Science of Disorder – Private Hell

Con un lavoro che non manca di offrire spunti interessanti agli amanti del metal estremo, i Science Of Disorder si conquistano l’apprezzamento di MetalEyes che vi invita all’ascolto di questa raccolta di brani, specialmente se siete fans di Nevermore, Entombed e Gojira.

A sette anni di distanza dal primo lavoro tornano gli Science Of Disorder, band estrema proveniente dalla vicina Svizzera.

Il quintetto propone un death metal moderno, che si crogiola tra ispirazioni classiche e attitudine metalcore, sprigionando una carica ed una potenza invidiabile.
Il gruppo, oltre ad un impatto devastante, non risparmia tecnica da vendere ed un’attitudine progressiva che lo avvicina non poco al sound dei Nevermore, band che risulta la sua massima ispirazione (Kingdom Comes).
Riassumendo, gli Science Of Disorder si sfamano con abbondanti pietanze a base di death metal, metalcore e power/thrash statunitense, tragico e drammatico quanto basta per donare interpretazioni sentite ed evocative su muri di metallo, dove il singer Jérome T, si avvicina non poco al piglio dell’icona Warrel Dane, singer che ha fatto il vuoto per quanto riguarda il genere.
Ovviamente la band elvetica ha un suo approccio al metal personale e moderno quel tanto che basta per trovare una sua strada, risultando un ottimo ibrido tra sonorità tradizionali e modern metal.
Private Hell non risparmia momenti di metal estremo drammatico e a suo modo teatrale, con una serie di brani convincenti come Lava Girl, il death/hardcore di Choke (che ricorda gli Entombed di Wolverine Blues), il muro death di Half A Life e le mitragliate metalcore di Mine.
Con un lavoro che non manca di offrire spunti interessanti agli amanti del metal estremo, i Science Of Disorder si conquistano l’apprezzamento di MetalEyes che vi invita all’ascolto di questa raccolta di brani, specialmente se siete fans di Nevermore, Entombed e Gojira.

Tracklist
1.Carrions
2.Kingdom Comes
3.Lava Girl
4.Patient 18
5.Choke
6.Light Bearer
7.Half a Life
8.Sickness
9.Mine
10.Private Hell
11.Carrions (Piano version)

Line-up
Jérome T. – Vocals
Steph – Guitar
Lord Pelthor – Guitar
Terry Pinehard – Bass session
Baptiste Maier – Drums

SCIENCE OF DISORDER – Facebook

Loathe/Holding Absence – This Is As One

Split album per due band britanniche molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.

Due notevoli realtà britanniche uniscono le forze in questo split intitolato This Is As One, edito dalla Sharptone Records: gli inglesi Loathe, dei quali vi abbiamo parlato all’uscita del bellissimo full length The Cold Sun, licenziato lo scorso anno, ed i gallesi Holding Absence.

Due brani per ognuno dei gruppi, alle prese con un heavy moderno e sperimentale dalle reminiscenze djent per i Loathe, e con un post hardcore melodico gli Holding Absence.
Come sull’album, il gruppo del bravissimo singer Kadeem France spara bordate di metal moderno, caricato a pallettoni metalcore ma originale nel saper cambiare atmosfera in un nanosecondo: teatrale, e per certi versi progressivo, il sound di questi due nuovi brani conferma i Loathe come un’entità a sé stante nel panorama metallico moderno, con White Hot e Servant And Master che accrescono le aspettative per un nuovo album.
Il sound degli Holding Absence è molto più lineare e meno originale di quello dei loro colleghi: la band gallese ha un approccio melodico e radiofonico, ciò che serve per cercare la gloria tra i fans di un certo alternative rock più consono alle classifiche e vicino ai 30 Second To Mars.
L’alternanza tra melodie catchy e sfuriate rock sono valorizzate dalla voce del singer Lucas Woodland, con i due brani in programma che, in qualche modo, placano il clima estremo respirato con i Loathe.
Due band molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.

Tracklist
1. Loathe – White Hot
2. Loathe – Servant and Master
3. Holding Absence – Saint Cecilia
4. Holding Absence – Everything

Line-up
Loathe :
Kadeem France
Erik Bickerstaffe
Sean Radcliffe
Connor Sweeney
Feisal El-Khazragi

Holding Absence:
Lucas Woodland – Vocals
Feisal El-Khazragi – Guitars
Giorgio Cantarutti – Guitars
James Joseph – Bass
Ashley Green – Drums

LOATHE – Facebook

HOLDING ABSENCE – Facebook

Not My Master – Disobey

Violenti, paranoici, e pericolosissimi i Not My Master esordiscono con un concentrato di musica pesante e schizzata, che in mezzora costruisce un muro sonoro invalicabile.

Nelle province americane non scherzano, quando si parla di estremizzare la materia metallica.

Sarà il disagio , il caldo soffocante o i morsi dei crotali, ma i Not My Master sono l’esempio di come (in questo caso in Texas) prendano sul serio l’estremismo sonoro, amalgamando in un unico sound sludge, southern e metalcore con tanto di quel disagio da bastare per dieci generazioni.
Violenti, paranoici, e pericolosissimi i Not My Master esordiscono con un concentrato di musica pesante e schizzata, che in mezzora costruisce un muro sonoro invalicabile.
L’opener Acadence è l’inizio di un urlo brutale e rabbioso che si sviluppa su sei brani più la cover di How The Gods Kill di Danzig, uno spaccato della provincia americana tra crocifissi, predicatori e famiglie impegnate nell’omicidio seriale stile Non Aprite Quella Porta, deliri di vite travolte da droghe, alcool e follia.
E Disobey è la perfetta colonna sonora di queste nefandezze e molto altro, un album disturbante già dalla copertina con quattro cadaveri che penzolano da un patibolo, in una foto in bianco e nero che mette i brividi più che centinaia di innocui demoni death/black.
Mixato e masterizzato da Chris Collier (Korn, Prong, Fear Factory), l’album risulta un debutto di tutto rispetto nel panorama sludge metal, quindi cercatelo assolutamente se il genere è nelle vostre corde.

Tracklist
1. Acadence
2. Revenge
3. Where’s God Now
4. Morning Star
5. Lies
6. How The Gods Kill
7. Consume

Line-up
Chris Kidwell – Vocals
Chelo Styes – Guitar
Rudy Barajas – Bass
Charlie Gonzalez – Drums

NOT MY MASTER – Facebook

https://youtu.be/NhOoqKUcRN8

June 1974 – Nemesi

Nemesi risente talvolta delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Se, fino ad oggi, chi ascolta abitualmente metal non ha mai sentito nominare i June 1974 è tutto sommato giustificato, nonostante la marea di lavori pubblicati sotto questo monicker negli ultimi anni.

Il perché è presto spiegato: per la prima volta Federico Romano, il musicista che sta dietro al progetto, ha deciso di approdare in territori a noi più familiari dopo avere esplorato svariate forme musicali; così , con la collaborazione di Tommy Talamanca, che ha registrato il lavoro presso i suoi Nadir Studios, ha chiamato in qualità di ospiti nei diversi brani nomi piuttosto illustri della scena rock e metal, italiana ed internazionale.
Non si può negare, quindi, che alla luce del cast messo assieme da Romano, comprendente, tra gli altri, musicisti come Patrick Mameli , Andy LaRocque, James Murphy, Paul Masdival e lo stesso Talamanca, si finisce per prefigurare un disegno stilistico che alla fine non corrisponde del tutto al vero.
Nemesi è, infatti, un lavoro di stampo progressivo, interamente strumentale e virato più sul rock che sul metal, e non è che questo sia di per sé un male, l’importante è appunto non farsi traviare da idee precostituite; è anche vero, d’altro canto, che a livello di consuntivo i brani che più convincono sono quelli che vedono coinvolti ospiti non di estrazione metal, come Sognando Klimt con Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori) e Home con Francesco Conte (Klimt 1918), oppure specialisti di altri strumenti che non siano la chitarra, come Nothing Man con Jørgen Munkeby (sassofonista degli Shining norvegesi) e Beloved con Francesco Sosto (tastierista dei The Foreshadowing).
Molto bello è anche Narciso, il brano che vede impegnato John Cordoni dei Necromass, con un chitarrismo morbido e melodico, in antitesi con l’appartenenza dell’ospite alla band più estrema tra quelle rappresentate, ma in generale l’album è comunque molto vario e si lascia ascoltare senza che la mancanza di parti vocali presenti più di tanto il conto.
Quello che non convince del tutto, finendo per inficiare parzialmente la resa finale del lavoro, è però l’elemento percussivo che si rivela il più delle volte troppo invadente, se non addirittura fuori luogo, nell’accompagnare uno sviluppo melodico che avrebbe richiesto un approccio più morbido e meno incalzante.
Detto questo, Nemesi, pur non essendo un’opera imprescindibile, contiene diversi motivi di interesse anche se, guardando le forze messe in campo da Federico Romano, potrebbe sembrare a prima vista soprattutto un’occasione perduta; indubbiamente il lavoro risente delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Tracklist:
1.”Sognando Klimt” featuring Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori)
2.”Inoubliable” featuring Tommy Talamanca (Sadist)
3.”Narciso” featuring John Cordoni (Necromass)
4.”Home” featuring Francesco Conte (Klimt 1918)
5.”Panorama” featuring Andy LaRocque (King Diamond)/Tommy Talamanca(Sadist)
6.”Nothing Man” featuring Jørgen Munkeby (Shining/Ihsahn)
7.”Death Note” featuring Patrick Mameli (Pestilence)
8.”Arcadia” featuring Paul Masvidal (Cynic/Death)
9.”Creed” featuring James Murphy (Obituary/Death/Testament/Cancer/Gorguts)
10.”Beloved” featuring Francesco Sosto (The Foreshadowing)

Line-up:
Federico Romano

JUNE 1974 – Facebook

This Isn’t Over – Ora

Come abbiamo spesso affermato su queste pagine, il movimento metalcore (o modern metal qual dir si voglia) è molto affollato, ma bisogna dire che ultimamente in Italia ci sono gruppi come i This Isn’t Over che stanno notevolmente alzando l’asticella della qualità.

I This Isn’t Over sono un gruppo italiano di metalcore, molto potenti e dalle idee ben chiare.

Vengono dalle Marche, hanno due voci e questo è il loro primo ep chiamato Ora, fatto di un buonissimo sound dalle forti influenze hardcore e molto melodico, con passaggi più sognanti e momenti più claustrofobici, in stile molto americano. La produzione è assai curata e riesce a mettere in risalto tutte le doti del gruppo, che sono molte, una su tutte la capacità di costruire canzoni ben articolate e con diversi momenti al loro interno, in modo da rendere più vario ed interessante il tutto. Come abbiamo spesso affermato su queste pagine, il movimento metalcore (o modern metal qual dir si voglia) è molto affollato, ma bisogna dire che ultimamente in Italia ci sono gruppi come i This Isn’t Over che stanno notevolmente alzando l’asticella della qualità. Questo ep è la perfetta testimonianza di come si possa essere melodici e potenti, con capacità tecniche al di fuori della media che vanno però al servizio del progetto nella sua totalità. Certamente qui non viene inventato nulla, gli standard del genere non vengono stravolti, ma vengono affrontati nel migliore dei modi, per un prodotto che funziona molto bene davvero.

Tracklist
1. Mr huge cock von dick
2. Deconstruction
3. Misanthrophrenic
4. Sea
5. Never forget
6. Harmonized

Line-up
Luca Fortuna – Drums
Yuri Fetisov – Guitars
Eros Cartechini – Bass
Luca Ortolani – Voice
Luca Cecchini – Voice

THIS ISN’T OVER – Facebook

Cold Snap – All Our Sins

All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto.

Non solo calcio, pallacanestro e pallanuoto è ciò che arriva dalla Croazia, ma ora anche ottimo groove metal, nella fattispecie quello dei Cold Snap, che escono su Arising Empire dopo aver vinto il concorso indetto dalla stessa etichetta.

I nostri sono peraltro famosi in madrepatria e ascoltando questo loro nuovo disco si può capire facilmente il perché. Il loro suono è un groove metal molto moderno ed incalzante, con elementi di nu metal e decise svolte nel deathcore e anche nel death metal, senza però mai perdere di vista la melodia. Si può benissimo dire che questo gruppo incarni le nuove tendenze del metal al meglio, non annacquandole come fanno molti gruppi. All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto. La forza del disco sta nel buon bilanciamento tra potenza e melodia, la composizione dei pezzi non è mai scontata ma ben strutturata e lo sviluppo delle trame musicali è assai corretta. Il ritmo che ha questo gruppo esce allo scoperto fin da subito, in quanto ha un incedere che basa le sue strutture in vari generi e sottogeneri ben amalgamati fra loro. I Cold Snap hanno vinto il concorso indetto dalla Arising Empire perché hanno chiaramente qualcosa in più rispetto alla maggioranza dei gruppi in giro, e All Our Sins lo dimostra molto bene. Era il momento per un disco come questo, dato che ultimamente tanti gruppi che sono nel giro metalcore/groove metal sono smaccatamente e forzosamente melodici, mentre qui il metal è l’elemento fondante di tutto, la trave portante del suono, che ha anche molti elementi dell’hardcore; infatti il gruppo ha una forte mentalità DIY, che non è andata smarrita neppure entrando nel roster della sussidiaria della Nuclear Blast.

Tracklist
01. Hešto And Pujto
02. Fallen Angels
03. Nothing
04. Demons
05. Crawling
06. Remission
07. 2 4 The System
08. Witness Of Your Sickness
09. No We’re Not Even
10. Pain Parade
11. Hated
12. Distance

Line-up
Jan Kerekeš – Vocals
Dario Sambol – Drums
Zoran Ernoić – Bass
Dario Berg – Vocals, Samples
Dorian Pavlović – Guitar
Zdravko Lovrić – Guitar

COLD SNAP – Facebook

Mercic – Mercic 4

Il avoro si snoda gradevole anche se la strada per raggiungere l’eccellenza ed avvicinare i propri modelli dal punto di vista qualitativo è ancora abbastanza lunga, benché la direzione intrapresa da Carlos sia indubbiamente quella giusta.

Mercic è il nome del progetto solista di questo musicista portoghese, Carlos “Maldito” Sobral, giunto con questo Mercic 4 ovviamente al quarto album in altrettanti anni di attività.

Il genere proposto è un industrial metal fortemente debitore dei Nine Inch Nails (influenza neppure troppo nascosta dal nostro, ad onor del vero) e in quanto tale senz’altro apprezzabile, a tratti anche convincente, ma carente in quanto a personalità.
Premesso che sembrare una discreta copia del totem musicale creato da Mr.Reznor è pur sempre tanta roba, non si può fare a meno di notare che altre realtà afferenti a quell’ambito musicale sono riuscite a raggiungere una cifra stilistica originale e, a proprio modo, in grado di aprire un ulteriore filone (Aborym su tutti).
Detto ciò, anche alla luce dell’operato del tutto all’insegna del DIY da parte del buon Carlos (attivo anche nei Cryptor Morbious Family, dediti sempre a queste sonorità) il quarto capitolo targato Mercic merita la giusta considerazione da parte degli appassionati del genere.
Ovviamente l’industrial dei Mercic è meno inquieto e sperimentale di quanto non lo sia quello dei propri numi tutelari, e tutto sommato il suo essere più diretto giova alla riuscita del lavoro, lasciando giusto qualche perplessità nei passaggi più rarefatti, non sempre esenti da qualche sbavatura esecutiva, anche se bisogna riconoscere che l’uso della chitarra portoghese conferisce al tutto ugualmente un suo fascino particolare.
Tra ottimi brani più melodici come Make Our Mark e notevoli mazzate come They Never Want To Be Less Than Us, il lavoro si snoda gradevole anche se la strada per raggiungere l’eccellenza ed avvicinare i propri modelli dal punto di vista qualitativo è ancora abbastanza lunga, benché la direzione intrapresa da Carlos sia indubbiamente quella giusta.

Tracklist:
1.who the fuck are they to judge us
2.humanimals
3.crumpled paper
4.got to get back where it belongs
5.a lousy thing to forget about
6.14 to 3 = 1
7.big mouth fat star
8.make our mark
9.blurred eyes
10.they never want to be less than us

Line up:
Carlos Maldito

MERCIC – Facebook

Set Before Us – Vitae

I Set Before Us presentano la loro personale proposta di metal moderno dall’alto tasso melodico, ma anche pregno di rabbia sfogata in sfuriate che si rifanno tanto all’alternative metal quanto al moderno death metal.

Sembra che il metalcore si stia evolvendo in qualcosa di meno definito e più aperto ad influenze che vanno dall’alternative rock, al progressive, e ad ispirazioni che si rifanno alla scena new metal al melodic death.

Non sono poche ultimamente le band che, presentate come gruppo di genere, a ben sentire aprono i loro confini ad altri suoni, come è il caso degli svedesi Set Before Us, i quali presentano la loro personale proposta di metal moderno dall’alto tasso melodico, ma anche pregno di rabbia sfogata in sfuriate che si rifanno tanto all’alternative metal quanto al moderno death metal.
Niente che non si conosca, chiariamolo subito: in Vitae le influenze del gruppo proveniente da Stoccolma sono in bella mostra ed assolute protagoniste degli undici brani che compongono l’album, ma presentate con personalità, perfettamente amalgamate tra loro e tenute insieme da una prestazione vocale di altissima qualità, specialmente (e finalmente direi) nella parte in clean, troppe volte usate in modo superficiale e non all’altezza in altre realtà.
La band arriva così al primo lavoro sulla lunga distanza tramite la label statunitense Eclipse Records, dopo due ep licenziati tra il 2014 ed il 2016, confermando la buona qualità della propria musica e la riuscita alternanza tra i generi che compongono il metal moderno.
La bellissima The Eternal Flight ed Everest, per esempio, sono in tutto e per tutto due brani melodic death alla Soilwork, influenza obbligatoria se si suona metal in Scandinavia, mentre tra le prime quattro tracce e le successive ci si imbatte nelle suddette influenze ma con l’ascolto reso vario quel tanto che basta per arrivare a fondo corsa in un batter d’occhio.
Anche i Parkway Drive contribuiscono al bagaglio musicale che ha ispirato buona parte dei brani presenti su Vitae, rimane il fatto che i Set Before Us hanno confezionato un bel regalino per tutti i fans del metal moderno e melodico.

Tracklist
01. Untainted
02. Avalanche
03. Identity
04. Harbor
05. The Eternal Fight
06. Everest
07. Ignite
08. Haven
09. Fountain of Youth
10. Oblivion
11. Charon

Line-up
Niklas Edström – Guitar/Vocals
Erik Tropp – Vocals
Hampus Andersson – Bass
Jesper Nilsson – Guitar
Emanuel Borgefors – Drums

SET BEFORE US – Facebook

Show Aniki – Deep Blue Sessions

Nonostante i problemi di formazione il gruppo di Angers riesce a produrre buona musica e questo ep composto da quattro singoli è un ottimo biglietto da visita, per una band che si inserisce nell’ottima scuola francese del metal alternativo.

Guidati dal dinamico John Rel, i bretoni Show Aniki propongono il loro nuovo ep esclusivamente in digitale, uscito dopo molte vicissitudini dovute a cambi di formazione.

Gli Show Aniki hanno inciso queste canzoni che sarebbero dovuto formare un disco unico, ma il posto vacante alla batteria proprio dopo le prime incisioni ha messo il gruppo francese davanti ad un bel problema, ovviato da una grande idea di John Rel coadiuvato dal grafico Gille Estines : far uscire quattro singoli con quattro copertine differenti. L’idea è subito parsa ottima, tanto da essere poi raccolta nel presente Deep Blue Sessions, secondo ep del gruppo disponibile solo in versione digitale. Il suono è molto fresco e vivace, un metal alternativo melodico e molto ben fatto, nel senso che tutto scorre bene e in maniera piacevole. Gli ascolti dei Show Aniki sono stati ottimi e molteplici, hanno un bel retroterra, e lo sanno valorizzare al meglio con un suono personale e veloce, con la giusta maturità. Nonostante i problemi di formazione il gruppo di Angers riesce a produrre buona musica e questo ep composto da quattro singoli è un ottimo biglietto da visita, per una band che si inserisce nell’ottima scuola francese del metal alternativo. Un gruppo molto melodico e bilanciato che rientra nel novero dei gruppi da seguire assolutamente.

Tracklist
01. Cowboys From Breizh
02. Deep Blue
03. Aniki
04. The Thing

Line-up
John R: Guitars, Vocals
Alx: Bass, Vocals
Celine Le Vu: Drums

SHOW ANIKI – Facebook

Orphan Skin Diseases – Dreamy Reflections

Dreamy Reflections è un viaggio di settanta minuti tra il metal/rock degli ultimi trent’anni, attraversato da un alone di oscuro e drammatico spirito dark e animato da ispirazioni diverse riunite in un sound che, cercando di semplificare, si può certamente descrivere come alternative metal.

Debutta per Logic Il Logic Records e Burning Minds Music Group questo quartetto di rockers nostrani chiamato Orphan Skin Diseases, fondato dal batterista Massimiliano Becagli, con un passato negli storici No Remorse,  raggiunto in seguito da Gabriele Di Caro (ex Sabotage, ex Outlaw al microfono), Juri Costantino (ex Creation al Basso) e David Bongianni (ex Virya, Little CB alla chitarra).

Mixato e masterizzato da Oscar Burato agli Atomic Stuff Studio, Dreamy Reflections, anticipato dal video del brano Flyin’ Soul, è un’opera massiccia, un tour de force di settanta minuti tra il metal/rock degli ultimi trent’anni, attraversato da un alone di oscuro e drammatico spirito dark e animato da ispirazioni diverse riunite in un sound che, cercando di semplificare, si può certamente descrivere come alternative metal.
Settanta minuti sono tanti, ma la band cerca di alternare le varie sfumature della propria musica che vanno dal metal moderno, al thrash, dal progressive all’hard rock, mantenendo un’ aura drammatica che si evince dai testi, impegnati a difesa dei più deboli e argomentati da una serie di denunce politiche e sociali.
Parlando di musica l’approccio al mondo del metal/rock alternativo è molto maturo e personale, e l’anima progressiva si fa spazio in quei brani che evidenziano un crescendo emotivo, sorretti da molte ottime idee che valorizzano la struttura di tracce come The Storm, As A Butterfly Crub, il potente macigno sonoro Sorrow & Chain e la conclusiva Just One More Day, brano diviso in tre parti dove intro e outro a titolo She Was fanno da contorno a Fathered, splendido brano che tanto sa di post grunge.
Dreamy Reflections unisce in un unico sound generi diversi ed ispirazioni che vanno dai Life Of Agony agli Alice In Chains, dai Tool ai Metallica, aggiungendo un personale tocco progressivo che ne valorizza la struttura dei brani e l’ascolto.

Tracklist
01. Into A Sick Mind
02. Flyin’ Soul
03. The Storm
04. Rapriest (Stolen Innocence)
05. Do You Like This?
06. As A Butterfly Grub
07. Awake
08. Leave A Light On
09. Sorrow & Chain
10. The Wall Of Stone
11. Waves
12. Just One More Day – She Was (Intro)
13. Just One More Day – Fatherend
14. Just One More Day – She Was (Outro)

Line-up
Gabriele Di Caro – Vocals
Dimitri Bongianni – Vocals, Backing Vocals
David Bongianni – Guitars, Backing Vocals
Juri Costantino – Bass, Backing Vocals
Massimiliano Becagli – Drums

ORPHAN SKIN DISEASES – Facebook

T-Error Machinez – The War Of Valkyries (Reworked)

L’idea di riprendere in mano il disco solista di Omega X e di rielaborarlo collaborando anche con altri gruppi come Synapsyche, Larva ed Xperiment è stata un’ottima idea che ha portato a fare un disco molto potente, melodico e ben bilanciato.

Tornano i T- Error Machinez, uno dei migliori gruppi italiani di industrial metal ed ebm, con la rielaborazione del disco solista del loro membro Omega X.

La band lo ha ripreso in mano e gli ha dato una nuova veste, collaborando con altri gruppi. Il lavoro è diviso in cinque capitoli che trattano di miti, di demoni e degli archetipi della nostra cultura profonda, per metterci faccia a faccia con quello che siamo veramente. I T- Error Machinez nascono nel 2013 per fare musica oscura e di qualità: il dipanarsi delle loro canzoni denota un’ottima capacità compositiva, e laddove per altri ci sono le nebbie dell’incertezza, il trio ne esce sempre con una melodia chiara e con strumenti pesanti. La loro poetica è quella di esplorare le cose che vediamo e soprattutto quelle che non sono visibili ad occhio nudo, che siano dentro o fuori di noi. La loro musica ha fortissime radici nell’ebm di gruppi come i Suicide Commando, dei quali hanno fatto un bel rifacimento di God Is In The Rain in download libero sul loro bandcamp, hanno elementi di sympho metal e ottime orchestrazioni, per una musica dall’ampio respiro. E’ facile in questo genere cadere in trappole barocche, appesantendo il suono di inutili orpelli, mentre qui tutto è necessario ed adeguato, e sembra di stare per davvero in un passato/futuro mentre è in corso una guerra fra umani. L’idea di riprendere in mano il disco solista di Omega X e di rielaborarlo collaborando anche con altri gruppi come Synapsyche, Larva ed Xperiment è stata un’ottima idea che ha portato a fare un disco molto potente, melodico e ben bilanciato.

Tracklist
1.The Wings Of Icaro
2.The War Of The Valkyries
3.Cultos Asmodeus
4.The Black Sun
5.All Your Nightmares… Are Real!
6.The Tormentum Of The Dark Carnival Creation
7.The End Of Human Time (feat.Synapsyche)
8.Biological Pharmacode
9.Clock Tower
10.Angeles Del Apocalipsis (feat.Larva)
11.The Redemption
12.Infected World
13.Lovers Cursed (feat.Xperimen

Line-up
Omega X: Vocals, lyrics, composer
Alien T-Error: Guitars, composer, backing vocals
T-Error Wolf: Bass, composer, backing vocals

T-ERROR MACHINEZ – Facebook

Flames At Sunrise – Born In Embers

Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Arrivano da Barcellona i Flames At Sunrise, giovane band alternative al debutto con Born In Embers, full length del quale la Wormholedeath cura la promozione.

In questo ambito, oltre a buone canzoni, se hai tra le tue fila un talento al microfono, uomo o donna che sia, parti già con parecchi metri di vantaggio sulla concorrenza e questo è il caso del gruppo catalano, che può vantare le prestazione di Eve Nezer, giovanissima cantante che si produce in una notevole prova tra clean e scream d’impatto.
Il sound dei Flames At Sunrise si posiziona perfettamente tra il rock ed il metal alternativo, dal piglio dark/gothic quando le melodie prendono spazio ed il gruppo lascia alla cantante la scena, spettacolare nei vari cambi di tonalità e molto interpretativa.
Ma i Flames At Sunrise ovviamente non si fermano qui ed il resto della band sale in cattedra nei momenti più metallici dell’album quando scudisciate alternative colmano di umori nu metal brani dal piglio drammatico come Shades Falls Into Oblivion (in quota Disturbed), brano che da solo, se non vi sono bastati i fuochi d’artificio di Ark Flesh e The Myth (Eurodice’s Death), vale l’acquisto di questo ottimo lavoro.
I Flames At Sunrise conquistano: delicatamente dark quando si placa la tempesta, rabbiosi e potentissimi quando le chitarre gridano dolore seguendo le montagne russe su cui sale con una naturalezza disarmante la voce della cantante.
Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Tracklist
1.Ember
2.Dolmer
3.Ark Flesh
4.Dark Ages
5.The Myth (Eurodice’s Death)
6.Never Coming Home II
7.Shades Falls Into Oblivion
8.III faces
9.More Than Fear

Line-up
Eve Nezer – Vocals
Jordi Domìnguez – Guitars
Eric Knight – Guitars
Jose Escobar – Bass
Alvaro Garcia – Drums

FLAMES AT SUNRISE – Facebook

The Body – I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer

Lasciatevi intrigare dalla persuasiva copertina e immergetevi in un calderone ribollente di industrial,noise,doom da parte di una band che non ha eguali.

Il potere persuasivo di una semplice, ma particolare copertina, può incidere molto spesso nella scelta e nell’acquisto di un’opera; è bastato uno sguardo alla cover del sesto full length degli statunitensi The Body per convincermi che si nascondeva qualcosa di intrigante e di inafferrabile nella loro musica.

Attivo dal 2004 il duo, formato da Lee Buford e Chip King, ha sempre definito la propria musica noise e ha intrecciato il proprio percorso artistico con diversi act mutanti del panorama weird e heavy statunitense, con i powernoise grinder Full of Hell o con i blackster Krieg, senza dimenticare quella con i mostruosi Thou; tutto nella costante ricerca di musica stimolante, senza schemi e libera da vincoli commerciali. Anche questa opera, sulla scia del precedente No One Deserves Happiness del 2016 , dove il duo aveva tentato un riuscito approccio più meditato alla materia investendola di una personalissima forma pop, necessita di pazienza per essere ben assimilata, trattandosi di suoni sfuggenti dove momenti di grazia sono disintegrati da muri di noise, vocals dolcissime e suggestive sono inseguite da scream e urla sinistre e agghiaccianti. L’opener The Last Form of Loving presenta misteriose note di violino su uno sfondo noise sfumato che, lentamente, si trasforma in un cuore pulsante, mentre una delicata voce femminile declama intrecciandosi direttamente con il secondo brano, dove il ritmo lentamente cresce creando un atmosfera dal forte sapore cinematografico. I brani sono vari, intrecciando al loro interno sonorità doom, industrial, dub e trip hop e fornendo molteplici chiavi di lettura: il drum beat incessante e marziale di Partly Alive, le mutazioni noise su abissali ritmiche dub e le urla terrorrizzate in The West Has Failed dipingono, ricordando i Dalek, quadri di desolante oscurità. La band non ha assolutamente paura di osare, del resto è stato sempre il suo trademark e raggiunge vertici assoluti in Nothing Stirs, dove l’atmosfera si incupisce ulteriormente creando paesaggi fortemente disperati e claustrofobici. E’ un modo diverso di creare musica estrema ma fortemente appagante, perché sviluppata da menti creative; la mancanza di schemi e la capacità di miscelare ingredienti molto diversi è la chiave vincente ed è necessario realmente un approccio “open minded”per apprezzare queste sonorità.

Tracklist
1. The Last Form of Loving
2. Can Carry No Weight
3. Partly Alive
4. The West Has Failed
5. Nothing Stirs
6. Off Script
7. An Urn
8. Blessed, Alone
9. Sickly Heart of Sand
10. Ten Times a Day, Every Day, a Stranger

Line-up
Lee Buford – Drums
Chip King – Guitars, Vocals

THE BODY – Facebook

Era Of Disgust – Teratogenesi

Venti minuti di squassante metal estremo che si muove crudele tra lo spartito di Teratogenesi.

Teratogenesi è il primo lavoro degli Era Of Disgust, band nata a Torino intorno al 2014, ma solo ora sul mercato con questo ep autoprodotto composto da cinque devastanti brani di deathcore, ma non solo.

I soliti problemi nella line up hanno rallentato la carriera del gruppo che, assestatosi con una formazione che vede Davide Di Girolamo e Filippo Peinetti alle chitarre, Saverio Bello alla voce, Sandro Pirrone al basso e Simone Merlenghi alla batteria, è ora pronto ad incendiare palchi.
Deathcore dicevamo, ma anche death metal classico e qualche sconfinamento nel brutal, per un sound che sprigiona violenza ad ogni nota, potentissimo e senza compromessi, tra ritmiche marziali che accelerano quando le sfuriate estreme prendono la strada del death metal tradizionale, un ottimo uso di growl e scream e chitarre compresse che deflagrano in urla elettriche lancinanti, tra attitudine classica e moderna.
Questo in poche parole è quello che vi troverete ad affrontare quando le prima note di Black Haze vi prepareranno allo tsunami estremo in arrivo quando il growl darà via al massacro.
Broken Shoulder è il singolo estratto da Teratogenesi, animato da un demone death, lo stesso che vive nelle note di Brutal Truth e Morbid Angel, o più semplicemente dei Thy Art Is Murder, il gruppo più vicino al concetto di musica estrema dei nostri.
Venti minuti di squassante metal estremo che si muove crudele tra lo spartito di Drowning ( a mio avviso il brano più violento, veloce ed intenso dell’ep), Infernal Mood, e P.O V., le altre tre bombe sonore firmate Era Of Disgust.
Un esordio davvero promettente, e un’altra band da seguire nel vasto panorama del metal estremo made in Italy: date un ascolto a queste cinque tracce e mettetevi con noi in attesa di un full length che a questo punto è il naturale approdo per gli Era Of Disgust.

Tracklist
1.Black Haze
2.Broken Shoulder
3.Drowning
4.Infernal Mood
5.P.O.V

Line-up
Davide Di Girolamo – guitar
Filippo Peinetti – Guitar
Saverio Bello – Vocals
Sandro Pirrone – Bass
Simone Merlenghi – Drum

ERA OF DISGUST – Facebook

Astray Valley – Unneth

La furia con la quale la band affronta la tempesta estrema risulta indirizzata verso un melodic death metal dal taglio moderno, ma dalle ritmiche che in alcuni casi toccano lidi thrash metal ed una chitarra che ricama ottimi solos melodici.

Due singoli usciti in pochi mesi, nuvoloni che si addensano sopra i nostri cieli prima che la tempesta di suoni moderni si accanisca su di noi, e ci riversi una fitta e grigia pioggia metallica dal titolo Unneth.

Licenziato dalla sempre attenta e presente Wormholedeath, Unneth è l’esordio degli Astray Valley, quartetto spagnolo formato dalla cantante Clau Violette, dal chitarrista Joan Aneris, dal bassista Jorge Romero e dal batterista Erny Roca.
Metal moderno, potente e melodico, una serie di scudisciate estreme interpetrate magistralmente dalla singer, dotata di un eclettismo vocale che le permette di alternare una splendida voce pulita a rabbiosi sfoghi estremi, in un contesto musicale che passa agevolmente dalle violente trame metalliche ad evocativi passaggi rock elettronici, atmosfericamente vicini agli ultimi Lacuna Coil.
Ma, se la famosa band italiana ha sempre tenuto a freno la rabbiosa anima metallica, gli Astray Valley sfogano appunto gli istinti bellicosi, con scariche adrenaliniche accompagnate da bordate estreme potenti, senza perdere colpi e attenuando la sempre presente parte melodica, importantissima nell’economia del sound.
Lontano a mio avviso dai soliti cliché compositivi del metalcore, la furia con la quale la band affronta la tempesta estrema risulta indirizzata verso un melodic death metal dal taglio moderno, ma dalle ritmiche che in alcuni casi toccano lidi thrash metal ed una chitarra che ricama ottimi solos melodici.
Unneth risulta così un lavoro vario, la calma prima dell’ennesima sfuriata si riempie di sfumature elettroniche, tra rock e dark valorizzando una raccolta di brani intriganti e ben congegnati.
Hollow, Constellations, Singularity e Oblivion sonoi brani migliori di un esordio meritevole dell’attenzione degli amanti dei suoni metallici moderni: la band spagnola è l’ennesimo ottimo acquisto da parte della Wormholedeath.

Tracklist
1. Entity
2. Hollow
3. The Wilderness
4. Parallel Visions
5. Mera
6. Waters Of Skylah
7. Constellations
8. Lun
9. Singularity
10. Ethereal
11. Northlights
12. Pathways
13. The Collapse
14. Oblivion
15. Polarity

Line-up
Clau Violette – Vocals
Joan Aneris – Guitars
Jorge Romero – Boss
Erny Roca – Drums

ASTRAY VALLEY – Facebook

Disconnected – White Colossus

Groove, prog metal, core ed alternative: sembra più facile a dirsi che a farsi e invece i Disconnected riescono nell’impresa di far convivere il tutto in questo lotto di brani che entusiasmano, perfetti nell’uso abbondante delle linee melodiche senza sembrare far sembrare d’essere alle prese con la solita boy band con ambizioni da classifica.

Il metal moderno ha ancora parecchie frecce da scoccare, lo dimostra questo ottimo lavoro intitolato White Colossus, debutto dei francesi Disconnected.

La band transalpina si approccia al metal con un sound che mette subito in risalto la buona tecnica dei musicisti coinvolti, regalandoci uno degli esempi più riusciti nell’uso della doppia voce (pulita e growl) e usa a suo piacimento l’uso del metal estremo progressivo e dell’alternative.
Un ibrido davvero riuscito, un sound che amalgama alla perfezione stili all’apparenza lontani in un crescendo emozionale e melodico che non può non lasciare stupiti chi si metterà in gioco con la musica del gruppo proveniente da Troyes.
Groove, prog metal, core ed alternative: sembra più facile a dirsi che a farsi e invece i Disconnected riescono nell’impresa di far convivere il tutto in questo lotto di brani che entusiasmano, perfetti nell’uso abbondante delle linee melodiche senza sembrare far sembrare d’essere alle prese con la solita boy band con ambizioni da classifica.
Stupenda Wounded Heart, strepitoso il crescendo emozionale di Feodora, devastante la furia che a tratti si impossessa di Blame Shifter, così come le ritmiche tra groove e metalcore di For All Our Sakes e la marziale spinta modern metal della conclusiva Armageddon.
La particolarità di White Colossus è che tutti i brani sono attraversati da un’anima alternative che rende la proposta personale e di elevata qualità, in un mix riuscito di Architects, Alter Bridge e Gojira.

Tracklist
1. Living Incomplete
2. Blind Faith
3. Wounded Heart
4. White Colossus
5. Feodora
6. Losing Yourself Again
7. Blame Shifter
8. For All Our Sakes
9. The Wish
10. Armageddon

Line-up
Adrian Martinot – Composer/Guitars
Ivan Pavlakovic – Singer/Songwriter
Aurélien Ouzoulias – Drums
Romain Laure – Bass
Romin Manogil – Guitars

DISCONNECTED – Facebook

Progenie Terrestre Pura – starCross

I Progenie Terrestre Pura sono un gruppo che, usando il black death metal con venature industrial ed elettroniche, porta verso l’infinito il suo messaggio di angoscia e di incessante esplorazione sia dello spazio profondo che di noi stessi.

Torna uno dei progetti più originali e congrui della scena musicale italiana e non solo con un nuovo ep.

I Progenie Terrestre Pura sono il suono dello spazio e di una razza umana futuristica, o forse è un suono che arriva da una terra come la nostra persa in un multiverso differente dal nostro. Il loro black death cosmico è un qualcosa che colpisce nel profondo, e questo ep starCross è un avanzamento ulteriore della poetica musicale. L’ep si compone di cinque pezzi basati su una storia elaborata da Davide Colladon, deus ex machina dei Progenie Terrestre Pura. Tutto nasce dal fatto che la navicella A.S. Mori segue un segnale lanciato dalla spazio profondo, e l’ep è il racconto di questa esperienza alla maniera di questo fantastico gruppo. Nella loro poetica è centrale il rapporto tra l’uomo e lo spazio, rapporto filtrato dalla tecnologia, che però non riesce ad eliminare l’angoscia dell’uomo lanciato nello spazio profondo, anzi la acuisce. Non c’è gioia od onore nell’andare nello spazio tenebroso, ma solo un’incessante lotta contro i nostri limiti fisici e spirituali, con un’intelligenza che capisce benissimo cosa sta succedendo ma è sopraffatta dalla potenza e dalla pesantezza di ciò che coglie. I Progenie Terrestre Pura sono un gruppo che, usando il black death metal con venature industrial ed elettroniche, porta verso l’infinito il suo messaggio di angoscia e di incessante esplorazione sia dello spazio profondo che di noi stessi. Il trio italiano fa una proposta musicale fuori dalle categorie e dagli schemi, con una poetica ed una potenza musicale che non ha nessun altro. starCross è il primo lavoro in inglese, scelta operata per portare al massimo numero possibile di persone il loro messaggio. Il cantato in italiano, a mio avviso, dava un valore aggiunto, ma è comunque un qualcosa che arriva da una dimensione parallela, non è musica umana ma molto di più. Continua il viaggio nello spazio profondo, e l’arrivo non si chiama salvezza.

Tracklist
1.Chant of Rosha
2.Toward a Distant Moon
3.Twisted Silhouette
4.The Greatest Loss
5.Invocat

Line-up
Davide Colladon – Guitars, Composition
Emanuele Prandoni – Vocals, Lyrics
Fabrizio Sanna – Bass, Production

PROGENIE TERRESTRE PURA – Facebook

Al Ard – Al Ard

Un album di tale fattura deve’essere lavorato con pazienza e soprattutto compreso; personalmente, ritengo questo tipo di trasfigurazione del black metal la maniera ideale per far veleggiare nel nuovo millennio un genere sempre attuale ma pure accusato di obsolescenza dai suoi detrattori.

Questo primo lavoro è per gli Al Ard, band formatasi originariamente in Sicilia ma ora attiva nel nord Italia, la finalizzazione di un percorso che si protrae da qualche anno.

Il loro sound, che può essere approssimativamente definito industrial black metal, ingloba diversi elementi che vengono poi miscelati e riversati con sapiente ferocia, senza tralasciare di conferire al tutto un’aura drammatica, campionando per esempio, in Nero, parti tratte da Stendalì, pluripremiato corto datato 1960, con la voce della grande Lilla Brignone che recita un’orazione funebre scritta da Pasolini.
Questo immaginario in bianco e nero sembra confliggere con la modernità spinta che il trio offre ma, in realtà, ne è l’ideale complemento: tra Aborym, richiami alle sonorità in quota alla Cold Meat Industry che fu, incursioni etniche e ritmiche da drum’n’bass, gli Al Ard offrono una prova altamente disturbante, magari anche volutamente sporca a livello di produzione in certi frangenti.
A scopo esemplificativo prendiamo Who Want to Live Forgotten, traccia di rara violenza ma anche ricca di notevoli spunti deviati, e la sperimentazione delle due parti di Strange Old Practice, che si sviluppano tra rumorismo ed elettronica trasfigurata da una forte base sperimentale.
Certamente non siamo nel capo degli ascolti da prendersi alla leggera, perché un album di tale fattura deve’essere lavorato con pazienza e soprattutto compreso; personalmente, ritengo questo tipo di trasfigurazione del black metal la maniera ideale per far veleggiare nel nuovo millennio un genere sempre attuale ma pure accusato di obsolescenza dai suoi detrattori: gli Al Ard rispondono con i fatti, trasportando nel migliore dei modi l’ascolto su un piano che va ben oltre le prevedibili espressioni di blasfemia o le più rassicuranti pulsioni pagan/atmosferiche.
La musica deve anche scuotere, disturbare, talvolta anche respingere l’ascoltatore: del resto questo è il fragore della vita reale, qualcosa che resta sempre nel nostro campo uditivo anche se cerchiamo di sfuggirgli.

Tracklist:
1.Nero
2. For a Hint of Divinity
3. Pillar . Past . Present
4. Who Want to Live Forgotten
5. Strange Old Practice I
6. Red Bourbon
7. Strange Old Practice II
8.Scrutinizing A Glimpse of Chaos

Line up:
COD.511 – Vocals, Bass, Drum Machine
Symor Von Dankurt – Synth, Programming, Sampling
|x|on – Guitar, programming, sampling

AL ARD – Facebook

Druknroll – Unbalanced

Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.

Vi avevamo parlato dei Druknroll lo scorso anno, in occasione dell’uscita dell’ep Bad Math, mini album di tre brani che seguiva un cospicua discografia composta da una manciata di full length ed altrettanti lavori minori sparsi in una dozzina d’anni.

Il progetto, nato come one man band del musicista russo che gli dà il nome, licenzia tramite Metal Scrap Unbalanced, album che conferma le notevoli potenzialità di quella che ad oggi risulta una band a tutti gli effetti con Drunknroll ad occuparsi di chitarra, basso tastiere e batteria, il singer Horror, Knip alle prese con chitarra, batterie e diavolerie elettroniche e Denys Malyuga alla chitarra solista.
Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.
Ne esce un album sicuramente originale e progressivo, composto da dieci brani, compresi i tre che formavano il precedente ep in cui thrash metal moderno di scuola Strapping Young Lad, Voivod, industrial (Ministry) e melodic death metal (Soilwork) si uniscono per travolgere l’ascoltatore con una cascata di note a formare brani fuori dai soliti schemi, con l’arma in più chiamata Horror alla voce (perfetto in ogni passaggio e vario nella sua interpretazione così come il sound) ed un songwriting ispirato.
Non ci si riposa, il gruppo tiene l’ascoltatore in tensione passando da un genere all’altro o riuscendo ad amalgamare influenze ed ispirazioni in un solo sound per formare brani devastanti, potentissimi e pregni di cambi di tempo e varianti progressive.
Oltre al trio di canzoni presenti in Bad Math (Bad Math, On The Hook e The Heroes of the War), la title track, Philosophy Of Life e Mirror vi lasceranno senza fiato, originali ed estreme composizioni all’interno di un lavoro straordinario.
I Druknroll meriterebbero sicuramente più attenzione, la loro proposta risulta personalissima, amalgamando generi ed influenze all’apparenza lontane ma perfettamente unite nel puzzle musicale di Unbalanced.

Tracklist
1. Hundred
2. Unbalanced
3. Bad Math
4. It’s Not My Way
5. Philosophy of Life
6. On the Hook
7. Eternal Confrontation
8. Mirror
9. The Heroes of the War
10. Dark Matter

Line-up
Druknroll – guitars, bass, keys, drums
Horror – vocal
Knip – guitar, sound effects,drums
Denys Malyuga – solo-guitar

DRUKNROLL – Facebook

Savage Hands – Barely Alive

I Savage Hands fanno un genere che nella loro terra madre è decisamente inflazionato, ma lo eseguono in maniera al di sopra della media, e questo ep potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto interessante.

Continua l’attacco alla gioventù metal e rock della Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast, deputata a diffondere nuovi gruppi e nuove maniere di declinare la musica pesante.

Questa volta è il turno degli americani Savage Hands con il loro debutto Barely Alive, un concentrato di post hardcore veloce ed emozionale, con tute le cose al loro posto, a partire da un’ottima produzione.
Il gruppo nasce tra il Maryland e la Virginia dalle ceneri di precedenti esperienze hardcore, con la voglia di fare qualcosa di nuovo e di ambizioso. Questo ep è la dimostrazione che gli sforzi di questi ragazzi sono andati a buon fine. Il suono è prettamente e fortemente americano, con chitarre che girano incessanti, voce molto potente ma non bassa, sezione ritmica che va in doppia cassa quando serve, e tanta melodia ai momenti giusti, per un risultato che non è originale ma è prodotto molto bene. I Savage Hands fanno un genere che nella loro terra madre è decisamente inflazionato, ma lo eseguono in maniera al di sopra della media, e questo ep potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto interessante, anche perché il mercato del post hardcore è sempre molto aperto ed interessato alle novità. Ritornelli killer e molto radiofonici che gireranno molto nella radio dei campus americani ed un gruppo da tenere sott’occhio per gli appassionati della scena.

Tracklist
1. Red
2. Barely Alive
3. Unconditional
4. Know It All
5. Taken
6. Dream Dead
7. Your Own Hell

Line-up
Mike Garrow – vocals
Justin Hein – guitar/vocals
Ryan Evans – guitar
Nathan O’Brien – bass/vocals
Jonny Melton – drums

SAVAGE HANDS – Facebook