Bullet-Proof – Forsaken One

Il sound racchiuso in Forsaken One è 100% thrash metal, legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne

I Bullet Proof sono un gruppo italo/slovacco, nato a Bolzano tre anni fa ma, di fatto, band internazionale già sul mercato con l’esordio De-Generation, uscito due anni, ideale preludio a questo ottimo secondo lavoro.

Il sound racchiuso in Forsaken One, infatti, è 100% thrash metal legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne (specialmente per quanto riguarda arrangiamenti e produzione) ed un gusto melodico nei solos di matrice heavy metal.
Il quartetto formato da Richard Hupka (chitarra e voce) e suo figlio Lukas (batteria), a cui si aggiungono Max Pinkle (chitarra) e Federico Fontanari (basso), ci consegna un lavoro roccioso, agguerrito, ma straordinariamente melodico, laddove le sfuriate thrash lasciano il posto a lunghe e spettacolari parti heavy, con le chitarre che si vestono di un metal elegante per poi trasformare il sound da una sorta di un rassicurante Dottor Jekyll ad un cattivo ed indomabile mister Hyde.
Così, una volta che il lato oscuro prende il sopravvento, la band alza l’asticella e Forsaken One vola, con la sezione ritmica che è un rullo compressore grazie ad un Lukas Hupka straordinario picchiatore, mentre le due asce sfornano riff e solos che sono vangelo per ogni thrasher che si rispetti.
L’opener Might Makes Right, la title track, la splendida e melodica No One Ever e le devastanti Abandon e Revolution ci consegnano un lavoro che non lascia scampo, perciò bando all’esterofilia (e anche se fosse qui parliamo di una band italiana soprattutto per sede operativa) e buttatevi in un headbanging sfrenato in compagnia dei Bullet Proof: gli eroi della Bay Area sono tutti lì ad applaudire.

TRACKLIST
01 – Might Makes Right
02 – Forsaken One
03 – Portrait Of The Faceless King
04 – No One Ever
05 – I Was Wrong
06 – Abandon
07 – Lust
08 – Revolution
09 – Little Boy

LINE-UP
Richard Hupka – Lead Vocals, Guitar
Max Pinkle – Guitars
Federico Fontanari – Bass Guitar
Lukas Hupka – Drums

BULLET PROOF – Facebook

L’Ira Del Baccano – Paradox Hourglass

La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo uno delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano.

Torna uno dei migliori gruppi di improvvisazione psichedelica pesante. Il viaggio de L’Ira Del Baccano continua potentissimo senza scendere mai, come una psichedelia di soglia inconscia.

I suoni questa volta sono maggiormente melodici, mentre lo schema di composizione rimane invariato, ovvero non c’è, essendo un flusso di coscienza musicale che diventa una magnifica e lunga jam, passibile di mutazioni ad ogni atto de L’Ira del Baccano. Il disco è quindi la fotografia del momento, uno splendido bassorilievo magico che può variare, increspandosi come le onde di un mare capriccioso, o seguendo il disegno di muse capricciose, ma è sempre una musica magnifica. Paradox Hourglass è una nuova terra inesplorata in un mappamondo bellissimo come quello della musica di questo gruppo, che lascia sempre un bellissimo gusto nel padiglione auricolare dell’ascoltatore. La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo una delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano, perché ve ne possono essere altre in molti multiversi.

TRACKLIST
1. PARADOX HOURGLASS – Part 1(L’Ira Del Baccano)
2. PARADOX HOURGLASS – Part 2 (No Razor for Occam)
3. ABILENE
4. THE BLIND PHOENIX RISES

LINE-UP
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook

For My Demons – Close To The Shade

Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

For My Demons è un brano dei Katatonia tratto dal bellissimo Tonight Decision, album licenziato dal gruppo svedese nel 1999, ma è anche il modo con il quale Gabriele Palmieri ha provato ad esorcizzare i suoi demoni attraverso la musica.

Musica che ovviamente penetra nell’anima, essendo dark e melanconica, melodica e a tratti rabbiosa, ma sempre attraversata da un mood di eleganza estetica sopra la media.
Sarà la bellissima voce del leader (ex Neverdream), sarà l’atmosfera dark che mantiene una raffinatezza d’autore, sarà per quel velo di elettronica che fa da tappeto melodico a strutture ritmiche notevoli e mai banali, ma Close To The Shade risulta un esordio eccellente, un album maturo, sentito e profondo.
Non è cosa da poco riuscire a trasmettere emozioni del genere, ma i For My Demons ci riescono con questo intensa opera prima.
La title track ci da il benvenuto con il suo assolo che scava nella nostra anima, tirando fuori gli incubi a mani nude: un brano splendido che viene seguito da una meno disperata Directions.
Reborn si avvia su un tappeto orchestrale, la chitarra acustica sanguina accordi classici mentre le ritmiche tutt’altro che semplici mantengono alta la tensione, per tornare al dark metallico dell’opener, tragico ed intimista nei perfetti interventi delle sei corde (Emanuela Marino, Luca Gagnoni) e versatile a livello ritmico (Andrea Terzulli al basso e Valerio Primo alle pelli).
La Fleur Du Mal, altro ottimo brano dall’andamento lineare, lascia spazio alla conclusiva Burning Rain, che gode di un riff pesante e dalle reminiscenze riconducibili ai primi Anathema, seguito da un giro pianistico melanconicamente dark con la splendida voce di Palmieri che, quando prende il comando, fa decollare il sound mantenendo altissima la qualità della musica prodotta e portandoci ai titoli di coda che scorrono su un fiume in piena di emozioni.
Non una nota fuori posto in un lavoro in cui è normale essere spinti a confrontare tra i For My Demons con le band storiche del genere, senza però che questo vada a sminuire la personalità e la capacità di emozionare del gruppo nostrano.
Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

TRACKLIST
01 – Close to the Shade
02 – Directions
03 – Scars
04 – Reborn
05 – When Death Hurts
06 – La fleur du mal
07 – Burning Rain

LINE-UP
Gabriele Palmieri – Vocals
Luca Gagnoni – Guitar
Emanuela Marino – Guitar
Andrea Terzulli – Bass
Valerio Primo – Drums

FOR MY DEMONS – Facebook

The Big Blue House – Do It

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.

Quali note se non quelle del blues si rivelano più adatte a descrivere in musica l’amore, essendo per sua natura viscerale, sanguigno e, spesso, perdente (perché nell’amore c’è quasi sempre un vincitore ed un vinto).

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.
I tasti d’avorio passano dai suoni classici dell’ hammond di scuola rock, a quelli jazzati del pianoforte, con Sandro Scarselli che si dimostra musicista dotato di feeling, così come Danilo Staglianò, con una chitarra che sanguina passione ed una voce che racconta di amori, illusione e ricerca della felicità.
Luca Bernetti (basso) e Andrea Berti (batteria) accompagnano semplicemente, ma con classe, la musica che i due compagni estraggono dai loro strumenti lungo otto brani piacevoli, nei quali si alternano l’energia rock della sei corde e lascive armonie tastieristiche.
Un blues che trova la sua natura malinconica nelle note della splendida Now I Can Call Your Name, il suo spirito rock’n’roll nella coppia iniziale formata dalla title track e da Blue Sky, che raggiunge la perfetta armonia ed attitudine nella clamorosa He’s A Fucking Bluesman e strappando, infine, applausi nella disperata e sentita interpretazione che la band offre nella conclusiva This Is How Feel.
Un album godibilissimo per gli amanti del rock blues di scuola classica e in cui spicca una forte personalità che costituisce, ovviamente, un fondamentale valore aggiunto.

TRACKLIST
1.Do It
2.Blue Sky
3.Now I Can Call Your Name
4.He’s A Fucking Bluesman
5.Sweet Thing Bad Thing
6.I Knew A Story About
7.Everything’s Rollin’
8.This Is How I Feel

LINE-UP
Danilo Staglianò – Guitar/Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards/ Hammond
Andrea Berti – Drum

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CF4t94TZhRs

The Match – Just Burn

Just Burn non è un affatto brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

I The Match sono un duo composto da Francesco Gallo e Ivan Mercurio, rispettivamente basso/voce e batteria, attivi da quattro anni ed ora all’esordio con l’album Just Burm.

Un sound strutturato solo su strumenti ritmici non può che risultare un concentrato di cambi di tempo, sfuriate alternative che fanno capo al funky, ancor prima del rock, e questo rende senz’altro originale la proposta del gruppo.
Chiaramente il rock alternativo proposto non può che fare riferimento ai gruppi che, nel proprio DNA, hanno ben consolidati generi che con il rock hanno poco a che fare, ma è pur vero che in generale i nove brani presenti in Just Burn funzionano, almeno ad un primo ascolto, quando il fattore sorpresa fa il suo sporco lavoro.
Con il passare del tempo scema la sorpresa ed anche l’attenzione, perché le tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo, coinvolgendo l’ascoltatore solo a sprazzi.
La cover di Firestarter dei Prodigy, Danger e Earthz (il brano più metal del lotto) sono i brani più coinvolgenti di un lavoro consigliato agli amanti dei Primus e dei Red Hot Chili Peppers, nascosti da un attitudine punk rock e dal lavoro del basso, tecnicamente notevole così come quello delle bacchette sulle pelli.
Just Burn non è affatto un brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

TRACKLIST
1. Beast
2. Firestarter
3. Aflame
4. K-22
5. Danger
6. Shinobu
7. Earthz
8. San Francisco
9. Neh

LINE-UP
Francesco “The GrooVster” Gallo – Bass, Vocals
Ivan “Pattùman” Mercurio – Drums, backing vocals

THE MATCH – Facebook

Obscura Amentia – The Art Of The Human Decadence

Gli Obscura Amentia riescono con la loro musica a trasmettere compiutamente un senso di inquietudine che prende forma man mano che si procede con gli ascolti, e questo più di altri è un indicatore affidabile della profondità compositiva che pervade The Art Of The Human Decadence.

A cinque anni da Ritual ritornano gli Obscura Amentia, duo italiano che all’epoca avevamo lasciato alle prese con una buona interpretazione di un black metal di matrice svedese.

In questo lasso di tempo le cose sono decisamente cambiate, e sicuramente in meglio, anche per quanto riguarda la maggiore peculiarità del sound proposto: oggi, infatti, gli Obscura Amentia sono una solida realtà dedita ad un doom ovviamente intriso di una massiccia componente black.
Gli stessi aspetti che non mi avevano convinto al 100% nel precedente lavoro hanno visto senz’altro un importante progresso: l’abrasivo screaming di Hel appare del tutto appropriato allo stile proposto e anche la produzione favorisce un maggiore equilibrio tra voce e strumenti.
Il lavoro di Black Charm con chitarra, basso e tastiere è lo specchio di un notevole sforzo compositivo, atto a rendere evocativo e malinconico il sound senza fargli perdere le sue ruvide connotazioni estreme. Volendo fare per forza un paragone, utile ad inquadrare meglio i contenuti di The Art Of The Human Decadence, si può azzardare a livello di umori una certa vicinanza all’ormai datato ultimo album dei Valkiria, anche per un lavoro chitarristico similmente volto alla ricerca di melodie di grande impatto ma con il tutto, come detto, maggiormente inserito all’interno di ritmiche dal passo più spedito.
Di quest’album non si può non apprezzare l’intensità che traspare da ogni singola nota e difficilmente chi predilige i due generi che ne costituiscono l’impalcatura potrà restare indifferente.
The Art Of The Human Decadence non è certo opera per puristi, capaci di godere solo della perfezione formale senza neppure provare a grattare una superficie la cui rugosità preserva, ad un ascolto distratto, una profondità non comune. Oltretutto il lavoro si snoda in costante crescendo, trovando i momenti più alti nella sua seconda metà a fronte di una prima che gli è comunque di poco inferiore: infatti, se Ocean, Entropy, la title track e Agony sono brani che già da soli riescono a comunicare quale sia il valore dell’album, dopo l’intermezzo strumentale Broken si susseguono tracce dal magnifico impatto melodico e drammatico allo stesso tempo, inaugurate da una eccellente Apathy, che lascia poi spazio allo struggente incedere della magnifica Sentenced e all’impatto apocalittico di King, episodio che, prima dello strumentale di chiusura Ananke, ben rappresenta gli umori di un lavoro che verte liricamente sulla decadenza inarrestabile di un’umanità impegnata in un’ottusa quanto inarrestabile corsa verso l’autodistruzione.
Gli Obscura Amentia riescono con la loro musica a trasmettere compiutamente un senso di inquietudine che prende forma man mano che si procede con gli ascolti, e questo più di altri è un indicatore affidabile della profondità compositiva che pervade The Art Of The Human Decadence.

Tracklist:
01. Ocean
02. Entropy
03. The Art Of The Human Decadence
04. Agony
05. Broken
06. Apathy
07. Sentenced
08. King
09. Ananke

Line up:
Hel – Vocals
Black Charm – All and drum programming

OBSCURA AMENTIA – Facebook

Olneya – Olneya ep

Un rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato.

Chiudete gli occhi ed immaginate la nostra costa adriatica completamente spoglia delle catene di alberghi, parchi di divertimento e cittadine affollate dal turismo estivo, quello del divertimento a tutti i costi, delle facili conquiste e delle balere che hanno fatto illudere di vivere una vita diversa ad una moltitudine di generazioni.

Una distesa sabbiosa che dalle coste venete scende fino alla Puglia, sabbia e mare, un deserto caldissimo dove l’ombra è un tesoro ed il sale ha già riempito la nostra bocca, dopo pochi chilometri in riserva di ossigeno e acqua dolce.
Un trip, un incubo che vi si ripresenterà ogni qualvolta vi metterete in ascolto di questo rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato, l’ep omonimo degli Olneya, trio nostrano composto da Maurizio Morea alla Chitarra, PJ alle pelli e Enry Cava al basso.
I piedi bruciano sopra la sabbia arsa dal sole desertico, mentre Mantra e Zerouno ci accompagnano nei primi passi di questo che sarà un viaggio relativamente corto, ma totalmente destabilizzante.
Il basso pulsa e ci dà il ritmo da tenere per non perdere terreno, mentre la sei corde ci tortura, a tratti psichedelica e settantiana, in altri momenti più vicina alle sonorità americane del caldissimo decennio che accompagnò la fine del millennio, tra l’assolato stoner rock della Sky Valley ed il piovoso grunge di Seattle.
Siamo già a Zerotre, liquida, avvolgente e pericolosa come le spire di un serpente mostruoso creato dalla nostra mente in balia del caldo opprimente e degli effetti collaterali causati dall’abuso di questo ep e altro, mentre la musica sfuma, l’incubo sparisce e la spiaggia torna ad animarsi di uomini, donne e bambini, incuranti di noi e del nostro delirio.

TRACKLIST
1.Mantra
2.Zerouno
3.Zerodue
4.Road to Aokigahara
5.Zerotre

LINE-UP
Maurizio Morea – Guitars
Pj – Drums
Enry Cava – Bass

OLNEYA – Facebook

Antonio Giorgio – Golden Metal-The Quest For The Inner Glory

Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito.

Le proposte della Andromeda Relix sono all’insegna della qualità e della varietà di stili, che vanno dal rock blues, all’hard rock, dal progressive all’heavy metal classico, e non è una novità in un panorama odierno in cui le case discografiche sono sempre meno specializzate e più aperte alle varie sfumature che compongono il variegato universo del rock.

In questo contesto si piazza una delle ultime uscite della label italiana, ovvero l’album d’esordio del compositore e musicista Antonio Giorgio, con un lavoro incentrato su sonorità metal classiche: Golden Metal – The Quest For The Inner Glory è infatti un concept epic/fantasy nel quale si alternano heavy metal, power, progressive andando a formare il golden metal, appellativo forgiato dallo stesso musicista.
Il mastodontico lavoro vede Antonio Giorgio aiutato da vari musicisti della scena nostrana facenti parte di ottime realtà come Fogalord, Astral Domine e Blue Rose.
Golden Metal introduce l’ascoltatore nel mondo epico e cavalleresco di Giorgio del quale, fin dalle prime note, si evince un amore profondo per i Virgin Steele, gruppo che musicalmente fa da padrino alle sontuose note create dal nostro, mentre le sei corde lampeggiano nel cielo come lampi metallici, lanciate in solos epici (The Voice Of The Prophet) e le tastiere ricamano arabeschi, ora barocchi, ora elegantemente sinfonici.
Le ritmiche passano da veloci cavalcate heavy/power (Luminous Demons) a potenti mid tempo sabbathiani era Dio/Tony Martin (The Reaper) mentre i tasti d’avorio sono protagoniste nella bellissima Forever We Are One, brano alle entusiasmanti reminiscenze della band di DeFeis.
Il golden metal continua a regalare ottima musica metallica, a tratti raffinata, epica e non priva di quei cliché, magari abusati, ma che non mancano di inorgoglire i defenders più accaniti, in brodo di giuggiole all’ascolto di Et In Arcadia Ego Suite, brano epico sinfonico molto suggestivo.
Non solo Virgin Steele, tra le note di Golden Metal-The Quest For The Inner Glory troverete accenni ad una buona fetta dei gruppi che hanno fatto la storia del genere, non solo icone degli anni ottanta (Black Sabbath) ma realtà classiche consolidate negli ultimi decenni come Kamelot e Royal Hunt.
L’album è accompagnato da un sontuoso digipack, mentre la versione digitale contiene un bonus cd con una dozzina di cover (Black Sabbath, Queensryche, Dream Theater, Kamelot, Virgin Steele tra gli altri) e un paio di brani inediti scritti da Antonio Giorgio.
Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito, da avere!

TRACKLIST
1.Golden Metal
2.Lost & Lonely (Desperate Days)
3.The Vision
4.The Calling
5.The Voice Of The Prophet
6.The Eternal Rebellion
7.Luminous Demons
8.Keeper Of Truth
9.The Reaper
10.Forever We Are One
11.Et In Arcadia Ego Suite: Part I -The Quickening (Golden Ages) Part II – Human Gods Part III – The Emerald Table (As Above So Below)
12.Alone Again

LINE-UP
Antonio Giorgio
Dany All
Giuseppe Lombardo
Nicolò Bernini
Stefano Paolini
Luca Gagnoni
Riccardo Scaramelli
Mattia Bulgarelli
Enrico Di Marco

ANTONIO GIORGIO – Facebook

Padre Gutiérrez – Addio Alle Carni

Addio Alle Carni è un lavoro maturo, completo, ottimamente suonato e prodotto e la speranza è che possa trovare il meritato apprezzamento anche da parti di chi non si nutre frequentemente di queste sonorità

Mattia Tarabini è un musicista emiliano che gravita all’interno della scena rock da molti anni e, dopo aver militato in diverse band, circa un decennio fa ha deciso di dar vita ad un progetto solista dai tratti cantautorali denominato, in maniera bizzarra, Padre Gutiérrez.

Anche se il tipo di musica proposto in Addio Alle Carni, titolo dell’album pubblicato quest’anno, non è propriamente uno dei più trattati dalla nostra webzine, mi ha solleticato non poco l’idea di parlare di questo lavoro, specie dopo averne sentito le prime note ed averne potuto constatare la qualità musicale e l’arguta originalità dei testi.
Intanto, non possedendo troppi parametri contemporanei, dedicandomi giornalmente al metal e per di più con propensioni estreme, sono stato costretto a riavvolgere il nastro e tornare indietro di un bel pezzo, a quando, da imberbe studente alle magistrali, sentivo impazzare nelle radio un album come Burattino Senza Fili di Edoardo Bennato: ovviamente una simile accostamento è da prendere con tutte le riserve del caso, però con il grande musicista partenopeo Mattia ha in comune diversi aspetti, come l’amore per il blues, che traspare in più di un brano, ed un’impostazione vocale spesso sardonica che ben si sposa con testi, come detto, tutt’altro che banali e ricchi di brillanti citazioni e metafore.
E, inevitabilmente, sono proprio i brani più movimentati o blueseggianti quelli capaci di colpirmi di più, come Il Buco Da Riempire, L’Ultimo Maiale Sulla Terra e Vanessa, ma in fondo la bravura del nostro “Padre” sta proprio nell’essere credibile e profondo anche quando, in Corpo Di Martire, si spinge verso lidi più canonicamente indie rock, oppure lambisce il jazz in Nudo Di Venere, per finire con l’intimismo di Della Mia Carne. Come si può intuire fin dal titolo, il tema della carne è ricorrente in tutti i brani, e viene trattato nelle sue diverse forme e significati, partendo dall’accezione propriamente sessuale a quella alimentare, per approdare ad un’eloquente La Carne è Finita, con la quale Mattia ci regala uno dei passaggi più illuminanti del lavoro, quando canta “Prendila con filosofia oppure prenditela con la filosofia se, finita la carne, anche lo spirito va via”, offrendo una sua personale e condivisibile visione su quanto (non) succede dopo che la “nostra” carne perde ogni suo soffio vitale.
Addio Alle Carni è un lavoro maturo, completo, ottimamente suonato e prodotto, e la speranza è che possa trovare il meritato apprezzamento anche da parti di chi non si nutre frequentemente di queste sonorità, perché quando la musica è suonata con simile passione e competenza, non ci sono barriere di genere che tengano.

Tracklist:
1.Il Rock
2.Il Buco da Riempire
3.L’Insaziabile
4.Corpo di Martire
5.La Donna dal Velluto Nero
6.Nudo di Venere
7.L’ultimo maiale sulla terra
8.Vanessa
9.Della mia carne
10.La Carne è Finita

Line up:
Mattia Tarabini

https://www.facebook.com/padregutierrez/

Lambstone – Hunters & Queens

Se volete ascoltare un album intenso, duro ma allo stesso tempo melodico e dall’appeal enorme, allora Hunters & Queens fa al caso vostro.

Per parlare del debutto dei milanesi Lambstone bisogna partire da lontano, da una ventina d’anni fa, quando l’esplosione del grunge si esaurì in una nuvola di fumo che, diradandosi, lasciò il music biz (specialmente negli States) orfano della Seattle da ascoltare e iniettarsi nelle vene, morta nell’aprile del 1994 insieme alla disperazione ed alla depressione di Kurt Cobain.

Nu metal e post grunge furono la cura per tornare alla grande, specialmente con il secondo, più melodico rispetto al suono grezzo e selvaggio dei primi anni novanta, ma ancora più amato dai giovani rockers, con una manciata di gruppi che divennero icone del lato melodico del moderno hard rock, tra suoni grunge, ispirazioni southern e più pericolose e lisergiche divagazioni stoner.
Staind, Nickelback, Creed e poi Alter Bridge sono forse le band più accreditate per essere considerate le eredi della scena di Seattle, guarda caso tutte e quattro prepotentemente nelle corde del quintetto lombardo e del suo primo lavoro sulla lunga distanza, intitolato Hunters & Queens, licenziato dalla Vrec Audioglobe, dopo una manciata di ep e singoli autoprodotti, e rilasciato sotto la supervisione del produttore Pietro Foresti, al lavoro in passato con membri di Guns ‘n’ Roses, Korn, Asian Dub Foundation.
La band è composta da Alex “Astro” Di Bello, singer di genere tra Scott Stapp (Creed) e Chad Kroeger (Nickelback), i due fratelli Giorgio “Dexter” Ancona e Ale “Jackson” Ancona alle chitarre, Andrea “Illo” Figari al basso e Andrea “Castello” Castellazzi alle pelli.
Se volete ascoltare un album intenso, duro ma allo stesso tempo melodico e dall’appeal enorme, allora Hunters & Queens fa al caso vostro: un bellissimo esempio di rock americano, colmo di hit, maturo e assolutamente ispirato nel saper manipolare un genere che ha detto molto di sé in passato e rivive in quei gruppi che sanno scrivere canzoni, niente di più semplice ma difficilissimo da attuare.
Ed i Lambstone ci sono riusciti, con il loro rock che non manca di grezza attitudine grunge, ma che nel suo figlio legittimo si specchia, riuscendo a comunicare emozioni e alternando irruenza e malinconia con una serie di brani che hanno nel singolo Hunting, nella Staind oriented Queen e nella splendida accoppiata Jesus e Hopeless il sunto artistico di questa notevole band italiana.

TRACKLIST
1.Sun
2.Hunting
3.Queen
4.Kingdom
5.Stronger
6.Jesus
7.Hopeless
8.Violet
9.Grace
10.Dust in the Wind

LINE-UP
Alex “Astro” Di Bello – vocals
Giorgio “Dexter” Ancona – guitars
Ale “Jackson” Ancona – guitars
Andrea “Illo” Figari – bass
Andrea “Castello” Castellazzi – drums

LAMBSTONE – Facebook

No Good Advice – From The Outer Space

From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana.

I No Good Advice sono attivi a Torino dal 2012 e, dopo alcuni cambi di formazione, si sono ora assestati e hanno prodotto il loro primo disco su lunga distanza, dopo l’ep del 2015 Prehistoric Overdrive.

Se dovessi dirvi, come un venditore di qualcosa, in cosa differiscono i No Good Advice dagli altri gruppi, rimarcherei il grande equilibrio che hanno tra melodia e potenza, tra la forte armoniosità della voce e l’impero del resto del gruppo. Questo non è solo stoner o qual dir si voglia, ma è un rock and roll potente ed altro, che colpisce per ricchezza, struttura e lussuria. I No Good Advice fanno dischi concept, questo parla dello spazio ed è accompagnato da uno splendido libretto del cd di 24 pagine, praticamente un fumetto, che è parte essenziale del progetto. Il loro suono pieno riesce a soddisfare totalmente l’ascoltatore in cerca di musica, potente ma bilanciata melodicamente, con frequenti accenni al meglio della scena pesante anni settanta. Dischi come questi sono possibili poiché teenagers di tanti anni fa ribassarono le chitarre, fecero lunghe jams nelle quali il trip non era solo fiori e amore. From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana. In certe aperture melodiche, specialmente in Stoned Jesus, oltre ai riferimenti più classici, sembra davvero di poter sentire qualcosa dei Ritmo Tribale, e per estensione maggiore di un certo rock italiano che per fortuna non muore mai, ma si ripropone in altre forme e battaglie.

TRACKLIST
1 The Great Dawn
2 Space Surfers
3 Black Monolith
4 Napalm
5 Suicide Inside
6 Stoned Jesus
7 Super Looper Groover
8 Astronaut Superstar
9 Mother of the Void
10 Tears of the Universe
11 Into Your Grave
12 Between the Earth and Space

LINE-UP
Livio Cadeddu : Guitars, Voice
Lorenzo Moffa : Guitars
Marco Nalesso : Bass
Giacomo Passarelli : Drums

NO GOOD ADVICE – Facebook

Aleph – Exhumed Alive

Il free download ottenibile sul sito della band vi obbliga ad ascoltare questo ottimo lavoro, grazie al quale scoprirete una realtà molto interessante della nostra scena estrema.

Gli Aleph sono una band bergamasca attiva già sul finire del secolo scorso, la loro discografia, oltre ai primi due demo ed uno split si compone di tre album: In Tenebra uscito nel 2005, Seven Steps Of Stone del 2009 e l’ultimo Thanatos licenziato lo scorso anno.

Exumed Alive (che trovate in download gratuito sul sito della band) è un ep composto dalla splendida riedizione del brano Chimera MMXVII , tratto dal secondo full length e sette brani dal vivo registrati l’8 Ottobre 2016 presso il Centrale Rock Pub ad Erba.
Il gruppo lombardo è fautore di un death metal pregno di atmosfere dark e horror e Chimera MMXVII ne è il perfetto sunto, tra parti estreme, oscure atmosfere acustiche ed un tocco suggestivo di dark horror progressivo tipico degli anni settanta.
Nelle parti death non mancano veloci sfuriate al limite del black metal, tenute a bada dall’entrata in gioco delle tastiere e delle atmosfere orrorifiche.
La voce del chitarrista Dave Battaglia ricorda il primo Nick Holmes ed il sound effettivamente può essere descritto come una riuscita jam tra Paradise Lost, Mercyful Fate e Morbid Angel.
In sede live il gruppo mantiene inalterata la sua vena orrorifica, anche se chiaramente il sound ne esce, uscendone alla grande con una performance sugli scudi.
La grandiosa e monumentale The Snakesong, opener dell’ultimo lavoro, così come Smoke And Steel / Multitudes e la conclusiva The Old Master confermano gli Aleph come gruppo di alto livello, sia in studio che dal vivo.
Il free download ottenibile sul sito della band vi obbliga ad ascoltare questo ottimo lavoro, grazie al quale scoprirete una realtà molto interessante della nostra scena estrema.

TRACKLIST
1Chimera MMXVII
2.Intro
3.Nightmare Crescendo
4.The Snakesong
5.The Fallen
6.Winterlude
7.Smoke and Steel (Incl. Multitudes)
8.The Old Master

LINE-UP
Giuseppe Ciurlia – Guitars
Manuel “Ades” Togni – Drums
Dave Battaglia – Guitars, Vocals
Giulio Gasperini – Keyboards
Antonio Ceresoli – Bass

ALEPH – Facebook

Circus Nebula – Circus Nebula

Qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.

Oggi è tutto più difficile, si cerca sempre di dividere e a catalogare tutto, ad incatenare creatività ed idee in compartimenti stagni che, nella musica, non sono altro che generi e sottogeneri sotto la stessa bandiera, quella del rock’n’roll.

Il rock e l’ hard rock , per chi lo ha vissuto negli anni settanta ed ottanta era soprattutto libertà di esprimersi o ascoltare fuori dai soliti schemi, diventati purtroppo obbligatori anche nella nostra musica preferita da almeno due decadi.
Ora, infatti, ascoltare e scrivere di rock o progressive e con disinvoltura e passione godere anche di un album estremo è cosa di pochi, ma tanti anni fa ascoltare Led Zeppelin, Iron Maiden ed i primi vagiti estremi di Slayer e Venom era la normalità, con magari nel mezzo dosi adrenaliniche di street rock dalla lussuriosa Los Angeles.
Nel 1988 la scena italiana, povera di mezzi e di seguito e tenuta in piedi da veri eroi delle sette note, vedeva nascere i Circus Nebula, gruppo che esordisce con il primo full length solo oggi, ma che calca i palchi in giro per lo stivale fin da allora, sempre in mano a Alex “The Juggler” Celli (chitarra), Mark “Ash” Bonavita (voce) e Bobby Joker (batteria).
Ora voi vi chiederete : cosa c’entrano i Black Sabbath con l’hard rock stradaiolo suonato nella città degli angeli?
Come può un gruppo southern rock prendere sottobraccio e farsi un giro con una band proveniente dalla new wave of british heavy metal?
E come hanno potuto i nostri eroi aprire i concerti di Death SS e Paul Chain, ma anche quelli dei Dog’s D’Amour?
La risposta sta tutta in queste dodici tracce, che formano un album di adrenalinico hard & heavy, colorato con una scatola di pennarelli che vanno dal nero del doom, al rosso del rock’n’roll, dal grigio del metal, al marrone del southern con un tocco di giallo psichedelico a formare un arcobaleno di musica straordinaria.
A completare la formazione troviamo Michele “Gavo” Gavelli alle tastiere (in comproprietà con la band Blastema) e Frank “Leo” Leone al basso, un contratto con l’Andromeda Relix ed il sogno del rock’n’roll continua anche dopo trent’anni, tanta esperienza con altre band ed una voglia di lasciare il segno che si evince da questo splendido lavoro omonimo.
Come si può intuire, qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.
D’altronde quando una band conclude l’album con un brano rock’n’roll alla Chuck Berry (Mr. Penniwise), seguito subito dopo da un heavy doom alla Death SS (Spleen) le possibili chiavi di lettura sono la pazzia o la genialità: io propenderei per la seconda ipotesi, senza tralasciare del tutto la prima …

TRACKLIST
1. Hypnos (Intro)
2. Sex Garden
3. Ectoplasm
3. Here Came The Medecine Man
4. Rollin’ Thunder (Raw’n’Roll)
5. Vacuum dreamer
6. Welcome To The Circus Nebula
7. 2 Loud 4 The crowd
8. Electric Twilight
9. Head down
10. Mr. Pennywise
11. Spleen

LINE-UP
Mark Ash – Vocals
Aex “The Juggler” – Guitars
Bobby Joker – Drums
Michele “Gavo” Gavelli – Keyboards
Luca “Ago” Agostini – Bass

CIRCUS NEBULA – Facebook

Descent Into Maelstrom – Descent Into Maelstrom

Descent Into Maelstrom convince, mostrando un’aura gotica e malinconica pur nella sua natura estrema, consigliato quindi alle anime nere ed agli amanti del death melodico.

I Descent Into Maelstrom, progetto di metal estremo creato dal chitarrista Andrea Bignardi, di fatto una one man band, ci esortano a spingerci nei deliri dello scrittore Edgar Alan Poe e della sua opera, dalla quale anche l’album prende il titolo.

Una passione, quella per la letteratura gotica, che ha portato il musicista piacentino alla realizzazione di questo lavoro dal sound estremo che si rivela un buon death/black melodico influenzato dalla maestra terra scandinava.
Grande il lavoro della sei corde, strumento preferito da Bignardi sia nelle parti grondanti metallo estremo, sia in quelle atmosferiche o dalle ottime melodie che si rifanno al metal classico.
L’atmosfera che regna tra i brani è ovviamente oscura ed orrorifica, ma non mancano cavalcate in crescendo come la notevole Castle Of Otranto, nella quale Bignardi ricama solos melodici di ottima fattura, alternando potenza metallica a suggestive parti acustiche, in una tempesta di suoni che richiamano a più riprese la scena death melodica di primi anni novanta.
Per farsi un’idea del sound contenuto nell’album si potrebbero immaginare degli In Flames gotici che giocano a fare i Dissection, e comunque Ignis Fatuus, Storm And Assault, la già citata Castle Of Otranto e la title track rendono merito allo sforzo del musicista e compositore emiliano.
Descent Into Maelstrom convince, mostrando un’aura gotica e malinconica pur nella sua natura estrema, consigliato quindi alle anime nere ed agli amanti del death melodico.

TRACKLIST
1. Everything Against
2. Ignis Fatuus
3. Innerwhere (feat. Samuele Ordanini – Inferno 9)
4. Storm And Assault
5. Castle Of Otranto
6. Atavic Enemies
7. Descent Into Maelstrom
8. Peroratio In Rebus

LINE-UP
Andrea Bignardi – Guitar, Bass, Vocals

DESCEND INTO MAELSTROM – Facebook

Where The Sun Comes Down – Welcome

Avvicinatevi con le dovute precauzioni a questo primo lavoro dei Where The Sun Comes Down, ci vuole la giusta esperienza per entrare nel buio della cantina dove si svolge la liturgia mistica che ancora una volta vede presente, in veste di sacerdoti mefistofelici, una buona fetta dell’heavy doom di scuola italiana, forse il genere non convenzionale in cui siamo più famosi.

Avvicinatevi con le dovute precauzioni a questo primo lavoro dei Where The Sun Comes Down, ci vuole la giusta esperienza per entrare nel buio della cantina dove si svolge la liturgia mistica che ancora una volta vede presente, in veste di sacerdoti mefistofelici, una buona fetta dell’heavy doom di scuola italiana, forse il genere non convenzionale in cui siamo più famosi.

D’altronde la nostra cultura è piena di leggende riguardanti il mondo dell’occulto e quella horror è sempre stata, sia nella musica che nel cinema, un passo avanti prima ancora che i blockbuster facessero scempio dei maestri italiani lodati in tutto il mondo.
Se non avete idea di chi siano Death SS, Violet Theatre ed ovviamente Paul Chain, chiudete il computer o cambiate ‘zine, stiamo parlando della storia del metal in Italia, o almeno di quello che dal doom/dark prese atmosfere e sfumature per regalare musica occulta di qualità superiore.
Thomas Hand Chaste, Alex Scardavian e Claud Galley fanno parte della storia di queste leggendarie icone e insieme a Sanctis Ghoram hanno dato vita all’ ennesimo tributo all’heavy doom/dark, che turba già dalla copertina, fuori dai soliti schemi del genere ma aperta a mille interpretazioni.
Dall’apertura, affidata a Mister Lie, si scende nell’abisso malato di un sound che scaturisce da un trip horror settantiano, la voce interpreta le varie liturgie con una teatralità unica, il doom metal lascivo e disturbante si accoppia con atmosfere che dal dark più oscuro e luciferino prendono vita; la chitarra urla dolore, il basso è un cuore che pulsa impazzito di paura e sollecitato dalle torture (A Snowin’ Day, Voyage), e la batteria tiene il passo, un lento cammino verso la perdita della ragione, quando le tastiere intonano melodie di puro terrore.
La dark wave dei primi anni ottanta è un genere importante per lo sviluppo del sound di Where The Sun Comes Down, messa come conclusione di questo terribile sabba che ha in Welcome una piccola parantesi ritmicamente doom/stoner alla Cathedral di Lee Dorrian, anche lui stregato dal sacerdote Chain nel capolavoro Alkahest (1995).
Dopo aver sentito questo lavoro, probabilmente non troverete nulla di più terrificante, a meno che non abbiate qualche anno in più e dai gruppi citati vi siete già fatti impossessare a suo tempo.

TRACKLIST
1.Mister Lie
2.A Snowin’ Day
3.Voyage
4.Myself
5.Welcome
6.Because We Were Fools
7.Where The Sun Comes Down

LINE-UP
Thomas Hand Chaste
Alexander Scardavian
Claud Galley
Sanctis Ghoram

Buioingola – Il Nuovo Mare

I Buioingola spaziano su assi differenti e, partendo da una base crust, sviluppano un suono molto originale con inserti neo industrial, incursioni nel doom, soprattutto perl’incedere, e tanta oscurità.

Trattando Il Nuovo Mare, bisogna annotare ed incassare una notizia buona ed una cattiva. Dato che siamo tutti metallari vi lascio prima la notizia cattiva: molto probabilmente questo sarà l’ultimo disco dei Buioingola.

La notiza buona ed in parte consolatoria consiste nel fatto che è davvero un gran disco, un viaggio oscuro per fugare la falsa luce che ci avvolge. Il trio toscano, dopo un demo di tre tracce nel 2012 ed un lp per Sentient Ruin Laboratories nel 2013, Dopo L’Apnea, portano a compimento con questo lavoro un percorso poetico e musicale davvero notevole. I Buioingola spaziano su assi differenti e, partendo da una base crust, sviluppano un suono molto originale con inserti neo industrial, incursioni nel doom, soprattutto per l’incedere, e tanta oscurità. Il gruppo assorbe la lezione semantica di certi ensemble come Neurosis, Killing Joke, ma anche Cure (molto probabilmente capiremo appieno solo dopo anni l’estrema importanza di Robert Smith e compagni per la musica oscura), e una certa new wave. Permane come motore primo una ruvidezza e cattiveria crust hardcore punk, ma si va molto lontani, ed il risultato è stupefacente, perché lega assieme suoni ed orizzonti diversi uniti sotto la bandiera dell’oscurità. Dolore, angoscia e nessuna speranza di salvarsi, proprio come in un nuovo mare di tenebra che ci avvolge e ci porta alla consapevolezza che siamo soprattutto dolore. I testi in italiano rendono moltissimo, e non sono certo un freno, perché il gruppo è molto apprezzato all’estero. Un bellissimo viaggio tra crust, doom punk e oscurità anni ottanta e novanta, per un disco che va ascoltato e apprezzato con molteplici passaggi, non perché sia particolarmente difficile, ma proprio per il suo grande valore.

TRACKLIST
1. Polvere
2. Latenza
3. Irriconoscibile
4. Attesa
5. Eclisse
6. Silenzio
7. Il giorno dopo

LINE-UP
Diego Chuhan – chitarra, voce
Thomas Gianardi – batteria, campionamenti
Omar Bovenzi – basso, voce

BUIOINGOLA – Facebook

Three Horns – Jackie

Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

Tra citazioni del Grande Lebowsky, una partita a bowling, ed una Voghera trasportata nell’inferno del deserto americano (ma anche in quei luoghi d’estate il caldo non scherza), i Three Horns ci consegnano un altro lavoro di stoner hard rock, genere che in Italia sta regalando grosse soddisfazioni nella scena underground.

Il gruppo formato da Alessio Bertucci (chitarra e voce), Mic Roma (basso e voce) e Simone Gabrieli (batteria) se ne esce con un album, Jackie, formato da una serie di brani irriverenti, dallo spirito punk e rock’n’roll che si impossessa dell’hard rock stonato, classicamente americano e perso nel deserto o nelle pianure infuocate del nord Italia.
Diretto come un pugno in pieno volto preso in una rissa da bar, Jackie lascia ad altri jam psichedeliche per incontrare il grunge, l’alternative rock dei primi anni novanta ed il rock’n’roll appesantito da potenti dosi di ritmiche stonerizzate e varie, come se Kurt Cobain avesse lasciato le parti ritmiche di Nervermind nelle mani di Les Claypool.
L’irriverenza punk fa il resto, consegnandoci mezz’ora di rock adrenalinico, un sound live che si evince da una produzione essenziale ma perfettamente in linea con l’idea di rock del gruppo di Voghera, che piazza una serie di colpi come California, brano che apre l’album, la successiva Evil Dead, Michigan e Fight Velasquez.
Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.California
2.Evil Dead
3.Jackie
4.Half Life
5.Michigan
6.Fight Velasquez
7.The balland of the lonley man

LINE-UP
Alessio Bertucci – lead vocals and backing vocals, electric and acoustic guitar, synth,dobro,banjo, keyboards,percussions, glockenspiel
Michele Romagnese – lead vocals and backing vocals, bass, megabass, percussions
Simone Gabrieli – Drums,percussions

THREE HORNS – Facebook

Dark Ages – A Closer Look

L’incontro tra il progressive rock ed il metal, avvenuto nei primi anni novanta, ha portato una ventata di freschezza al primo, genere tendenzialmente conservatore (più tra gli ascoltatori che tra i musicisti, ad onor del vero) ed un tocco di eleganza e raffinatezza tecnica al secondo, creando di fatto un genere parallelo (il prog metal) anche se non mancano proposte come quella dei veterani Dark Ages,  classica band progressive alla quale, a tratti, non mancano verve e grinta metallica.

Il gruppo fondato da Simone Calciolari, chitarrista ed unico membro rimasto della formazione originale datata 1982, licenzia il suo quarto studio album per l’Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa, dopo le fatiche per aver portato in teatro le due parti del concept Teumman, opera ambiziosa piaciuta non poco nell’ambiente del progressive rock.
Dopo l’entrata in formazione di Roberto Roverselli alla voce e Gaetano Celotti al basso, arriva il momento di A Closer Look, album che conferma quanto di buono i Dark Ages hanno fatto in questi anni.
Non mancano alcuni ospiti, come i cantanti Claudio Brembati (Anticlockwise), Ilaria L’Abbate e Tiziano Taffuri, il sax di Enrico Bentivoglio (Against The Tides) ed il recitato di Paul Crespel in Fading Through the sky, a completare ed impreziosire un’ altra opera rock/metal in arrivo dalla scena nazionale.
A Closer Look, nella sua interezza, è un susseguirsi di tensione emotiva ed atmosfere eleganti, un rincorrersi tra la parte più rock e rilassata del progressive e quella animata dall’irruenza del metal, tra cambi di tempo perfetti ed un lavoro sontuoso sui tasti d’avorio che orchestrano a meraviglia gli umori cangianti di perle progressive come At The Edge Of Darkness, cuore pulsante di questo lavoro, dieci minuti di melodie progressive sapientemente metalliche che sfumano nelle armonie delicate create da sax e piano in Against The Tides.
Il gruppo conosce molto bene la materia e le scale armoniche che riempiono la title track e la bellissima Yours non mancheranno di strappare un sorriso agli amanti del genere collocandosi tra Dream Theater e Yes, due generazioni di musica progressiva che si incontrano senza scontrarsi nella musica dei Dark Ages.
Una velata sfumatura epica aleggia su A Closer Look, particolare di non poco conto, importantissimo per riuscire a far breccia nei cuori ribelli dei progsters dall’anima metal e rendere l’album uno dei migliori esempi di musica progressiva uscita dal nostro paese in questa prima metà del 2017.

TRACKLIST
01. A Closer Look
02. Till the Last Man Stands
03. Yours
04. At the Edge of Darkness
05. Against the Tides
06. The Anthem
07. Fading Through the Sky

LINE-UP
Simone Calciolari – Guitars
Gaetano Celotti – Bass
Roberto Roverselli – Vocals
Carlo Busato – Drums
Angerla Busato – Keyboards

DARK AGES – Facebook

A Closer Look nella sua interezza è un susseguirsi di sali e scendi di tensioni ed atmosfere eleganti, un rincorrersi tra la parte più rock e rilassata del progressive e quella animata dall’irruenza del metal.

From The Dust Returned – Homecoming

Un debutto davvero sorprendente per un gruppo che riesce nella non facile impresa di risultare classicamente progressivo pur usando note, sfumature ed attitudine fuori dai cliché conservatori del genere.

Dopo varie vicissitudini che hanno portato il gruppo a rimodellare la formazione, Homecoming finalmente vede la luce tramite la Sliptrick Records e la carriera di questa ottima band progressive può prendere il via.

Stiamo parlando dei From The Dust Returned, gruppo nostrano che vede all’opera due membri degli storici Graal (Danilo Petrelli e Cristiano Ruggero, rispettivamente tastiere e batteria) e del suo debutto in formato ep, una mezzora di musica progressiva, tra tradizione settantiana, metal estremo ed atmosfere dark.
Ogni brano prende ispirazione da patologie psichiatriche, un viaggio in più di una mente malata di schizofrenia, clinofobia e depressione e la musica che supporta il concept non può che essere cangiante, tragica, oppressivamente estrema e dark, seguendo appunto i deliri provocati dalla sofferenza che malattie del genere comportano.
L’album si apre con Harlequeen, sunto del sound prodotto dai From The Dust Returned, con armonie acustiche post dark ammantate di prog metal teatrale che ci accompagnano in questo viaggio nella mente umana: la voce pulita, a tratti declamatoria, si scontra con il growl, mentre i tasti d’avorio disegnano arabeschi di progressive rock;
l’atmosfera delle varie tracce si può senz’altro dichiarare estrema, perennemente in tensione e attraversata da notevoli cambi di tempo e parti acustiche suggestive.
In un sound in cui l’anima progressiva classica è preponderante, il growl ed i vari toni vocali usati fanno la differenza, così come il gran lavoro delle tastiere, mentre la parte estrema permette a brani come Echoes Of Faces e Wipe Away The Rain di acquistare un tocco di originalità in più, elevando Homecoming al rango di lavoro da apprezzare in tutte le sue sfumature.
Un debutto davvero sorprendente per un gruppo che riesce nella non facile impresa di risultare classicamente progressivo pur usando note, sfumature ed attitudine fuori dai cliché conservatori del genere.

TRACKLIST
01. Harlequeen
02. Homecoming
03. Echoes of faces
04. Glare
05. Wipe away the rain
06. Sleepless

LINE-UP
Alex De Angelis – Vocals, Guitars
Marco del Bufalo – Vocals
Miki Leandro Nini – Bass
Danilo Petrelli- Keyboards
Cristiano Ruggiero – Drums

FROM THE DUST RETURNED – Facebook