Agathocles / Degenerhate – Wash Your Blues Away! / The Nothing I’ve Become

Prendete un nome storico della scena grindcore internazionale come i belgi Agathocles, aggiungete una delle migliori band nostrane nel genere, i romani Degenerhate, ed avrete uno dei più riusciti split degli ultimi anni.

Prendete un nome storico della scena grindcore internazionale come i belgi Agathocles, dal lontano 1987 a devastare palchi e con una discografia che tra split, full lenght, ep e compilation non basterebbe tutta la ‘zine per elencarla, aggiungete una delle migliori band nostrane nel genere, i romani Degenerhate, autori nel 2013 del bellissimo Chronicles Of The Apocalypse, ed avrete uno dei più riusciti split degli ultimi anni.

Addirittura quattro label hanno contribuito alla realizazzione di questo 7″, Uterus Productions, Here And Now!, GrindScene Records e la Horror Pain Gore Death Productions, a ribadire l’importanza di questa pubblicazione destinata a far parte di un documentario sulla scena, intitolato Slave To The Grind-A Film About Grindcore.
Wash Your Blues Away! è quello che ci propone il gruppo belga, tre brani di cui due, Erase Your Face e Big Foot Marches Again, risultano due blues songs marcissime e a mio parere geniali, sporcate da una voce cartavetrata, la prima basata su di un riff ripetuto che entra direttamente nel cervello, la seconda uno strumentale acustico, dal sentore molto southern rock e dall’andamento dissacrante.
Con Bunka Bunka Blues si torna a far male, il sound minimale del gruppo di Jan Frederickx, esplode in tutta la sua carica mincecore, un minuto e mezzo per salutarci e lasciare spazio al gruppo capitolino, dalla forza estrema impetuosa, confermata anche in questi nuovi quattro brani, condizionati da una verve molto più hardcore rispetto allo scorso full length.
Non manca nel sound quello che, a mio parere, è il punto di forza del gruppo, ed infatti dopo una serie di sfuriate estreme, il gruppo di Gianluca Lucarini ci investe con rallentamenti di una pesantezza mostruosa, attimi di cadenzata mostruosità in cui le urla animalesche del leader riempiono l’atmosfera di inumano dolore.
Unleash The Fury, I Against I, Submerged Into Void, The Nothing I’ve Become, dimostrano ancora una volta l’enorme talento del gruppo, la produzione rende giustizia al massacro sonoro creato dal combo, gli strumenti escono puliti e diretti e non si fatica a riconoscerli, anche se non si è abituali fruitori del genere.
Grande prova del gruppo nostrano che ben figura accanto alla storica band belga: Wash Your Blues Away! / The Nothing I’ve Become ci mette al cospetto di una coppia d’assi, assolutamente da non perdere se siete amanti del genere.

TRACKLIST
Wash Your Blues Away!
1 –Agathocles – Erase Your Face
2 –Agathocles – Big Foot marches again
3 –Agathocles – Bunka Bunka Blues
The Nothing I’ve Become
1 –Degenerhate – Unleash The Fury
2 –Degenerhate – I Against I
3 –Degenerhate – Submerged Into Void
4 –Degenerhate – The Nothing I’ve Become

LINE-UP
Agathocles:
Nils Laureys – Vocals, Drums
Jan Frederickx – Vocals, Guitar, Bass
Koen – Guitar

Degenerhate:
Gianluca Lucarini – Lead Guitar, Screaming, Backing Vocals
Marco “K” Paparella – Bass
Renato “BIG R” Lucandri: Vocals, Grunts
Stuart Franzoni- drums
Angelo Vernati – Rhythm Guitar

DEGENERHATE – Facebook

AGATHOCLES – Facebook

Necroskin – Before Chaos Takes You

Molto bravi, i musicisti palermitani, riprendono la vecchia scuola capitanata dai Morbid Angel e la riassumono in questo lavoro con buona personalità

Palermo è una città che vanta una scena underground di livello altissimo, non sono poche le band delle quali ho avuto il piacere di fare conoscenza attraverso lavori di categoria superiore, non solo nel metal estremo (Haemophagus), ma anche in generi magari lontani dall’estremismo del death metal, ma assolutamente geniali (Elevators To The Grateful Sky).

Un piccolo paradiso per chi ama la musica non convenzionale, uno splendido inferno se, come in questo caso, l’album in questione è composto da una ventina di minuti scarsi di death metal, molto vicino al brutal, tecnicamente suonato al meglio, oscuro, blasfemo e maligno il giusto per non passare inosservato.
La band si chiama Necroskin, si è formata solo lo scorso anno e Before Chaos Takes You è il riuscito biglietto da visita, un buon esempio di death metal dai chiari riferimenti old school, statunitense nell’approccio, derivativo dirà qualcuno, ma assolutamente d’impatto.
Molto bravi, i musicisti palermitani, riprendono la vecchia scuola capitanata dai Morbid Angel e la riassumono in questo lavoro con buona personalità, aggiungendo all’oscurità malsana tipica di Vincent e soci una dose letale di brutalità, così da proporre la loro personale versione del genere.
Ottimo il lavoro della sei corde, mai banale e piacevolmente tecnico, sul pezzo la sezione ritmica e di notevole intensità il growl, che esce demoniaco e bestiale come il genere comanda.
Brani brevi ma che vanno subito al sodo e tra i quali spiccano le devastanti Universal Implosion, la potentissima Three Is The Perfect Death e la violentissima Open Yourself For Chaos, per un delirio estremo di sicuro impatto.
Il gruppo è alla ricerca di un’etichetta per produrre un futuro full length: le premesse ci sono tutte, perciò il consiglio è di ascoltare Before Chaos Takes You, mentre sono d’uopo gli auguri ai Necroskin e supportarli è il minimo.

TRACKLIST
1 – Before Chaos Takes You
2 – Universal Implosion
3 – Three is the Perfect Death
4 – The Family Remains
5 – Open Yourself For Chaos (to Jon Nödtveidt)
6 – 237 Redrum
7 – After Chaos Takes you

LINE-UP
Valerio Sandman : Drums
Andrea Conti : Bass
Gabriele Mazzola : Vocals
Diego Gore Zimmardi : Guitar

NECROSKIN – Facebook

Distruzione – Endogena

Dopo il come back dello scorso anno si torna a parlare degli storici Distruzione, questa volta con la riedizione da parte della nostrana Jolly Roger del primo devastante lavoro sulla lunga distanza, Endogena.

Uscito originariamente nel 1996 e distribuito dalla major Polygram, Endogena fu l’album che trasformò la band in leggenda, conquistando i favori dei fans del metal estremo underground per la proposta feroce, i testi in lingua madre, ed un impatto terremotante.
Gli allora giovani protagonisti di questo olocausto sonoro si fecero notare per la qualità altissima del proprio sound, accompagnata da una tecnica non indifferente, ed un approccio alla materia estrema che, se pescava dalle band cardine del thrash death, non peccava certo in personalità e voglia di colpire pesantemente.
L’inserto sinfonico che funge da intro all’opener Senza Futuro, risulta un conto alla rovescia prima del decollo di questo, fino ad ora, introvabile lavoro, poi uno tsunami di metal estremo, si abbatte sull’ascoltatore, senza soluzione di continuità.
Ritmiche serrate e devastanti, chitarre aggressive, ed un growl animalesco ma perfettamente chiaro nel vomitare testi di morte, oscurità e distruzione, elevano l’album ad una sorta di must per tutti gli amanti del genere.
Siamo nel 1996, i mezzi a disposizione del gruppo non erano certo quelli in possesso alle giovani band di oggi, ma Endogena aveva in sé una carica così forte e devastante, da stare tranquillamente al passo con le releases dei gruppi europei.
Prodotto da Omar Pedrini dei Timoria, Endogena scarica una sequenza di mitragliate thrash violente e senza compromessi, rese ancora più pesanti da un uso parsimonioso ma geniale di sfumature prese dal famigerato death metal statunitense.
Slayer in primis e, poi, tanto thrash metal di matrice europea sono gli ispiratori del sound di questo monumentale lavoro, che ha nella compattezza il suo massimo punto di forza, anche se è indubbio che Delirio Interiore, Ossessioni Funebri e la conclusiva Agonia fungano da traino a tutto l’album.
Nel frattempo, come ben saprete se seguite la scena undergorund e, di fatto, la nostra ‘zine, i Distruzione sono tornati più forti che mai, ma il fascino di questo lavoro, rimane intatto come vent’anni fa, confermando che nel metal, non solo estremo, il passare degli anni conta poco quando ci si trova davanti a lavori come Endogena.
Complimenti alla Jolly Roger per l’iniziativa assolutamente consona all’importanza del gruppo parmense.

TRACKLIST
1. Senza futuro
2. Delirio interiore
3. Ossessioni funebri
4. Divina salvezza
5. Ombre dell’anima
6. Omicidio rituale
7. Diabolus in Musica
8. Agonia

LINE-UP
David Roncai – Vocals
Dimitri Corradini – Bass
Alberto Santini – Guitars
Massimiliano Falleri – Guitars
Ettore Le Moli – Drums

DISTRUZIONE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=jyyLWkfoSeM

Zippo – After Us

After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione.

Torna la band pescarese veterana della scena pesante italiana.

Quarto disco per uno dei migliori gruppi stoner sludge dello stivale, in attività dal 2004, quando questi generi di musica non erano ancora popolari come ora.
After Us è un disco di grande qualità, come tutte le opere degli Zippo, con ancora qualcosa in più rispetto agli altri lavori. Ascoltandoli si ha un’impressione di grande solidità, di potenza sempre sotto controllo, con un forte retrogusto grunge, specialmente nei momenti maggiormente melodici.
Otto canzoni per circa quaranta minuti di distorsioni, riverberi psichedelici pesanti e voli heavy.
Questo è anche il primo disco non concept del gruppo, ma è ispirato alla vita di tutti i giorni, cosa assai più complicata di una storia di fantasia. Gli Zippo stupiscono sempre, non sono mai ovvi, e hanno una graniticità davvero notevole.  After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione. Una sicurezza.

TRACKLIST
1. Low Song
2. After Us
3. Comatose
4. Familiar Roads
5. Adrift (Yet Alive)
6. Stage 6
7. Summer Black
8. The Leftovers

LINE-UP
Dave – Vocals
Sergente – Guitar
Stonino – Bass
Ferico – Drums

ZIPPO – Facebook

Vivienne The Witch – Shadowbox

Il suono delle Vivienne The Witch è semplice ma ha dentro di sé molte cose, innanzitutto una gran carica, con quella melancolia tossica tipica del grunge, che lascia appagati e spaesati proprio come una sigaretta.

Tre ragazze innamorate del grunge rock fanno un gran bel disco, che francamente mancava da un po’.

Greta, Lucrezia, e Caterina prendono come fonte d’ispirazione il grunge delle Hole, delle L7, quel periodo ruggente dove, oltre ai soliti noti, si aggiravano un sacco di gruppi validi, dal suono abrasivo, un hard rock altro che ha lasciato vividi ricordi nelle teste degli appassionati. Il suono delle Vivienne The Witch è semplice ma ha dentro di sé molte cose, innanzitutto una gran carica, con quella melancolia tossica tipica del grunge, che lascia appagati e spaesati proprio come una sigaretta. La produzione in quel di Cortona è stata giustamente un po’ spartana, ma il risultato è molto buono. Shadowbox è un disco che deve essere sentito ed apprezzato perché ha ottime elementi in tutti i suoi risvolti e, cosa ancora più importante, è molto divertente e riporta nelle nostre bocche un certo gusto che chi l’ha assaggiato una volta, sa che non può farne a meno. Le tre ladies ci sanno fare e tanto, ed è davvero un ottimo album.

TRACKLIST
1 – Strange Day
2 – A Sparkling Explosion
3 – Bad Dog
4 – Pussy Pussy Pussy
5 – Reason Why I Laugh And Cry
6 – One Step To The River
7 – Dreams And Pain
8 – Time

LINE-UP
Greta Fuso – Vocals/Guitar/Bass.
Lucrezia Peppicelli – Vocals/Guitar.
Caterina Fuso – Drums/Backing Vocals.

VIVIENNE THE WITCH – Facebook

The Phoenix – My Turn To Deal

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Il gruppo nasce nel 2001 e dopo una buona gavetta live arriva la firma per l’americana Demon Doll, con i ragazzi dell’Atomic Stuff a garantire la promozione dell’esordio discografico, registrato presso il Pri Studio di Bologna la scorsa estate.
My Turn To Deal conferma la tradizione delle band dell’altro sesso che, quando c’è da suonare il genere, fanno mangiare la polvere ai rudi colleghi maschi, ed infatti i brani che compongono il mini cd sono un concentrato di hard’n’heavy dall’alto tasso melodico, una piccola macchina del tempo che ci riporta ai fasti ottantiani ma, attenzione, il sound prodotto dalle The Phoenix risulta fresco, per niente nostalgico e, soprattutto, con un elevato appeal, così da rendere le varie canzoni tutte possibili hits.
La title track ha nel chorus il pezzo forte e mette subito in evidenza l’ottima voce della singer ed un assolo di chiara matrice heavy; un bel brano , molto accattivante, ma ecco che un pugno in pieno volto ci investe: Dangerous Girl esplode in tutta la sua carica heavy alla Motley Crue, un anthem da urlare al cielo in pieno trip live, pura adrenalina rock’n’roll come si suonava nella Sunset Strip.
Al primo ascolto You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll pare la classica ballatona di genere: niente di più sbagliato, altro colpo mortale, la song esplode in un altro chorus da stadio e noi non ci possiamo assolutamente esimere dal cantare con loro “che non si può fermare il rock’n’roll”.
Arriviamo all’ultima canzone, Party Hard, la più heavy del lotto: il riff risulta più moderno ed in your face, le vocals si fanno sensuali ed aggressive il giusto, le chitarre si incendiano, scudisciate di rock sanguigno che non ammettono repliche e confermano l’attitudine stradaiola del gruppo nostrano.
In soli quattro brani le The Phoenix lanciano il loro ruggito rock’n’roll, sta a voi ora far sì che il richiamo di queste quattro leonesse arrivi a chi del genere si nutre, in attesa di un prossimo passo, magari un full length di questo stesso livello.

TRACKLIST
1. My Turn To Deal
2. Dangerous Girl
3. You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll
4. Party Hard

LINE-UP
Lena McFrison – Lead Guitar, Vocals
Alice Schecter – Rhythm Guitar, Vocals
Luna RocketQueen – Bass, Vocals
Giuli McMousse – Drums

THE PHOENIX – Facebook

Mr.Riot – Same Old Town

Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e Motley Crue.

Il singolo America, mette subito in chiaro il concept che sta dietro a questi cinque ragazzi di Novara: suonare rock’n’roll come lo si faceva nella Sunset Strip negli anni ottanta e credeteci, lo fanno pure molto bene.

La band si chiama Mr.Riot ed è in giro a far danni da soli due annetti, la label greca Sleazsy Rider non se li è fatti sfuggire e Same Old Town arriva a noi come primo parto di questa creatura di hard rock a stelle strisce, che guarda al passato, anche se la sua musica giunge a noi come un prodotto fresco e molto ben fatto.
Chiaro che il genere (un hard rock, ricco di spunti sleaze e street) è quello e le influenze sono chiare, richiamando a più riprese i mostri sacri dell’America sex, drugs and rock’n’roll, ma l’album dei nostri suona alla grande, i brani funzionano ed il tutto risulta un concentrato di pura adrenalina riversato sui rockers con qualche lustrino di troppo.
Si viaggia su ritmi altissimi, inframmezzati da piccole gemme in formato ballad, d’altronde la vita da rocker è molto dura, ed ogni tanto bisogna ricaricare le pile, ma questo non inficia l’energia che sprigionano i brani contenuti nell’esordio della band piemontese, che parte alla grande (dopo un’intro recitato da una Riot girl’s) con il riff dell’energica Scream And Shout, sulle tracce dei Van Halen del pluridecorato 1984, prima di rivolgersi in toto ai grandi Twisted Sisters.
Rock’n’roll è la song che Dee Snider potrebbe invidiare alla band, cantata come se non ci fosse un domani dal convincente vocalist Stevie Lee, mentre Mr.Riot si arma di un micidiale hard’n’heavy e spara melodia come un cannone da una nave da guerra.
Illusion è la classica ballad di ordinanza, prima che l’arena rock di America risulti un sontuoso esempio di rock arioso e melodicissimo, puro e sognante brano ottantiano, mentre si torna alla ruvidità street rock ed ai Van Halen con Sexy Photograph.
L’album continua il suo viaggio, tra brani energici e splendide aperture melodiche, mentre la ballad acustica Spread Our Love spezza il ritmo prima di lasciare alla title track la chiusura del disco con un’altra bordata di grintoso e ruvido rock’n’roll.
Detto che i musicisti ci sanno fare, con la coppia d’asce che fa scintille (Mr.LadiesMan e Angeless), Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come, Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e i sempre presenti (quando si parla di queste sonorità) Motley Crue.

TRACKLIST
01 – Wake up!
02 – Scream and shout
03 – Rock ‘n’ roll
04 – Mr. Riot
05 – Illusion
06 – America
07 – Sexy photograph
08 – Close your eyes
09 – Wild raw
10 – Spread our love
11 – Same old town

LINE-UP
Stevie Lee – Voice, Keytar
Mr.LadiesMan – Guitars
Angeless – Guitar
Tommy Beefy – Bass Guitar
Denny Riot – Drums, Backing Vocals

MR.RIOT – Facebook

Enisum – Arpitanian Lands

La bontà di Arpitanian Lands risiede particolarmente nella capacità degli Enisum di esprimere una cifra stilistica piuttosto personale che, sovente, esula dal black vero e proprio per spingersi su terreni molto più melodici ed evocativi.

Sono sempre di più le band italiane dedite ad un black metal che, pur non rinnegando le radici del genere, ben affondate nelle gelide foreste scandinave, traggono ispirazione dalle proprie terre di provenienza conferendo al sound un’aura differente, arricchendolo a seconda dei casi di elementi folk, pagan o ambient.

Gli Enisum arrivano dalla Val di Susa (una zona del nostro paese che, come altre, sta per essere stuprata in nome di logiche mercantili contro il volere delle popolazioni, ma questa è purtroppo un’altra storia), ed il monicker altro non è che la trascrizione al contrario di Musinè, montagna simbolo della vallata nonché, a vario titolo, teatro di leggende e misteri.
Il progetto fondato nello scorso decennio da Lys (all’epoca con il nome d’arte di Silentium) dopo cinque lavori realizzati in autonomia tra il 2006 ed il 2013, negli ultimi anni ha assunto la forma di band vera e propria con l’ingresso in formazione di Leynir (basso), Dead Soul (batteria) ed Epheliin (voce femminile).
Come spesso accade, questo consente al musicista che ha in mano le redini del gruppo di progredire ulteriormente dal punto di vista compositivo, avvalendosi di un confronto costante con altri membri, e questo pare essere accaduto anche a Lys: se già Samoht Nara era un buon album, Arpitanian Lands costituisce un ulteriore salto di qualità, spingendo il sound su e già per gli impervi pendii delle vallate, ora con le accelerazioni tipiche del genere, ora con ariose aperture di matrice post black.
Se uno dei gruppi ispiratori degli Enisum, anche per ammissione dello stesso Lys, sono i Wolves In The Throne Room (oltre ai magnifici quanto sottovalutati Lunar Aurora) , non bisogna aspettarsi di trovare in questo lavoro esclusivamente le tipiche sonorità cascadiane, se non sotto forma di inevitabili riferimenti piazzati qua e là (soprattutto nel brano utlilizzato per realizzare il video ufficiale, Desperate Souls): la bontà di Arpitanian Lands risiede particolarmente nella capacità degli Enisum di esprimere una cifra stilistica piuttosto personale che, sovente, esula dal black vero e proprio per spingersi su terreni molto più melodici ed evocativi.
In tal senso i tre brani maggiormente caratterizzanti sono Chiusella’s Waters, in cui una sognante coralità si alterna all’ottimo lavoro chitarristico, Fauna’s Souls, dall’anima folk pur se non del tutto esplicita, e la meravigliosa The Place Where You Died (anche qui i WITTR fanno capolino, specie nella sua prima metà): ovviamente pure queste tracce sono screziate dal robusto incedere ritmico e dallo screaming di Lys, ma le armonie sullo sfondo creano un substrato emotivo che ben si addice alla dichiarazione d’amore per una natura che continuerà a sovrastare, fino agli ultimi attimi di vita di questo pianeta, la razza umana e la sua protervia .
Arpitanian Lands è un ottimo album e non ci sono scuse plausibili per ignorarlo.

Tracklist:
1. Arpitanian Lands
2. Alpine Peaks
3. Chiusella’s Waters
4. Mountain’s Spirit
5. Rociamlon
6. Fauna’s Souls
7. The Place Where You Died
8. Desperate Souls
9. Sunsets on My Path

Line-up:
Lys – guitar, vocals
Leynir – bass
Dead Soul – drums
Epheliin – vocals

ENISUM – Facebook

Desert Hype – SweP

Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate.

Sicilia e Sardegna, oltre ad essere le nostre isole maggiori e due tra le più belle regioni della nostra bistrattata penisola, hanno in comune una scena hard rock che non ha niente da invidiare a paesi più blasonati; se poi si parla esclusivamente di rock alternativo e stoner, le band da seguire con attenzione, protagoniste di lavori sopra le righe, sono molteplici e richiamano a più riprese la scena statunitense del ventennio a cavallo tra gli anni novanta e la musica di Seattle, ed il decennio successivo con il successo dello stoner suonato nella Sky Valley.

Non vi sto ad elencare i gruppi che, a più riprese, hanno fatto sobbalzare dalla poltrona questo inguaribile vecchietto, amante di più o meno tutte le svariate forme prese, nel corso degli anni, dal metal e dal rock, ma vi assicuro che la musica di qualità la si crea anche da noi, basta saperla cercare.
Ed allora il traghetto ci aspetta, un saluto agli amici e si parte per la Sardegna, scalo ad Olbia e giù verso cagliari per incontrare i Desert Hype, trio stoner junk rock del capoluogo, nato nel 2011 e con all’attivo tre ep; l’esordio omonimo dello stesso anno e Sgattagheis, doppio ep del 2013.
2016, è giunto il momento di licenziare il primo full length, questo ottimo SweP, un monolite di suoni stoner, dal mood punk alternative e noise, che riversa sull’ascoltatore una valanga di lava elettrica, stupendamente alternative, ma, e qui sta il bello, di una presa disarmate.
Basso grasso che spacca i timpani, pelli che si strappano sotto i colpi di una forza inesauribile, chitarra che vomita watts a profusione e tante buone idee, sono le virtù principali di questo splendido lavoro, che non ne vuol sapere di scendere sotto una media altissima e soprattutto spacca che è un piacere.
Come detto i suoni variano tra il mood che rimane desertico per tutta la durata, come persi in sconfinate pianure di sole sabbia e pietre, e piccole oasi di alternative rock, che ci danno modo di sopravvivere nel lungo peregrinare in questa sconfinata valle di suoni rock pescati a piene mani dalle terre d’oltreoceano e fatte proprie dai tre musicisti sardi.
Parto dalla fine perché Ponies Over Olympic Ceremony 2012, posta prima dell’outro, è un piccolo capolavoro di rock stonato, una lunga e lisergica jam tra stoner e noise che vi ridurrà a povere amebe peggio di un’overdose di LSD.
Ma SweP non finisce qui, con l’opener Flying Shit che se la prende comoda e prima di esplodere gioca con il basso come una mangusta col cobra, mentre ScioScio e la title track ci danno il benvenuto nel trip del gruppo, con la chitarra che parla, urla, grida, torturata da Mirko Deiana, mentre il basso di Andrea Demurtas pulsa facendo sgorgare sangue dai nostri poveri padiglioni auricolari.
Joint And Wine Superballad 3000 è uno strumentale da brividi, dove il gruppo sfodera gli artigli ed il talento e sale in cattedra il drummer Daniele Moi, prima che un’acustica drogata sia la protagonista di DoDo (Dead Like A).
Blues punkizzato, rock’n’roll ruvido vicino al garage risulta Spiders On The Floor Tom, mentre con Trp1 si torna a perdersi nel desertico labirinto di suoni creati ad arte dai Desert Hype per destabilizzare, confondere, mettere al tappeto senza pietà.
Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate e SweP è un’altro ottimo esempio di come la nostra scena cominci davvero a fare la voce grossa, rivelandosi non solo una buona alternativa a quelle più famose, ma assoluta protagonista del rock di questo inizio millennio.

TRACKLIST
1. Flying Shit
2. ScioScio
3. Desert Hype
4. Joint And Wine Superballad 3000
5. DoDo (Dead Like A)
6. Spiders On The Floor Tom
7. Trip1
8. Ponies Over Olympic Opening Ceremony 2012
9. Seacows B******s

LINE-UP
Andrea Demurtas – basso/voce
Mirko Deiana – chitarra
Daniele Moi – batteria

DESERT HYPE – Facebook

Rinunci A Satana ? – Rinunci A Satana ?

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

E allora tuffiamoci di nascosto nella musica carnale dei Rinunci A Satana dalla fatal Milano. Per non andare lontano dal marchi di fabbrica i Rinunci A Satana ? fanno un originalissimo blues rock stoner da vere ligere. Accordi satanici, musica scorrevole ed irresponsabile ai vizi, per un gruppo tanto semplice quanto bravo. Non sono in realtà tanti, sono solo in due, e sono Damiano Casanova (Il Babau e i maledetti cretini), chitarra, e Marco Mazzoldi (Fuzz Orchestra e Bron y Aur), batteria. I due hanno però le idee chiare, e piace molto loro fermarsi agli incroci tra i generi ad aspettare il nero signore. Se volete qualcosa tipo gli ultimi gruppi fighi che fanno blues rock, siete fuoristrada, qui c’è genuina passione ed il linguaggio musicale scelto è l’ossatura per far risaltare la melodia e la linea sonora, vera regina di questo progetto. Queste canzoni strumentali sono lo sfogo di due grandi musicisti che hanno voglia e musica da vendere, e accasandosi su Wallace Records sanno dove andare. Disco dalle molte curve e fortunatamente quasi senza rettilinei, porta in un inferno blues molto caldo e vivo, da dove non vorrete più uscire.

TRACKLIST
1.Stone
2.Effetto Benny Hill
3.Ostenda
4.Le Notti di Riccardo Neropiù
5.Rinunci a Satana?
6.Gatling

LINE-UP
Damiano Casanova : Chitarra.
Marco Mazzoldi : Batteria.

RINUNCI A SATANA ? – Facebook

Septem – Septem

Qui c’è il metal, ma quello vero, semplice eppur composito, trascinante ed adrenalinico

Da La Spezia arriva questo disco che è una bomba, e si pone un spanna sopra le cose che ho ascoltato negli ultimi tempi.

L’impianto è heavy metal, ma dentro c’è un po’ tutto il metal. Sinceramente il disco sfugge ad ogni tentativo di classificazione, come ogni disco eccellente. I Septem si formano a La Spezia nel 2003 dalla fusione di 2 gruppi. Nel 2006 si affidano ad una realtà dell’underground spezzino per pubblicare un disco, ma si rivela una truffa e il progetto finisce lì. Arrivati alla Nadir Music, un certo Tommy Talamanca li prende sotto la sua ala protettiva e produce, mixa e masterizza il disco ai Nadir Music Studios. Il risultato è stupefacente. Qui c’è il metal, ma quello vero, semplice eppur composito, trascinante ed adrenalinico. Stacchi imponenti, composizioni azzecate e canzoni scritte impeccabilmente. Non una nota noiosa, nessun orpello, tanta sostanza e un disco entusiasmante. Durante l’ascolto mi sono trovato più volte a bocca spalancata: A different day è un inno metal, la strumentale Septima è un pezzo che tanti big del metal vorrebbero incidere. Non riesco a staccarmi da questo cd, poiché dischi come questo mi hanno fatto diventare la testa di metallo che sono. Resiste anche a ripetuti e continuati ascolti. Davvero bello. Dovremmo farlo ascoltare a chi non capisce perchè essere metallaro è una grande fortuna, perchè puoi godere di dischi così.

SEPTEM – Facebook

Brünndl – Brünndl

L’album nel suo complesso non è affatto male e i Brünndl interpretano la loro parte con convinzione e buoni spunti, specie quando sono proprio gli elementi folk ed epici a prendere il sopravvento

I Brünndl si fanno portavoce, musicalmente parlando, della minoranza linguistica cimbra, la cui presenza sul territorio nazionale è costituita da alcuni nuclei disseminati in diverse vallate del Veneto: l’idioma parlato è di ceppo germanico e la band lo utilizza in più passaggi del suo primo full length.

Al di là di queste curiosità storico-geografiche, il terzetto propone a tratti un black dai forti influssi pagan-folk, esibiti in particolare nella traccia d’apertura La Via della Valsugana, mentre in altri momenti prevale l’impronta più canonica del genere, con un occhio rivolto alla feconda scena teutonica.
L’album nel suo complesso non è affatto male e i Brünndl (ovvero il fiume Brenta in tedesco antico) interpretano la loro parte con convinzione e buoni spunti, specie quando sono proprio gli elementi folk ed epici a prendere il sopravvento, vanificati però parzialmente da una voce pulita che viene utilizzata in alternativa allo screaming in maniera un po’ approssimativa, mentre le cose funzionano decisamente meglio allorché l’approccio si fa più corale.
Come detto, Brünndl è un disco che si fa apprezzare ma, forse, per far quadrare definitivamente  il cerchio, ai Brünndl manca ancora qualcosa per riuscire ad omogeneizzare al meglio le diverse componenti del loro sound: un obiettivo che, con il contributo di alcune limature a livello di scelte vocali e di produzione, appare ampiamente alla portata dell’interessante band bassanese.

Tracklist
1- La via della Valsugana
2- Marckwisenkhalt
3- Freyjoch
4- Magaan
5- Sonno e Verena
6- Il portale del Tramonto

Line-up:
Stephan – Bass
Myrk – Drums
Markus – Guitars, Vocals

Ad Vitam – Stratosfear

Grande band ed ulteriore esempio di come nel nostro paese si possa suonare metal ai massimi livelli: non fate gli esterofili e fate vostro questo eccellente lavoro.

Un’altra band notevole si affaccia con convinzione ed ottima tecnica sulla scena italica, un altro colpo della Revalve Records, un altro bellissimo lavoro che a mio parere farà proseliti tra gli amanti dei suoni estremi, dalle mille sfumature.

Loro vengono dalla Sardegna, si chiamano Ad Vitam ed irrompono sul mercato con questo gioiellino, Stratosfear, un ottimo esempio di progressive death metal oscuro, maturo ed assolutamente devastante nelle molte sfuriate estreme, tra potenza death e cattiveria black, valorizzate da armonie che vanno dall’atmosferico, all’orchestrale e da cavalcate su e giù per il manico delle sei corde di stampo classico, per un tuffo nella parte più elegante del signore e padrone dei generi estremi, il death.
I brani sono tutti di notevole impatto, non c’è un attimo di tregua, la band ci investe con vortici di note che si intrecciano a velocità sostenute, mantenendo un’attenzione maniacale per il songwriting.
Gli Ad Vitam hanno una virtù che, a molti gruppi presi dallo sfoderare bravura tecnica, ma freddi e poco attenti ad elaborare brani convincenti, manca: le loro songs si nutrono di emozioni, crescono dentro di noi, perfettamente bilanciate da tecnica e gusto, sempre con l’oscurità, tipica del genere, drammatica, un fiume in piena che travolge, facendoci vorticare tra le acque agitate, nere ed impazzite, sotto la forza dell’uragano.
Prodotto perfettamente (l’album è stato registrato e mixato presso Hangar 18 Recording Studio e masterizzato presso i Conen Mastering Studio), Stratosfear ha ben in evidenza le influenze del gruppo, ma le propone con una forza espressiva impressionante, non scendendo dal livello di eccellenza per tutta la sua durata, con picchi di esaltante e matura musica estrema che escono prepotentemente dai solchi di There Was Blood Everywhere, Spektrum Walz, Six Feet Under My Sins ed Inception, tanto per citare una manciata di esempi, facendo convivere con assoluta disinvoltura Dimmu Borgir, Symphony X e Opeth.
Grande band ed ulteriore esempio di come nel nostro paese si possa suonare metal ai massimi livelli: non fate gli esterofili e fate vostro questo eccellente lavoro.

TRACKLIST
1. Exosfear
2. There Was Blood Everywhere
3. Bite Me Immortal
4. Join Me in Farewell (There Will Be Blood Everywhere)
5. Chronosfear
6. Six Feet Under My Sins
7. Under a Cypress Root
8. Plagues of Nothing
9. Mesosfear
10. Spektrum Walz
11. Inception
12. Stratosfear
13. Fall of Collective Consciousness

LINE-UP
Mattia “Vigor” Amadori – Voce
Daniel Matta – Batteria
Roberto Schirru – Chitarra ritmica
Federico Raspa – Basso
Lorenzo Mariani – Chitarra Solista

AD VITAM – Facebook

Ivory – A Moment, A Place, A Reason

A Moment, A Place, A Reason è un grande disco di hard rock, da ascoltare, assaporare e consigliare

Gran bel disco hard heavy con puntate aor per questo combo di veterani di Torino.

Attivi dalla fine degli anni novanta ma in maniera organica dal 2005, gli Ivory propongono un suono molto debitore del passato ma proiettato nel futuro, forte del fatto che i fans di queste sonorità sono tenacissimi. Ci sono molte cose in questo cd, pubblicato da Buil2 Kill Records, ma soprattutto c’è una grande voglia di fare hard rock, un’ottima produzione e tanta tanta melodia resa sempre in maniera impeccabile. Il sentimento contenuto in questo disco è difficilmente ravvisabile nelle migliaia di uscite hard rock, poiché gli Ivory fanno tutto molto bene, e sarebbe un gran peccato se questo disco passasse inosservato. Il gruppo torinese non fa solo sfoggi odi una grande tecnica, ma sono anche fini compositori e le canzoni hanno un’ossatura importante. A Moment, A Place, A Reason è un grande disco di hard rock, da ascoltare, assaporare e consigliare.

TRACKLIST
01. Bad News
02. The Hawk
03. Feeling Alive
04. Who Am I
05. Take A Ride
06. A Drink At The Village (Instrumental)
07. Come Together (The Beatles Cover)
08. Inner Breath
09. Through Gloria’s Eye
10. Blues For Fools

LINE-UP
Roby Bruccoleri – Vocals.
Salvo Vecchio – Guitars.
Luca Bernazzi – Bass.
Claudio Rostagno – Drums.

IVORY – Facebook

Axevyper – Into The Serpent’s Den

L’album è un inno all’heavy metal e vi troviamo il meglio che il genere ha saputo offrire nella sua lunga storia

Amanti dell’heavy metal old school segnatevi il nome degli Axevyper, primo perché la band è tutta italiana e, secondo, perché il loro ultimo lavoro è una bordata da lasciare senza fiato.

Nel più puro spirito metallico Into The Serpent’s Den è forgiato, mandando a spigolare realtà (specialmente nordiche) che sul genere hanno costruito la loro fortuna, epici, guerreschi e fieramente metallici, old school, che non vuol dire produzione fai da te e poca personalità, ma appartenenti ad una scuola musicale che guarda al passato, senza dimenticare di vivere e creare musica nel nuovo millennio.
Talmente travolgente questo disco, che mi ha ricordato a più riprese l’esordio degli Hammerfall ma, attenzione, dove il gruppo di Joacims Cans faceva delle facili melodie il suo punto di forza, la band nostrana si rende protagonista di un lavoro dove le melodie hanno la loro importanza, ma inserite in un contesto maturo in cui le atmosfere di fiero e glorioso metallo sono valorizzate da un songwriting di un’altra categoria.
Questo terzo full length scaraventa di diritto la band tra le migliori realtà nel genere suonato, anche perché sfido chiunque a trovare altrove la verve, il senso per la melodia ed un’attitudine come riscontrato in seno al gruppo di Viareggio, non per caso finito tra le grinfie della Iron Shield, etichetta della grande famiglia Pure Steel.
L’album è un inno all’heavy metal e vi troviamo il meglio che il genere ha saputo offrire nella sua lunga storia, dalle band storiche dei gloriosi anni ottanta a quelle che, dopo la metà del decennio successivo, portarono ancora una volta il metal classico agli onori delle cronache, il tutto suonato con una personalità debordante.
L’album sprigiona una fierezza metallica che rinvigorisce il guerriero che è in noi, per troppo tempo addormentato, ed ora pronto allo scontro sulle note delle varie Brothers of the Black Sword, Metal Tyrant, The Adventurer e Beyond The Gates Of The Silver Key.
Chiaramente i musicisti sanno il fatto loro, ed il sound è valorizzato da performance tutte sopra la media, chitarre, sezione ritmica e canto sono perfettamente in linea con un songwriting che sorprende, richiamando a più riprese, Maiden, Warlord, Manilla Road, Manowar,Domine, Hammerfall, Nocturnal Rites, in un viaggio lungo più di trent’anni lungo le numerose battaglie affrontate dal nostro amato guerriero metallico, mandato dagli dei per difendere la nostra musica preferita.
Questo è heavy metal con la M maiuscola, grande album, grande band e prima sorpresa (anzi conferma) del nuovo anno nel genere.

TRACKLIST
1 Brothers of the Black Sword
2 Metal Tyrant
3 Soldiers of the Underground
4 The Adventurer
5 Under The Pyramids
6 Spirit Of The Wild
7 Solar Warrior
8 Beyond The Gates Of The Silver Key

LINE-UP
Luca “Fils” Cicero – Vocals
Guido Tiberi – Guitars
Damiano Michetti – Guitars
Andrea Tognetti – Bass
Niccolò Vanni – Drums

AXEVYPER – Facebook

Killers Lodge – Alma Cachonda

Ottimo lavoro che conferma la grande vena compositiva dei protagonisti, Alma Cachonda segue senza deludere il bellissimo esordio, con un proprio indirizzo stilistico ed una propria anima

Tornano a distanza di due anni dall’ottimo debutto Unnecessary I, i Killers Lodge, trio ligure composto da musicisti di un certo rilievo nel panorama metallico della nostra penisola, come John Killerbob, bassista, cantante e maggiore compositore del gruppo, che in passato ha collaborato con Necrodeath e Cadaveria, Olly Razorbach, chitarrista ed ex membro di Sadist, Nerve e Cadaveria, e Christo Machete alle pelli, con le sue bacchette che hanno picchiato sui drumkit dei Mastercastle, ed ultimamente sul progetto Odyssea di Pier Gonnella e Roberto Tiranti.

Il nuovo lavoro pur seguendo le linee guida del primo album si discosta leggermente per una più marcata predisposizione all’ heavy metal, il rock’n’roll motorheadiano che aveva caratterizzato i brani di Unnecessary I è sempre presente, ma le dosi di adrenalina di scuola Lemmy sono iniettate nel sound con parsimonia, così da avvicinare Alma Cachonda ad un mood metallico più marcato.
La band continua ad avere un impatto live ed inyourface davvero notevole, ed il songwriting, anche questa volta è sopra la media e l’esperienza indiscutibile dei musicisti coinvolti, fa capolino da ogni nota espressa su questo monolitico lavoro, che, se perde qualcosa in attitudine rock’n’roll, acquista una notevole potenza metallica.
Potenza e groove, ritmiche che si alternano, veloci o cadenzate, voce abrasiva e profonda, enormi riffoni metallici di scuola ottantiana, ed un impatto pari ad un molosso di musica del diavolo, irrompono dalle casse dello stereo in un assalto hard & heavy senza soluzione di continuità.
Dalla sua il gruppo genovese ha nel songwriting l’arma in più, valorizzando anche questa seconda raccolta di brani, che mantengono un approccio live entusiasmante.
Musica da suonare on stage, una colonna sonora per l’apocalisse sotto il palco, una prova di forza che, portata fuori dai confini di un cd, saprà fare male, molto male.
I brani si mantengono su livelli alti, anche se By Inferno’s Light (scelta come singolo), la seguente Psycholulladie, Growling the Night Away, dal riffone dommy che richiama i Cathedral e la mastodontica For the Lion and the Fish, una bordata di muscoloso metal dal groove micidiale, sono le songs da spararsi senza ritegno a volumi vietati, fregandosene del vicinato.
Ottimo lavoro che conferma la grande vena compositiva dei protagonisti, Alma Cachonda segue senza deludere il bellissimo esordio, con un proprio indirizzo stilistico ed una propria anima, promosso a pieni voti.

TRACKLIST
1. Stand Against
2. By Inferno’s Light
3. Psycholulladie
4. In The Gypsy Raven’s Deep Space
5. Growling the Night Away
6. With Fire and Iron
7. Ever Steel
8. For the Lion and the Fish
9. Warmongers

LINE-UP
John KillerBob: bass, voice
Christo Machete: drums
Olly Razorback: guitars.

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Aleph – Thanatos

Il suono è subito riconoscibile, e già questo è un segno di bravura, e il disco sale fino a raggiungere vette davvero alte, usando registri diversi fra loro, tenuti insieme dalla bravura del gruppo.

Ambizioso terzo disco per questo gruppo bergamasco, con un death metal con forti inserti di sympho di ottima fattura e sicura resa. Disco diviso in due movimenti, per entrambi l’argomento principale è la morte, che è la nostra unica vera divinità.

Se ci pensiamo bene tutto la nostra vita ruota intorno alla sua nemesi ,ovvero la morte, e le visioni che essa genera sono descritte molto bene in questo lavoro. Gli Aleph sono un gruppo molto capace tecnicamente e con grande capacità di composizione, il disco è notevole e non registra mai un momento ovvio o un qualcosa di lontanamente avvicinabile ad un cliché, è sempre in cerca di novità e di stupire con improvvise epifanie l’ascoltatore. Ascoltando Thanatos si possono trovare tantissimi spunti, dal death metal più ortodosso a una forte dose di prog, il tutto condito da tastiere davvero incisive. Il respiro globale del disco è molto forte ed ampio, e Thanatos è uno dei migliori prodotti metal uscito ultimamente in Italia. Il suono è subito riconoscibile, e già questo è un segno di bravura, e il disco sale fino a raggiungere vette davvero alte, usando registri diversi fra loro, tenuti insieme dalla bravura del gruppo.

TRACKLIST
1. The Snakesong
2. The Old Master
3. A Game Of Chess
4. The Severed Skull
5. Fire Demon
6. Nightmare Crescendo
7. Sea Of Darkness
8. …The Silence…
9. Thanatos
10. Winterlude
11. Smoke and Steel / Multitudes
12. Still Inside
13. A Renegade’s Path
14. Remains/Remained

LINE-UP
Dave Battaglia: Vocals, Guitar
Giuseppe Ciurlia: Guitar
Manuel “Ades” Togni: Drums
Giulio Gasperini: Keyboards
Antonio Ceresoli: Bass

ALEPH – Facebook

Opera IX – Back To Sepulcro

Black metal teatrale, orchestrato a meraviglia, pregno di malignità e decadente oscurità

Gli Opera IX sono uno dei gruppi più importanti nel panorama estremo dalle trame black ed esoteriche, la loro discografia è colma di album straordinari, pregni di quelle atmosfere di oscuro misticismo come solo nel nostro paese, da tradizione, si possono riscontrare nella musica come nel cinema.

Dal lontano 1990, anno della fondazione del gruppo, oltre a quello ormai diventato un album di culto, The Call Of The Wood, la band piemontese ha infilato una serie di lavori bellissimi dove hanno trovato la gloria non pochi musicisti della scena -nazionale. com fu in passato per Flegias, vocalist dei Necrodeath (all’epoca alle prese con il drumkit) e la “regina” del metal estremo italiano Cadaveria.
Vent’anni sono passati dal primo full length e il gruppo, da sempre in mano allo storico chitarrista Ossian, torna con questa sorta di mini best of, con un poker di bellissimi brani tratti dai primi quattro lavori, più due brani inediti incisi da una line up rinnovata.
Della partita fanno parte la cantate Abigail Dianaria, un ritorno femminile dietro al microfono che fu di Cadaveria, Scùrs al basso, M:A Fog alle pelli (ex Mortuary Drape, tra gli altri) e Alexandros alle keys (ex Highlord).
La nuova veste data alle quattro songs rende giustizia ad una proposta entusiasmante: la produzione e le orchestrazioni fanno rinascere brani storici, inquietanti e bellissimi come Sepulcro, che concludeva il primo album, The Oak, opener di Sacro Culto (1998), Act I, The First Seal che apriva The Black Opera, e Maleventum, title track del disco uscito nel 2002.
I due inediti sono Consacration e The Cross, sorta di outro, ma specialmente la prima funge da antipasto per il nuovo corso della band rivelandosi un ottimo brano in cui vengono confermate le qualità della nuova vocalist, personale, teatrale e maligna e che appare sul pezzo anche con le rivisitazioni dei brani storici.
Black metal teatrale, orchestrato a meraviglia, pregno di malignità e decadente oscurità, brividi che si fanno intensi per il talento dei nostri nel saper rendere reali e per questo ancora più inquietanti le atmosfere malefiche, esoteriche e horror che la loro musica esprime in modo assolutamente geniale.
A questo punto possiamo solo aspettare il nuovo lavoro di inediti e gioire per il ritorno di questa fondamentale band nostrana, sento già odore di morte e decomposizione nell’aria.

TRACKLIST
1. Sepulcro
2. The Oak
3. Act I, The First Seal
4. Maleventum
5. Consacration
6. The Cross (Outro)

LINE-UP
Ossian – Guitars
Scùrs – Bass
M:A Fog – Drums
Alexandros – Keyboards
Abigail Dianaria – Vocals

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