BlindCat – Shockwave

I BlindCat sono stati per il sottoscritto un’autentica sorpresa, il loro sound è quanto di più irresistibile e sanguigno si possa trovare in giro nel genere, quindi non perdetevi questo gioiellino hard rock.

E’ attiva dal 2012 questa sensazionale band nostrana, originaria di Taranto e al secondo lavoro dopo il debutto intitolato Black Liquid, che tante soddisfazioni ha portato ai BlindCat in questi ultimi anni.

Un gatto magari non vedente ma che, quando ingrana la marcia e comincia a suonare, difficilmente lascia indifferenti; il gruppo è guidato dal cantante Gianbattista Recchia, più che un gatto una iena, comunque un vero animale rock che risulta una via di mezzo tra Layne Staley e Zakk Wylde.
Domenico Gallo (chitarra) macina riff su riff e la coppia Emanuele Rizzi (batteria) e Pietro Laneve (basso) forma una sezione ritmica portentosa e groovy quel tanto che basta per dare a Shockwave un tocco moderno, tale da non apparire  datato o, come va di moda oggigiorno affermare, vintage.
One Life mette subito le cose in chiaro, il peloso delinquente dalla poca vista ma dall’orecchio fino ne ha per tutti e graffia lasciandoci in balia di una serie di brani adrenalinici, potentissimi ed irresistibili come Laughin’ Devil e soprattutto Stars And Sunset, un crescendo di potenza hard rock seguito da una Until (The Light Of The Day Comes) che aggiusta di varia di poco le coordinate quel tanto che basta per liberare Alice dalle catene e coinvolgerla in un ballo sfrenato.
La band si concede una pausa solo alla settima traccia, un intermezzo acustico che porta alla title track, un altro crescendo di tensione che esplode in una serie di riff mastodontici e ci prepara al finale, con la più intimista What Is Hell e Son And Daughter, cover dei Queen ed esplosiva conclusione di questo bellissimo e roccioso lavoro.
I BlindCat sono stati per il sottoscritto un’autentica sorpresa, il loro sound è quanto di più irresistibile e sanguigno si possa trovare in giro nel genere, quindi non perdetevi questo gioiellino hard rock.

Tracklist
1 One Life
2 Laughin’ Devil
3 Stars And Sunset
4 Until (the Light Of The Day Comes)
5 The Black Knight
6 Nothing Is Forever
7 Rising Moon (instrumental)
8 Shockwave
9 What Is Hell
10 Son And Daughter

Line-up
Gianbattista Recchia – Vocals
Domenico Gallo – Guitars
Emanuele Rizzi – Drums
Pietro Laneve – Bass

BLIND CAT – Facebook

Gigantomachia – Atlas

L’epicità sanguina dalle note di questa raccolta di brani che non lasciano trasparire facili melodie, ma all’unisono gli strumenti compongono una colonna sonora di morte e dolore che a tratti sfiora il lento incedere del doom, creando una sorta di muro invalicabile.

Ad Alatri, in provincia di Frosinone, i giganti si stanno organizzando per andare in battaglia contro gli dei dell’Olimpo e la colonna sonora di questo epico scontro non può che essere forgiata nel metallo più estremo, epico ed oscuro.

Atlas è il debutto di questa band che dal mito greco prende il nome (Gigantomachia), un gruppo di giganti in perenne battaglia a colpi di death metal guerresco, pregno di mid tempo pesantissimi e dall’incedere monolitico.
La band nasce nel 2015 da un’idea del bassista Lorenzo Barabba e dopo vari aggiustamenti della line up e un bel po’ di rodaggio in sede live, arrivano al 2017 e alla firma con la label nostrana Agoge Records di Gianmarco Bellumori, con cui hanno collaborato per la realizzazione di questa primo attacco agli dei.
Atlas è un macigno estremo che travolge tutto, con un passo medio ma inarrestabile che tutto ababtte e devasta senza fermarsi davanti a nulla; l’epicità sanguina dalle note di questa raccolta di brani che non lasciano trasparire facili melodie, ma all’unisono gli strumenti compongono una colonna sonora di morte e dolore che a tratti sfiora il lento incedere del doom, creando così una sorta di muro invalicabile.
Growl e recitati, mid tempo e solos che evocano lo scontro tra le lame nella battaglia, rendono l’atmosfera drammatica e pesante, con la musica che ne diviene la colonna sonora offrendo atmosfere suggestive sulle note di Liberate The Tytans, Immortal e della più estrema title track, seguita da una Scylla & Cariddi che conclude Atlas alternando violenza e melodia e aggiudicandosi la palma di miglior brano in scaletta.
I Bolt Thrower sono la band più accostabile al sound dei Gigantomachia, con parti che si avvicinano all’epic metal classico rendendo Atlas un buon debutto, lontano dal death epico e sinfonico di moda in questo periodo e più vicino ad un approccio vecchia scuola.

Tracklist
1 – Rise Of Cyclop (intro)
2 – Eye Of The Cyclop
3 – Liberate The Titans
4 – Immortal
5 – Aldebaran
6 – Abyss Leviathan (intro)
7 – Leviathan
8 – Atlas
9 – Scylla & Cariddi

Line-up
Barabba – Bass
Alessandro – Guitars
Nicola – Drums
Davide – Guitars, Vocals

GIGANTOMACHIA – Facebook

Asino – Amore

Un sound che sposa l’attitudine punk con l’elettricità noise e i testi in italiano, per sette brani che formano un concentrato di suoni dissonanti, dall’approccio indie rock ma con la forza espressa che si avvicina al metal alternativo.

Amore è il terzo lavoro di questo duo toscano chiamato Asino e formato da Giacomo “Jah” Ferrari (voce, batteria) e Orsomaria Arrighi (voce, chitarra).

L’album chiude una trilogia iniziata nel 2012 con Crudo e proseguita con l’EP Muffa due anni dopo e che ha portato i due musicisti toscani in giro per il nostro paese ad incendiare palchi con il loro rock, molto originale, scarno ed essenziale.
Il sound sposa l’attitudine punk con l’elettricità noise e i testi in italiano, per sette brani che formano un concentrato di suoni dissonanti, dall’approccio indie rock ma con la forza espressa che si avvicina al metal alternativo: chitarra e batteria, voci che intonano testi irriverenti ed ironici, basi che si avvicinano a campionamenti industriali e rendono la proposta diretta come una serie di sette pugni allo stomaco, rock nella sua forma più grezza e sempre alla ricerca di uno spunto originale nelle atmosfere caotiche di tracce come Sentirsi Male, Offensivo o la conclusiva Trenita.
Difficile fare nomi per rendere più facile l’approccio ad Amore, forse le più indicative in tal senso sono proprio quelle delle note di presentazione dell’album: “pensate agli White Stripes senza il blues, pensate ai Tweak Bird senza lo stoner, pensate agli Zeus! senza il metal, pensate ai Lightning Bolt senza una maschera, pensate a Simon & Garfunkel senza una mano”.

Tracklist
1.Sentirsi Male
2.Enorme
3.Umberto Space Echo
4.Orsomariah Curry
5.Offensivo
6.Schiaphpho Dve
7.Trenita

Line-up
Orsomaria Arrighi – Vocals, Guitars
Giacomo Jah Ferrari – Drums

ASINO – Facebook

IN-SIDE – OUT-SIDE

OUT-SIDE è un lavoro che vorremmo non finisse mai più, un arcobaleno di note melodiche che lascia senza fiato e che si rivela imperdibile per i fans dell’aor, ai quali consiglio di lasciarsi rapire dall’opera di una band che ha talento da vendere.

Non capita spesso di questi tempi un lavoro italiano incentrato sull’ hard rock melodico di stampo ottantiano, forse perché il nostro paese non è l’America né la Scandinavia e neppure il Giappone, terre da sempre molto più ricettive per il genere.

L’Andromeda Relix imprime il suo marchio su questo bellissimo lavoro targato IN-SIDE, gruppo di Torino capitanato dal tastierista Saal Richmond e che vede dietro al microfono il singer Beppe Jago Careddu, vecchia conoscenza della nostra webzine (Madwork, Burning Rome) e cantante dalle mille risorse, che siano dark, estreme o, come in questo caso, melodiche.
La voce profonda e molto interpretativa del cantante (che a tratti ricorda un Brian Ferry in versione hard rock) accompagna sei brani più intro di una bellezza disarmante, pomposi, melodici, dal piglio statunitense e legati in modo indissolubile agli anni ottanta.
Mid tempo strutturati su tastiere che ci travolgono con cascate di note, mentre la chitarra ci strappa il cuore con solos eleganti, il tutto valorizzato da un talento per la melodia sorprendente, fanno di OUT-SIDE un gioiellino melodico imperdibile per i fans del genere, mentre si respira aria intrisa di profumi del litorale californiano in brani come The Signs Of Time o The Running Man.
Block 4 è un mid tempo di raffinato aor dal taglio ombroso, nel quale la voce raggiunge livelli interpretativi notevoli, così come in Break Down l’anima progressiva della band valorizza un brano bellissimo ed emozionante.
Lie To Me conclude un lavoro che vorremmo non finisse mai più, un arcobaleno di note melodiche che lascia senza fiato e che si rivela imperdibile per i fans dell’aor, ai quali consiglio di lasciarsi rapire dall’opera di una band che ha talento da vendere.

Tracklist
1.The Gate
2.The Signs OF Time
3.The Running Man
4.Block 4
5.I’m Not A Machine
6.Break Down
7.Lie To Me

Line-up
Jago – Vocals
Saal Richmond – Keyboards / Synthesizers / Programming / Vocals
Dave Grandieri – Keyboards / Synthesizers / Programming / Backing Vocals
Simone “Mono” Bertagnoli – Guitars
Abramo De Cillis – Guitars / Backing Vocals
PJ Philip – Bass / Backing Vocals
Marzio Francone – Sound Engineering / Drums

IN-SIDE – Facebook

Paolo Carraro Band – Newborn

Assolutamente priva di inutili diavolerie tecniche fine a se stesse, la musica contenuta in Newborn non stanca ed è consigliata anche a chi non stravede per i lavori strumentali e per i maestri delle sei corde, proprio per la sua notevole fluidità e per la cura alla forma canzone che il gruppo non perde mai di vista.

Inizia con il pianto di un neonato questo viaggio musicale nel mondo di Paolo Carraro e la sua band, una strada da percorerre con la mente libera facendo proprie tutte le influenze che il sound di questi cinque brani ci consegnano.

Un rock strumentale attraversato da una vena heavy prog è quello che ci presenta questo quintetto capitanato da chi gli dà il nome, chitarrista vicentino con un percorso che negli anni lo ha portato a confrontarsi in vari concorsi nazionali, a dare vita un primo ep (You’d Better Run) e tornare con la Paolo Carraro Band con questo ottimo lavoro intitolato Newborn e con l’Atomic Stuff ad occuparsi della promozione.
I cinque brani proposti coprono almeno una quarantina d’anni di musica rock, partendo dal progressive e dall’hard rock anni classico di ispirazione settantiana, al più diretto heavy metal per sfiorare accenni blues e metal prog.
Assolutamente priva di inutili diavolerie tecniche fine a se stesse, la musica contenuta in Newborn non stanca ed è consigliata anche a chi non stravede per i lavori strumentali e per i maestri delle sei corde, proprio per la sua notevole fluidità e per la cura alla forma canzone che il gruppo non perde mai di vista.
La band si diverte e fa divertire seguendo uno spartito colorato di note progressive, ma che non dimentica il rock nella sua forma più pura e bluesy, come nella spettacolare ed hendrixiana Expetions o nella divertente Prog’n’roll, un brano tirato e sfacciatamente rock’n’roll , ma con una verve progressiva che scatena il gruppo, in una ipotetica jam tra Chuck Berry e John Petrucci.
Ancora grande musica blues con Blue Jay River e la più hard & heavy Beck In Town, brano che chiude l’album in un crescendo di scale ipertecniche, su un tappeto di ritmiche groove rock da trattenere il fiato.
Una gradita sorpresa, quindi,  questa band che con Newborn ci consegna uno dei lavori strumentali più belli sentiti ultimamente.

Tracklist
01. Introduction 1257
02. Exeptions
03. Prog’n’Roll
04. Blue Jay River
05. Beck in Town

Line-up
Paolo Carraro – Guitar
Daniele Asnicar – Guitar
Federico Saggin – Bass
Federico Kim Marino – Drums

PAOLO CARRARO – Facebook

NIHILI LOCUS – Lyaeus Nebularum

Interessante retrospettiva sui Nihili Locus, band che si mise in una certa evidenza negli anni novanta con un death dagli influssi doom e, in parte, black.

La Terror From Hell pubblica questa interessante retrospettiva sui Nihili Locus, band italiana che si mise in una certa evidenza negli anni novanta.

La raccolta comprende tutti i brani pubblicato nella sua storia dal gruppo piemontese, comprendendo quindi il singolo Sub Hyerosolyma (1992), il demo …Advesperascit… (1994) e soprattutto l’ep …Ad Nihilum Recidunt Omnia (1996), più due brani inediti registrati nel 1997.
Sono proprio i tre brani contenuti in …Ad Nihilum Recidunt Omnia ad aprire la compilation, rappresentando quello che, all’epoca, pur con tutte le variabili di una produzione perfettibile, era parso un notevole primo approccio per una band che possedeva le potenzialità per diventare uno dei nomi di punta a livello nazionale in ambito death doom.
Questo non si è verificato, purtroppo, anche perché dopo diverse vicissitudini ed una lunga stasi la band si sciolse nel 2003 per poi riprendere vita cinque anni dopo con una formazione a tre che compose quello che sarebbe dovuto essere il primo full length, Mors, che di fatto però non vide mai la luce.
Come detto il fulcro dell’album sono Silvara e le due parti di Memoriam Tenere, brani nei quali il Nihili Locus dimostravano d’essere sulla strada giusta per giungere alla quadratura di un death/black doom ricco di spunti notevoli e piuttosto vario sotto diversi aspetti, incluso l’utilizzo della voce femminile; Lyaeus Nebularum non segue, come forse sarebbe stato più auspicabile, un ordine cronologico nella collocazione dei brani in tracklist, per cui dopo le tracce di …Ad Nihilum Recidunt Omnia troviamo le due che erano presenti in Sub Hyerosolyma, dove il sound viveva ancora di un’accentuata dicotomia tra le parti melodiche e quelle death tout cort, per poi giungere alla più compiuta scrittura di…Advesperascit… , dove un brano come Canto (of a Nightly Jewel) attirava fatalmente nel gorghi più profondi del death doom.
I due inediti, infine, sono evidentemente frutto di registrazioni approssimative e provvisorie, tali da rendere inopportuno ogni possibile giudizio; d’altro canto, anche se in misura decisamente meno accentuata, la produzione dei lavori dei Nihili Locus non è mai stata ottimale, impedendo peraltro di attenuare le sbavature a livello strumentale e, soprattutto, le stonature dei contributi vocali femminili (ma, d’altro canto, nei primi anni novanta non era facile trovare nel nostro paese qualcuno che fosse in grado di gestire al meglio tutto il processo di incisione e registrazione di un album metal).
L’operazione risulta nel complesso assolutamente utile e gradita: vediamo se il tutto possa essere propedeutico, magari, alla sospirata pubblicazione di Mors o ancora meglio di materiale di nuovo conio, visto che ufficialmente i Nihili Locus risultano ancora attivi, per cui sperare non costa nulla.

Tracklist:
1. Memoriam Tenere
2. Silvara
3. Memoriam Tenere (Rigor Mortis)
4. Ancient Beliefs Forgotten
5. Deathly Silence Nebulae
6. Gloomy Theatre of Ruins
7. Canto (of a Nightly Jewel)
8. Dance of the Crying Soul
9. …Advesperascit…
10. Buio/XII Touches
11. Tectum Nemoralibus Umbris
12. Lugubri Lai
13. La Notte Eterna
Tracks 1-2-3 taken from ‘…Ad Nihilum Recidunt Omnia’ MCD
Tracks 4-5 taken from ‘Sub Hyerosolyma’ EP
Tracks from 6 to 11 taken from ‘… Advesperascit…’ Demo
Tracks 12-13 never released before (recorded in 1997)

Line-up:
Bruno Blasi – vocals
Valeria De Benedictis – guitars, keyboards, vocals
Mauro Veronese – guitars, vocals
Massimo Currò – bass
Roberto Ripollino – drums, vocals
Simone Fanciotto – keyboards

NIHILI LOCUS – Facebook

AA.VV. – Prigionieri 1988/2018

In download e streaming gratuito sui canali del Ghigo Renzulli Fan Collaborative, questa sorta di compilation celebrativa, oltre ad essere un tributo alla storica band è un modo riuscito ed originale per tornare a respirare le atmosfere di uno dei lavori più rappresentativi del rock italiano, consigliato non solo ai fans dei Litfiba, ma soprattutto ai giovani ascoltatori che del gruppo ignorano le produzioni ottantiane.

Sono passati trent’anni da Litfiba 3 e il Ghigo Renzulli Fan Collaborative, come già per Desaparecido (30 Desaparecido) ed il capolavoro 17Re (trent’anni di 17Re), dedica una compilation tributo al terzo album della trilogia del potere che i Litfiba scrissero tra 1l 1985 ed il 1988, anno di uscita del bellissimo ed ultimo capitolo.

Con la formazione storica ancora intatta (oltre a Ghigo Renzulli e Piero Pelù, Antonio Aiazzi alle tastiere, Gianni Maroccolo al basso e Ringo De Palma alle pelli) ma con la strada musicale del gruppo che sta per arrivare al crocicchio dove lascerà le ombrose atmosfere dark/wave degli esordi per un approccio molto più rock e commerciale, Litfiba3 risulta un album vario che alterna rock graffiante a bellissime e liquide composizioni legate alla new wave, ancora nelle corde dei fans del rock anni ottanta, ma da li a pochi anni scavalcata dalle sonorità del decennio successivo a cui anche i nostri si dedicheranno.
Prigionieri (che in origine doveva essere il titolo dell’album, poi accantonato per Litfiba3) è prodotto da Davide Forgetta con la collaborazione di Roberto Bruno in qualità di direttore artistico, vede al mastering il prezioso lavoro di Fabrizio Simoncioni e l’artwork realizzato da Claudio Serra, co-fondatore del Ghigo Renzulli Fan Collaborative.
Un album molto esplicito e dai temi socio/politici importanti come Litfiba 3 viene reinterpretato dagli artisti che si danno il cambio sui brani che hanno fatto la storia del rock italiano con ottima personalità, quindi non ci si devono aspettare mere cover copia incolla, ma una matura rivisitazione che soggioga a proprio piacimento il sound di cui si componeva l’opera.
L’opener Santiago, affidata ai Capitolo 21 perde le sfumature da “barricate” per un’attitudine più elettronica, mentre i Junkie Dildoz imprimono una notevole carica metal al rock’n’roll di Amigo.
La splendida Lousiana è valorizzata dall’interpretazione di Daniele Tarchiani in una rivisitazione che tanto sa di U2, mentre Ci Sei Solo Tu è lasciata agli Estetica Noir.
Altro brano clou di Litifba 3 (la “parigina” Paname) trova nuova vita nelle note elettro/dance dei Lip’s Aroma e i Røsenkreütz se la vedono con l’atmosfera intimista e dark di Cuore Di Vetro, mentre la diretta Tex, in mano ai Cani Bagnati, rimane un pugno rock in pieno volto.
Peste degli Elysa Jeph, in versione trip rock, lascia agli ultimi due brani (Corri, cantata da Alteria, e Bambino nella versione dei MnemoS) il compito di chiudere questa nuova versione dell’album che all’epoca chiuse definitivamente la prima fase della carriera del Litfiba i quali, da li a poco erano destinati a diventare il gruppo rock italiano più famoso del decennio successivo.
In download e streaming gratuito sui canali del Ghigo Renzulli Fan Collaborative, questa sorta di compilation celebrativa, oltre ad essere un tributo alla storica band è un modo riuscito ed originale per tornare a respirare le atmosfere di uno dei lavori più rappresentativi del rock italiano, consigliato non solo ai fans dei Litfiba, ma soprattutto ai giovani ascoltatori che del gruppo ignorano le produzioni ottantiane.

Tracklist
1.Santiago – Capitolo 21
2.Amigo – Junkie Dildoz
3.Louisiana – Daniele Tarchiani
4.Ci Sei Solo Tu – Estetica Noir
5. Paname – Lip’s Aroma
6. Cuore Di Vetro – Røsenkreütz
7. Tex – Cani Bagnati
8. Peste – Elyza Jepth
9. Corri – Alteria
10. Bambino – MnemoS

GHIGO RENZULLI FAN COLLABORATIVE – Facebook

 

Malnàtt – Pianura Pagana

Musicalmente è forse l’album più maturo del collettivo, molto completo dal punto di vista compositivo, e quasi pronto per essere trasposto in una piece teatrale, perché in fondo questo dei Malnàtt è teatro con musica pesante.

Il collettivo bolognese Malnàtt è molto più di un gruppo metal, è un’idea messa in musica pesante.

L’opera del collettivo è sempre stata di alto livello qualitativo e con messaggi molto forti, e anche in questo disco l’approfondimento è notevolissimo. Pianura Pagana è la dimostrazione che il metal può essere arte che nasce dal basso e si propaga per far meglio comprendere ciò che c’è sotto la superficie, ed in questo caso di marcio ce n’è davvero molto. La proposta musicale dei Malnàtt spazia nel mondo del metal, dal black al death, passando per pezzi più prog e sfuriate quasi thrash. In questo progetto la musica è al servizio del messaggio, ma essa stessa è messaggio e da un valore aggiunto molto importante. Tutta l’opera dei bolognesi è di agitazione culturale, quasi fossero una propaggine del collettivo culturale Wu Ming in campo metal. Pianura Pagana è un disco che sa di antico, un sentire con la mente libera da preconcetti e dai tarli della nostra consumistica esistenza. Il disco è una chiara dichiarazione di intenti, un continuo carnevale in senso medioevale, poiché quando suonano questi signori diventano altro da ciò che sono tutti i giorni, come spiegato nella splendida canzone Il Collettivo Malnàtt, che illustra molto bene cosa sia questa entità davvero unica. Il cantato in italiano rende moltissimo e fa l’effetto di una messa pagana senza alcun simbolo, solo l’andare contro la comune morale cristiana e borghese, ricercando il senso della vita e la sua forza, sempre più nascoste in questo mondo di plastica. Musicalmente è forse l’album più maturo del collettivo, molto completo dal punto di vista compositivo, e quasi pronto per essere trasposto in una piece teatrale, perché in fondo questo dei Malnàtt è teatro con musica pesante. Vengono anche smascherati i nostri tic, le normali aberrazioni che ogni giorni imperano in tv, creando quel cortocircuito che nasce mentre vediamo la morte in diretta mangiando tranquillamente con i nostri familiari, sentendoci al sicuro; ma non lo siamo affatto, perché il nemico peggiore siamo noi stessi, siamo noi gli assassini, siamo noi che abbiamo affidato le nostre speranze alla gente sbagliata da più di 2000 anni. Pianura Pagana va ascoltato nota per nota, parola su parola, immagine per immagine, perché è un piccolo capolavoro di coscienza, come li faceva una volta Pasolini; infatti qui i Malnàtt mettono in musica Alla Mia Nazione, e lì dentro c’è tutto.

Tracklist
1. Almanacco pagano
2. Io ti propongo
3. Il Collettivo Malnàtt
4. E lasciatemi divertire
5. Cadaverica nebbia
6. Alla mia nazione
7. Intervallo pagano
8. Qualche parola su me stesso
9. Posso
10. Chiese chiuse
11. Dialogo di marionette

MALNATT – Facebook

Thelema – Thelema

Il sound dei genovesi Thelema è un hard rock che alterna parti più dirette e metalliche ad altre ispirate alla tradizione progressiva tricolore, risultando un buon ibrido tra rock e metal classico.

Di questi tempi, con il mondo del web diventato nostro malgrado un’appendice importante della nostra vita, la comunicazione diventa essenziale per far conoscere il proprio prodotto (di qualsiasi natura esso sia); nella musica poi, con le centinaia di band che ogni giorno si presentano sul mercato, il presentarsi in modo completo risulta fondamentale.

I Thelema per esempio lasciano a poche righe la presentazione del loro omonimo debutto, di loro sappiamo che girano intorno al chitarrista/compositore Simone Filippo Canepa e alla voce della cantante Beatrice Fioravanti.
Il sound dei genovesi è un hard rock che alterna parti più dirette e metalliche ad altre ispirate alla tradizione progressiva tricolore, risultando un buon ibrido tra rock e metal classico.
La Fioravanti è una singer dai toni che ispirano immagini dark, la chitarra di Canepa firma l’album con le sue ritmiche hard rock ed i suoi solos tra classic metal e progressive, composto da otto brani piacevoli.
Ottime le atmosfere dark di The Crow, l’inno It’s Only Rock, la ballad progressiva Claire e la danza sabbatica ispirata di My Memory Of Banshee, mentre The End chiude l’album e risulta l’unico brano cantato dal chitarrista ligure.
Con una produzione più pulita le tracce avrebbero convinto ancora di più, ma rimane un dettaglio su cui si potrà lavorare già dal prossimo lavoro, per ora i Thelema passano l’esame del debutto con un esordio più che sufficiente.

Tracklist
1.Season Of Love
2.The Crow
3.Lethal Assault
4.Eirenomis
5.It’s Only Rock
6.Claire
7.My Memory Of Banshee
8.The End

Line-up
Simone Filippo Canepa – Guitars, Vocals
Beatrice Fioravanti- Vocals

THELEMA – Facebook

Arya – Dreamwars

Una musica che è interpretazione e drammatica teatralità, con i brani che formano una suite alienante ma suo modo originale, soprattutto in un genere come quello del rock progressivo moderno dove ormai diventa difficilissimo trovare strade musicali non ancora battute.

Album coraggioso e di difficile catalogazione, Dreamwars è il secondo lavoro degli Arya, band riminese al debutto nel 2015 con In Distant Oceans e tornata dunque dopo tre anni con un’opera intrigante, ma a cui ci si deve dedicare molto tempo prima che i suoni che inglobano nello stesso sound post rock e progressive riescano a fare breccia nell’ascoltatore.

Ritmiche marziali, marcette, la teatralità innata nel canto particolare della singer Virginia Bertozzi (uscita poi dalla band e sostituita da Clara J. Pagliero), una tecnica sopraffina che esce timida dalle nebbie di una musica intimista ed a suo modo dark, fanno di questo Dreamwars una complessa narrazione delle difficoltà dell’uomo, tra solitudine, incomunicabilità e suicidio, conseguenze della competitività in atto nella società contemporanea.
Quello degli Arya è un rock moderno, attraversato da una vena progressiva, un fiume di ritmiche e dissonanze strumentali su cui la cantante interpreta i vari stadi che l’uomo attraversa in questo inferno reale che è la vita.
Una musica che è interpretazione e drammatica teatralità, con i brani che formano una suite alienante ma suo modo originale, soprattutto in un genere come quello del rock progressivo moderno dove ormai diventa difficilissimo trovare strade musicali non ancora battute.
Gli Arya ci sono riusciti, anche se il loro album rimane un’opera di difficile assimilazione e per questo molto affascinante, adatto a chi non si spaventa al cospetto di brani intricati più per la loro atmosfera di altissima tensione emotiva che per la mera tecnica strumentale.
Non esistono singoli e brani che possano spiegare in modo soddisfacente quello che troverete in Dreamwars, un album da ascoltare per intero più volte per trovare la chiave che vi aprirà la porta per entrare nel concept degli Arya.

Tracklist
01. Sirens
02. Irriverence
03. NAND you
04. Commuters
05. Faith
06. Transistors
07. Arjuna
08. Rhinos
09. Eyes in eyes
10. Dreamwars
11. Gandharva

Line-up
Virginia Bertozzi – Vocals
Simone Succi – Guitars
Luca Pasini – Guitars
Namig Musayev – Bass
Alessandro Crociati – Drums
*Nicola Renzi – Vocals on NAND You

ARYA – Facebook

Hell Obelisco – Swamp Wizard Rises

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

I ragazzi vengono da Bologna e sono tutti dei veterani delle scene musicali pesanti, che hanno pensato di mettersi insieme e di fare quello che preferiscono. Il loro debutto è un concentrato di potenza e di pesantezza, con una forte influenza southern e una grande visione musicale d’insieme. I componenti degli Hell Obelisco provengono da gruppi come Addiction, Monumentum, Schizo, Tying Tiffany, Evilgroove e The Dallaz, per cui di esperienza musicale se ne trova in abbondanza. Ascoltando Swamp Wizard Rises si riassapora quel gusto per la musica pesante che si trova sempre più raramente, a partire dalla cure nel confezionare il suono, grazie anche alle sapienti mani di Para del Boat Studio e Paso dello Studio 73. Il disco funziona molto bene, ogni canzone è di alto livello e ciò che colpisce di più è la  completa padronanza della materia. I riferimenti musicali sono molti e svariati, dai Pantera allo sludge più southern, ma l’impronta degli Hell Obelisco è molto forte. Tutto è bello in questo album di debutto a partire dalla fantastica copertina ad opera di Roberto Toderico, che ha collaborato a stretto contatto con i componenti del gruppo, facendo portare le loro personali visioni del mago della palude. Un grande contributo è dato dall’affiatamento fra i vari membri della band, dato che si conoscono da venticinque anni. Un disco che diverte e che rende un gran servigio alle tenebre che ci portiamo dentro, noi che amiamo la musica pesante ed oscura.

Tracklist
1.Voodoo Alligator Blood
2.Teenage Mammoth Club
3.Escaping Devil Bullets
4.Earth Rage Apocalypse
5.Biting Killing Machine
6.Death Moloch Rising
7.Dead Dawn Duel
8.High Speed Demon
9.Black Desert Doom

Line-up
Andrew – Front Row Mammoth
Doc – Six Sludge Strings
Fraz – Seven Doomed and Lowered Strings
Alex – Behind The Skins

HELL OBELISCO – Facebook

Angor Animi – Cyclothymia

Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.

Kjiel è una delle musiciste più attive nonché tra le interpreti di spicco all’interno della scena nazionale gravitante attorno al depressive black, in virtù della sua militanza negli ottimi Eyelessight e di diverse collaborazioni con band italiane e non.

Angor Animi è il monicker del suo progetto solista che vede la luce con questo magnifico Cyclothymia, lavoro con il quale la musicista abruzzese può dare ancor più liberamente sfogo alla sua sensibilità artistica volta ad esplorare gli anfratti più bui dell’animo umano.
Per fare tutto ciò Kjiel si avvale della presenza in qualità di ospite di Déhà, un nome che è una sorta di marchio di qualità non solo per tutti i suoi innumerevoli progetti personali (tra i quali ricordiamo per affinità agli Angor Animi quelli denominati Yhdarl e Imber Luminis), ma anche per quelli altrui ai quali si trova a fornire il suo personale contributo.
Va detto per amor di precisione che in Cyclothymia il musicista belga si occupa dell’intera parte ritmica e di alcune parti di chitarra in qualità di ospite, lasciando a Kjiel l’intero il peso compositivo oltre alla possibilità di esprimersi al meglio con la sei corde e con la sua lancinante interpretazione, integrata anche dall’apporto della voce maschile di HK (Eyelessight), dell’altra femminile di Tenebra (Dreariness) e dal piano di Maylord (Dark Haunters).
Il risultato di tutte queste componenti è un album di un’intensità portata alle estreme conseguenze, che dal DSBM mutua soprattutto l’impostazione vocale, mentre a livello strettamente musicale siamo sul piano di un black/post metal atmosferico e dall’enorme impatto emotivo.
Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.
Kjiel, con questo suo personale progetto, si conferma come una delle interpreti migliori e più credibili di questo particolare sottogenere, rivolto sicuramente ad una nicchia di appassionati che non hanno il timore di essere sopraffatti dal disagio e dalla sofferenza che si fanno musica.

Tracklist:
01 – Quantum
02 – Matter
03 – Hyle
04 – Cosmi
05 – Lumis
06 – Ifene
07 – Fractals
08 – Divide
09 – Entropia

Line-up:
1. Prelude to an End;
2. Everlasting Lethargy
3. After Years of Broken Dreams
4. Melanchomania
5. Cleithrophobia
6. Longing My Life Away
7. Cyclothymia
8. Self-Deception
9. No Way Out(ro)

Line-up:
Kjiel – Vocals, Guitars

Guests:
HK – Vocals
Déhà – Guitars, Bass, Drums
Maylord – Piano
Tenebra – Vocals

ANGOR ANIMI – Facebook

This Broken Machine – Departures

Per chi non conosceva ancora la band, l’album risulta una vera sorpresa, perché si va oltre il compitino ormai abusato nel metalcore, per abbracciare influssi nu metal dai toni dark e a tratti progressivi, colpiti da micidiali mazzate estreme.

Un sound maturo, alternativo e a tratti estremo, con le atmosfere che cambiano veloci, tra parti più intimiste e melodiche, altre più nervose e dalle reminiscenze nu metal, per arrivare a bordate di moderno metal estremo dalle sincopate ritmiche metalcore.

Departures è il nuovo album dei This Broken Machine, band milanese che si presenta sul mercato in questa prima parte dell’anno, dopo un primo ep uscito nel 2007 ed intitolato Songs About Chaos e l’album The Inhuman Use of Human Beings licenziato sei anni fa.
Per chi non conosceva ancora la band, l’album risulta una vera sorpresa, perché si va oltre il compitino ormai abusato nel metalcore, per abbracciare influssi nu metal dai toni dark e a tratti progressivi, colpiti da micidiali mazzate estreme.
Testi profondi affrontano il tema di alcuni stati d’animo come distacco, separazione e smarrimento che provocano inevitabili cambiamenti, tra dolore e sofferenza, il tutto sovrastato da sound vario ma drammatico, che porta l’ascoltatore ad intraprendere un viaggio musicale molto suggestivo, con il metal e la sua parte più moderna quale  perfetta colonna sonora del male di vivere che diventa spesso compagno quotidiano dell’uomo.
Departures è una raccolta di brani che continuano senza soluzione di continuità ad alternare parti pacate ed introspettive  a poderosi assalti sonori, perfettamente inglobati nel sound per richiamare la rabbia e l’opprimente dolore che soffoca l’individuo fino alla svolta e alla ricerca di una speranza.
Si rivela ottimo l’uso delle due voci, protagoniste di interpretazioni da brividi, come nel capolavoro Distant Stars, brano di un’intensità straordinaria e picco di questo bellissimo lavoro che non concede un solo attimo di calo qualitativo.
Deftones, Tool e Gojira sono i possibili riferimenti, ma è difficile e forse ingiusto fare dei nomi, anche se si parla di icone del metal moderno, perché Departures vive di luce propria, anche se ci parla delle più oscure ombre dell’umano vivere.

Tracklist
1.Departing
2.Weight
3.The Tower
4.Return to Nowhere
5.Distant Stars
6.This Grace
7.As You Fall
8.…And That Would Be the End of Us

Line-up
Fabrizio – Guitar
Luca – Guitar, Vocals
Andrea – Bass, Vocals
Matteo – Drums

THIS BROKEN MACHINE – Facebook

Pino Scotto – Eye For An Eye

Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.

Pino Scotto torna in questa primavera 2018 e lo fa come se il tempo e tutte le avventure e le collaborazioni che lo hanno visto protagonista nell’ ultimo ventennio fossero state spazzate via da una tempesta magnetica che fa scorrere il tempo a ritroso fino ai gloriosi anni ottanta, quando l’hard & heavy classico e dalle reminiscenze blues era al suo massimo splendore.

D’altronde, il carismatico cantante è senza ombra di dubbio l’unica vera icona del rock tricolore, e quei temi li ha vissuti in prima persona, in principio con i Pulsar e poi con gli ormai leggendari Vanadium, ancora oggi probabilmente la band più conosciuta fuori dai confini nazionali, parlando di heavy metal e hard rock (e non me ne vogliano le molte e bravissime realtà odierne).
Un nuovo album targato Pino Scotto è quindi da considerare un evento in una scena che, aldilà dell’ottima qualità di cui si può fregiare negli ultimi anni, fatica a trovare un minimo di considerazione in un paese sempre più lontano dalla cultura rock e metal e in tempi nei quali anche la musica è ormai considerata una mera cornice alle nefandezze che riempiono il web.
Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.
Con la partecipazione come ospite del bluesman Fabio Treves all’armonica, Eye For An Eye è stato registrato all’Asgardh Music Studio di Milano da Steve Angarthal, e mixato e masterizzato da Tommy Talamanca (Sadist) ai Nadir Music Studios di Genova per un risultato a dir poco straordinario, ovvero un album dal taglio internazionale che esalta con il ritorno al sound che ha reso famoso Pino Scotto.
Quasi un’ora di grande hard’n’heavy, quindi, animato da una vena blues marchio di fabbrica del rocker, una prestazione all’altezza dei musicisti coinvolti, con un Angarthal che dimostra ancora una volta il suo talento facendo piangere la sua sei corde, tra solos heavy metal che alzano la temperatura e sanguigni passaggi nei quali la mera grinta lascia spazio all’emozione provocata da un sound forgiato sul delta del grande fiume americano.
La title track, One Against The Other, la diretta Two Guns, le ballate heavy/blues Angel Of Mercy e Wise Man Tale, il rock blues di One Way Out che odora di palude limacciose, alternano classic metal, hard rock e blues in un uno scontro tra tradizione britannica e statunitense, ma con la bandiera tricolore che sventola fiera, almeno questa volta, sullo spartito di queste undici canzoni …. ancora una volta merito di Pino Scotto, e non è una novità.

Tracklist
1.Eye for an Eye
2.The One
3.One Against the Other
4.Two Guns
5.Cage of Mind
6.Crashing Tonight
7.Angel of Mercy
8.Looking for the Way
9.Wise Man Tale
10.There’s Only One Way to Rock
11.One Way Out

Line-up
Pino Scotto – Vocals
Steve Angarthal – Guitars
Marco Di Salvia – Drums
Dario Bucca – Bass

PINO SCOTTO – Facebook

Drakkar – Cold Winter’s Night

Cold Winter’s Night ci presenta i “nuovi” Drakkar, una band che ha ancora molto da dire nel panorama metallico tricolore: godetevi dunque questi tre nuovi brani e mettetevi seduti sul molo ad aspettare, il vascello Drakkar è salpato e presto lo scorgerete all’orizzonte.

Ha tutta l’aria di un nuovo inizio per i Drakkar questo nuovo ep di quattro tracce intitolato Cold Winter’s Night, che segue di tre anni l’ottimo Run With The Wolf, ultimo lavoro sulla lunga distanza per il gruppo milanese.

Nome storico della scena tricolore, i Drakkar salparono per il Valhalla metallico a metà degli anni novanta, anni in cui ad affiancare i gruppi stranieri (Gamma Ray, Stratovarius) nel ritorno in auge del metal classico, si fece avanti pure la scena italiana con Domine, Rhapsody e Labyrinth ed appunto la band lombarda, dal sound più orientato verso il power metal teutonico.
Questo nuovo lavoro presenta un gruppo rinnovato per tre quinti, con Marco Rusconi (chitarra), Simone Pesenti Gritti (basso) e Daniele Ferru (batteria), ad affiancare i membri di lungo corso Dario Beretta (chitarra), Davide Dell’Orto (voce) ed Emanuele Laghi (tastiere): ecco perché parliamo di nuovo inizio, per una band con ormai più di vent’anni d’attività.
L’ep, licenziato dalla My Kingdom Music, prevede una versione in vinile con tre brani inediti e la cover di Rainbow In The Dark dei Dio, mentre sul cd e nella versione digitale la bonus track troviamo Invincible, brano live registrato al The Born To Fly Festival lo scorso anno.
La title track apre l’album con melodie pianistiche che portano ad una power ballad dal  potente refrain, ma Black Sails scatena cori power, in  quanto episodio epico e veloce in puro stile Drakkar.
Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1) è il brano top di questo ep, ed alterna parti veloci ad altre più dilatate, sostenute da tastiere che intavolano ricami progressivi e accompagnate da chitarre incendiarie e da una prestazione graffiante del bravo Dell’Orto al microfono.
Cold Winter’s Night è un buon modo per tornare in pista, presentandoci i “nuovi” Drakkar, una band che ha ancora molto da dire nel panorama metallico tricolore: godetevi dunque questi tre nuovi brani e mettetevi seduti sul molo ad aspettare, il vascello Drakkar è salpato e presto lo scorgerete all’orizzonte.

Tracklist
12″ Vinyl version tracklist:

01. Cold Winter’s Night
02. Black Sails
03. Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1)
04. Rainbow In The Dark (Dio cover – bonus track for the vinyl version)

CD/Digital Version tracklist:

01. Cold Winter’s Night
02. Black Sails
03. Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1)
04. Invincible (Live At The Born To Fly Festival, 11-11-2017) (bonus-track for digipackCD and digital versions)

Line-up
Dario Beretta – Guitar
Dave Dell’Orto – Vocals
Emanuele Laghi – Keyboards
Marco Rusconi – Guitar
Simone Pesenti Gritti – Bass
Daniele Ferru – Drums

DRAKKAR – Facebook

Khoy – Negativism

E’ davvero affascinante ascoltare un suono come questo, veloce ed espressivo, senza essere per nulla autoreferenziale, per un ep è davvero buono.

Ep di esordio in downlaod libero per i piemontesi Khoy, all’insegna dell’hardcore più moderno, veloce, caotico e tecnico.

Questo gruppo possiede una notevole potenza, usa lo strumento hardcore in molte delle sue accezioni, riuscendo a plasmare sempre la materia per produrre ottime canzoni. All’interno del loro suono si possono ritrovare molte influenze, dall’hardcore in quota Converge, a qualcosa di screamo passando per momenti emo molto intensi. Inoltre alcune canzoni richiamano molto la struttura delle canzoni mathcore, con un andamento frastagliato, con diversi cambi di ritmo, tenendo sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Ci sono anche momenti più dilatati, ma sempre all’insegna del rumore e della potenza. Un ep che stupisce per varietà e suono complessivo, perché c’è un sentimento che impera dentro il disco, ed è una cosa grande. Grazie alla giovane età di questi ragazzi il suono è maggiormente rivolto verso la modernità piuttosto che verso la classicità dell’hardcore, ma è presente anche quella.E’ davvero affascinante ascoltare un suono come questo, veloce ed espressivo, senza essere per nulla autoreferenziale, per un ep è davvero buono. Il disco è frutto di una cospirazione diy, e lo potete trovare sia in forma fisica che in download libero; compratelo o scaricatelo, soprattutto ascoltatelo perché è un disco divertente e dal grande cuore.

Tracklist
1.My Love For You Is Like A Truck Berserker
2.Tapeworm
3.Misleading Existence For Fancy Thinkers
4.Whorehouse
5.That One Time I Got Drunk Before 2 p.m.

Line-up
Saibbo: Guitar
Gio: Drums
Alex (Turboburrasca): Bass/Vocals
Simo: Guitar/Vocals

KHOY – Facebook

Shadygrove – In The Heart Of Scarlet Wood

Una manciata di musicisti della scena folk/symphonic/gothic nostrana si unisce alla natura e alle leggende di un mondo antico per un viaggio nel mito celtico, creando una musica che profuma di pozioni e rituali, completamente acustica e dannatamente coinvolgente.

La scena metal tricolore non smette di stupire rivelandosi in questi ultimi anni una fucina di talenti e diventando una delle massime espressioni del genere, almeno nella vecchia Europa.

E per metal si intendono anche e soprattutto tutti i sottogeneri ispirati dalla voglia di mettersi in gioco e trovare spunti da tradizioni antiche e non solo dai molti spunti moderni.
E’ cosi che una manciata di musicisti della scena folk/symphonic/gothic nostrana (provenienti da band come Elvenking, Evenoire e Sound Storm) si unisce alla natura e alle leggende di un mondo antico per un viaggio nel mito celtico, creando una musica che profuma di pozioni e rituali, completamente acustica e dannatamente coinvolgente.
Gli Shadygrove vengono rapiti da un mondo di magia, in un viaggio emozionante alla ricerca di sfumature ed atmosfere ormai perse nel tempo, nascoste nell’anima di ognuno di noi e pronte a tornare protagoniste nella nostra vita lasciata in mano al mostro che ci divora tutti i giorni: la modernità.
Presi per mano dall’intensa e magica interpretazione di Lizy Stefanoni (anche al flauto), musa di questo bellissimo In The Heart Of Scarlet Wood, accompagnata dai delicati arpeggi folk/acustici dei musicisti che formano con la cantante questa incredibile realtà fuori dal tempo (Fabio Lethien Polo al violino, Matteo Comar alla chitarra, Davide Papa al basso, Elena Crolle alle prese con tastiere ed orchestrazioni e Simone Morettin alla batteria e percussioni), ci inoltriamo tra le foreste in un passato imprecisato dove la poesia musicale del gruppo si unisce al tempo e ai luoghi nei quali ci muoviamo affascinati da quanta naturale bellezza ci circonda.
Basterebbe la meravigliosa Cydonia per decretare la completa riuscita di questo lavoro, ma l’opera vive di nove sognanti perle acustiche, seguendo le strade tortuose che conducono chi sa ancora sognare verso i paesaggi rurali dei Blackmore’s Night.

Tracklist
01. Scarlet Wood
02. My Silver Seal
03. The Port Of Lisbon
04. Eve Of Love
05. This Is The Night
06. Cydonia
07. Northern Lights
08. Let The Candle Burn
09. Queen Of Amber

Line-up
Lisy Stefanoni – Vocals, Flute
Fabio “Lethien” Polo – Violin
Matteo Comar – Guitar
Elena Crolle – Keyboards
Davide Papa – Bass
Simone Morettin – Drums, Ethnic Percussions

SHADYGROVE – Facebook

Viboras – Eleven

I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Reunion per il gruppo italiano punk rock dei Viboras, che tornano dopo l’interruzione delle attività voluta nel 2010.

Nati nel 2003, mentre l’onda lunga del punk rock italiano si era trasformata in risacca, i Viboras, che hanno sempre avuto un approccio particolare alla materia, hanno prodotto fin dall’inizio un punk rock veloce e fisico, molto melodico, con punte di hardcore, il tutto assai apprezzabile. Nel 2015 tornano in pista con con un disco, e da quel momento la storia continua fino ai giorni nostri. Rispetto ai giorni gloriosi nei quali i Viboras erano sull’epica Ammonia Records molta acqua è passata sotto i ponti e tantissime cose sono mutate, specialmente nel mercato discografico. A quei tempi la cantante del gruppo Irene faceva video con J Ax e il genere era sulla bocca di tutti, mentre ora gli adepti sono sensibilmente calati, ma l’ottima notizia è che i Viboras fanno ancora ottimo punk rock. Le canzoni sono veloci, con ottime melodie, ben composte e ben prodotte, la carica ed il talento ci sono sempre e ne viene fuori un album entusiasmante, che non lascia spazio a dubbi o ripensamenti: la reunion di qualche anno fa è molto positiva e sta dando buoni frutti. Per i Viboras è inoltre molto importante la dimensione dal vivo, che completa e supera l’esperienza fonografica. Irene è in splendida forma, e con lei tutto il gruppo è oliato molto bene, anche grazie ai numerosi live che stanno facendo in giro per la penisola. I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Tracklist
1. Pray
2. I don’t care
3. Where were you
4. Run away
5. Leave this place
6. Drives me insane
7. Can’t breathe
8. No more
9. Jaime
10. Away from here
11. Raise

Line-up
Irene Viboras
Giò Poison
Beppe Best
Sal Viboras

VIBORAS – Facebook

Venus Mountain – Black Snake

I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Preparatevi ad un terremoto causato dall’esplosione di questi dieci brani più cover e conseguente tsunami, una catastrofe con i colpevoli provenienti dal pianeta Venere, extraterrestri che come transformers si scompongono per diventare delle irresistibili macchine da guerra rock’n’roll.

I Venus Mountain sono atterrati nel nostro paese, hanno costruito la loro base vicino a Brescia, sulle colline di Franciacorta,  da lì girano in lungo ed in largo per i palchi di mezzo mondo dal 2009 e sono al terzo lavoro licenziato dalla Volcano Records.
Il loro è un sound esplosivo, pura adrenalina hard rock sparata dai dischi volanti venusiani, ancora più devastanti delle solite armi nucleari e che, dalle bocche di fuoco delle navicelle spaziali, distruggono le città a suon di rock’n’roll tra hard & heavy e street rock di chiara matrice losangelina (e al Whisky A Go Go loro ci hanno suonato per davvero, laggiù nella città degli angeli dove negli anni ottanta si faceva la storia tra capelli cotonati e spandex colorati).
L’opener Rock City vi avverte che la detonazione sarà devastante, un brano alla Crue che letteralmente deflagra, graffiante ed irresistibile come la seguente We Are Coming From The Mountains of Venus e la title track, a formare un trittico che lascia senza fiato.
Il riff che tanto sa di Ac/Dc di Down To The Rainbow dà inizio al saliscendi tra i due generi basilari per la band, con ispirazioni che vanno dai Motorhead agli Whitesnake rifatti del periodo statunitense, dagli Zep ai Motley Crue e Cinderella, in un’orgia di suoni rock da un altro pianeta.
Impossibile resistere a RnR Burning, brano che risveglia immagini di show pirotecnici firmati Lee/Sixx , alla motorheadiana Hammer ed al classico Venus, una delle canzoni più coverizzate della storia.
I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Tracklist
1. Rock city
2. We are coming from the mountains of Venus
3. Black Snake
4. Down to the rainbow
5. You make me feel
6. RnR burning
7. Hammer
8. JJ the cowboy
9. Wake up call
10. Walk in the way
11. Venus

Line-up
Frax – Voice & Guitar
Mick – Guitar
Sexx Doxx – Bass
Morris – Drums

VENUS MOUNTAINS – Facebook