Blackwood – As the world rots away

Elettronica e noise, rumori e silenzi in negativo, riverberi maledetti e tanto altro, quello dei Blackwood è un disco importante, intimo e allo stesso tempo catartico e malevolo dannatore.

Odio, fastidio, dolore, paura, non adatto, inabile, coltelli sulla gola, fitte dietro il cuore.

Suoni e rumori instabili, graffianti e pesantemente e diversamente vivi, ecco a voi anime belle il debutto dei Blackwood su Subsound Records . Tutto ciò è opera del cervello e del corpo di un uomo solo, Eraldo Bernocchi, sperimentatore ed agitatore sonoro da tanto tempo in corsa verso le nostre orecchie. Dal drone, all’industrial, da cose in quota Sunn O))) ad altre prettamente ansiogene, questo disco ha un raggio d’azione ampissimo ma è claustrofobico come una panic room economica. Si rimane rasenti al suolo, per evitare i demoni interiori che Bernocchi ci e si scatena contro. Il suono è pesante, intermittente e curatissimo, una presa di posizione geometrica contro il nulla che ci avviluppa, la colonna sonora dei nostri fallimenti e dei nostri ancora più miseri tentativi. Elettronica e noise, rumori e silenzi in negativo, riverberi maledetti e tanto altro, As the world rots away è un disco importante, intimo e allo stesso tempo catartico e malevole dannatore. Davvero un debutto incredibile per una nuova avventura di un musicista che ha tanto da dire.

TRACKLIST
1.Breaking God’ Spine
2.Santissima Muerte
3.Sodom
4.Purtridarium
5.Vulture
6.Unrecoverable Mistakes

LINE-UP
Eraldo Bernocchi: electronics, guitars.
Jacopo Pierazzuoli: live drummer.

BLACKWOOD – Facebook

Eversin – Flagellum Dei

Un’uscita che conferma l’assoluta proposta senza compromessi degli Eversin, band unica nel panorama estremo nazionale ed assolutamente in grado di tenere testa ai gruppi stranieri, troppo spesso portati agli onori delle cronache metalliche nel nostro esterofilo paese.

Trinity: The Annihilation, un album violentissimo e disturbante, lontano dalle facili cavalcate care al thrash old school, o le moderne riminiscenze core delle nuove tendenze, aveva consentito al metal estremo tricolore di raggiungere uno dei propri apici.

Gli Eversin non si fermano e, per tenere ben accesa la fiamma estrema che li contraddistingue, immettono sul mercato questo singolo contenente quattro brani, confermando la voglia di bombardarci con il loro thrash metal tra Slayer, Testament, Forbidden e, questa volta Sepultura, sempre con il proprio marchio bene in mostra.
Si parte alla grande spinti a forza nel caos primordiale dell’opener di Trinity : The Annihilation, Flagellum Dei, brano che dà il nome al lavoro e che esplode come un’atomica, furiosa e devastante, un inferno nucleare dalle conseguenze fatali per la terra.
A seguire, Refuse/Resist, cover dello storico brano dei fratelli Cavalera, tratta dal monumento estremo Chaos AD, irrompe in tutto il suo fragore: la band ci mette del suo per far risultare l’impatto del brano ancora più violento (con le vocals rabbiose dell’ospite Mick Montaguti dei seminali Electrocution) cavandosela egregiamente e lasciando annichiliti per cotanto massacro sonoro.
For the Glory of Men MMXVI , riedizione della traccia presente nel secondo album Tears On The Face Of God, è un brano in pieno Slayer style, in cui il clima da tregenda apocalittica è meno accentuato a favore di un approccio più old school: qui gli Eversin si scontrano con un’icona del genere ed una delle loro ispirazioni principali senza perdere un grammo in impatto e pareggiando il conto con Araya e soci.
Flagellum Dei si chiude con il remix di We Will Prevail, uno dei brani cardine dello scorso album: freddo come un terminator che toglie l’ultimo respiro ai feriti sul campo di battaglia, si riveste di un’aura industrial ricordando i terrificanti Throne Of Molok, conterranei del gruppo siciliano.
Un’uscita che conferma l’assoluta proposta senza compromessi degli Eversin, band unica nel panorama estremo nazionale ed assolutamente in grado di tenere testa ai gruppi stranieri, troppo spesso i soli ad essere portati agli onori delle cronache metalliche nel nostro esterofilo paese.

TRACKLIST
1.Flagellum Dei
2.Refuse/Resist (Sepultura cover)
3.For the Glory of Men MMXVI
4.We Will Prevail (Electro-Industrial Remix)

LINE-UP
Angelo Ferrante-Lead Vocals
Ignazio Nicastro-Bass, Screaming And Growling Vocals
Giangabriele Lo Pilato-Lead And Rhythm Guitars
Danilo Ficicchia-Drums

Guest voice on track n. 2 by Mick Montaguti from ELECTROCUTION

EVERSIN – Facebook

Bastian – Rock Of Daedalus

Un album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani

Quello che poteva sembrare un progetto estemporaneo, ha trovato la sua definitiva consacrazione con l’uscita di questo secondo album e i Bastian di Sebastiano Conti possono essere considerati una band a tutti gli effetti.

Due anni fa il chitarrista siciliano aveva stupito tutti con Among My Giants, un bellissimo album di hard’n’heavy che vedeva il buon Conti circondato da un nugolo di musicisti storici della scena come Vinnie Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso.
Lo scorso anno Among My Giants tornava a far parlare di sé con la riedizione curata dall’Underground Symphony, label per cui esce questo nuovo Rock Of Daedalus con il gruppo ridotto a quattro elementi : Sebastiano Conti alla sei corde, Michael Vescera al microfono, John Macaluso alle pelli e Corrado Giardina al basso.
Rock Of Daedalus non sposta di una virgola il concept musicale su cui si destreggia il chitarrista siciliano: il sound influenzato dalla scena ottantiana e dai mostri sacri del genere, perfettamente bilanciato tra hard rock ed heavy metal, continua a mietere vittime con questi dieci brani ruvidi e diretti, aggressivi e potenti ma tremendamente efficaci.
Una album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani, così che possano esplodere in tutta la loro carica hard rock.
Massiccio è forse il termine più adatto per descrivere il sound di questo lavoro, e la band, fin dall’opener Strange Toughts, sfodera ritmiche dal groove viscerale, molto più zeppeliniane rispetto al suo predecessore.
Il mid tempo roccioso di The Pide Piper torna ad esplorare il sound dei Black Sabbath era Tony Martin, mentre Vlad e Terminators confermano la voglia di far male di questa multinazionale dell’hard & heavy, supportata da un Vescera in stato di grazia, epico ed emozionale.
Conti ricama di solos sanguigni e riff tutta grinta e potenza le varie songs, e siamo già alla metallica Steel Heart, apice di questo bellissimo lavoro, un brano heavy metal disegnato coi colori dell’arcobaleno più famoso della nostra musica preferita.
Smokin’ Joe e la ballad Wind Song, chiudono questo ritorno sopra le righe dei Bastian, confermando quello di Sebastiano Conti un gruppo che non può mancare tra gli ascolti degli amanti dell’hard’n’heavy di estrazione classica.

TRACKLIST
1.Strange Thoughts
2.The Pide Piper
3.Vlad
4.Terminators
5.Man Of Light
6.Man In Black
7.18 In Woodstock
8.Steel Heart
9.Smokin’ Joe
10.Wind Song

LINE-UP
Sebastiano Conti- Guitars
Michael Vescera- Vocals
John Macaluso- Drums
Corrado Giardina- Bass

BASTIAN – Facebook

Voltumna – Disciplina Etrusca

Il mondo etrusco si presta benissimo ad essere rivisitato attraverso un linguaggio metal, e i Voltumna lo fanno con sensibilità e passione.

Secondo disco per questo gruppo nato in Toscana, alfiere della cultura etrusca trasposta nel linguaggio metal.

Dopo un primo demo di quattro pezzi, Chimera, uscito nel 2011, hanno pubblicato l’esordio sulla lunga distanza Damnatio Sacrorum nel 2012, disco che li ha portati a suonare in lungo ed in largo per l’Italia. Arrivati al secondo album, i Voltumna si dimostrano un gruppo molto sicuro dei propri mezzi, proponendo un death black metal classico molto ben bilanciato e ben suonato. Non ci sono pause per tutta la durata del disco e l’ascoltatore viene incalzato ed inseguito con veemenza. I Voltumna sono discendenti degli etruschi, forse il più meraviglioso e misterioso popolo che abbia visto il suolo italico. Disciplina Etrusca era l’insieme delle arti, dei rituali e delle dottrine, in pratica la summa di quella cultura. Il mondo etrusco si presta benissimo ad essere rivisitato attraverso un linguaggio metal, e i Voltumna lo fanno con sensibilità e passione, producendo un gran disco che invoglia a conoscere più da vicino quell’antica civiltà. Oltre a ciò Disciplina Etrusca conferma i Voltumna come una delle migliori realtà italiane in ambito metal, infatti stanno girando in Europa e persino in Sudafrica con i Behemoth.

TRACKLIST
1. Roma Delenda Est
2. Prophecy Of One Thousand Years
3. Disciplina Etrusca
4. The Alchemist
5. Bellerofonte
6. Bringer Of Light
7. Tages, Born From The Earth
8. Carnal Genesis
9. Measure The Divine
10. Teofagia
11. Black Metal (Venom Cover)
12. Tirreno

LINE-UP
Zilath Meklhum – Vocals
Haruspex – Guitar
Augur – Drums
Fulgurator – Bass

VOLTUMNA – Facebook

Pino Scotto – Live For A Dream

Con il blues signore e padrone del suo background, Pino ci delizia con questi diciotto brani dove non manca una marea di ospiti illustri della scena meta/rock tricolore, a conferma dell’eclettismo di un musicista non rinuncia a collaborare con le nuove generazioni di musicisti, che siano di provenienza metal, rock o addirittura rap.

Mi è difficile parlare di Pino Scotto, un artista che amo profondamente, non solo per la sua carriera musicale che, senza ombra di dubbio, è una della più importanti e gloriose in ambito hard rock ed heavy metal del nostro paese, ma soprattutto come persona, un uomo che incarna il mio pensiero al 100%, fuori da inutili ed obsoleti discorsi di una politica che purtroppo è diventato solo un circo, puro e fuori dagli schemi in modo talmente naturale, che quello che dice, molte volte forzando la mano, anche per una persona non più di primo pelo come il sottoscritto, diventa l’unica ineluttabile verità.

Ed è così che diventa un onore scrivere qualche riga per la nostra ‘zine sull’ultimo lavoro del rocker italiano per antonomasia, una raccolta di brani che ne ripercorre la carriera, dai Pulsar, passando per i gloriosi Vanadium, i Fire Trails e l’esperienza solista.
Un rocker che ha attraversato quarant’anni di musica rock in Italia, un paese dove ancora oggi la musica del diavolo è vista come una fastidiosa sottocultura, anche in questi ultimi anni in cui i talenti continuano a moltiplicarsi.
Con il blues signore e padrone del suo background, Pino ci delizia con questi diciotto brani dove non manca una marea di ospiti illustri della scena meta/rock tricolore, a conferma dell’eclettismo di un musicista non rinuncia a collaborare con le nuove generazioni di musicisti, che siano di provenienza metal, rock o addirittura rap.
Il suo tono graffiante da rocker navigato spadroneggia su questo nuovo Live For A Dream, gli ospiti valorizzano brani stupendi, profondi, molti composti da testi di denuncia contro un mondo ed un sistema a cui il musicista partenoopeo non ha mai concesso nulla, tirando dritto per la sua strada che continua a non avere un punto d’arrivo sul proprio navigatore.
Una truppa di talenti della scena tra cui Roberto Tiranti, Fabio Lione, Ambramarie, Dario Cappanera, Stef Burns, Steve Angarthal, Rob Iaculli, Alex Del Vecchio e Fabio Treves, tra gli altri, fornisce il proprio contributo nel far risplendere questa raccolta, tra classici, ultime produzioni ed inediti (Don’t Touch The Kids e The Eagle Scream, brano scritto in memoria del suo vecchio amico Lemmy, e di cui uscirà un video).
Non mancano, chiaramente, oltre alle più datate produzioni i brani simbolo della sua carriera solista, ora più che mai sulla cresta dell’onda anche per il programma Database che conduce da ormai tredici anni su Rock Tv.
Morta La Città, Quore Di Rock’N’Roll, Signora Del Voodoo e Angus Day, e poi le stupende Dio Del Blues e Third Moon (made in Fire Trails) e via via tutte le altre, fanno di Live For A Dream una completa e suggestiva panoramica sul mondo di Pino Scotto, supportata da un DVD contenente immagini live delle registrazioni in studio, interviste e videoclips, in attesa di ritrovare in giro per i palchi nostrani per l’ennesimo tour questo inesauribile condottiero del rock’n’roll.

PS. Nel 2011, insieme a Caterina Vetro, Pino Scotto fonda Rainbow Projects, un progetto di educazione, sanità e sviluppo nato per contribuire a migliorare le condizioni di vita di bambini estremamente svantaggiati come gli orfani e le vittime di abusi in Belize, quelli della discarica di Coban in Guatemala o a forte rischio di prostituzione minorile e mendicanza in Cambogia: questo, tanto per chiarire, a chi se ne fosse fatta un’idea precostituita o travisata, di che pasta è fatto questo monumento vivente alla vera cultura rock’n’roll.
Un artista che musicisti, fans e addetti ai lavori dovrebbero solo ringraziare ogni volta che fa mattina e ci si alza dal letto …

TRACKLIST
1.Don’t Touch the Kids
2.The Eagle Scream
3.A Man on the Road
4.We Want Live Rock ‘n’ Roll
5.Easy Way to Love
6.Streets of Danger
7.Too Young to Die
8.Dio del Blues
9.Gamines
10.Leonka
11.Spaces and Sleeping Stones
12.Third Moon
13.Come noi
14.Quore di Rock ‘n’ Roll
15.Morta è la città
16.Che figlio di Maria
17.Signora del Voodoo
18.Angus Day

DVD
1.A Man on the Road
2.We Want Live Rock ‘n’ Roll
3.Easy Way to Love
4.Streets of Danger
5.Too Young to Die
6.Dio del Blues
7.Gamines
8.Leonka
9.Spaces and Sleeping Stones
10.Third Moon
11.Come noi
12.Quore di Rock ‘n’ Roll
13.Morta è la città
14.Che figlio di Maria
15.Signora del Voodoo
16.Angus Day

LINE-UP
Pino Scotto-Vocals
Roberto Tiranti, Fabio Lione, Ambramarie – Vocals
Stef Burns, Steve Angarthal, Igor Gianola, Dario Cappanera, Filippo Dallinferno, Ale “Fuzz” Regis – Guitars
Rob Iaculli, Alex Mansi, Marco di Salvia – Drums
Dario Bucca, Ciccio Li Causi – Bass
Alex Del Vecchio. Maurizio Belluzzo – Keyboards
Valentina Cariulo – Violin
Fabio Treves – Haromonica

PINO SCOTTO – Facebook

Temple of Dust – Capricorn

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Capricorn, debutto sulla lunga distanza dei lombardi Temple Of Dust, prodotto rigorosamente in vinile dalla label romana Phonosphera Records, non concede nulla in facili melodie, bisogna lasciarsi andare e farsi trasportare dalle note sporcate dal blues, violentato da noise e fuzz e dal cantato ruvido e allucinato da effetti e riverberi, come in un trip lungo quaranta minuti.
La band, nata in Brianza da un’idea del bassista/cantante Miky Bengala, a cui si aggiungono il chitarrista Mr. Diniz ed il batterista Beppe Gagliardi, arriva all’esordio dopo due ep, Capricorn del 2014 e Requiem For The Sun dello scorso anno, con questo album che riprende tutti i brani contenuti nei precenti lavori.
Difficile trovare una descrizione precisa per la musica del gruppo, inglobate nel sound del trio vivono molte anime, imprigionate da questo terribile demone lisergico in un unico spartito.
Capricorn va ascoltato come una lunga jam dove al suo interno umori diversi compongono una sola lunga danza messianica, drogata di psichedelia, stravolta da elettricità noise, appesantita dal groove stonerizzato e dalle reminiscenze sludge, un altare costruito con pietra vulcanica e reso monolitico da una gettata di cemento lavico dalla pesantezza sovraumana.
Non un minuto di questo lavoro è concesso a note in linea con le mode di questi tempi, la base su cui si staglia questo tempio di musica, che più underground di così non si può, riconduce agli anni settanta e verrà sicuramente apprezzata dagli amanti di Blue Cheer, Hawkwind e Black Sabbath.
Dalla title track fino alla conclusiva White Owl è un lungo discendere nella bocca di un vulcano verso il centro della terra, per incontrare il demone carceriere e tentare di liberare le anime imprigionate nel sound di Capricorn, ma non ci riuscirete, capitolerete prima, molto prima.

TRACKLIST
1.Capricorn
2.Temple of Dust
3.Requiem For The Sun
4.Szandor
5.Thunder Blues
6.Goliath
7.Lady Brown
8.White Owl

LINE-UP
Miki Bengala- Vocal, Bass
Mr. Diniz-Guitar
Beppe Gagliardi-Drums

TEMPLE OF DUST – Facebook

Fuzz Orchestra – Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi

Tutto funziona, ma sembra mancare la possibilità di intravedere ulteriori sviluppi

A quattro anni dall’ottimo “Morire Per La Patria”, la Fuzz Orchestra, power trio strumentale composto da Luca Ciffo, Fabio Ferrario e Paolo Mongardi, ritorna per Woodworm Label con gli otto brani di Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi. Il nuovo capitolo, combinando le idee della band con estratti sonori provenienti da film socio-politici anni ’60-’70 e con partiture sviluppate per l’occasione da Enrico Gabrielli (accompagnato dai suoi Esecutori Di Metallo Su Carta: Bucci, Santoro, De Gennaro, Manzan), propone una sequenza di attacchi sonori compatta e uniforme.

Il mix metal/orchestrale di Nel Nome Del Padre, procedendo inesorabile fra colpi di pistola, parole allucinate e un galoppare sonico che travolge e trascina via, introduce l’incombente incalzare ed evolvere (parte centrale più calma, finale angosciante) della feroce Todo Modo.
Il cerebrale svilupparsi della ipnotica e cadenzata Born Into This (gustosissimi gli inserti di fiati), invece, apre alle atmosfere funeree generate da L’Uomo Nuovo (l’ossatura del pezzo è data dal nero vuoto generato dall’ospite Riccardo Gamondi), lasciando che a seguire siano il sofferto e tortuoso dipanarsi della scura e inquietante Una Voce Che Verrà e l’epic metal deviato su binari intellettuali e socio-politici dell’ottima Il Terrore E’ Figlio Del Buio.
La fantasmatica Lamento Di Una Vedova, infine, concedendo una breve pausa fatta di polvere ed ectoplasmi, cede il compito di chiudere al lento trascinarsi della tetra e pesante The Earth Will Weep.

Il nuovo capitolo discografico della Fuzz Orchestra, riprendendo in tutto e per tutto il sound del passato, presenta come quasi unica variazione l’aggiunta della componente orchestrale. Il risultato è assolutamente solido e convincente (tutti i pezzi esploderanno nelle vostre orecchie e vi appassioneranno, garantito), ma, allo stesso tempo, mette in luce come il sommare sonorità metal/noise con estratti sonori provenienti da film, incominci ad essere un’idea ormai difficile da rinnovare in maniera originale. Tutto funziona, ma sembra mancare la possibilità di intravedere ulteriori sviluppi.

TRACKLIST
01. Nel Nome Del Padre
02. Todo Modo
03. Born Into This
04. L’Uomo Nuovo
05. Una Voce Verrà
06. Il Terrore E’ Figlio Del Buio
07. Lamento Di Una Vedova
08. The Earth Will Weep

LINE-UP
Luca Ciffo
Fabio Ferrario
Paolo Mongardi

FUZZ ORCHESTRA – Facebook

Godwatt – L’ultimo Sole

I Godwatt sono l’ennesimo esempio di come nel nostro paese si fa musica come e, molto spesso, meglio dei paesi con molta più tradizione e credito, è giunta l’ora di supportare e far uscire allo scoperto le nostre realtà.

Una cascata di riff pesantissimi, una marmorea statua innalzata per glorificare le sonorità doom, il tutto originalmente cantato in Italiano, questa è la clamorosa proposta dei laziali Godwatt, tornati sul mercato con questo monolitico L’Ultimo Sole, licenziato dalla Jolly Roger Records.

Sono sincero, non conoscevo il terzetto nostrano, da dieci anni in attività, prima con il monicker Godwatt Redemption, ridotto successivamente in Godwatt, non prima di aver dato alle stampe due full length autoprodotti, The Hard Ride of Mr. Slumber nel 2008 e The Rough Sessions del 2012.
Tre anni fa, la riduzione del monicker e la scelta di cantare in lingua madre portano il gruppo a Senza Redenzione, nuovo lavoro seguito dall’ep Catrame e dall’ultimo full length MMXVXMM, licenziato all’inizio dello scorso anno e sempre autoprodotto.
L’ultimo periodo è contraddistinto dalla firma per la label nostrana e da questo nuovo lavoro che racchiude sette brani ri-registrati dal precedente album, più due da Senza Redenzione (Scheletro e Venus, ma solo nella versione cd).
Una band dalla personalità debordante, valorizzata da esperienze live accanto a gruppi come Ufomammut, Necrodeath, Doomraiser, Zippo, Karma To Burn, un sound di una pesantezza inumana che risulta molto più legato alla musica del destino che allo stoner, e la scelta, fuori dagli schemi del genere, di cantare in italiano testi di lucida decadenza, sono gi elementi che impreziosiscono queste nove incudini di metallo pesantemente lento e cadenzato, composto da una serie di riff che riducono in cenere.
Moris Fosco (chitarra e voce), Mauro Passeri (basso) e Andrea Vozza alle pelli, giustamente fanno spallucce al suono desertico, tanto di moda di questi tempi (e che io adoro, non fraintendetemi) per tornare al doom classico, messianico, oscuro e monolitico, come la discesa inesorabile di lava che cade dopo l’esplosione del vulcano attivo che risulta questo lavoro, pescando a piene mani dai gruppi della scena di primi anni novanta come i Cathedral del reverendo Dorrian e in parte dalle band d’oltreoceano come Saint Vitus ed i Revelation, e aggiungendo pochi ma azzeccati elementi settantiani che danno quel giusto tocco vintage.
Lo stoner è comunque presente, in qualche passaggio più acido, ma nel disco regna sua maestà il doom, lento, a tratti claustrofobico, inesorabile nella sua marcia cadenzata che accelera leggermente per stenderci al tappeto con frustate heavy rock, che strappano le carni, torturate nel sabba ossianico a cui i Godwatt ci invitano, vittime inconsapevoli di questa cerimonia di decadente e ruvido metallo.
Memoria, Cenere, la title track, il basso di Nessuno Mai, che pulsa come un cuore strappato ed in mano ad un sacerdote pazzoide, sono le songs che strappano applausi, ma è il lavoro nella sua interezza che non lascia scampo, con le due chicche finali tratte dal disco del 2013 (Scheletro e Veleno) che confermano il valore assoluto del combo laziale con un’heavy rock che letteralmente stende.
I Godwatt sono l’ennesimo esempio di come nel nostro paese si fa musica come e, molto spesso, meglio dei paesi con molta più tradizione e credito, è giunta l’ora di supportare e far uscire allo scoperto le nostre realtà.

TRACKLIST
1. Catene
2. Condannata
3. Memoria
4. Cenere
5. Nostro Veleno
6. Nessuno Mai
7. L’ultimo Sole
8. Scheletro (Cd Bonus)
9. Venus (Cd Bonus)

LINE-UP
Moris Fosco-Guitars, vocals
Mauro Passeri-Bass
Andrea Vozza-Drums

GODWATT – Facebook

Inedia – Aritmia / Wasteland

Aritmia/Wasteland entra piano in noi, prima con una dolcezza armonica ricca di melanconiche atmosfere post rock, poi in un crescendo di tensione ci prende con la violenza del metal estremo, colmo di groove stonato, in un caleidoscopio di suoni e colori

Aritmia/Wasteland entra piano in noi, prima con una dolcezza armonica ricca di melanconiche atmosfere post rock, poi in un crescendo di tensione ci prende con la violenza del metal estremo, colmo di groove stonato, in un caleidoscopio di suoni e colori alternative, scavando senza sosta nel nostro corpo e nella nostra anima.

Questa bellissima opera, profonda e alquanto matura, è il terzo album dei nostrani Inedia, gruppo veneto fondato nel 2009 e con ben saldo un contratto con la Sleaszy Rider, ottima label greca dal roster molto vario e di ottima qualità, che spazia nello sconfinato mondo dell’hard rock, sia classico che appunto moderno ed alternativo.
Non sono poche le band nel nostro paese dedite a questo tipo di suono e devo dire con sincerità che tutte possiedono un approccio maturo, che non scivola mai nella noia, ma viene apprezzato per un innato senso poetico/melodico.
Gli Inedia fanno senz’altro parte di questo gruppo di poeti moderni, che disegnano con le note paesaggi melanconici ed atmosfere depressive, dove non mancano scariche di rabbiosa elettricità, come se la mente si ribellasse a cotanta tristezza, in attimi di violenza liberatoria, prima di ricadere ancora una volta nel proprio disperato tunnel.
Gli Inedia a tutto questo aggiungono, atmosfere desertiche, jam liquide di psichedelia stonata, come persi nel fumo di sostanze illecite, viaggiando con la mente in paesaggi liquidi, attimi dove il non ritrovarsi si trasforma in pace assoluta.
Concentrato in poco più di mezzora, Aritmia/Wasteland è tutto questo, almeno per il sottoscritto, rapito dall’etereo incedere di questi sette brani sconvolti da bellissime atmosfere rarefatte e da bordate death metal che ne accentuano la drammatica atmosfera.
Una lunga jam che raccoglie in sé diversi generi, amalgamati con cura dal quintetto per donare musica profonda, matura, violenta e raffinata, liquida, oscura ed assolutamente toccante.
Album da ascoltare come un unico brano, diviso in emozioni e sensazioni, in Aritmia/Wasteland troverete ad aspettarvi un mondo di note che accomunano il depressive rock/metal dei Katatonia, lo stoner suonato dai Kyuss e che, insieme, accolgono in un abbraccio il prog estremo dei magnifici Opeth.
Disco bellissimo, da far vostro senza riserve.

TRACKLIST
1. The Fire Fellows
2. Neighbour’s Dog
3. Graveyards
4. The Days Of Sandstorm
5. Message From My Futureself
6. Paranoia’s End
7. ((π))

LINE-UP
Mattia Parolin – vocals
Marco Tossin – bass
Giacomo Lovato – guitars
Luca Munaretto – drums
Paolo Sanna – guitars

INEDIA – Facebook

Mr.Bison – Asteroid

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard e southern rock.

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard rock e southern rock.

I Mr.Bison vengono da Cecina per migliorare la nostra triste vita, con un suono che non può non farti muovere, molto rock nella sua essenza profonda, e molto stoner nel suo outfit. Dal debutto del 2011 sono cambiate un po’ di cose per questo gruppo che sta compiendo un percorso molto valido nell’ambito stoner rock, senza lasciarsi influenzare dall’esterno. Asteroid è il loro lavoro più potente e strutturato, con una fortissima vocazione rock nella totalità del genere. I Mr.Bison hanno un groove loro molto bello e particolare, e pur non facendo un genere originale lo fanno molto bene, con molti elementi diversi. Il disco è molto piacevole e vario, induce a diversi ascolti ed è il lasciapassare per gustarseli dal vivo.

TRACKLIST
1.BLACK CROW
2.WISKER JACK
3.FULL MOON
4.HANGOVER
5.BURN THE ROAD
6.RUSSIAN ROULETTE
7.RESIST
8.CANNIBAL
9.PRISON
10.HELL

MR.BISON – Facebook

Fall Has Come – Time To Reborn

Il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo

Dovete sapere che il sottoscritto ha un amico ai piedi del Vesuvio che non manca di farlo partecipe delle nuove realtà del panorama rock alternativo nazionale, tutte dall’alta qualità e pronte per il salto verso un mondo dove finalmente la loro musica possa avere i meritati consensi.

Attenzione, non parlo di successo ma di consensi, perché il nostro paese purtroppo è avaro, specialmente quando si parla di rock, della minima attenzione verso band e album come questo notevole Time To Reborn, debutto dei casertani Fall Has Come, appena tornati, in questa prima metà dell’anno da un’esaltante turnè in compagnia dei rockers Hangarvain, freschi di stampa di quel monumento all’hard rock che risulta il loro secondo lavoro Freaks, in territorio spagnolo.
Il trio campano è formato dal bravissimo singer Enrico Bellotta e qui mi fermo un’attimo: il bassista casertano è dotato di una voce dall’appeal stratosferico, la sua performance è quanto di meglio mi sia capitato di sentire nel genere, colma di feeling, radiofonica, e dotata di una personalità che si fatica a trovare anche nelle migliori band statunitensi.
Sì,  perché il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo, ed alle riminiscenze del primo decennio del nuovo millennio, quello passato alla storia come alternative rock e post grunge.
Accompagnato dai due chitarristi Raffaele Giacobbone e Enrico Pascarella che compongono la line up dei Fall has Come, il singer con la sua performance regala emozioni a non finire, ciliegina sulla torta di un lavoro intenso e maturo, melodico ma dall’animo rock, alternativo forse, sicuramente conturbante e colmo di hit pregevoli.
Non credo di essere smentito se dichiaro che l’opener Cover The Sun, la semiballad I Will, l’hard rock oriented Burn Up To River, l’intimista Remember, la graffiante Urban Chaos ( con quegli accordi southern ad inizio brano che ci spingono a forza nell’America sudista dei fratellini Hangarvain) e la favolosa title track, sono bombe rock dall’alto tasso esplosivo e, in un mondo migliore, non solo musicalmente, vere mine vaganti di classifiche radiofoniche lasciate a bombardare le orecchie di migliaia di ragazzi sulle spiaggie assolate, dall’Italia alla California.
Qualcuno vi parlerà di gruppi famosi ed ora persi nel dimenticatoio del music biz, per cercare in qualche maniera di spiegarvi di che pasta è fatto questo bellissimo lavoro, io mi astengo da inutili paragoni e vi lascio alle note di Time To Reborn, debutto di questa fenomenale band tutta italiana.
P.S : fate molta attenzione perché Time To Reborn è come una droga, non potrete più farne a meno.

TRACKLIST
1. Cover the Sun
2. I Will
3. Swallow my Tears
4. Hidden Life of Dreams
5. Burn Up to River
6. Forsaken World
7. Remember
8. Start To Be Free
9. Urban Chaos
10. Time To Reborn
11. Wherever (Bonus Track)

LINE-UP
Enrico Bellotta – ocals, bass
Raffaele Giacobbone – guitars
Enrico Pascarella – guitars

FALL HAS COME – Facebook

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Wonderworld – II

Un ascolto piacevole che ci prende per mano accompagnandoci in territori cari a Uriah Heep, Led Zeppelin, Deep Purple era Hughes e Coverdale, con una sound grintoso e raffinato, irruente ed estremamente elegante, come ci hanno abituato da tempo tutti il lavori che vedono coinvolto Tiranti.

Secondo lavoro per la band italo/norvegese Wonderworld, che vede il nostro Roberto Tiranti insieme alla coppia di musicisti scandinavi Ken Ingwersen e Tom Fossheim, rispettivamente alla chitarra e alla batteria.

Anche questo secondo lavoro si distingue per un elegante classic rock di scuola settantiana, pennellato di blues e soul, suonato divinamente e dal songwriting sontuoso.
Scritto a quattro mani da Tiranti e Ingwersen, II conferma ancora una volta l’eclettico talento del musicista genovese, instancabile artista e vocalist sopraffino, alle prese con questa raccolta di brani che svaria tra ruvidità ed eleganza, grinta e melodia, vorticosi sali e scendi nel rock e nell’hard & heavy di stampo classico.
Gruppo di tre elementi, quindi pochi fronzoli e sound che va dritto al punto, con un Ingwersen che si dimostra chitarrista fenomenale, raffinato quando i brani lo richiedono, tostissimo quando le atmosfere si irrobustiscono ed il gruppo se ne esce potenti bordate hard rock.
Sempre magistrale il lavoro di Tiranti al microfono e chirurgico il drumming di Fossheim, così che II si rivela un altro bellissimo album caratterizzato da sonorità classiche, magari poco considerate nel superficiale mondo del music biz odierno, ma assolutamente imprescindibili per gli amanti della buona musica.
Le ritmiche raffinate di brani come Elements, It’s Not Over Yet e Echo Of My Thoughts si scontrano con le atmosfere adrenaliniche di Evil In Disguise, Forever Is The Line e della sabbathiana In The End; in mezzo una serie di songs che fanno dell’hard rock raffinato il loro credo, magistralmente interpretate da questo power trio, che non lascia da parte emozionalità e feeling.
Un ascolto piacevole che ci prende per mano accompagnandoci in territori cari a Uriah Heep, Led Zeppelin, Deep Purple era Hughes e Coverdale, con una sound grintoso e raffinato, irruente ed estremamente elegante, come ci hanno abituato da tempo tutti il lavori che vedono coinvolto Tiranti.
Non perdete altro tempo e fate vostro questo bellissimo album, ulteriore dimostrazione dell’immortalità della nostra musica preferita, specialmente se suonata a questi livelli.

TRACKLIST
1. Forever Is A Lie
2. Remember My Words
3. Elements
4. It’s Not Over Yet
5. Echo Of My Thoughts
6. The Evil In Disguise
7. Return To Life
8. Memories
9. In The End
10. Down The Line

LINE-UP
Roberto Tiranti – vocals, bass
Ken Ingwersen- Guitars
Tom Fossheim- Drums

WORDERWORLD – Facebook

Gabriels – Fist Of The Seven Stars, Act 1 Fist Of Steel

Opera che rasenta il capolavoro, il secondo album di Gabriels è l’ennesima conferma del talento in possesso, non solo del musicista siciliano, ma di molti protagonisti della scena underground metallica del nostro paese

La label genovese Diamonds Prod., dopo aver licenziato il bellissimo album del progetto Odyssea di Pier Gonella e Roberto Tiranti, pesca un altro gioiello metallico, il secondo lavoro solista del musicista e compositore siciliano Gabriels, che torna sul mercato tra anni dopo il notevole Prophecy, un concept ispirato ai fatti dell’undici settembre 2001.

Gabriels si contorna, come nel primo album, di un manipolo agguerrito di talenti della scena metallica nazionale e non solo, portando in musica le gesta dei protagonisti del manga e anime Hokuto No Ken di cui il musicista è cultore.
Fist Of Steel è il primo capitolo di una trilogia intitolata Fist Of The Seven Stars, dunque un concept oltremodo ambizioso e, almeno in questa prima parte, il risultato è quantomai eccellente.
I musicisti che hanno aiutato Gabriels in questa avventura sono tanti, chi come membro fisso della line up, chi come special guest, contribuendo a rendere l’album un manifesto sontuoso di musica fieramente metallica, melodica e orchestrale.
Da Wild Steel, Marius Danielsen, Dario Grillo, Dave Dell’Orto e Ida Elena splendidi interpreti al microfono, all’apporto strumentale dei vari Glauber Oliveira (Dark Avengers), Stefano Calvagno (Metatrone), Francesco Ivan Sante’ Dall’O tra gli altri alla sei corde, Andrea “Tower” Torricini dei Vision Divine al basso e chitarra, tanto per citare alcuni dei musicisti impegnati, rendono quest’opera un’escalation di emozioni, capitanati ovviamente dai tasti d’avorio di Gabriels, alle prese con hammond, synth e pianoforte accompagnandoci nel mondo eroico della leggenda di Hokuto No Ken, famosissima in tutto il mondo.
Il sound si discosta leggermente dal mood del primo lavoro, che a più riprese ricordava l’hard rock orchestrale dei danesi Royal Hunt: Fist Of Steel risulta più power oriented, specialmente nella prima parte con la title track e She’s Mine che fanno decollare l’album fino ad elevate vette qualitative con la melodica Seven Stars e la power A New Beginning, song che avvicina il sound ai primi lavori dei tedeschi Edguy.
Il cuore dell’album è lasciato a tre brani superbi per intensità e prestazioni vocali: Break Me, My Advance e To Love, Ever Invain, mentre Black Gate ci riporta su ritmiche power metal.
Revenge Invain e Decide Your Destiny chiudono questo primo capitolo al meglio, con un’apoteosi di suoni orchestrali, nobile metallo sinfonico, cori epici ed emozioni che crescono a dismisura, mentre le note che le dita di Gabriels fanno scaturire dalle tastiere, formano arcobaleni di scale melodiche sopraffine.
Opera che rasenta il capolavoro, la prima parte di quello che diventerà un lavoro monumentale è l’ennesima conferma del talento in possesso, non solo del musicista siciliano, ma di molti protagonisti della scena underground metallica del nostro paese; è davvero l’ora di tagliare il cordone ombelicale che vi lega ai sempre più imbolsiti dinosauri di ere passate tuffandovi nella musica del nuovo millennio che, con rispetto, guarda al passato ma vive nel presente ed è pronta per un roseo futuro: scegliere questo lavoro per farlo sarebbe il migliore inizio.

TRACKLIST
1) Fist of Steel
2) She’s mine
3) Mistake
4) Seven Stars
5) A new beginning
6) Break me
7) My Advance
8) To love, ever invain
9) Sacrifice
10) Black Gate
11) Revenge invain
12) Decide your destiny

LINE-UP
Gabriels: All the Keyboards, Piano, Synth, Hammond and background vocals
Wild Steel : Vocals
Dario Grillo : Vocals
Marius Danielsen: Vocals
Ida Elena : Vocals
Dave Dell’Orto : Vocals
Iliour Griften : Background Vocals
Glauber Oliveira : Guitars
Stefano Calvagno : Guitars
Giovanni Tommasucci : Guitars
Francesco Ivan Sante’Dall’O : Guitars
Angelo Mazzeo : Guitars
Tommy Vitaly : Guitars
Dino Fiorenza : Bass
Christian Cosentino : Bass
Simone Alberti : Drums

Guests:
Andrea “Tower” Torricini : Bass and Guitars
Davide Perruzza : Guitars

GABRIELS – Facebook

Mourning Soul – Ego Death – Ritual

Il sound dei Mourning Soul, nonostante provenga dalla calda Trinacria, è gelido quanto quello dei Behemoth o dei “confratelli” scadinavi, ma racchiude in sé una drammaticità di fondo tutta mediterranea, un’inquietudine che si esplicita tramite passaggi acustici, voci recitate, sampler, che di volta in volta vengono investiti da una colata lavica di note possenti.

Dopo una decina d’anni di attività, i siciliani Mourning Soul giungono al full length d’esordio sotto l’egida della Dolorem Records.

La prima cosa che emerge fin dall’ascolto delle prime note dell’album è che, sicuramente, tutto il tempo che il trio di Enna si è preso prima di arrivare questo appuntamento è stato ben speso: il black death che viene riversato in questo lavoro è, infatti, di un livello tecnico e compositivo inattaccabile, esaltato poi dalla scelta di affidare il lavoro di registrazione a Magnus Andersson (già all’opera sugli ultimi album di Marduk e Ragnarok, tra gli altri) presso gli Endarker Studio in quel di Norrköping.
Furia controllata, rallentamenti, inserti acustici, un growl di matrice tipicamente death, sono gli elementi che, perfettamente coesi, rendono l’album un prodotto di respiro internazionale, meritevole quindi di uscire dai nostri angusti confini “metallici”.
Il sound dei Mourning Soul, nonostante provenga dalla calda Trinacria, è gelido quanto quello dei Behemoth o dei “confratelli” scadinavi, ma racchiude in sé una drammaticità di fondo tutta mediterranea, un’inquietudine che si esplicita tramite passaggi acustici, voci recitate, sampler, che di volta in volta vengono investiti da una colata lavica di note possenti.
Ego Death – Ritual non mostra cedimenti, quindi, piuttosto che di punti deboli, bisogna necessariamente parlare di picchi compositivi, rinvenibili per esempio in una traccia formidabile come Weltschmerz, con la quale si viene sballottati tra il black più oscuro ed atmosferico, il depressive ed il doom, o nella conclusiva e drammatica The Judgement Of Gehenna, che si chiude rievocando momenti del massacro di Jonestown (o almeno è quanto mi pare di cogliere, in assenza di note più esplicite in tal senso).
Un sentimento fortemente antireligioso è, del resto, ciò che gronda in maniera copiosa da queste note, ma ciò non avviene mai in maniera becera bensì in una forma matura, compiuta e convincente; in sintesi, Ego Death – Ritual è uno dei migliori esempi di black/death metal sfornati in questo primo scorcio di 2016 (con buone chance di restare tale anche a fine anno), per cui chi ama il genere ha il dovere di farlo proprio.

Tracklist:
1. Salvation (To The Temple Of Knowledge)
2. Resurrection Through The Serpent’s Light
3. The Cold Embrace Calls Me
4. Weltschmerz (The Heavyness Of Sin)
5. Chamber Of Bones
6. Bleeding By Thorns
7. Moribunds
8. Ultima Solitudo
9. The Judgement Of Gehenna

Line-up:
Sacrifice – Vocals, Bass, Synths
Decrepit – Guitar, Synths
Nocturnal Fog – Drums, Synths

MOURNING SOUL – Facebook

Redwest – Crimson Renegade

Tirate fuori dall’armadio i vostri vecchi pantaloni di pelle, fornitevi di cinturone e cappello e partite all’avventura nel far west con i nostrani Redwest ed il loro primo lavoro, Crimson Renegade.

Tirate fuori dall’armadio i vostri vecchi pantaloni di pelle, fornitevi di cinturone e cappello e partite all’avventura nel far west con i nostrani Redwest ed il loro primo lavoro, Crimson Renegade.

Nato intorno all’area milanese nel 2009, il quartetto di cow boy dal grilletto facile, propone un interessante hard rock dalle atmosfere western, una commistione di metal, southern e suoni che si rifanno alle colonne sonore del maestro Morricone, molto affascinante e ben fatto.
Arrivano a questo debutto dopo due mini cd, Spaghetti Western Metal del 2009, seguito da Play Your Hand del 2012, ed ora Il Lurido, La Straniera, Il Randagio, ed Il Losco sono pronti per investirci con il loro sound proveniente dalla frontiera, dove la vita non vale un dollaro bucato e non vengono risparmiati né buoni, né brutti, né cattivi, mentre Ringo è sempre in cerca della sua vendetta.
Riuscito ed originale, il sound prodotto rivela un buon talento per le atmosfere da cinema di genere, quel spaghetti western tutto italiano, che tante soddisfazioni ha dato, non solo nel mondo del cinema, ma con le colonne sonore del grande Morricone anche nella musica.
Sembra davvero di camminare lungo la via di un paese sperduto nella frontiera americana, dove entrare in un saloon per bere un goccio può rivelarsi una pessima idea e incocciare lo sguardo sbagliato, si può solo risolvere con un duello allo scoccare del mezzogiorno, mentre il caldo ed il sudore fanno scivolare le mani sulla colt, unica compagna fidata di una vita appesa al filo delle pallottole.
Crimson Renegade scorre che è un piacere, le ritmiche metal rock, ben si amalgamano alle atmosfere western create dal gruppo e le songs risultano varie e dal buon appeal.
Si passa infatti da brani più ruvidi, a altri dove ci si addentra nelle armonie acustiche molto southern, che i Redwest sono maestri nel arricchire di gradevoli trame folk e cinematografiche, con citazioni eccellenti (A Fistful Of Dollars, al maestro Morricone), riusciti duetti vocali tra Il Lurido e La Straniera (la titletrack), riffoni metallici dal buon impatto (C.H.F.), ed allegre ballate solari come la conclusiva Poker, song da serate festaiole nei saloon, dove birra e whiskey scorrono a fiumi ed i pistoleri si possono sollazzare sotto le gonne di prorompenti signorine strette nei corpetti che fanno esplodere i seni prosperosi.
Appunto Poker chiude questo ottimo lavoro, molto originale (non sono molte le band che uniscono metal/rock a suoni western, mi vengono in mente i soli power metallers Spellblast, ed i rockers tedeschi Skip Rock) e davvero ben eseguito, lanciando il gruppo milanese come convincenti portabandiera del western metal.
Ed ora, dopo l’ennesimo duello si sale in sella al vecchio ronzino, l’appuntamento è qualche miglio più in la, un altro paese, con nuove avventure ed altre bottiglie di whiskey da svuotare.

TRACKLIST
1. Crimson Renegade
2. C.F.H.
3. The Ballad Of Eddie W
4. Morning Ghost
5. Fire
6. Bullet Rain
7. Eternity
8. The Dreamcatcher
9. A Fistful Of Dollars
10.Golden Sands
11.Poker (bonus track)

LINE-UP
Il Lurido – Vocals & Harmonica
La Straniera – Backing Vocals
Il Randagio – Guitars
Il Losco – Bass

REDWEST – Facxebook

Law 18 – Law 18

Al confine tra hardcore e metal questo gruppo milanese fa molto casino e regala belle soddisfazioni.

Possente ed ignorante hardcore metallico con forti rimandi ad eroi metropolitani come Biohazard e Sick Of It All. Al confine tra hardcore e metal questo gruppo milanese fa molto casino e regala belle soddisfazioni.

Le coordinate sono quelle di cui sopra ma c’è molto di più, perché i Law 18 ci mettono molto di loro, e con doppia voce e tanta cultura metal ci portano in posti dove i calci volano come polline a primavera e dove ci sono elementi di vari generi, tutti messi insieme validamente. La produzione è buona, ma potrebbe essere migliore, perché lascia giusto intravedere l’enorme potenziale del gruppo, ma è comunque sufficiente per rendere questo lavoro assai divertente. I Law 18 fanno canzoni ben al di sopra della melodia, con aperture vocali e tanto lavoro sotto, con fatica e passione.
I nostri sono persone che amano ed ascoltano molta musica e ciò lo si sente chiaramente, ma sono anche un gruppo che ambisce a qualcosa in più per quanto riguarda il discorso musicale. Un disco che è un ottimo inizio, e le pedate continueranno, rimanete in zona.

TRACKLIST
1.Dwarfs & Cowboys
2.You Blind
3.Hollow Earth Society
4.Dominus Caeli
5.Dirty of Blood
6.Leather’s Wreck
7.Mirror Reflections
8.Rage Against Me
9.2010

LINE-UP
Davide C – Lead Guitar, Voice
Lorenzo Colucci – Bass
Luca Ferrario – Drums, Voice
Alessandro Mura – Voice, Harmonica
Lorenzo Perin – Voice, Rhythm Guitar

LAW 18 – Facebook

Megascavenger – As Dystopia Beckons

Il death metal dei nostri soldati estremi risulta più americano che scandinavo, in realtà, oscuro e devastante e violentato da suoni sintetici di matrice industriale che sottolineano ancora di più il contenuto lirico dei brani.

Eccoci qua, ancora una volta a parlare di Rogga Johansson, polistrumentista e compositore svedese che non ne vuol sapere di prendersi una pausa e continua ad invadere il mercato dell’ underground estremo con le sue proposte, sempre di ottima qualità e che hanno nel loro DNA il death metal old school.

Meno male aggiungerei, visto che anche questo progetto chiamato Megascavenger, porta con sé musica di alto livello.
Fondati da Rogga intorno al 2012, anno in cui usciva il primo ep, i Megascavenger arrivano quest’anno al terzo full length, dopo Descent of Yuggoth del 2012 ed il precedente At the Plateaus of Leng, uscito un paio di anni fa.
A far coppia con prezzemolino Johansson troviamo alla batteria Brynjar Helgetun, anche lui alle prese con svariati progetti come Axeslasher, Crypticus, Johansson & Speckmann, Just Before Dawn, Liklukt e The Grotesquery, insomma un altro instancabile protagonista dell’underground estremo proprio come il buon Rogga.
Il concept che gira intorno ai brani dell’album parla di tematiche fantascientifiche ed horror, ben evidenziate nella copertina raffigurante un Terminator stile Schwarzenegger ormai distrutto da una terribile guerra futurista.
Il death metal dei nostri soldati estremi risulta più americano che scandinavo, in realtà, oscuro e devastante e violentato da suoni sintetici di matrice industriale che sottolineano ancora di più il contenuto lirico dei brani.
Rogga questa volta non molla neppure il microfono, il suo growl è di quelli cavernosi ed animaleschi, chitarra e basso suonano oscuri, le linee industriali sono soffocanti, mentre il lavoro alle pelli è altamente distruttivo.
I soldati in lega d’acciaio, con gli occhi infuocati di un rosso freddo come l’espressione di una macchina per uccidere, si aggirano in paesaggi di distruzione, i martellanti e marziali rintocchi industriali creano un’atmosfera di terra disumanizzata, mentre i nostri confezionano una colonna sonora davvero efficace.
Mezz’ora, non di più, e As Dystopia Beckons crea un’aura terrificante che non abbandona l’ascoltatore neanche dopo la fine dell’album, straziato da ottime songs di death old school amalgamato all’industrial.
Non manca la ciliegina sulla fantascientifica torta: The Harrowing of Hell è una dark song che vede come ospite Kam Lee, vocalist con Johansson nei magnifici The Grotesquery, nonchè ex di una band storica come i Massacre.
Un altro ottimo lavoro firmato dal musicista svedese, sempre alle prese con il suo amato death metal, ma con proposte che variano sia per il concept che nel sound, a dimostrazione del suo inossidabile talento.

TRACKLIST
1. Rotting Domain
2. The Machine That Turns Humans into Slop
3. Dead City
4. As the Last Day Has Passed
5. The Hell That Is in This World
6. Dead Rotting and Exposed
7. Steel Through Flesh Extravaganza
8. The Harrowing of Hell
9. As Dystopia Beckons

LINE-UP
Rogga Johansson – Guitars, Bass, Vocals
Brynjar Helgetun – Drums

MEGASCAVENGER – Facebook

Sinphobia – Awaken

Un bombardamento sonoro che non lascerà indifferente sia chi predilige il death tout court, sia chi è propenso ad ascolti più in linea con il sound degli ultimi anni e che non nasconde una predisposizione insana per il thrash moderno.

La Bakerteam, oltremodo dotata di un gran fiuto per gruppi dall’alto spessore artistico, ci invita a fare dell’headbanging sfrenato con Awaken, nuovo lavoro dei veneti Sinphobia.

Il primo album autoprodotto, risalente a due anni fa, qui viene riproposto per intero con l’aggiunta di un’intro e due bonus track, dando vita ad un’ottimo lavoro che spazia tra death metal, thrash e soluzioni moderne, molto statunitense nel sound e dall’impatto di un carro armato.
Convincono a più riprese i quattro musicisti nostrani, il loro album risulta un assalto sonoro di notevole intensità, compatti ed affiatati, non lasciano punti deboli in balia di chi ascolta, grazie alla notevole prova del vocalist (Conso), al gran lavoro di una sezione ritmica che non risparmia blast beat a manetta, ritmiche dal groove micidiale, ed a tratti potenti bordate moderniste che incollano al muro (Darkoniglio al basso e Falsi alle pelli).
Una forza della natura il chitarrista Vain, punto di forza di questo quartetto di distruttori sonori: la sua prova, specialmente nelle ritmiche, è da applausi, contribuendo ad alzare un muro sonoro invalicabile di potenza estrema.
Un lavoro con gli attributi, senza fronzoli, un bombardamento sonoro che non lascerà indifferenti sia chi predilige il death tout court, sia chi è propenso ad ascolti più in linea con il sound degli ultimi anni e che non nasconde una predisposizione insana per il thrash moderno (Lamb Of God).
Il groove rimane sempre a livelli altissimi così come la tensione, i riff rompono ossa e triturano carni, il basso esplode sotto i colpi inferti da Darkoniglio sulle quattro corde, mentre le bacchette scintillano sulle pelli abrase dalla forza di Falsi.
Non manca qualche brano che spicca sul resto dell’album, a cominciare da Prayer To Wacry, la death metal Thread Of Salvation, il moderno groove di Respect e l’elaborata March Of The Lambs, tra velocità e rallentamenti , in una tempesta di suoni estremi molto ben congegnati.
Ottimo lavoro e gruppo che si candida come una delle sorprese dell’anno nel genere proposto: siamo in Italia, quindi supportare realtà meritevoli come i Sinphobia diventa un dovere per chiunque si professi un amante del metal estremo.

TRACKLIST
1. Fearless Horde (Intro)
2. Prayer to Warcry
3. Guilty of Downfall
4. The Punishing Hand
5. Thread of Salvation
6. Respect
7. Face Your Mirror
8. March of the Lambs
9. Tetra (Raw version)
10. Labyrinth (Elisa cover)

LINE-UP
Darkoniglio – Bass
Falsi – Drums
Vain – Guitars
Conso- Vocals

SINPHOBIA – Facebook

Zaibatsu – Zero

Gli Zaibatsu descrivono fini, stritolamenti post industriali e ricatti di metastasi senzienti, il tutto con un magnifico piglio post industrial.

Ci sono rari momenti di illuminazione nei quali, pur guardando un magnifico cielo fatto di bellissimi colori, senti che la fine è vicina, e ti avvolge uno strano senso di pace.

Purtroppo da quel momento alla pace eterna il cammino è ancora duro e pieno di pericoli. Gli Zaibatsu descrivono fini, stritolamenti post industriali e ricatti di metastasi senzienti, il tutto con un magnifico piglio post industrial. Ci sono accelerazioni, momenti chiari e concisi, impastamenti sonori e tante tante cose suonate con il cuore. Riferimenti al loro suono potrebbero oscillare dal grunge all’industrial, ma gli Zaibatsu per fortuna sono un qualcosa di unico e forse irripetibile, poiché fanno generi che non hanno patria, se non nel significato che vogliono attribuirgli chi li suona. Il disco scorre imponente e magnifico, descrivendo un fallimento globale che è solo nostro, poiché ci lasciamo avvelenare in ogni dove, sia fisicamente che spiritualmente, e paghiamo pure per morire di tumori ed essere legati ad un carrello della spesa. Zero è un disco rimarchevole e duro, che potrebbe essere tranquillamente pubblicato dalla Dischord. In Italia abbiamo dimostrato che siamo bravissimi a fare dischi apocalittici, e questo è magnifico. Da sentire e contorcersi, in una danza zero.

TRACKLIST
1. Plastic Machine Head
2. Oppenheimer’s Sister
3. Chemtrails
4. Mantra 3P
5. Pirates
6. Gnomes
7. Technocracy
8. Abac
9. Starless
10. Collateral Language

ZAIBATSU – Facebook