YERÛŠELEM – The Sublime

Gli YERÛŠELEM, in questa fase specifica della carriera di Vindsval, paiono esser una sorta di evoluzione in senso industrial delle sonorità offerte con l’ultimo album marchiato Blut Aus Nord, al quale per certi versi sembra addirittura sovrapporsi in più di un frangente.

Non è dato sapere se l’esperienza dei Blut Aus Nord abbia esaurito la propria obliqua e magnifica parabola portando il black metal delle origini al suo massimo livello di destrutturazione, di certo sappiamo che la nuova creatura di Vindsval e W.D. Feld, che di quella band sono le assi portanti, è destinata a regalare altre grandi soddisfazioni.

YERÛŠELEM, questo è il monicker, riprende ed attualizza ulteriormente l’industrial di matrice soprattutto albionica rendendola un’esperienza sonora non comune e, anche per questo, non per tutti.
Partendo da una base che accomuna i migliori terroristi sonici emersi in terra inglese nei primi anni ’90 (Godflesh, Scorn) il duo francese propone una rilettura terrificante della materia industrial, contaminandola mirabilmente con sfumature orientaleggianti (Babel) senza far venir meno l’ossessiva circolarità di un sound martellante ed ipnotico.
Del resto è difficile trovare un contesto musicale più adatto a descrivere il concetto di sublime, che l’appiattimento linguistico porta a ritenere un semplice accrescitivo di bello, mentre in realtà, secondo lo studioso del settecento Edmund Burke, è sublime “tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore”.
Il senso di nullità ed impotenza che proviamo di fronte ai fenomeni naturali, specialmente quando da questi non si viene direttamente coinvolti, viene mirabilmente evocato, prima con un certo impatto melodico come nella title track, per poi raggiungere il suo picco più minaccioso nell’accoppiata centrale Joyless /Triiiunity, lasciare nuovamente spazio a squarci armonici sminuzzati da una ritmica incalzante e defluire infine nella pace ambient di Textures Of Silence.
Gli YERÛŠELEM, in questa fase specifica della carriera di Vindsval, paiono esser una sorta di evoluzione in senso industrial delle sonorità offerte con l’ultimo album marchiato Blut Aus Nord, Deus Salutis Meæ, al quale per certi versi sembra addirittura sovrapporsi in più di un frangente. Anche per questo c’è una certa curiosità nel vedere dove ci potrà portare la preannunciata quarta parte di Memoria Vetusta (sempre che veda la luce, visto che se ne parla già da qualche anno).
Quel che conta è che questa configurazione convince non poco, anche se per una volta musicisti noti per i propri impulsi innovativi si “accontentano” di muoversi con grande maestria all’interno di territori impervi ma già ampiamente battuti da altri in passato.

Tracklist:
01. The Sublime
02. Autoimmunity
03. Eternal
04. Sound Over Matter
05. Joyless
06. Triiiunity
07. Babel
08. Reverso
09. Textures Of Silence

Line-up:
Vindsval: Guitars, Bass, Voices, Synths
W.D. Feld: Industrial Pulses, Synths

In Flames – I, The Mask

Ribadire quanto grandi fossero gli In Flames di The Jester Race, Whoracle e Colony risulta ormai quantomeno superfluo, perché la band continua imperterrita per la sua strada e a noi tutti non resta che prenderne atto e decidere se seguirla o rivolgerci altrove.

Non era certo un’impresa per gli In Flames riuscire a pubblicare un album più convincente del precedente Battles, che aveva deluso fans e addetti ai lavori per una eccessiva atmosfera nu metal che cancellava completamente le ultime scorie melodic death.

I, The Mask risolleva in parte le sorti dello storico gruppo svedese grazie ad un sound che, se rimane assolutamente “americano”, vede comunque in una scaletta di buone canzoni l’arma per riscattarsi.
Sia chiaro una volta per tutte: la band che negli anni novanta, contribuì a mettere a ferro e fuoco l’Europa amalgamando lo swedish death con il metal classico ed inventando di fatto uno dei generi più popolari tra le truppe metalliche, non esiste più da quasi vent’anni e la separazione con il suo fondatore (Jesper Strömblad) è stato lo strappo definitivo con tutto quello che il gruppo ha rappresentato fino al masterpiece Clayman.
Gli In Flames odierni sono un gruppo in continua evoluzione, per assurdo più rock che metal, capitanato da un Anders Fridén diventato probabilmente il miglior cantante in circolazione nei confini dell’alternative metal.
Lo screaming/growl è una garanzia e le clean fanno piazza pulita dei vocalist alle prese con la doppia voce in giro per il circuito: Fridén si è calato completamente nei nuovi In Flames che ha contribuito in maniera importante a modellare, insieme ai chitarristi Björn Gelotte e Niclas Engelin.
Il nuovo lavoro è dunque un passo avanti in termini qualitativi, la band questa volta ha azzeccato tutto o quasi, completando una tracklist che convince dall’inizio alla fine, con una serie di brani che vivono di melodie ruffiane inserite in un metal alternativo che non dovrebbe trovare ostacoli aldilà dell’oceano, anche se ha un’impronta leggermente meno nu metal rispetto al suo predecessore.
Ci sono brani dove ritornelli rock la fanno da padrone, altri in cui le chitarre alzano la testa, addirittura tre ballad ed un’atmosfera radiofonica che riempie di appeal le varie Voices, (This Is Our) House, In This Life e Stay With Me.
Ribadire quanto grandi fossero gli In Flames di The Jester Race, Whoracle e Colony risulta ormai quantomeno superfluo, perché la band continua imperterrita per la sua strada e a noi tutti non resta che prenderne atto e decidere se seguirla o rivolgerci altrove.

Tracklist
1. Voices
2. I, The Mask
3. Call My Name
4. I Am Above
5. Follow Me
6. (This Is Our) House
7. We Will Remember
8. In This Life
9. Burn
10. Deep Inside
11. All The Pain
12. Stay With Me

Line-up
Anders Fridén – Vocals
Björn Gelotte – Guitars
Bryce Paul – Bass
Niclas Engelin – Guitars
Joe Rickard / Tanner Wayne – Drums

IN FLAMES – Facebook

Slot – 200 кВт

200 кВт è composto da una dozzina di brani che ripercorrono l’alternative nu metal in tutti i suoi cliché, animati dalla giusta grinta e da una Nookie indomabile, con titoli e testi rigorosamente in lingua madre e un impatto da band navigata.

La Sliptrick Records, dopo il best of con il meglio dei sette album pubblicati dalla band, licenzia il nuovo album degli Slot, gruppo alternative metal capitanato dalla cantante Nookie, famosa in patria per aver partecipato con successo alla versione russa di The Voice, nonché leader della band che porta il suo nome.

Il nuovo album, intitolato 200 кВт, vede sempre la talentuosa singer duettare con il suo alter ego Cache in quaranta minuti che si specchiano nel nu metal di matrice statunitense, un modern che si allontana dal metalcore di moda in questo periodo per tornare a suonare rock su parti campionate, accenni rap e groove a palla.
Nookie è ancora una volta l’arma in più del quintetto russo, una tigre dalla versatilità sorprendente, una vera calamita per l’ascoltatore, comunque tenuto per le palle da un sound elettrizzante, moderno, melodico, cattivo e graffiante il giusto per non restare ad appannaggio di fans under quattordici.
200 кВт è composto da una dozzina di brani che ripercorrono l’alternative nu metal in tutti i suoi cliché, animati dalla giusta grinta e da una Nookie indomabile, con titoli e testi rigorosamente in lingua madre e un impatto da band navigata.

Tracklist
01. 200 кВт
02. Кукушка
03. ЗОЖ
04. Я выберу солнце
05. Естественный отбор
06. Сколько денег
07. На марс!
08. Не все равно
09. #ЯЩЕТАЮ
10. Система
11. Ильич (Son Of A Bitch)
12. Вселенная

Line-up
Nookie – Female Vocal
Cache – Male Vocals, Programming
ID – Guitar
Vasiliy GHOST Gorshkov – Drums
Nikita Muravyov – Bass

SLOT – Facebook

Phobonoid – La Caduta Di Phobos

La peculiarità delle opere targate Phobonoid era già in pectore nei lavori precedenti, ma qui trova una sua importante conferma e se l’unica difficoltà nell’ascolto de La Caduta di Phobos risiede nel suo fluire come se si trattasse di una sola traccia, non c’è dubbio che i quaranta minuti necessari per ascoltare l’intero lavoro si riveleranno decisamente ben spesi.

A quattro anni dal primo full length omonimo, e a sei dall’ep di esordio Orbita, si rifà vivo il progetto Phobonoid, interessante realtà creata da Lord Phobos.

La più grande delle due lune di Marte è un riferimento costante in tutto l’immaginario poetico e musicale creato dal musicista trentino e non sorprende, quindi, che il concept continui a seguire quelle coordinate accompagnato da un sound in cui convergono pulsioni industrial, black e doom. Come nei lavori precedenti il contributo della voce viene confinato sullo sfondo dalla produzione ma, fondamentalmente, il fulcro dell’operato di Lord Phobos risiede in una parte musicale che è sempre contraddistinta da un naturale incedere cosmico che, volendo esemplificare al massimo, riporta ai Mechina sul versante industrial black e ai Monolithe per quanto riguarda quello doom.
Tutto ciò contribuisce a rendere il sound nervoso, solenne e al contempo minaccioso, del tutto adeguato al racconto di un viaggio interstellare che il protagonista intraprende per trovare rifugio dopo la distruzione di Phobos; proprio il suo essere sorretto da un’idea ben precisa, anche dal punto di vista concettuale, rende il sound decisamente personale e in grado di emanare un suo oscuro fascino, distribuito in maniera equa lungo tutte le dieci tracce presenti nell’album, nel corso delle quali il passaggio tra le varie sfumature sonore avviene in maniera quanto mai fluida.
La peculiarità delle opere targate Phobonoid era già in pectore nei lavori precedenti, ma qui trova una sua importante conferma e se l’unica difficoltà nell’ascolto de La Caduta di Phobos risiede nel suo fluire come se si trattasse di una sola traccia, non c’è dubbio che i quaranta minuti necessari per ascoltare l’intero lavoro si riveleranno decisamente ben spesi.

Tracklist:
1.26.000 al
2.La Caduta di Phobos
3.Titano
4.TrES-2b
5.CoRot-7b
6.GU Psc b
7.KOI-1843 b
8.WASP-17b
9.MOA-192b
10.A-Crono

Line-up:
Lord Phobos

PHOBONOID – Facebook

To The Rats And Wolves – Cheap Love

Ascoltare Cheap Love dei tedeschi To The Rats And Wolves e rimanere fermi è impossibile.

Ascoltare Cheap Love dei tedeschi To The Rats And Wolves e rimanere fermi è impossibile.

I ragazzi da Essen sono attivi dal 2012 e hanno all’attivo un ep e due dischi sulla lunga distanza. Si autodefiniscono electro metalcore, ma in realtà sono un notevole gruppo pop. Canzone dopo canzone sfornano ritornelli dolci e che ti si attaccano alla testa senza staccarsi più, grazie anche alla bella voce di Dixi Wu che concatena bene le mosse della band. Ci sono dei momenti più grintosi ma il tutto è molto melodico ed armonioso, con l’elettronica che ha un ruolo importante. Le chitarre metalcore compaiono abbastanza spesso, specie nella seconda parte del disco, ma le cose migliori appaiono quando si vira decisamente sul pop. In campo metalcore i To The Rats And Wolves sono bravi ma si perdono nelle schiere dei gruppi che fanno questo sottogenere del metal, mentre quando uniscono metalcore, elettronica e pop sono assai notevoli e spiccano su tutti. Come detto poc’anzi, ascoltare il disco e non muoversi è davvero difficile. Le canzoni che compongono Cheap Love sono quelle che canterete sotto la doccia vergognandovi un po’, perché ne potrebbe risentire la vostra fama di metallaro duro e puro, invece non potete farne a meno ed è molto divertente. Qui alla base di tutto c’è il groove, una forma di melodia che pervade il tutto e nella quale questi ragazzi sono molto bravi. Chi cerca il metal qui forse rimarrà deluso, ma chi cerca un qualcosa per divertirsi e ballare questa è la festa giusta. Ci sono momenti di illuminazione pop come non si sentiva da tempo, e questa è una sintesi molto moderna di qualcosa che parte da lontano e che alcuni giovani di oggi hanno sintetizzato molto bene. Tendenzialmente chi ha più di trent’anni tende a catalogare come pessima questa musica senza nemmeno sentirla, ma questo disco è valido e va ascoltato. Per farvi un’idea il singolo Down rende bene cosa faccia questo gruppo, provate a non cantarne a squarciagola il ritornello…

Tracklist:
01 – Cheap Love
02 – Therapy
03 – All the Things
04 – Never Stop
05 – Friendz
06 – Look What You Made Us Do
07 – True (feat. Trevor Wentworth)
08 – Cure
09 – Famous
10 – B.I.C.
11 – Down

Line-up
Dixi Wu – vocals
Nico Sallach – vocals
Danny Güldener – guitars
Marc Dobruk – guitars
Stanislaw Czywil – bass
Simon Yildirim – drums

TO THE RATS AND WOLVES – Facebook

Crystal Lake – Helix

In questo disco ci sono in dosi fortissime, potenza, melodia, qualche stiloso accenno di rap e tanto metal moderno.

Definire metalcore i giapponesi Crystal Lake è alquanto riduttivo, anche se il genere di partenza è quello, però la potenza che sprigionano questi giapponesi è assai notevole.

Nati nell’ormai lontano 2002, provenienti dalla fertile scena punk hardcore di Tokyo, i Crystal Lake non hanno nemmeno quasi il tempo di rilasciare il loro demo Freewill che vengono subito contattati per un concerto in Corea Del Sud, paese che condivide con il Giappone un’immensa passione per i fumetti e il metalcore. Nel 2006 esce il loro primo disco su lunga distanza Dimension, e continuano a suonare molto in giro per l’estremo Oriente. Dopo altri dischi, cambi di formazione e moltissimi concerti pubblicano questo Helix che è il punto più alto della loro carriera. In questo disco ci sono in dosi fortissime, potenza, melodia, qualche stiloso accenno di rap e tanto metal moderno. Ascoltando i Crystal Lake si recupera molto fiducia nel metal dei giorni nostri, cosa che con tanti altri gruppi non è proprio possibile. Il loro suono è una mazzata con spiragli melodici, e quando riescono ad amalgamare i due aspetti si raggiunge un risultato molto vicino all’ottimo. La centralità è riservata alla potenza e alla nitidezza del suono come quello della parola, dato che si distingue ogni nota e ogni verso scritto, e arriva tutto all’ascoltatore. Inoltre Helix è un disco che può essere ascoltato ed apprezzato anche da chi non è più giovane e quindi un ascoltatore medio di metalcore, perché contiene molti elementi che piaceranno a chi ha un po’ di mentalità aperta e amore per il metal moderno. Una delle cose migliori dei Crystal Lake è che da buoni giapponesi creano un suono pieno che funziona anche scenicamente, e infatti dal vivo sono molto apprezzati, sia in patria che all’estero. Come detto prima ci sono anche elementi di hip hop che spuntano qui e là, non dimentichiamoci che il Giappone è un paese dove il nu metal è ancora ben vivo, come nella traccia Outgrow che dimostra che questo gruppo può fare molte cose diverse, e tutte bene. Un notevole disco di metal moderno, da parte di un gruppo assolutamente peculiare.

Tracklist
1. Helix
2. Aeon
3. Agony
4. +81
5. Lost In Forever
6. Outgrow
7. Ritual
8. Hail To The Fire
9. Devilcry
10. Just Confusing
11. Apollo
12. Sanctuary

Line-up
Ryo – Vocals
YD – Guitar
Shinya – Guitar
Bitoku – Bass / Support
Gaku – Drums / Support

CRYSTAL LAKE – Facebook

New Disorder – Mind Pollution

Potente e melodico, questa è la caratteristica principale del nuovo lavoro, che conferma dunque la buona qualità della proposta di un gruppo dalle molte anime unite in un sound moderno e vincente, grazie ad un talento melodico che emerge tra aggressività metal, graffiante alternative rock e pulsioni elettro/industriali, presenti ma mai invadenti.

L’inizio di ogni anno porta sempre molte novità in campo musicale con i nuovi lavori di band storiche e le nuove leve delle quali fanno sicuramente parte i romani New Disorder.

All’indomani dell’uscita del riuscito secondo lavoro che vedeva la band riprendere in mano brani del disco precedente (Straight To Pain, ormai introvabile) con l’aggiunta di due tracce inedite, i New Disorder hanno firmato per la label spagnola Art Gates Records e licenziano Mind Pollution, nuovo album composto da dieci tracce di potente e melodico modern metal.
E’ appunto questa la caratteristica principale del nuovo lavoro, che conferma dunque la buona qualità della proposta di un gruppo dalle molte anime unite in un sound moderno e vincente, grazie ad un talento melodico che emerge tra aggressività metal, graffiante alternative rock e pulsioni elettro/industriali, presenti ma mai invadenti.
Aiutati non poco dal notevole talento del cantante Francesco Lattes, i brani di Mind Pollution alternano quindi un approccio melodico ancora più convincente ad un impatto metallico moderno ed alternative.
Funziona questo lavoro, sorretto da una tecnica che permette ai New Disorder di creare un qualcosa che va al di là di un semplice muro sonoro, sfoggiando raffinate sfumature heavy ricamate in una una serie di brani che trovano nell’opener Riot, nella title track, nel groove di Going Down e nelle melodie di Get Out gli episodi migliori.
Ottimo lavoro e band da seguire con attenzione se si è amanti dell’alternative e del modern metal di un certo spessore.

Tracklist
1.Riot
2.News From Hell
3.Mind Pollution
4.W.T.F.(Spreading Hate)
5.Going Down
6.Room With A View
7.Scars
8.Get out
9.The Beast
10.No Place For Me

Line-up
Francesco Lattes – Vocals
Ivano Adamo – Bass
Lorenzo Farotti – Guitar
Giovanni Graziano – Guitar
Luca Mancini – Drums

NEW DISORDER – Facebook

Childrain – The Silver Ghost

Il gruppo è in definitiva molto interessante e ha ancora ampi margini di miglioramento: questo quarto disco potrebbe essere quello che li impone all’attenzione mondiale, anche se l’attenzione del pubblico dura poco e bisogna agire in fretta.

Portando avanti la fertile tradizione basca, i Childrain sono un gruppo di metal potente e moderno, guidato dai due fratelli Ini e Iker.

Nato nel 2008 a Gasteiz, fin dagli inizi questo gruppo ha saputo coniugare potenza e melodia, usando i canoni del metal moderno, portando una propria sceneggiatura originale. Fra le loro peculiarità c’è quella di riuscire a fare ritornelli che sono degli autentici inni da concerto. I riff di chitarra hanno assorbito molto da molti generi differenti come il metalcore, il groove metal e anche cose più southern, non sbilanciandosi mai, ricercando sempre una sintesi originale. I Childrain sono un gruppo da ascrivere a quella corrente di giovani metallari che partendo dal passato prossimo riescono a portare il suono pesante in uno dei futuri possibili. Tutto ciò grazie ad una struttura sonora ben composta che porta l’ascoltatore a provare diverse emozioni. I Childrain hanno ben presente dove vogliono andare e tutto rientra in un disegno ben preciso. The Silver Ghost è il loro quarto album, il primo con dichiarate aspirazioni internazionali, e ascoltandolo si comprende subito il grande potenziale di questo gruppo basco e la sua capacità di inserirsi nell’agone mondiale. Infatti nel mese di aprile faranno delle date a supporto dei Six Feet Under in Europa, come riconoscimento del loro lavoro e come trampolino per nuove avventure. Il disco è piacevole e ben bilanciato e mostra uno degli sviluppi possibili del metal moderno, incentrato sulla potenza e su richiami al passato. Il gruppo è in definitiva molto interessante e ha ancora ampi margini di miglioramento: questo quarto disco potrebbe essere quello che li impone all’attenzione mondiale, anche se l’attenzione del pubblico dura poco e bisogna agire in fretta.

Tracklist
1. Wake The Ghost
2. Saviors of the Earth
3. The Valley of Hope
4. Saturnia
5. The Silver Walker
6. Interstellar
7. Eon
8. Ten Thousand Moons
9. Omega

CHILDRAIN – Facebook

The Royal – Deathwatch

Talento e consapevolezza nei propri mezzi, ma anche una grande conoscenza di ciò che possa far saltare il pubblico ad un concerto, questi sono tutti elementi che depongono a favore dei The Royal, per uno degli album metalcore migliori del 2019.

I tanti che affermano che il metalcore è un metal depotenziato e per ragazzini dovrebbero ascoltare questo ultimo lavoro degli olandesi The Royal, un concentrato di mazzate spaccaossa.

Giunti con Deathwatch al loro secondo disco, i nostri ne hanno fatta di strada dall’uscita del debutto Seven, che li ha portati in giro per il mondo e, specialmente, per quattro settimane fra Cina e Giappone. Deathwatch è quanto di meglio possa offrire la scena metalcore attuale, è un lavoro molto potente, versatile e curatissimo in tutti i suoi aspetti. Il suono dei The Royal parte dal metalcore per poi generare un groove davvero importante e che è devastante in sede live. Rispetto al precedente e già buono Seven, qui il suono acquista maggiore potenza ed uno scorrevolezza maggiore. Nel loro magma sonoro le chitarre sono molto precise e taglienti, il basso supporta in maniera puntuale una batteria devastante, e gli inserti di tastiere sono molto originali e arricchiscono notevolmente il tutto. Il nuovo lavoro è inoltre molto più oscuro del precedente, scandagliando in maniera più approfondita l’animo umano, e il buio arriva subito. Inoltre si sente distintamente che questi ragazzi provengono dall’underground e sono abituati alla logica del do it yourself, e tutto ciò è una spinta notevole al miglioramento. L’energia sprigionata in questo disco è notevole e non lascia spazio a fraintendimenti. I The Royal sono qui per dominare la scena e con dischi come questo ci riusciranno sicuramente. Rispetto alla media degli altri dischi metalcore questo è un massacro dall’inizio alla fine, e le parti più melodiche sono ancora più inquietanti di quelle più veloci. Talento e consapevolezza nei propri mezzi, ma anche una grande conoscenza di ciò che possa far saltare il pubblico ad un concerto, questi sono tutti elementi che depongono a favore dei The Royal, per uno degli album metalcore migliori del 2019.

Tracklist
1. Pariah
2. Savages
3. State of Dominance
4. Soul Sleeper
5. Deathwatch (feat. Ryo Kinoshita)
6. Exodus Black
7. Nine for Hell
8. Lone Wolf
9. Avalon
10. Glitch

Line-up
Sem Pisarahu – Vocals
JD Liefting – Guitars
Pim Wesselink – Guitars
Youri Keulers – Bass
Tom van Ekerschot – Drums

THE ROYAL – Facebook

Owl Company – Iris

Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.

Il Brasile metallico ha quasi sempre parlato la lingua del metal classico e di quello estremo, partendo da due punti fermi come Sepultura e Angra, le band che hanno portato alla ribalta più di altre il metal nato nella terra del samba e del calcio.

Gli Owl Company, invece propongono un alternative rock dai molti spunti metallici, ma legato a doppia mandata con il sound americano arrivato dopo l’enorme successo del rock di Seattle negli anni novanta e chiamato appunto post grunge.
Dei Creed più metallici o, se preferite, dei Nickelback meno commerciali e più rispettosi della tradizione settantiana, ipervitaminizzati da anni di alternative metal, gli Owl Company non deluderanno i fans del genere con questo loro secondo album intitolato Iris, licenziato dalla Eclipse Records dopo il debutto autoprodotto intitolato Horizon uscito lo scorso anno.
Niente di originale dunque, solo del buon rock alternativo, orfano di MTV, ma pur sempre nei cuori dei rockers della generazione a cavallo dei due millenni, ora leggermente in ombra rispetto alle desertiche sonorità stoner.
Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.
Boogie Man, Antagonist, Broken Paradigm e Shades sono i brani che spingono l’album verso un giudizio più che buono, se il rock alternativo statunitense fa parte dei vostri abituali ascolti Iris potrebbe essere una piacevole sorpresa.

Tracklist
1.One Last Time
2.Boogie Man
3.Rise
4.Antagonist
5.Shattered Dreams
6.Daw of days
7.Broken Paradigm
8.Disconnected
9.Forbidden Ground
10.The Other Side
11.Shades
12.Doors

Line-up
Enrico Minelli – Vocals
Felipe Ruiz – Guitars
Bruno Solera – Guitars
Fabio Yamamoto – Bass
Thiago Biasoli – Drums

OWL COMPANY – Facebook

Porn – The Darkest Of Human Desires Act II

Goth, electro, ebm, un pizzico di doom e tanto industrial sono la formula vincente di un discorso musicale che sta evolvendo disco dopo disco, in maniera coerente e prepotente.

Ritornano i Porn con il secondo disco sulla trilogia imperniata sulla misteriosa storia del cantante Mr. Strangler, dopo The Ogre Inside – Act I del 2017.

I Porn sono uno dei gruppi più interessanti e validi dell’industrial metal mondiale, scena che non sempre brilla per originalità. I francesi compongono le loro canzoni con un ampio ventaglio di scelte. Molto presente è anche l’elemento gotico, anzi in certi passaggi, specialmente in questo ultimo lavoro, sono quasi doom. Non hanno fretta i Porn, lo squartamento della nostra anima e del nostro corpo avviene pezzo per pezzo, attraverso una lenta e certosina agonia. Il loro suono è molto peculiare, parte dai capisaldi del genere, ma non diventa mai derivativo o imitativo, proponendo invece una via personale che è molto convincente. Molto forte e potente è la presenza dell’elettronica, elemento che porta ancora più in profondità il loro suono. L’eccellente produzione fa rendere al meglio queste note, che essendo così nitide fanno ancora più male. Il disco verte sul male che ci fa la società nella quale viviamo, la continua frattura fra ciò che siamo e ciò che dobbiamo essere per sopravvivere. Non è facile essere frammentati in tante piccole parti, senza mai riuscire a cogliere il nostro insieme. Le fratture provocano danni e violenza, contro noi stessi o contro altri e i Porn descrivono molto bene tutto ciò. Goth, electro, ebm, un pizzico di doom e tanto industrial sono la formula vincente di un discorso musicale che sta evolvendo disco dopo disco, in maniera coerente e prepotente. The Darkest Of Human Desires Act II è inoltre dedicato ai nostri impulsi bestiali, ed infatti possiamo sentire dentro il disco le voci e le gesta di assassini seriali come Richard Ramirez , Ed Kemper, Charles Manson, Richard Schaeffer e Jeffrey Dahmer, che hanno ispirato molta musica.

Tracklist
1. Choose Your Last Words
2. Evil 6 Evil
3. Here For Love
4. Tonight, Forever Bound
5. Remorse For What
6. My Rotten Realm
7. Eternally In Me
8. The Radiance Of All That Shines
9. Abstinent Killer
10. The Last Of A Million

Line-up
Mr Strangler – Vocals, drums programming, synth
The One – Synth, guitar
The Priest – Bass
Zinzin Stiopa -Guitar

PORN – Facebook

Aenimus – Dreamcatcher

Il lavoro denota fin da subito il defilarsi da parte del gruppo dai soliti cliché del genere, in favore di un approccio estremamente violento, progressivo e solo in parte mitigato da splendide aperture melodiche.

Il progressive metal moderno dai rimandi core e djent è un genere davvero difficile, sia da suonare che da valutare.

Un tipo di musica che porta l’ascoltatore a dividersi tra grandi delusioni, spesso derivanti dal troppo tecnicismo fine a sé stesso, a lavori di spessore in cui la tecnica abbinata ad un songwriting elevato trasforma il tutto in ottimi e trascinanti prodotti metallici.
Gli Aenimus, in uscita con questo lavoro licenziato non a caso dalla Nuclear Blast, raggiungono il traguardo del secondo full length, a distanza di sei anni dal debutto Transcend Reality, album che denotava ancora una poco delineata personalità esplosa del tutto in questo Dreamcatcher, opera composta da undici tracce ispirate ai classici dell’horror e dal sound sorprendente per chi segue le vicende artistiche del metal moderno e progressivo.
Il lavoro denota fin da subito il defilarsi da parte del gruppo dai soliti cliché del genere, in favore di un approccio estremamente violento, progressivo e solo in parte mitigato da splendide aperture melodiche.
Il resto è un susseguirsi di rincorse su e giù per lo spartito, favorite da una tecnica di livello altisonante al servizio di un sound che non lascia spazio a facili e noiose considerazioni sulla mera abilità dei protagonisti, ma che sa come arrivare al cuore ed alla testa dell’ascoltatore con brani entusiasmanti come Eternal, The Ritual, la spettacolare dimostrazione di progressive death/djent Between Iron And Silver e alla devastante The Overloock.
Da menzionare, oltre alla tecnica assolutamente sopra la media dei musicisti, la prova del vocalist Alex Green, un terribile e temibile animale al microfono ed uno dei punti di forza di questo combo che, con i Thy Art Is Murder, sono senza ombra di dubbio tra i massimi esponenti del genere.

Tracklist
1. Before the Eons
2. Eternal
3. The Ritual
4. My Becoming
5. The Dark Triad
6. Between Iron and Silver
7. The Overlook
8. Caretaker
9. Second Sight
10. Day Zero
11. Dreamcatcher

Line-up
Alex Green – Vocals
Sean Swafford – Guitar, backing vocals
Seth Stone – Bass, backing vocals
Cody Pulliam – Drums
Jordan Rush – Guitar

AENIMUS – Facebook

From Sorrow To Serenity – Reclaim

Prendete dei Meshuggah più giovani e meno eterodossi, mischiateli ai migliori gruppi metalcore math djent e otterrete qualcosa di vicino a ciò che si può sentire in Reclaim.

La proposta sonora degli scozzesi From Sorrow To Serenity è molto composta e stratificata, poiché include molte cose diverse al suo interno.

Reclaim è il loro nuovo album e suona molto bene, e può diventare un nuovo classico per il metal moderno. Questi scozzesi riescono a partire dal metalcore unito al math per esplorare molti mondi. Come paragone prendete dei Meshuggah più giovani e meno eterodossi, mischiateli ai migliori gruppi metalcore math djent e otterrete qualcosa di vicino a ciò che si può sentire in Reclaim. La narrazione sonora di questo disco è un filo musicale che parte dalla prima nota della prima canzone e si dipana per tutto il disco, senza mai un calo di tensione, in un’opera che ci invita a guardare dentro e fuori di noi. Un disco così rimane di difficile classificazione, ma è un bene perché le opere fuori dagli schemi sono rare di questi tempi. Si capisce che questi musicisti hanno fatto ottimi e ben differenziati ascolti, perché i riferimenti ci sono e sono tanti e molto solidi, portando alla formulazione di una proposta molto originale. Ad esempio in qualche passaggio spuntano riff che possono assomigliare a qualcosa dei Raging Speedhorn (mai gruppo fu più sottovalutato), e poi nel passaggio successivo si passa a cose più metalcore e math. La cosa più importante è che la loro cifra stilistica è assolutamente originale e non c’è nulla di derivativo. L’universo sonoro che dipingono i From Sorrow To Serenity è variegato è spazia da chitarre bombate a batterie che scavano gallerie verso mondi sotterranei dominati da imponenti giri di basso, con la voce del nuovo cantante Gaz King, ex Nexilva, che si adatta molto bene a tutti i registri. Le visioni sono potenti e la produzione è davvero eccellente nel supportarle: il disco è stato registrato nel loro studio sotto il controllo della consolle da parte del loro chitarrista Steven Jones, che milita anche nei Bleed From Within. La masterizzazione è stata eseguita da Ermin Hamidovic, Architects, Periphery, Bury Tomorrow a Melbourne in Australia. Un disco potente, molto moderno, metal fino al midollo e che fa muovere i nostri neuroni in vortici molto veloci.

Tracklist
1.Denounce
2.We Are Liberty
3.Reclaim
4.Alight
5.Perpetrator
6.Solitude
7.Unity Asunder
8.Inside A Soul
9.Supremacy
10.7
11.Resurgence

Line-up
Gaz King – Vocals –
Steven Jones – Guitars –
Andrew Simpson – Bass –
Ian Baird – Drums –

FROM SORROW TO SERENITY – Facebook

Any Given Day – Overpower

Le soluzioni sonore degli Any Given Day possono piacere a molti palati differenti, sia a chi apprezza il metalcore tout court, ma anche chi vuole anche maggiore durezza vicina alla melodia.

I tedeschi Any Given Day sono una delle incarnazioni più moderne e di successo del metalcore europeo che guarda con attenzione agli Usa.

Nati nel 2012, si sono fatti notare con il loro disco di debutto del 2014 My Longest Way Home che raggiunse la ventottesima posizione delle classifiche tedesche. Il loro suono unisce in maniera molto precisa melodia e cattiveria, con chitarre in stile metalcore, la voce si alterna in parti più vicine al growl e momenti melodici in momenti più dilatati. Il risultato è un qualcosa di molto moderno, ben composto ed eseguito senza errori, con tutti i crismi di una produzione davvero buona. Certamente il discorso commerciale è molto importante in questo frangente ma non è l’unico che abbia importanza per gli Any Given Day. Questi ultimi sanno molto bene cosa proporre al loro pubblico e Overpower è il secondo disco ma è già quello della maturità, lo si sente in maniera distinta e decisa. Fra i gruppi più moderni della scena metalcore i ragazzi di Geselnkirchen si stanno ritagliando uno spazio molto importante, sottolineando come la Germania stia conquistando uno spazio consistente in questo sottogenere del metal. Overpower è un disco che racchiude molte cose in sé, e non è consigliato per forza ad un pubblico giovanile come spesso accade per lavori di questo tipo. Le soluzioni sonore degli Any Given Day possono piacere a molti palati differenti, sia a chi apprezza il metalcore tout court, ma anche chi vuole anche maggiore durezza vicina alla melodia. I riferimenti a tante leggende metal ci sono,e i nostri non sono interpreti dediti esclusivamente al loro genere, perché non disdegnano sortite in situazioni differenti. In sostanza un album di notevole metalcore moderno.

Tracklist
01. Start Over
02. Loveless
03. Savior
04. Taking Over Me
05. Lonewolf
06. Devil Inside
07. Sure To Fail
08. In Deafening Silence
09. Whatever It Takes
10. Fear
11. Never Surrender

Line-up
Dennis Diehl – vocals –
Andy Posdziech – guitars –
Dennis Ter Schmitten – guitars –
Michael Golinski – bass –
Raphael Altmann – drums –

ANY GIVEN DAY – Facebook

Zebrahead – Brain Invaders

Un album molto piacevole, uno dei migliori episodi della discografia di un gruppo dato per morto tante volte ma che spinge sempre.

Certe cose non cambiano mai, metti l’ultimo disco dei Zebrahead e non riesci a stare fermo, e ciò succede dal 1995 quando furono fondati in California nella Orange County. Con questo fanno tredici dischi e non si vede il motivo per smettere, anzi.

La loro mistura di pop punk, un nu metal leggero ed hardcore melodico continua a far divertire molte persone in giro per il globo, ora come venti anni fa. Il segreto dei Zebrahead è fare musica veloce e da cantare a squarciagola, prendendo la velocità dell’hardcore melodico, la melodicità del pop punk e passaggi di numetal e rapcore che permettono di fare un suono originale. Brain Invaders è la conferma che la formula è vincente, anche perché questa opera è decisamente la migliore dell’ultimo periodo della loro discografia, se non addirittura sul podio. Questo è un suono decisamente americano, in apparenza facile, ma invece racconta cose non semplici da dire, come il gran bel messaggio del singolo All My Friends Are Nobodies, ovvero stare vicino a chi vuoi bene anche se non sei tu stesso in un bel periodo, inoltre il singolo è una bellissima traccia che racchiude tutto ciò che sono i Zebrahead: velocità, messaggio e divertimento. Questo gruppo è pressoché indistruttibile, ha avuto vari cambi di formazione, ha pubblicato con major per arrivarsi ad autoprodursi come ora. Inoltre sono uno dei gruppi rock metal fra i più amati dai giapponesi, infatti il disco uscirà prima in Giappone che nel resto del mondo, dato che da quelle parti hanno sempre avuto buon gusto per il rapcore ed affini. Alcuni diranno che è il segno dei tempi, invece la normalità è ora, mentre venti anni fa era una bolla di pazza megalomania che doveva scoppiare ed è scoppiata. Ora gli Zebrahead hanno il controllo totale ed i risultati sono eccellenti, come testimonia questo disco che non è assolutamente fuori tempo massimo e, anzi, dimostra che certi suoni se fatti con passione e cura sono molto attuali. I riempitivi in questo lavoro sono al massimo uno o due, il resto sono tutti potenziali singoli, con una manciata di episodi che valgono l’intero disco. Chi era già in giro venti anni fa potrà riscoprire fragranze e suoni che sembravano essere andati persi, invece per i più giovani sarà una scoperta non da poco. I Zebrahead sono in gran forma e il tutto viene messo in risalto da una produzione davvero potente, che confeziona un suono fresco ed immediato. Un album molto piacevole, uno dei migliori episodi della discografia di un gruppo dato per morto tante volte ma che spinge sempre.

Tracklist
1. When Both Sides Suck, We’re All Winners
2. I Won’t Let You Down
3. All My Friends are Nobodies
4. We’re Not Alright
5. You Don’t Know Anything About Me
6. Chasing the Sun
7. Party on the Dancefloor
8. Do Your Worst
9. All Die Young
10. Up in Smoke
11. Ichi, Ni, San, Shi
12. Take A Deep Breath (And Go Fuck Yourself)
13. Better Living Through Chemistry
14. Bullet on the Brain

Line-up
Ali Tabatabaee – vocals
Dan Palmer -guitar
Ben Osmundson -bass
Ed Udhus – drums/beer
Matty Lewis – vocals/guitar

ZEBRAHEAD – Facebook

Kadinja – Super 90′

Chi predilige il genere troverà Super 90′ un album irrinunciabile, ma chi vuole ancora emozionarsi con la musica estrema rivolga il suo sguardo ed il suo udito altrove.

La musica progressiva negli ultimi anni si è evoluta ed ha scovato altri sbocchi per emozionare l’ascoltatore come nel passato, trovando terreno fertile nel metal, soprattutto in quello estremo.

La scena nordica in primis sta andando oltre le più rosee aspettative, con una fucina di artisti sopra la media sia a livello strumentale che nella creazione di musica coinvolgente.
Il discorso è opposto per la scena djent core, colma di gruppi tecnicamente ineccepibili ma purtroppo poveri di contenuti e dalle emozioni difficilmente reperibili in opere ad uso e consumo di addetti ai lavori o di chi si bea della tecnica fine a sé stessa.
Album come Super 90′, dei francesi Kadinja, ne abbiamo sentito tanti, tutti prodotti in maniera impeccabile e impreziositi da una tecnica strumentale superiore, tutti che come rettili si avvolgono su sé stessi fino a mordersi la coda con intricate e pesantissime parti ritmiche solo in parte addolcite da momenti post rock con tanto di clean vocals.
Tra technical core, modern metal, djent e post rock, di progressivo su questo lavoro c’è davvero poco, travolto da una tempesta di note e di ritmiche sincopate in una matassa difficile da sbrogliare.
Chi predilige il genere troverà Super 90′ un album irrinunciabile, ma chi vuole ancora emozionarsi con la musica estrema rivolga il suo sguardo ed il suo udito altrove.

Tracklist
1. Empire
2. From The Inside
3. The Modern Rage
4. Icon
5. The Right Escape
6. Véronique
7. Episteme
8. Strive
9. Muted Rain
10. House Of Cards
11. Avec tout mon Amour

Line-up
Philippe Charny – Vocals
Pierre Danel – Guitars
Quentin Godet – Guitars
Steve Treguier – Bass
Morgan Berthet – Drums

KADINJA – Facebook

Hauméa – Unborn

La voce, il suono, l’essere portati lontani, una musica coinvolgente, veloce e dura, il metal nel suo lato più melodico e la speranza di essere salvati. Un debutto di sole quattro canzoni ma gigantesco.

L’underground metal è un mondo bellissimo, nel quale le sorprese stanno dove meno te lo aspetti e in cui si possono trovare dischi come questo ep di debutto dei normanni Hauméa, una piccola meraviglia di metal melodico.

In questi quattro brani che compongono il primo atto discografico di questo gruppo nato nel 2018, sono concentrati molte delle cose che rendono piacevole un disco di metal melodico. Melodia per l’appunto, belle aperture e la sensazione di trovarsi di fronte ad una band mai banale e di talento. Non c’è una netta appartenenza ad un genere, quanto piuttosto la volontà di fare musica ben fatta e piacevole, con molta melodia che si lega alla durezza di un metal che è qualcosa in più di un hard rock. Colpisce la grande maturità di un gruppo formatosi da poco, ma le canzoni di Unborn sono una testimonianza di talento e versatilità. Il pathos è molto alto, le canzoni sono costruite in maniera da rimanere impresse nella testa degli ascoltatori, non sono musiche per un ritornello o per un motivo musicale, ma sono composizioni che vanno ascoltate e degustate nella loro interezza. La direzione è dettata dalle emozioni e da una costruzione che risente molto del gusto grunge, quell’andare su e giù con chitarroni distorti, rendendo bene il gusto di un certo gotico moderno che è qualcosa ci difficile da maneggiare, ma qui è nelle mani giuste. Gli Hauméa sono un gruppo che già al primo colpo ha una fisionomia ed un suono assolutamente precisi e personali, basta ascoltare il primo minuto dell’iniziale Unborn che già si è dipendenti ed assuefatti senza speranza. La voce, il suono, l’essere portati lontani, una musica coinvolgente, veloce e dura, il metal nel suo lato più melodico e la speranza di essere salvati. Un debutto di sole quattro canzoni ma gigantesco.

Tracklist
1.Unborn
2.Not Usual
3.Dad Is Fool
4.Here I am

HAUMEA – Facebook

Cemment – Resurrection From Carnage

La band dall’attitudine death/grind (i brani per tre quarti superano di poco il minuto di durata) ci aggredisce con il suo industrial thrash/death metal, diretto, sporco e selvaggio non concede tregua e richiama alla mente gli svizzeri Swamp Terrorists death/thrash.

La nostrana Agoge Records allunga i suoi artigli fino alla terra del Sol Levante, dalla quale provengono i Cemment.

La band nipponica, dal sound che appare una miscela esplosiva di industrial metal e death/thrash, è attiva dalla metà degli anni novanta, quando mosse i primi passi in quel di Tokio.
Un paio di demo e poi tre full lengtth completarono la discografia della band, usciti tra il 1995 ed il 2000 (Lost Humanity, Donor e Cemment) prima del lungo silenzio e dal ritorno con un singolo di ormai cinque anni fa.
Attualmente la band risulta un duo (Ave alla voce e Taichi alle chitarre) e si ripresenta sul mercato con questo Resurrection From Carnage, ep composto da quattro brani per soli sette minuti di musica.
La band, dall’attitudine death/grind (i brani per tre quarti superano di poco il minuto di durata), ci aggredisce con il suo industrial thrash/death metal, diretto, sporco e selvaggio, che non concede tregua e richiama alla mente gli svizzeri Swamp Terrorists.
Vedremo se questa collaborazione tra la band e la label italiana porterà buone nuove, nel frattempo date un ascolto a questi quattro brani che potrebbero rivelarsi una bella sorpresa.

Tracklist
1.Aztec Warrior
2.Screw Ship
3.Death Whistle
4.Suffer

Line-up
Ave – Vocals
Taichi – Guitars

CEMMENT – Facebook

Not Yet Fallen – Homebound ep

Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico.

Energia positiva, passione e melodia per la nuova fatica in formato ep dei padovani Not Yet Fallen.

I ragazzi hanno distillato il meglio dai loro ascolti e hanno tratto il meglio dal metalcore e dall’hardcore per farne una miscela originale e che funziona bene. I Not Yet Fallen sono in giro dal 2008 e sono uno dei gruppi migliori che abbiamo in Italia. Nel mare magnum del metalcore con inclinazioni hardcore ci sono miriadi di dischi anche piacevoli, alcuni notevoli, ma se volete risparmiarvi ascolti inutili puntate dritto su Homebound ep perché vi lascerà di sicuro soddisfatti. La produzione è molto accurata e fa rendere il tutto al meglio, poi il gruppo ci mette del suo con questo suono molto caldo, melodico al punto giusto che fa sembrare che i Not Yet Fallen siano proprio quello che volevate ascoltare. Melodie, cori da dito puntato in alto, voli giù dal palco, musica suonata da appassionati per altri appassionati, perché da questo non si ricava la sussistenza ma tante emozioni, voglia di sudare sotto il peso dei decibel, e quella solidarietà ed amicizia che i n altri generi se la sognano di notte. Per esempio la canzone Survivalist è una manifestazione di ciò che sanno fare questi ragazzi, ma Homebound è alla fine una canzone unica, un corpus musicale da ascoltare tutto assieme, perché è uno sguardo composto da tanti battiti di ciglia. Spesso si ha bisogno di essere avvolti da un certo tipo di musica che provochi in noi determinate emozioni, e questo è proprio il posto giusto. Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico. Il formato ep è sicuramente giusto, però il giramento di coglioni quando termina il disco è elevato, un po’ come lo svegliarsi da un bel sogno. Bel disco, senza se e senza ma, uno di quei rari momenti di allineamento totale fra il metalcore, te stesso e l’universo circostante.

Tracklist
1.Lone Walker (Foreword)
2.The Lesser Evil (With Regard To Anxiety)
3.Survivalist (About A Wreck)
4.Countless Steps (Concerning Change)
5.A Catharsis pt. I (Detachment)
6.A Catharsis pt. II (The Comeback Chronicles)

Line-up
Francesco – vocals
Luigi – guitar
Emmanuel – guitar
Andrea – bass
Davide – drums

NOT YET FALLEN – Facebook

Breathe Atlantis – Soulmade

I Breathe Atlantis giocano in un campionato che solo fino a qualche anno fa non esisteva, questo tipo di alternative è un’invenzione recente e merita di essere ascoltata ed analizzata.

Lavoro di metal moderno super melodico per i Breathe Atlantis, uno dei gruppi di punta del nuovo alternative metal molto contiguo al rock.

Il suono di questi tedeschi di Essen è la summa di ciò che ha più successo nelle frange più giovani degli ascoltatori, non fra quelli italiani. Fuori dai nostri confini i giovani sanno andare oltre la trap ed il rap, e soprattutto nel nordeuropa stanno venendo fuori gruppi che sanno coniugare molto bene la modernità con la melodia. I Breathe Atlantis hanno davvero poco o nulla di metal, il loro suono è qualcosa di vicino all’alternative rock post hardcore, con una forte spruzzata di rock. Molte canzoni sono scritte come se scorressero nell’alveo metalcore, ma in realtà sono molto più morbide. Nel loro ambito i Breathe Atlantis sono molto bravi e colgono sicuramente nel segno, dato che hanno un bel tiro e sanno dove andare. Infatti una delle cose più encomiabili della band è che è concentrata su un suono ben preciso, senza disperdere energie in mille rivoli. Il gruppo conosce bene le proprie possibilità, sa ciò che può dare e prova a migliorarsi in quella direzione, raggiungendo buoni risultati. Infatti il pubblico ha dato loro ragione, dato che hanno molti seguaci appassionati e in costante aumento. Agli ascoltatori più maturi non potrà sfuggire la ricerca musicale molto vicina ad alcune delle cose hard rock fine anni novanta, anche se qui tutto è molto moderno. Questa musica può essere fraintesa da chi ha più di venti primavere sulle spalle, e non si può davvero parlare di purezza o di imitazione, perché qui come altrove il codice musicale è qualcosa di nuovo per i quarantenni. I Breathe Atlantis giocano in un campionato che solo fino a qualche anno fa non esisteva, questo tipo di alternative è un’invenzione recente e merita di essere ascoltata ed analizzata. Può piacere come no, ma è un qualcosa di ben presente e vivo, ha molti elementi positivi e non può essere giudicato tramite vecchi e superati parametri. Nel loro campo i Breathe Atlantis sono fra i migliori e puntano apertamente a provarlo.

Tracklist
1. My Supernova
2. Cold
3. Don’t Need You Now
4. Fall
5. Spirit
6. I Think It Isn’t Fair
7. Soulmade
8. Savage
9. At Night
10. Addiction To The Worst
11. Everyone Else

Line-up
Nico Schiesewitz – Vocals
Joschka Basteck – Guitars
Jan Euler – Bass
Markus Harazim – Drums

BREATHE ATLANTIS – Facebook