Silence appare più angosciante che drammatico, e non è difficile, immergendosi nell’ascolto di queste note, visualizzare per esempio il tenace peregrinare sul pack alla ricerca di una via di salvezza da parte dei componenti della spedizione di S.A Andrée, ingegnere svedese promotore di un visionario tentativo di sorvolare il Polo Nord a bordo di un’instabile mongolfiera.
The Sky Over è uno degli album più commoventi ascoltati nell’ultimo decennio in ambito doom (anche se poi di fronte ad opere di tale spessore le etichette lasciano il tempo che trovano): prodotto ed eseguito in maniera superba, il lavoro offre quasi un’ora di musica dalla bellezza abbacinante, come lo era la luce che gli esploratori dispersi nelle distese artiche si trovavano sempre dinnanzi sulla linea dell’orizzonte; non a caso è appunto lo splendido strumentale intitolato White Light Horizon a suggellare un’esperienza d’ascolto indimenticabile ed imperdibile.

Tracklist:
1. The Void Beyond
2. Abeona (or Quietly Gone in a Hiatus)
3. The Sky Over
4. Adeona (or Surfaced as Resonant Thoughts)
5. Farthest Shores
6. White Light Horizon

Line-up:
Luca Soi – Vocals
Riccardo Conforti – Drums, Keyboards, Samples
Ivan Zara – Guitars, Bass

VOID OF SILENCE – Facebook

Armonite – And The Stars Above

Affascinante progetto che troverete sicuramente tra le uscite prog, ma che in realtà di progressive classico ha solo la musicalità totale della propria proposta.

Gli Armonite sono nati per volontà di due musicisti classici residenti a Pavia nel 1996, (Paolo Fosso e Jacopo Bigi): il primo lavoro si intitola Inuit, uscito nel 2000, prima di una lunga pausa ed il ritorno con il secondo lavoro, The Sun Is New Each Day, licenziato nel tre anni fa e che vede la band completarsi con Colin Edwin al basso (Porcupine Tree) e Jasper Barendregt alla batteria.
And The Stars Above è dunque il nuovo lavoro, un’opera interamente strumentale se si esclude l’intervento della splendide voci delle cantanti Diletta Fosso e Maria Chiara Montagnari, a rendere elegante e raffinata l’atmosfera di brani come l’opener The March Of The Stars, Ghosts o Clouds Collide.
Dotati ovviamente di una tecnica strumentale di altissimo livello, gli Armonite danno vita a questo viaggio nella musica classica supportata dalla una sezione ritmica rock, con violino elettrico e tastiere protagonisti indiscussi dello spartito, anche se i cambi di tempo ritmici non mancano nei brani più spinti (Blue Curaçao, What’s The Rush?).
Ne esce un lavoro piacevole, sicuramente originale nel suo andamento, che evita confronti con altre realtà per cercare una sua strada, trovando probabilmente più estimatori nel mondo della musica progressiva, abituati alle digressioni classiche delle band storiche del progressive rock (E.L.P.).
And The Stars Above conferma il talento e la bontà della proposta dei musicisti e compositori nostrani: un’opera a suo modo interessante che coniuga ancora una volta musica classica e rock, due mondi molto più vicini di quanto si possa pensare.

Tracklist
1.The March Of The Stars
2.Next Ride
3.District Red
4.Plaza De España
5.Clouds Collide
6.Blue Curaçao
7.By Heart
8.Freaks
9.By The Waters Of Babylon
10.The Usual Drink
11.What’s The Rush?
12.Ghosts

Bonus Track
13.A Playful Day (for Strings Quartet)
14.The Fire Dancer (for Piano Solo)

Line-up
Paolo Fosso – Piano, Keyboards
Jacopo Bigi – Violin

Alberto Fiorani,Colin Edwin, Giacomo Lampugnani, Gianmarco Straniero – Bass
Corrado Bertonazzi, Emiliano Cava,Jasper Barendregt – Drums
Diletta Fosso, Maria Chiara Montagnari – Vocals

ARMONITE – Facebook

Wandering Vagrant – Get Lost

Gli Wandering Vagrant regalano tre quarti d’ora circa di musica davvero ricca di spunti destinati ad imprimersi nella memoria.

Gli Wandering Vagrant sono una band nata per volere del musicista umbro Alessandro Rizzuto, il cui intento dichiarato è quello di offrire agli ascoltatori una forma di progressive coinvolgente e sfrondato da tecnicismi.

Con questo album d’esordio intitolato Get Lost l’obiettivo sembrerebbe ampiamente raggiunto perché, pur non rinunciando alle caratteristiche tipiche di un sound che per sua natura è instabile e cangiante, gli Wandering Vagrant regalano tre quarti d’ora circa di musica davvero ricca di spunti destinati ad imprimersi nella memoria.
Intanto appare riuscito il connubio tra la voce maschile di Rizzuto e quella femminile fornita dalla tastierista Francesca Trampolini, le quali si completano naturalmente in diversi frangenti, mentre il lavoro strumentale è altrettanto efficace e ben focalizzato alla resa della forma canzone, anche nei momenti in cui la band lascia sfogare comunque le proprie capacità tecniche; è emblematico, in tal senso, un brano come l’opener Human Being As Me, nel quale la ruvidità e la ritmica incisiva del prog metal va di pari passo con brillanti intuizioni melodiche, andando ad anticipare temi e strutture che si ripeteranno con puntualità pari alla freschezza nel corso dell’intero lavoro.
Il successivo lungo brano, The Hourglass, alza ancor di più il tiro, mettendo sul piatto tutto il background musicale del leader, il cui frutto è un’esibizione di progressive dall’animo antico ma rivestito di modernità nella misura necessaria per non snaturarne l’identità: se ci deve essere un’influenza più evidente di altre, personalmente vi ritrovo quella dei migliori Porcupine Tree, ovvero, per quanto mi riguarda, quelli più vigorosi e meno stucchevoli di In Absentia, ma tale accenno non deve rivelarsi fuorviante perché, come detto, Get Lost possiede una sua identità, per quanto sia possibile esprimerla in un genere che tra miriadi di rivoli e variazioni sul tema entra nelle nostre case da oltre mezzo secolo.
Così il prog metal di matrice statunitense di Struggle non stona affatto a fianco della delicatezza acustica di Forgotten o del caleidoscopico ed inquieto incedere delle due parti della title track, per finire con il notevole crescendo screziato di elettronica del conclusivo strumentale Home.
Get Lost è una delle sempre più frequenti e gradite sorprese che ci riserva il panorama rock/metal undeground italiano e l’augurio agli Wandering Vagrant è quello di poter raccogliere consensi ed attenzioni che, alla luce del valore di questo loro esordio, appaiono quanti mai meritati.

Tracklist:
1.Human Being As Me
2.The Hourglass
3.Struggle
4.Forgotten
5.Get Lost, Pt. 1 (Fade Away)
6.Get Lost, Pt. 2 (The Hunger)
7.Home

Line up:
Alessandro Rizzuto – Vocals, Guitars
Christian Bastianoni – Guitars, Backing vocals
Francesca Trampolini – Keyboards, Backing vocals
Michele Carlini – Basso
Marco Severi – Batteria

WANDERING VAGRANT – Facebook

Nerobove – Monuments to Our Failure

I musicisti siciliani cambiano monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.

Ci eravamo occupati dei See You Leather tre anni fa sulle pagine metalliche di IYE per parlarvi del loro ep Back To Aleph, composto da quattro brani di metal estremo, un ottimo mix di thrash/death e progressive doom.

I ragazzi sono cresciuti e si sono trasformati nei Nerobove, un’entità estrema che continua a produrre metal estremo di qualità e con ancora più impatto e convinzione.
Francesco Ciccio Paladino (batteria), Luca Longo (voce e chitarra), Salvatore Leonardi (voce e chitarra) e Liliana Teobaldi (basso) hanno deciso di cambiare monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.
Sul fronte prettamente musicale la band, mantenendo, le coordinate stilistiche del precedente ep, consolida la sua prerogativa di band fuori dagli schemi prestabiliti dei sottogeneri che formano il mondo del metal estremo, così da lasciare chi il thrash metal progressivo su cui si basa la loro proposta venga contaminato da virus letali di death metal classico e soffocanti sfumature doom.
Sette brani medio lunghi formano Monuments To Our Failure, album dallo svolgimento impervio, una scalata difficile ed impegnativa verso la cima di un sound che non lascia nulla alla semplicità ma che la band tiene imbrigliato a suo piacimento tra lo spartito, passando con una disinvoltura sorprendente da sfuriate estreme a cavalcate progressive e crescendo arabeggianti (Of Mud And Bones), come e meglio che in passato.
La tecnica strumentale permette ai Nerobove di districarsi nelle ragnatele musicali create con una personalità che lascia senza fiato.
Entrate nel mondo letterario delle opere da cui prendono spunto i temi di brani possenti e progressivi come l’opener Nekyomanteia , La Bête Humaine o la conclusiva Gloomy Sunday, e lasciatevi travolgere dalla forza espressiva dei Nerobove, un’esperienza uditiva assolutamente da non perdere.

Tracklist
1. Nekyomanteia
2. Not Waving But Drowning
3. Diluvio
4. Of Mud And Bones
5. La Bête Humaine
6. Anamnemesis
7. Gloomy Sunday

Line-up
Luca Longo – guitar, vocals
Salvatore Leonardi – guitar, vocals
Liliana Teobaldi – bass
Francesco Paladino – drums

NEROBOVE – Facebook

Evilizers – Center of the Grave

Una potenza di fuoco non male, con una serie di brani che esaltano anche il più pacato metallaro con maglietta dei Judas Priest e le toppe sul giubbotto che raffigurano la croce dei Black Sabbath ed il vecchio amico Eddie.

Traguardo raggiunto per i piemontesi Evilizers, con l’uscita del loro primo album di inediti dopo aver incendiato le serate metalliche dei fans dei Judas Priest con il monicker Priestkillers.

Il loro passato incentrato a ripercorrere le gesta di Halford e soci non può che portare la band ad incidere un ottimo album di heavy metal classico, tutto impatto e attitudine vecchia scuola, ma allo stesso tempo perfettamente in grado di soddisfare i fans del nuovo millennio.
Una potenza di fuoco non male, con una serie di brani che esaltano anche il più pacato metallaro con maglietta dei Judas Priest e le toppe sul giubbotto che raffigurano la croce dei Black Sabbath ed il vecchio amico Eddie, fanno di Center of the Grave è il classico lavoro che mette d’accordo tutti con le prime tre tracce (Evilizers, Final Goal e Metal Is Undead) che sparano cannonate heavy metal, per poi lasciare alla cadenzata title track il compito di illustrarci tutto l’amore del gruppo per i Sabbath era Dio/Martin.
La sezione ritmica (Alessio Scoccati al basso e Giulio Murgia alla batteria) è potente e d’impatto, mentre è a tratti esaltante il lavoro alle chitarre di Fabio Novarese e Davide Ruffa, ma è al singer Fabio Attacco che va il plauso per non ricalcare pedissequamente i cliché halfordiani, trovando una sua identità pur rimando un cantante heavy metal di estrazione classica.
C’è ancora da far festa sulle macerie lasciate dal passaggio dello tsunami Break up, prima che Death Of The Sun e la maideniana Survival fungano da congedo al gruppo piemontese, protagonista di una prova gagliarda e sul pezzo, sicuramente da non perdere in sede live per una serata tutta birra, sudore ed ottimo heavy metal classico.

Tracklist
1 – Machinery of evil
2 – Evilizers
3 – Final goal
4 – Metal is undead
5 – Center of the grave
6 – The end is near
7 – Break up
8 – Death of the sun
9 – Survival

Line-up
Fabio Attacco – Vocals
Fabio Novarese – Electric and Acoustic Guitars
Davide Ruffa – Electric Guitars
Alessio Scoccati – Bass
Giulio Murgia – Drums and Piano

EVILIZERS – Facebook

To Find Solace – The Place

Le capacità di questo musicista sono notevoli, dato che fa tutto da solo, ed il risultato è buono, molto fresco e potente.

To Find Solace è una band formata da un unico componente di Prato, che propone un post emo rock, molto influenzato dal pop e dall’elettronica.

Questo disco piacerà molto alla parte di pubblico abituata alle sonorità più moderne del rock, quelle che si declinano sotto il nome post hardcore, ma che dell’hardcore non hanno nulla, questo è post pop con un tocco emo, soprattutto nella voce. Le capacità di questo musicista sono notevoli, dato che fa tutto da solo, ed il risultato è buono, molto fresco e potente; il ragazzo pratese è un prodotto di questi tempi, sfrutta molto bene le possibilità offerte dai mezzi moderni, e oltre al disco ha anche prodotto video validi. Il suo linguaggio è molto giovane, le melodie sono ben marcate e il tutto scorre bene. To Find Solace usa diversi registri musicali per ottenere un risultato che emoziona i suoi ascoltatori e che riesce ad andare sopra la media della maggior parte delle uscite. Il grande lavoro compiuto sta dando i suoi frutti, perché sulle piattaforme digitali il disco sta andando bene, e per questi tempi è quasi il massimo che si possa ottenere.  Questo musicista ha le idee molto chiare e potrebbe andare lontano, grazie anche ad un suono molto americano.

Tracklist
1.Mental Tattoo
2.Heartsease
3.Hiraeth
4.Limerence
5.At Sixes & Sevens
6.The Place
7.Pure Love (feat. Armo of Under the Bed)8.Despondent
9.The Perfect Room
10.The Worst Room

TO FIND SOLACE – Facebook

Northrough – The Last Warrior

I Northrough sono la one man band del polistrumentista Dassiberan e The Last Warrior, primo lavoro sulla lunga distanza, è un concentrato di potenza death metal, all’ombra di mid tempo mastodontici e suggestive aperture melodiche.

In origine questo potentissimo lavoro uscì lo scorso anno in regime di autoproduzione, ma quest’anno, grazie alla collaborazione tra Narcoleptica Productions e Envenomed Music, The Last Warrior viene stampato in cd ed è pronto a procurar battaglia tra gli amanti del death metal, dalle ispirazioni epiche e viking.

I Northrough sono la one man band del polistrumentista Dassiberan e The Last Warrior, primo lavoro sulla lunga distanza, è un concentrato di potenza death metal, all’ombra di mid tempo mastodontici e suggestive aperture melodiche.
L’epicità intrinseca si tocca con mano, le chitarre sono asce che spezzano arti nel delirio della battaglia mentre il sangue scorre, rosso come il sole che si accende di color porpora prima di tramontare sull’ennesimo massacro.
Partiamo da qui per raccontare in poche righe un lavoro massiccio, ispirato dalle terre del nord e dal suo popolo e raccontato tramite un metal estremo epico e melodico, carico di epica fierezza e valorizzato da un ottimo songwriting.
Symphony Of Doom, la power ballad Sacrifice, le due parti di Ballad Of Brom, cuore sanguinante dell’ultimo guerriero, incendiano il campo di battaglia e valorizzano questo epico lavoro attraversato da umori di tragica epicità, sia quando le atmosfere si placano e i Northrough ci regalano splendide parti semiacustiche, sia quando Dassiberan urla al cielo il suo grido di battaglia.
Il growl ricorda non poco quello di Taneli Jarva, singer dei primi e più estremi Sentenced e il sound, pur prendendo ispirazione dal melodic death metal di stampo epico (Amon Amarth), risulta vario e personale, ma tutto The Last Warrior è pervaso da un’atmosfera guerresca molto suggestiva.
L’album non può certo mancare nella collezione dei fans del metal estremo di ispirazione epica e viking, unitevi all’ultimo guerriero e siate pronti alla battaglia!

Tracklist
1.From The Woods
2.Cold Endless Nights
3.Symphony Of Doom
4.Demons
5.Ballad Of Brom-Chapter 1
6.Sacrifice
7.Northern Sea
8.Ballad Of Brom-Chapter 2
9.Altar Of Ancient Gods
10.Northrough
11.Away Fom Here

Line-up
Dassiberan – Everything

NORTHROUGH – Facebook

A Tear Beyond – Humanitales

Il talento nel saper costruire brani dal forte impatto emotivo, sorprendendo l’ascoltatore ad ogni passaggio, è l’arma in più di questa splendida realtà nostrana che richiama la scuola teatrale tedesca e ci trasporta per quasi un’ora nel suo mondo oscuro.

Gli A Tear Beyond avevano impressionato non poco il sottoscritto all’indomani dell’uscita del loro secondo album, Maze Of Antipodes, licenziato tre anni fa.

Il gruppo vicentino torna con un nuovo lavoro intitolato Humanitales, un’altra spettacolare e tragica opera dal sound che racchiude gothic, dark, extreme, industrial e symphonic metal e lo elabora secondo una personale  visione.
Capitanata dal cantante ed interprete Claude Arcano, la band rispetto al lavoro precedente (il primo album Beyond, diede inizio all’avventura nel 2012) accentua in parte l’atmosfera orchestrale e cinematografica su cui si poggia il proprio universo musicale che mantiene una forte componente teatrale, in un quadro nel quale i colori mantengono le tonalità del nero.
Il talento nel saper costruire brani dal forte impatto emotivo, sorprendendo l’ascoltatore ad ogni passaggio, è l’arma in più di questa splendida realtà nostrana che richiama la scuola teatrale tedesca e ci trasporta per quasi un’ora nel suo mondo oscuro.
Humanitales coniuga come da tradizione i generi citati e ci regala una nuova manciata di splendide trame su cui il singer costruisce un’altra performance da applausi, con l’ascoltatore che, chiudendo gli occhi, si ritroverà al cospetto di un palcoscenico sul quale gli A Tear Beyond danno vita alle atmosfere di brani capolavoro come Tale, quindici minuti di nobile e tragico metallo sinfonico, gotico e concettualmente estremo nel saper unire molte anime musicali dalle tinte dark.
Devil Doll, Rammstein e Moonspell fanno parte sicuramente del bagaglio musicale del gruppo che aggiunge una sua ormai consolidata e debordante personalità in un crescendo artistico sorprendente: per gli amanti di queste sonorità un’opera imperdibile.

Tracklist
1.Humanitales
2.Frolic
3.Sentence (Forgiveness act II)
4.So Deep Out There
5.Angels Out of Grace
6.Inugami
7.Damned Paradise
8.Inadequacy
9.Tale
10.The Frozen Night (rebirth bonus)

Line-up
Claude Arcano – Vocals
Ian – Guitars
Undesc – Guitars
Cance – Bass
Phil – Keybs and Orchestra
Skano – Drums

A TEAR BEYOND – Facebook

MORTUARY DRAPE – NECROMANTIC DOOM RETURNS

Un salto nel passato. Un salto nel buio. La compilation contenente i primi due demo. Una perla da collezionismo.

Una band che non necessita di alcuna presentazione. Per chi, da anni, è appassionato di death/black/thrash, troverà sicuramente nella sua collezione un album di questo storico quintetto piemontese (ai tempi delle prime produzioni, quartetto).

Chi è più fortunato (e anziano) forse potrà vantare di possedere i loro primi lavori (su nastro), come Necromancy e Doom Returns (rispettivamente 1987 e 1989), i primi due storici demo-tape di una band che ha segnato ed influenzato i percorsi successivi di decine di gruppi, che hanno voluto perseguire la scia del death metal più oscuro, occulto, legato soprattutto a magia nera, esoterismo e negromanzia (si potrebbe parlare di “The dark side of the death” in questo caso…). Se non vi fosse riuscito di accaparrarvi questi due demo, alla fine degli anni ’80, ci ha pensato l’italiana Iron Tyrant (già responsabile di alcune importanti ristampe dei nostri, tra cui – su vinile e picture – il primo mitico ep Into the drape) che ci regala questa compilation, contenente appunto i primi due lavori più alcune tracce live, tra cui l’eponima Mortuary Drape e la funerea Inquisition. Si parte (dopo Intro d’obbligo che dà il nome al primo demo) con la cavalcata di Primordial, fulgido esempio di come il black/thrash/death & roll dei Venom da anni stesse mietendo vittime, nessuno escluso, nemmeno i nostri. Brividi lungo la schiena per Into the Catacomba, trito di funerei mid-tempo e riff magicamente neri, con poche accelerazioni, come nella successiva Presences che dopo un breve inizio di basso, passa in un crescendo da ritmi pesanti, ben cadenzati, a velocità tipiche del thrash ottantiano. Necromancer e Soul in Sorrow, con il loro black/thrash d’annata, ci mostrano come in quegli anni solo chi aveva coraggio prendeva strade in netta contraddizione con l’incalzare successo della spensieratezza tipica del thrash di quel periodo (si legga Caught in a Mosh del quintetto targato USA, o “parla inglese o muori” dei ragazzacci di NY), mai banalmente alla ricerca del successo facile, ottenebrando i riff, ovattando con carta carbone (quindi rigorosamente nera) ogni singola nota, lanciando messaggi di cupo, misterioso, arcaico, funereo, puro terrore. “Falling in a gloom Trance – drawing the sleep of dead” (da Medium Morte qui presente dal vivo, e che chiude questa compilation) non ci lascia dubbi, solo oscure certezze. Infine, non aspettatevi la produzione di The Astonishing dei Dream Teather. Contestualizziamo le demo-tape, siamo a fine anni ’80: qui sventola la bandiera dell’underground, finemente realizzata con drappi da camera mortuaria.

Tracklist
1.Necromancy (Intro)
2.Primordial
3.Into the Catacomba
4.Presences
5.Vengeance from Beyond
6.Obsessed by Necromancy
7.Evil Death
8.Undead Revenge
9.Necromancer
10.Pentagram
11.Obscure World
12.Soul in Sorrow
13.Intro
14.Mortuary Drape
15.Zombie
16.Inquisition
17.Medium Mortem

Line-up
Wildness Perversion – Vocals
D.C. – Lead Guitar
S.R. – Lead Guitar
S.C. – Bass Guitar
M-B. – Drums

MORTUARY DRAPE – Facebook

Tons – Filthy Flowers Of Doom

Se volete un disco fragoroso, potente e con una psichedelia pesante e davvero imponente, allora questo Filthy Flowers Of Doom dei torinesi Tons fa per voi.

Se volete un disco fragoroso, potente e con una psichedelia pesante davvero imponente, allora questo Filthy Flowers Of Doom dei torinesi Tons fa per voi.

Nati a Torino nel 2009 dalle ceneri di tre gruppi hardcore dai quali mantengono una grande potenza, i Tons hanno fatto molti concerti ed affinato il loro suono. Non lasciatevi fuorviare dal titolo, perché qui c’è un massacro totale di musica pesante, con tanti sottogeneri presenti. I Tons possiedono un tiro micidiale, , producendo un suono dal groove pesantissimo ma con eccezionali aperture melodiche. Una delle loro caratteristiche è un’intensità spaventosa, con l’ascoltatore che viene letteralmente catturato in una spirale che non prende ostaggi. Questo loro secondo album per Heavy Psych Sounds li mette prepotentemente sulla mappa dei migliori gruppi italiani, e questo album sarà un qualcosa con il quale confrontarsi per tutte le band nostrane, e non solo. Venendo tutti e quattro da ottimi gruppi hardcore i Tons hanno mantenuto e sviluppato la componente aggressiva del loro suono, potenziando il tutto, e dandogli anche un tocco psych in alcuni passaggi. L’impalcatura sonora delle tracce colpisce duro, e in alcuni momenti ricorda i grandi nomi dello sludge più pesante, anche se qui il tutto appare molto velocizzato. La doppia cassa della batteria sottolinea nei momenti più topici il mostruoso incedere del gruppo, che farò oscillare molto le teste metalliche. I Tons sono un camion che vi investe e vi trascina per chilometri, ed è pure una morte molto piacevole. Il volume fisico di questo disco è davvero grande, e più lo si ascolta più si viene coinvolti in questa saturazione sonora della nostra testa.

Tracklist
01- Abbath’s Psychedelic Breakfast
02- 99 Weed Balloons
03- Those of the Unlighter
04- Girl Scout Cookie Monster
05- Sailin’ the Seas of Buddha Cheese

Line-up
Weed Mason
Steuso
Marco DiNocco
Paolo

TONS – Facebook

Obsolete Theory – Mudness

Mudness è un lavoro pressoché perfetto nel quale, all’interno di una base black metal, confluiscono death e doom amalgamati da un senso della melodia non comune, capace di rendere ognuno dei cinque lunghi brani altrettanti episodi in grado di nobilitare, da soli, un intero album.

Il full length d’esordio per questa band milanese rappresenta una delle tipiche folgorazioni alle quali si viene periodicamente sottoposti, e che è uno dei motivi (se non IL motivo) per il quale si spende buona parte del proprio tempo nell’ascoltare musica inedita proposta da realtà note a pochi.

Mudness è un lavoro pressoché perfetto nel quale, all’interno di una base black metal, confluiscono death e doom amalgamati da un senso della melodia non comune, capace di rendere ognuno dei cinque lunghi brani (dieci minuti medi di durata) altrettanti episodi in grado di nobilitare, da soli, un intero album.
Il bello è che, oltretutto, gli Obsolete Theory ci offrono un album in costante crescendo, visto che la partenza affidata a Salmodia III e Six Horses Of Death è all’insegna di un black relativamente più canonico, pur se proposto nella sua forma maggiormente atmosferica e ricca di punteggiature di varia natura, fino ad arrivare, attraverso la ruvida Dawn Chant (in qualche modo debitrice dei Forgotten Tomb), alla splendida Sirius’ Blood, maiuscola prova di black doom melodico che è nelle corde solo di chi possiede un talento compositivo superiore alla media, e alla conclusiva The God With The Crying Mask, che si snoda invece tra sfumature post black.
Mudness dimostra come sia ancor possibile muoversi all’interno del genere risultando freschi ed imprevedibili senza per forza spingersi su lidi avanguardistici: la bravura degli Obsolete Theory risiede sostanzialmente nell’essere riusciti a regalare cinquanta minuti di musica intensa, vibrante e in grado di restare impressa anche dopo molti ascolti.
Uno dei migliori album italiani dell’anno, al di là delle suddivisioni in generi o sottogeneri.

Tracklist:
1. Salmodia III
2. Six Horses Of Death
3. Dawn Chant
4. Sirius’ Blood
5. The God With The Crying Mask

Line up:
Ow Raygon: Guitars
Mordaul: Guitars
Tote Arthroeat: Percussions and Glockenspiel
Bolthorn: Bass
Savanth: Drums
Daevil Wolfblood: Vocals

OBSOLETE THEORY – Facebook

Hungryheart – Hungryheart

La Tanzan Music ristampa una delle pietre miliari dell’hard rock melodico tricolore, il primo omonimo album degli Hungryheart, band capitanata dal duo Josh Zighetti (voce) e Mario Percudani (chitarra), uscito nel 2008, un anno fondamentale per lo sviluppo del genere nel nostro paese.

La Tanzan Music ristampa una delle pietre miliari dell’hard rock melodico tricolore, il primo omonimo album degli Hungryheart, band capitanata dal duo Josh Zighetti (voce) e Mario Percudani (chitarra), uscito nel 2008, un anno fondamentale per lo sviluppo del genere nel nostro paese.

Gli Hungryheart , attualmente al lavoro sul quarto album hanno, in questa decina d’anni, dato alle stampe altri due lavori: One Ticket to Paradise uscito nel 2010 e l’ultimo Dirty Italian Job licenziato tre anni fa, ma è indubbio che il valore artistico e temporale di Hungryheart sia rilevante nella scena melodica tricolore.
Per molti quella che diverrà la New Wave of Italian Melodic Rock ha i suoi natali proprio nel 2008 e tra le note di album come Hungryheart, uno straordinario quadro colorato di note melodiche, vivacizzato da una verve hard rock che prende ispirazione dalla scena statunitense degli anni ottanta.
La voce calda ed emozionale di Josh Zighetti e la chitarra che ricama note di raffinato rock a stelle strisce di Mario Percudani trovano la loro massima espressione in questa raccolta di brani che richiamano le atmosfere del rock duro racchiuse nel capolavori firmati Bon Jovi, Whitesnake e Danger Danger.
Inutile scrivere che Hungryheart punta dritto al cuore degli amanti del rock melodico, la band sforna una manciata di brani che vent’anni prima si sarebbero impossessati delle classifiche delle radio rock come Rock City, Stealing The Night e The Only One, con il singer, novello Jon Bon Jovi, a fare la differenza conquistando gli applausi degli appassionati.
L’album alterna brani di caldo rock melodico a frizzanti rock song losangeline (Innocent Tears), fino a toccare vette artistiche notevoli con l’hard rock tinto di blues di Hard Lovin’ Woman, brano tra Whitesnake e Led Zeppelin, sanguigno e letteralmente esplosivo.
Come scritto sopra la band italiana è al lavoro sul nuovo album, ma se vi siete persi questo bellissimo debutto, è ora di rimediare.

Tracklist
01. Rock City
02. Stealing The Night
03. River Of Soul
04. Hang On To Me
05. The Only One
06. Innocent Tears
07. Shadows
08. Hard Lovin’ Woman
09. Breath Away
10. It Takes Two
11. Gina
12. River Of Soul (2018 Revisited)
13.The Only One (2018 Acoustic Version)

Line-up
tracce #01 – #11
Josh Zighetti: voce / cori
Mario Percudani: chitarra / cori / voce su #04
Lele Meola: basso
Emilio Sobacchi: batteria tracce #12 / #13
Josh Zighetti: voce
Mario Percudani: chitarra / cori
Stefano Scola: basso Paolo Botteschi: batteria / percussioni

HUNGRYHEART – Facebook

Lost Reflection – Trapped In The Net

Ritorno con il terzo album di Fabrizio Fulco ed i suoi Lost Reflection, band hard & heavy tra tradizione britannica ed attitudine street rock.

Torna Fabrizio Fulco con i suoi Lost Reflection, band che prende il nome dalla famosa canzone dei leggendari Crimson Glory, con il terzo album licenziato dalla Hellbones Records.

La band prende vita nel 1996, ma il primo album è targato 2011, anche perché Fulco nel 2005 si trasferisce negli States per prendere il posto come bassista nei Ben Jackson Group, progetto del chitarrista dei Crimson Glory.
Il ritono in Italia coincide con la ripresa delle attività con i Lost Reflection e vengono pubblicati due lavori: Florida (2011 SG Records) e Scarecrowd (2014 SG Records).
L’hard & heavy suonato dal gruppo è però lontano da quanto fatto dalla storica band statunitense e più orientato verso un buon mix tra la tradizione britannica ed attitudine street rock.
Trapped In The Net è composto da dieci brani che si muovono tra questi due generi, dando vita ad un metal scontato ma gradevole, dalle ritmiche hard rock e da cavalcate di stampo new wave of british heavy metal.
God Of Hate, opener dell’album è un brano tra Saxon e Motley Crue, mentre Together As One ricalca gli schemi del metal losangelino di metà anni ottanta.
Questa alternanza continuerà per tutto l’album, che risulta una discreta opera di metal old school sanguigno e potente, con qualche dettaglio da perfezionare (la voce a tratti leggermente forzata), ma con un buon lavoro strumentale.
Cavalcate metalliche e hard rock stradaiolo ed irriverente come One Night In Your Bed trovano libero sfogo tra lo spartito di Trapped In The Net che vede all’opera, oltre a Fulco ( chitarra, basso e voce), Max Sorrenti (chitarra) e Max Defender Moretti (batteria).
La cover del leggendario Derek Riggs valorizza Trapped In The Net, che risulta così un buon ritorno per il musicista nostrano e la sua band.

Tracklist
1.God of Hate
2.Together as 1
3.Into The Social Network
4.Brand New Love Brand New Life
5.One Night In Your Bed
6.My Promised Land
7.Hollywood Dream
8.Master of Your Soul
9.Homeless Boy
10.No More Blood

Line-up
Fabrizio Fulco – Vocals, Guitars, Bass
Piero Sorrenti – Guitars
Max Defender Moretti – Drums
PJ (live bassist)

line up attuale
Fabrizio Fulco – Vocals, Guitars
PJ – Bass
Max Defender Moretti – Drums

LOST REFLECTION – Facebook

Red Morris – Time

Lavoro difficile da rinchiudere tra le pareti di un solo genere e per questo affascinante e ricco di sorprese, Time conferma la bontà del progetto Red Morris che ci regala un altro piccolo gioiello musicale.

Se cercate qualcosa in più del solito album di genere e vi piacciono le sfide, arriva il secondo album del chitarrista e compositore bresciano Maurizio Parisi, alias Red Morris, accompagnato da una manciata di ottimi musicisti tra cui suo figlio Alberto al basso, Beppe Premi alle tastiere, Mirco Parisi alla tromba, Marco Carli alla batteria e Marcello Spera alla voce.

Time segue di tre anni Lady Rose, primo lavoro interamente strumentale che fece parlare non poco di Red Morris e del suo progetto gli addetti ai lavori, i quali saranno sicuramente ancora più entusiasti quando premeranno il tasto play e si immergeranno all’ascolto di quest’opera che, se vede la novità del cantato (il primo album era interamente strumentale), conferma l’alta qualità della musica proposta dal chitarrista nostrano.
Time è un condensato di musica che supera barriere fino ad oggi invalicabili, accomunando nello stesso spartito mondi musicali lontani nel tempo; progressive, hard rock settantiano, arena rock e metal del decennio successivo, il tutto viene  splendidamente tenuto legato dalla chitarra di Parisi, concettualmente shred, ma perfettamente inserita nel sound che accompagna i vari brani, uno diverso dall’altro.
Varietà è la parola d’ordine e i Red Morris riescono nell’impresa di risultare una fonte inesauribile di idee, mantenendo un filo conduttore che attraversa l’album, dalle prime note di San Sebastian passando per le splendide New York, Blessed Imelda e la spettacolare Opera, un geniale incrocio tra ritmiche soul, tromba che segue un filo di notturno jazz ed epiche atmosfere orchestrali.
L’apporto di tromba e tastiere aiutano non poco l’album nel suo apparire uno scrigno di ispirazioni, spettacolari ed efficaci le seconde che passano dal classico tocco alla Deep Purple a quello più pomposo dell’hard & heavy radiofonico degli anni ottanta.
Lavoro difficile da rinchiudere tra le pareti di un solo genere e per questo affascinante e ricco di sorprese, Time conferma la bontà del progetto Red Morris che ci regala un altro piccolo gioiello musicale.

Tracklist
1. San Sebastian
2. My Father
3. Transylvania
4. New York
5. Time
6. Money Kills
7. Blessed Imelda
8. Opera

Line-up
Red Morris – chitarra
Alberto Parisi – basso
Marco Carli – batteria
Beppe Premi – tastiera
Mirco Parisi – tromba
Marcello Spera – voce

RED MORRIS – Facebook

El Rojo – 16 Inches Radial

I Kyuss hanno figliato moltissimo, lasciando un’eredità pressoché enorme, e questi calabresi partono dallo stesso deserto, ma ne creano uno tutto loro davvero magnifico per un debutto che lascia a bocca aperta.

Gruppo stoner desert dalla Calabria, un suono caldissimo ed avvolgente che vi darà grande piacere.

Gli El Rojo nascono a Morano Calabro nel 2016, sono un gruppo di amici molto legati fra loro e fanno uno stoner hard rock di alta qualità. Hanno il passo dei Kyuss, ovvero uno stoner rock molto desertico ma hanno anche una serie di soluzioni sonore da hard rock, senza disdegnare qualche passaggio maggiormente psichedelico. Non c’è una cosa in particolare che risalta subito, la loro peculiarità è dare una sensazione di musica di cui non puoi fare a meno, soprattutto per chi ama questo genere. Gli El Rojo arrivano perché è il loro momento, e ascoltandoli lo si percepisce chiaramente: 16 Inches Radial è un disco affascinante e dal suono che ti induce in tentazione. Il gruppo calabrese ti fa percepire una sensazione di appagante soddisfazione sonora e ti induce ad ascoltare il disco più volte, rientrando nella non grande casistica dei gruppi predestinati. Non si può sapere se questi ragazzi faranno carriera nella scena, certo è che far uscire un debutto così è assai notevole. Ci sono delle cose da mettere a posto, e vanno perfezionate certe piccolezze, nell’ottica del massimo miglioramento possibile, ma stiamo parlando di un gruppo che nell’ultima traccia del disco, Red Sand, assomiglia in certi passaggi ai Doors, tanto per capire dove stiamo andando a parare. I Kyuss hanno figliato moltissimo, lasciando un’eredità pressoché enorme, e questi calabresi partono dallo stesso deserto, ma ne creano uno tutto loro davvero magnifico. Un debutto che lascia a bocca aperta.

Tracklist
1.Pontiac
2.Trigger
3.BSS
4.El Rojo (Instrumental)
5.Psilocybe
6.Red Sand

Line-up
Evo Borruso – Vocals
Fabrizio Vuerre – Guitar
Luigi Grisolia – Guitar
Pasquale Carapella – Bass
Antonio Rimolo – Drums

EL ROJO – Facebook