Alphastate – The Grind

Gli Alphastate sono protagonisti di un album a tratti davvero brillante: il loro metal è valorizzato da un’ottima produzione e si avvicina al sound dei primi Nevermore, quindi con un approccio moderno e thrash, buona tecnica e con quel tocco drammatico/progressivo marchio di fabbrica della storica band americana.

Una piccola bomba sonora è questo The Grind, secondo album degli Alphastate, band formatasi circa quattro anni fa e con un primo lavoro già edito dal titolo Out Of The Black.

Gli ateniesi, guidati da Manos Xanthakis, sono protagonisti di un album a tratti davvero brillante: il loro metal è valorizzato da un’ottima produzione e si avvicina al sound dei primi Nevermore, quindi con un approccio moderno e thrash, buona tecnica e con quel tocco drammatico/progressivo marchio di fabbrica della storica band americana.
Il cantante, molto interpretativo, risulta una via di mezzo tra il compianto Warrel Dane e Bruce Dickinson, quindi con grandi aperture vocali ed un piglio evocativo ad accompagnare il metal tecnico, oscuro e d’assalto di cui è composto The Grind.
Non si riposa un attimo la band greca, mostra i muscoli per tutta la durata dell’album tra ritmiche thrash, solos dal taglio classico, power metal oscuro di matrice statunitense e ottime aperture melodiche che si stagliano su chorus travolgenti.
Non solo Nevermore, ma anche Iced Earth e Testament sono le fonti di ispirazione per tracce devastanti come l’opener Trapped, la monumentale Phantom Desires e le maideniane Theater Of Lies ed Heaven’s World.
Il disco, pur mantenendo la sua aura oscura, si dimostra vario nel combinare elementi classici e moderni, con la potenza thrash e l’heavy metal classico uniti nel deturpare i padiglioni auricolari dei fans.
La produzione, come scritto, aiuta non poco The Grind nel rivelarsi un lavoro ben suonato e dal buon songwriting, quindi il consiglio è quello di non perderlo, specialmente se si è amanti delle band citate.

Tracklist
1.Trapped
2.Phantom Desires
3.Speak Your Mind
4.Theater of Lies
5.The Grind
6.Forevermore
7.Behind the Dark
8.Heaven’s World
9.Man Made God

Line-up
Vocals – Manos Xanthakis
Pete Breaker – Guitars
TBA – Bass
Fivos Andriopoulos – Drums

ALPHASTATE – Facebook

Battleroar – Codex Epicus

I Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.

Si torna a parlare di epic metal con il nuovo album dei greci Battleroar, band che ha nelle sue fila il guerriero Gerrit Mutz, inesauribile vocalist dietro al microfono dei Sacred Steel.

Il nuovo album si intitola Codex Epicus, è stato registrato ai Devasoundz Studios di Atene e vede in veste di ospite il cantante e chitarrista dei Manilla Road Mark Shelton, protagonista assoluto sulla splendida Sword Of The Flame, brano oscuro, evocativo e picco qualitativo di questo ultimo lavoro.
Il quinto album nella storia del gruppo non si discosta più di tanto dai suoi predecessori, i Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.
Più ruvido rispetto a Blood Of The Legends, precedente album che aveva nel violino di Alex Papadiamntis l’arma in più per rendere ancora più malinconico ed evocativo il sound, Codex Epicus è un ottimo album che possiede tutti i crismi per non deludere i tanti epic metallers sparsi per il mondo, in attesa che la battaglia abbia inizio tra gesta eroiche e gloria perenne.
I brani lenti, epici ed evocativi sono i più gettonati dalla macchina metallica Battleroar, e The Doom Of Medusa è l’altra perla di questo lavoro, con un Mutz all’altezza della sua fama, interpretativo come forse non lo era mai stato sull’album precedente.
Il corno saluta la marcia degli eroi in Palace Of The Martyrs, mentre il crescendo di Enchanting Threnody, epica cavalcata heavy metal, è il terzo gioiellino racchiuso in questo ottimo lavoro targato Battleroar.
Promosso a pieni voti, Codex Epicus non raggiunge i livelli del bellissimo To Death and Beyond… (2008), ma non tradisce sicuramente le attese degli amanti di queste sonorità: alzate le spade e rendete gloria ai Battleroar.

Tracklist
1. Awakening the Muse
2. We Shall Conquer
3. Sword of the Flame
4. Chronicles of Might
5. The Doom of Medusa
6. Palace of the Martyrs
7. Kings of Old
7. Enchanting Threnody
8. Stronghold (CD BONUS TRACK)

Line-up
Gerrit Mutz – Vocals
Kostas Tzortzis – Guitar
Michael Kontogiorgis – Guitar
Sverd – Bass
Greg Vlachos – Drums

BATTLEROAR – Facebook

Black Rose – A Light In The Dark

Il gruppo è protagonista di un album piacevole, melodico e grintoso in ugual misura, graffiante e raffinato quanto basta per soddisfare gli amanti dell’hard & heavy melodico e classico.

Gli svedesi Black Rose festeggiano, a distanza di venticinque anni dal primo album (Fortune Favours the Brave), con l’uscita di un nuovo lavoro sempre incentrato su un hard rock a metà strada tra l’hard & heavy e il più melodico AOR.

Con al microfono il nuovo arrivato Jakob Sandberg, il gruppo affronta la sesta prova sulla lunga distanza con il piglio dei veterani e A Light In The Dark risulta il classico album di matrice scandinava, nel genere terra maestra nei suoni melodici ancora prima di quelli estremi.
Ma non aspettatevi melensaggini, perchè i Black Rose schiacciano sul pedale quando serve, graffiano e ci consegnano un lavoro grintoso pur con i suoi momenti dove con eleganza l’hard rock melodico si prende il suo spazio tra i suoni taglienti di brani metallici come Sands Of Time o la title track.
Gli Europe dei primi album sono la band che più ispira questo lavoro, anche se l’heavy metal di scuola tradizionale alza la temperatura del sound, con cori dal taglio epico e solos che sono lampi di luce nel buio.
Bellissima Web Of Lies, mid tempo ispirato ai Dio, e di scuola Scorpions le ritmiche con cui la band dà inizio alla trascinante Ain’t Over ‘til It’s Over, che si trasforma in una canzone da arena rock in pieno stile anni ottanta.
Il gruppo capitanato dai due Haga (Peter alla batteria/tastiere e Anders al basso) è protagonista di un album piacevole, melodico e grintoso in ugual misura, graffiante e raffinato quanto basta per soddisfare gli amanti dell’hard & heavy melodico e classico.

Tracklist
1.Sands of Time
2.Hear the Call
3.Carry On
4.We Come Alive
5.A Light in the Dark
6.Web of Lies
7.Ain’t Over ‘til It’s Over
8.Powerthrone
9.Don’t Fear the Fire
10.Love into Hate

Line-up
Anders Haga – Bass
Peter Haga – Drums, Keyboards
Thomas Berg – Guitars
Jakob “Jacke” Sandberg – Vocals (lead)

BLACK ROSE – Facebook

The Sponges – Official Demo

Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.

E’ un hard’n’heavy che guarda gli anni settanta/ottanta, pregno di ardore metallico, il sound offerto da questo gruppo proveniente dal trevigiano chiamato The Sponges.

Questi cinque brani compongono il demo di inediti con cui il giovane quartetto lascia definitivamente il mondo delle cover band (Led Zeppelin, Deep Purple e Judas Priest) per lasciare alla propria musica il compito di rappresentarli.
Oggi va di moda la parola old school per descrivere una proposta che guarda al passato e l’hard rock suonato dai The Sponges è sicuramente da inserire nel filone classico, con le ispirazioni che seguono il passato da cover band dei gruppi citati, ai quali andrebbero aggiunti i primi UFO.
Warrior è una marcia hard rock rocciosa che perde qualcosina in impatto nel ritornello, mentre la seguente Run Or Burn risulta più metallica, un crescendo dai toni priestiani che si aggiudica la palma di miglior brano del demo.
La ballatona Love Is Gone spezza la tensione, prima che Song 4 torni a caricare di elettricità l’atmosfera e un riff potentissimo di scuola Zakk Wilde apra la conclusiva My Fucking Brain, il brano più “moderno” di questo primo lavoro targato The Sponges.
L’impatto non manca, i musicisti fanno del loro meglio per dare una loro personalità ai brani, quindi l’inizio è senz’altro positivo, e  noi attendiamo fiduciosi ulteriori sviluppi.

Tracklist
1.Warrior
2.Run Or Burn
3.Love Is Gone
4.Song 4
5.My Fucking Brain

Line-up
Alessandro Russo (Rusho) – Vocals
Davide Zanella – Drums
Sat – Guitars
Andrea Zanella – Guitars

THE SPONGES – Facebook

Heavenblast – Stamina

Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal.

Chiudete gli occhi e lasciatevi rapire da queste nove canzoni che vanno a comporre Stamina, ultimo lavoro lontano undici anni dal precedente degli Heavenblast, gruppo originario di Chieti attivo addirittura da metà anni novanta, ma per vari motivi con solo due full length all’attivo in precedenza,: l’esordio omonimo licenziato nel 2003, il precedente Flash Back, datato 2007.

Aiutata da un buon numero di ospiti sia in fase strumentale che al microfono, la band composta dalla cantante Chiara Falasca, dal chitarrista Donatello Menna, dal tastierista Matteo Pellegrini e dal batterista Alex Salvatore dà vita ad un elegante affresco di hard & heavy, partendo dalle molte melodie hard rock, seguite da cavalcate power metal e da bellissime parti progressive per un risultato interessante e dalla non facile lettura.
Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal, sia essa potente e veloce oppure raffinata ed intrisa di umori rock progressivi.
Ne esce un album vario in cui le strade intraprese sono molte e la band gioca a suo modo con le proprie ispirazioni in un caleidoscopio di note dall’alto livello tecnico e qualitativo.
Peccato per una produzione leggermente inferiore alla qualità espressa da brani sorprendenti come Purity, Alice In Psychowonderland, Don’t clean up this blood e la title track, dettaglio che non compromette l’ottima impressione suscitata da questo nuovo lavoro firmato Heavenblast.

Tracklist
1.Mind Introuder
2.Purity
3.Alice In Psychowonderland
4.We Are State
5.The Rovers
6.Don’t Clean Up This Blood
7.Sinite Parvulos Venire Ad Me
8.S.T.A.M.I.N.A.
9.Canticle Of The Hermit

Line-up
Chiara Falasca – Vocals
Donatello Menna – Guitars
Matteo Pellegrini – Keyboards, Piano
Alex Salvatore – Drums

HEAVENBLAST – Facebook

Derdian – DNA

DNA va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni, ma un’opera che ancora una volta conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Come mia abitudine vado contro il trend che vuole il metal in crisi qualitativa: anche quest’anno le opere che hanno arricchito le discografie degli amanti dei suoni classici non mancano di certo, magari meno glorificate dagli addetti ai lavori rispetto agli anni d’oro, ma pur sempre in grado di risplendere sugli scaffali degli ormai “pochi” negozi di settore.

Per quanto riguarda l’ormai sfavillante scena tricolore direi che mancavano proprio i Derdian a spingere il power progressive metal verso un altro anno da ricordare e, puntualmente, il gruppo milanese è tornato con questo nuovo monumentale lavoro dal titolo DNA.
Due cosine risaltano subito all’attenzione di chi con mano tremante infilerà il dischetto ottico nel lettore: il ritorno dietro al microfono di Ivan Giannini, uno dei singer più dotati della scena e l’uscita in regime di autoproduzione, davvero strano per un gruppo da oltre vent’anni in pista con album di altissima qualità ed un passato alla corte della storica label Magna Carta.
D’altronde anche DNA conferma l’assoluto valore di questa nostra splendida realtà, un gruppo che dal 2014, anno di uscita di Human Reset, ha infilato tre straordinarie opere come appunto Human Reset, Revolution Era (con Giannini temporaneamente sostituito da vocalist come Fabio Lione, Ralph Scheepers, Henning Basse e Terence Holler, tanto per nominarne alcuni) ed ora questo monumento al power prog sinfonico di oltre un’ora di saliscendi emozionali, cavalcate power, spettacolari trame progressive, il tutto nella più assoluta armonia e varietà stilistica con il sestetto che passa dal power al prog, dal folk all’hard & heavy, da atmosfere epiche ad parti swing ed ariose armonie dove le melodie sono regine incontrastate con una naturalezza straordinaria.
DNA è tutto qui, se vi basta, magari per convincervi andate direttamente alla traccia sette, quella Elohim che stupisce con lo swing che spezza l’epica cavalcata in crescendo; ma l’album va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni; un’opera che con l’aiuto di piccoli capolavori come la title track, Never Born, Red And White o Part Of This World conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Tracklist
1.Abduction
2.DNA
3.False Flag Operation
4.Never Born
5.Hail to the Masters
6.Red and White
7.Elohim
8.Nothing Will Remain
9.Fire from the Dust
10.Destiny Never Awaits
11.Frame of the End
12.Part of This World
13.Ya nada cambiara

Line-up
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals (backing)
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass
Ivan Giannini – Vocals

DERDIAN – Facebook

Nergard – Memorial For A Wish

Se cinque anni fa non vi siete imbattuti in Andreas Nergård e la sua opera, questa riedizione vi permette di rimediare e fare la conoscenza di un ottimo album.

Memorial For A Wish uscì nel 2013 e fu ennesima metal opera in un periodo in cui album di questo genere spuntavano come funghi dopo le piogge di fine agosto.

Andreas Nergård, musicista e compositore norvegese, ha ripreso in mano l’opera riscrivendo e ri-registrando la maggior parte delle tracce, e tramite la Battlegod Productions ne licenzia questa nuova versione.
Memorial For A Wish racconta tramite un raffinato esempio di power metal progressivo ed altamente melodico del giovane Peter O’Donnel che, nella Dublino del 1890, viene ingiustamente condannato a vent’anni di prigione lasciando la moglie incinta che morirà di parto durante la prigionia.
Come in tutte le metal opere che si rispettino anche Nergard si circonda di ospiti, specialmente per quanto riguarda il canto, con una serie di singer di cui la metà fanno parte della crema del metal classico internazionale come Ralph Scheepers, Michele Luppi, Nils K. Rue dei Pagan’s Mind, Goran Edman, Mike Vescera e Tony Mills.
Power metal, sprazzi di hard rock melodico e progressive sono gli ingredienti per esaltare il sound di cui è composto Memorial For A Wish e le sue nove composizioni che, se non raggiungono le vette di opere più famose come quelle dei vari Avantasia, Ayreon, Trans Siberian Orchestra e Genius (ma potrei citarne all’infinito), non manca di momenti atmosfericamente intensi e drammatici, raccontati con un metal che, anche nei momenti più duri, non manca di un tocco raffinato valorizzato da bellissimi duetti tra gli assi dietro al microfono.
Ottimo il lavoro sui solos chitarristici, affidato a Helge Engelke dei Fair Warning e Stig Nergard dei Tellus Requiem, e di buona qualità il songwriting che lascia trasparire qualche ingenuità ma che tiene botta per quasi un’ora di melodie e graffianti momenti heavy.
Se cinque anni fa non vi siete imbattuti in Andreas Nergård e la sua opera, questa riedizione vi permette di rimediare e fare la conoscenza di un ottimo album.

Tracklist
CD 1: “Memorial for a Wish” 2018 version
1. Angels
2. The Haunted
3. Hell On Earth
4. Stay
5. A Question Of God
6. An Everlasting Dreamscape
7. Nightfall
8. Requiem
9. Inside Memories

CD 2: “Memorial for a Wish” 2013 version
1. Twenty Years In Hell
2. A Question Of God
3. Is This Our Last Goodbye
4. Hell On Earth
5. An Everlasting Dreamscape
6. Nightfall
7. Angels
8. Requiem

Line-up
Andreas Nergård – Composer, Drums, Bass, Keyboards
Age Sten Nilsen – Vocals
Ralf Scheepers – Vocals
Goran Edman – Vocals
Mike Vescera – Vocals
Nils K. Rue – Vocals
Michele Luppi – Vocals
Andi Kravljaca – Vocals
David Reece – Vocals
Tony Mills – Vocals
Ole Martin Moe Thornes – Vocals
Sunniva Unsgard – Vocals
Helge Engelke – Guitar Solos
Stig Nergard – Guitar Solos

NERGARD – Facebook

Evilizers – Center of the Grave

Una potenza di fuoco non male, con una serie di brani che esaltano anche il più pacato metallaro con maglietta dei Judas Priest e le toppe sul giubbotto che raffigurano la croce dei Black Sabbath ed il vecchio amico Eddie.

Traguardo raggiunto per i piemontesi Evilizers, con l’uscita del loro primo album di inediti dopo aver incendiato le serate metalliche dei fans dei Judas Priest con il monicker Priestkillers.

Il loro passato incentrato a ripercorrere le gesta di Halford e soci non può che portare la band ad incidere un ottimo album di heavy metal classico, tutto impatto e attitudine vecchia scuola, ma allo stesso tempo perfettamente in grado di soddisfare i fans del nuovo millennio.
Una potenza di fuoco non male, con una serie di brani che esaltano anche il più pacato metallaro con maglietta dei Judas Priest e le toppe sul giubbotto che raffigurano la croce dei Black Sabbath ed il vecchio amico Eddie, fanno di Center of the Grave è il classico lavoro che mette d’accordo tutti con le prime tre tracce (Evilizers, Final Goal e Metal Is Undead) che sparano cannonate heavy metal, per poi lasciare alla cadenzata title track il compito di illustrarci tutto l’amore del gruppo per i Sabbath era Dio/Martin.
La sezione ritmica (Alessio Scoccati al basso e Giulio Murgia alla batteria) è potente e d’impatto, mentre è a tratti esaltante il lavoro alle chitarre di Fabio Novarese e Davide Ruffa, ma è al singer Fabio Attacco che va il plauso per non ricalcare pedissequamente i cliché halfordiani, trovando una sua identità pur rimando un cantante heavy metal di estrazione classica.
C’è ancora da far festa sulle macerie lasciate dal passaggio dello tsunami Break up, prima che Death Of The Sun e la maideniana Survival fungano da congedo al gruppo piemontese, protagonista di una prova gagliarda e sul pezzo, sicuramente da non perdere in sede live per una serata tutta birra, sudore ed ottimo heavy metal classico.

Tracklist
1 – Machinery of evil
2 – Evilizers
3 – Final goal
4 – Metal is undead
5 – Center of the grave
6 – The end is near
7 – Break up
8 – Death of the sun
9 – Survival

Line-up
Fabio Attacco – Vocals
Fabio Novarese – Electric and Acoustic Guitars
Davide Ruffa – Electric Guitars
Alessio Scoccati – Bass
Giulio Murgia – Drums and Piano

EVILIZERS – Facebook

Lost Reflection – Trapped In The Net

Ritorno con il terzo album di Fabrizio Fulco ed i suoi Lost Reflection, band hard & heavy tra tradizione britannica ed attitudine street rock.

Torna Fabrizio Fulco con i suoi Lost Reflection, band che prende il nome dalla famosa canzone dei leggendari Crimson Glory, con il terzo album licenziato dalla Hellbones Records.

La band prende vita nel 1996, ma il primo album è targato 2011, anche perché Fulco nel 2005 si trasferisce negli States per prendere il posto come bassista nei Ben Jackson Group, progetto del chitarrista dei Crimson Glory.
Il ritono in Italia coincide con la ripresa delle attività con i Lost Reflection e vengono pubblicati due lavori: Florida (2011 SG Records) e Scarecrowd (2014 SG Records).
L’hard & heavy suonato dal gruppo è però lontano da quanto fatto dalla storica band statunitense e più orientato verso un buon mix tra la tradizione britannica ed attitudine street rock.
Trapped In The Net è composto da dieci brani che si muovono tra questi due generi, dando vita ad un metal scontato ma gradevole, dalle ritmiche hard rock e da cavalcate di stampo new wave of british heavy metal.
God Of Hate, opener dell’album è un brano tra Saxon e Motley Crue, mentre Together As One ricalca gli schemi del metal losangelino di metà anni ottanta.
Questa alternanza continuerà per tutto l’album, che risulta una discreta opera di metal old school sanguigno e potente, con qualche dettaglio da perfezionare (la voce a tratti leggermente forzata), ma con un buon lavoro strumentale.
Cavalcate metalliche e hard rock stradaiolo ed irriverente come One Night In Your Bed trovano libero sfogo tra lo spartito di Trapped In The Net che vede all’opera, oltre a Fulco ( chitarra, basso e voce), Max Sorrenti (chitarra) e Max Defender Moretti (batteria).
La cover del leggendario Derek Riggs valorizza Trapped In The Net, che risulta così un buon ritorno per il musicista nostrano e la sua band.

Tracklist
1.God of Hate
2.Together as 1
3.Into The Social Network
4.Brand New Love Brand New Life
5.One Night In Your Bed
6.My Promised Land
7.Hollywood Dream
8.Master of Your Soul
9.Homeless Boy
10.No More Blood

Line-up
Fabrizio Fulco – Vocals, Guitars, Bass
Piero Sorrenti – Guitars
Max Defender Moretti – Drums
PJ (live bassist)

line up attuale
Fabrizio Fulco – Vocals, Guitars
PJ – Bass
Max Defender Moretti – Drums

LOST REFLECTION – Facebook

Kronomatopea – Time It’s Time

Time It’s Time è un’opera impegnativa che per oltre un’ora vi terrà incollati alle cuffie, tra raffinati passaggi di musica classica, cavalcate metalliche, solos neoclassici e quell’epicità che affiora quando i due stili musicali si incontrano.

Kronomatopea è il progetto symphonic power metal del musicista e compositore classico Francesco Sammartano, appassionato di metal tanto da coniugare in maniera efficace le due anime musicali in questo bellissimo primo album, aiutato dal cantante Marco Scorletti (ex Astral Domine) e da altri importanti ospiti.

Time It’s Time è un’opera impegnativa che per oltre un’ora vi terrà incollati alle cuffie, tra raffinati passaggi di musica classica, cavalcate metalliche, solos neoclassici e quell’epicità che affiora quando i due stili musicali si incontrano.
Non si può non rimanere affascinati da un lavoro come Time It’s Time , sicuramente un must per gli amanti del genere, qui davvero coccolati dalle composizioni di Sammartano.
Le influenze che affiorano all’ascolto delle perle sinfoniche chiuse nello scrigno dal compositore nostrano vanno ricercate tra le icone del metal più nobile come Malmsteen (primo amore metallico di Sammartano), Angra, Stratovarius e i nostri Rhapsody, quindi non è l’originalità che troverete tra le note di Time It’s Time, ma musica fuori dal tempo, spettacolare, a tratti dal taglio cinematografico quando le orchestrazioni rimangono le uniche protagoniste dello spartito, prima che deliziose note classiche o ripartenze metalliche aggiungano eleganza o verve al sound.
A Way To Follow, The Song Of Light, Not For Glory e l’apoteosi neoclassic/power/symphonic/epic metal di Valkyrie’s Land portano l’opera dei Kronomatopea a livelli altissimi per un debutto, una vera sorpresa per chi ama gli effetti della sacra alleanza tra musica classica ed heavy metal.
Sembra che i Kronomatopea siano già al lavoro sulla seconda opera, nel frattempo godetevi questo bellissimo quadro musicale dal titolo Time It’s Time.

Tracklist
1.Overture
2.Time, It’s Time
3.A Way To Follow
4.A Break From The Line
5.The Song Of Light
6.Not For Glory
7.The Cycle Of The Life
8.Lighting
9.Valkyrie’s Land
10.Vissi D’arte
11.Tears And Memories

Line-up
Francesco Sammartano – All instruments
Marco Scorletti – Vocals

Riccardo Barbiera – Drums (on tracks: 1,2,3,5,6,8,11)
Gianluca Labella – Drums (on tracks: 8,9)
Simona Guaiana – vocals on tracks: 5,10)
Alessandro Flores – vocals (on track: 6)
Marco Scorletti – vocals (on tracks: 2,8,9)
Raffaele Albanese – vocals (on tracks: 3,8)
Mirko La Porta – lead violin (on tracks: 2,3)
Andrea De Paoli – Harpsichord (on track: 5)

https://www.facebook.com/sammartanoskronomatopea/?ref=br_rs

Strana Officina – Non Finirà Mai / The Faith

Per i collezionisti e amanti della Strana Officina, la Jolly Roger ha in serbo per questa uscita diversi formati tra cui un vinile grigio limitato alle prime cento copie, vinile classico, cd e digitale: quindi non avete scuse, la storia vi aspetta.

La Jolly Roger Records, in attesa del nuovo lavoro di inediti, pubblica due raccolte marchiate Strana Officina, probabilmente la band italiana più rispettata ed amata dai fans dell’hard & heavy duro e puro.

La leggendaria e tragica storia del gruppo la conosciamo un po’ tutti: la storia della Strana Officina inizia nel 1983 con l’esordio omonimo cantato in italiano, seguito da due lavori dal taglio più internazionale dato dall’idioma inglese nel cantato: The Ritual e Rock ‘n’ Roll Prisoners.
La carriera della “Strana” però si ferma tragicamente nel 1993, quando un incidente stradale si porta via l’anima del gruppo, Fabio e Roberto Cappanera, rispettivamente il chitarrista e il batterista, nonché fondatori del gruppo con l’aiuto del bassista Enzo Mascolo.Difatto la Strana Officina non esiste più, almeno fino al 2006, anno in cui Rolando e Dario Cappanera, tornano sul palco con il monicker originale, accompagnati da Enzo Mascolo e dal singer Bud Ancillotti.
Non Finirà Mai è una raccolta di brani scritti da Rolando e Dario nel 1995, contiene le versioni demo di quattro brani cantati in italiano, più le versioni riarrangiate e risuonate nel 2017.
E’ palese l’atmosfera pesante ed oscura che aleggia sui brani, ma anche la voglia di non mollare e con orgoglio portare avanti il sogno della famiglia Cappanera, il tutto riassunto nella canzone manifesto Non Finirà Mai, che dà il titolo all’album.
I brani sono tutti cantati in italiano, perfetti esempi della tradizione hard & heavy che il gruppo ha portato sui palchi e sulla quale ha costruito la sua reputazione.
The Faith è una raccolta uscita originariamente nel 2006, contiene quasi tutti i brani che andavano a comporre i primi tre lavori del gruppo, rivalutati dal sapiente lavoro in studio di Antonello Saviozzi.
Una compilation completa che racchiude tutti i classici della Strana, dalle graffianti Metal Brigade e The Kiss Of Death, alla cadenzata e potente The Ritual, dalla suggestiva Black Moon, brano dal taglio epico che ricorda i Black Sabbath era Tony Martin , alla bellissima ballad Autostrada Dei Sogni, fino alle mai incise all’epoca dell’uscita, ma proposte abitualmente dal vivo, Profumo Di Puttana ed Officina.
Per i collezionisti e amanti della Strana Officina, la Jolly Roger ha in serbo per questa uscita diversi formati tra cui un vinile grigio limitato alle prime cento copie, vinile classico, cd e digitale: quindi non avete scuse, la storia vi aspetta.

Tracklist
Non Finirà Mai :
Non finirà mai (2017)
Bimbo (2017)
Ricordo Di Lei (2017)
Vittima (2017)
Non Finirà mai (1995)
Bimbo (1995)
Amore e Fuoco (1995)
Vittima (1995)

The Faith :
1.King Troll
2.Metal Brigade
3.The Ritual
4.Rock N Roll Prisoners
5.Falling Star
6.Gamblin’ Man
7.Black Moon
8.War Games
9.Don’t Cry
10.The Kiss of Death
11.Burning Wings
12.Unknown Soldier
13.Profumo di Puttana
14.Autostrada dei Sogni
15.Officina

Line-up
Fabio Cappanera – Guitars
Roberto Cappaner – Drums
Daniele”Bud”Ancillotti – Vox
Enzo Mascolo – Bass
Marcello Masi – Guitars
Rolando Cappanera – Drums
Dario Cappanera – Guitars

STRANA OFFICINA – Facebook

https://youtu.be/EceEiWTBNSc

Malachia – Red Sunrise – The Complete Anthology

Limitata a 500 copie in doppio cd, Red Sunrise – The Complete Anthology è un passo obbligato per i cultori del metal a sfondo cristiano e dei collezionisti delle migliori produzioni anni ottanta.

Prosegue la rivalutazione di band perse negli anni che diedero lustro alla scena Christian Metal statunitense da parte della Roxx Records: questa volta tocca agli storici Malachia, quintetto di Los Angels attivo dal 1984 al 1988, anno in cui cambiarono monicker in Vision.

La label americana licenzia questa esaustiva compilation, intitolata appunto Red Sunrise – The Complete Anthology, dove trova spazio tutto il materiale scritto dal gruppo in entrambe le sue denominazioni.
La band era composta da Wade A. Little al basso, Dave Devaughn alla batteria, Jeffrey James alla sei corde, Steve Ayola ai tasti d’avorio e Ken Pike alla voce e chitarra, quest’ultimo emulo del primissimo Geoff Tate, così come la musica del gruppo si avvicinava non poco a quella dei primi Queensryche.
E la più fortunata band di Seattle torna alla mente nell’ascoltare questa raccolta di brani dal sound metallico, melodico e a tratti progressivo, dai testi incentrati ovviamente sul cristianesimo.
Rage For Order, l’album più heavy metal in senso stretto dei Queensryche, spiega perfettamente l’ approccio del gruppo californiano, elegante nelle soluzioni progressive, con i tasti d’avorio che disegnano arabeschi su brani heavy e melodici, a tratti nobilitati da raffinate atmosfere epiche, un cantato perfetto per l’epoca e cavalcate che sono l’abc dell’heavy metal d’oltreoceano.
Dall’ep Under the Blade al full lenght Red Sunrise (uscito nel 1987), in questa compilation troverete tutto dei Malachia e dei Vision, formando una raccolta di brani suggestivi e a loro modo epocali come In Christ We Rock, Red Sunrise, Master’s Call, Lonely Is The Night e Runaway.
Limitato a 500 copie in doppio cd, Red Sunrise – The Complete Anthology è un passo obbligato per i cultori del metal a sfondo cristiano e dei collezionisti delle migliori produzioni anni ottanta.

Tracklist
Disc 1
1.In Christ We Rock
2.Red Sunrise
3.Lonely Is the Night
4.Let It Go
5.Sightless Eyes
6.Heaven or Hell
7.Mark of the Beast
8.Master’s Call
9.Runaway (2018 remaster)
10.Narration
11.Heaven or Hell
12.Mark of the Beast
13.Master’s Call
14.Let It Go
15.Red Sunrise
16.In Christ We Rock

Disc 2
1.Runaway
2.In Christ
3.Keep the Faith
4.Plain Sight
5.Separate Ways
6.Change of a Heart Beat
7.Life Giver
8.What Must I Do
9.Light
10.Love, It’s Only You I See
11.Tonal Intensity
12.We Touch
13.Not Living Without You
14.Tonal Intensity
15.What Must I Do

Line-up
Wade A. Little – Bass
Dave Devaughn – Drums
Jeffrey James – Guitars
Steve Ayola – Keyboards
Ken Pike – Vocals, Guitars

ROXX PRODUCTIONS – Facebook

Ancient Oak Consort – Hate War Love

Hate War Love è un’elegante opera che unisce rock, musica da camera, ispirazioni folk mediterranee e prog metal.

Odio – guerra – amore: Sicilia 1943, l’amore come unica arma contro l’odio che porta alla guerra e alla distruzione, anche dell’animo umano.

Da questi drammatici temi nasce il concept album degli Ancient Oak Consort, band capitanata dal chitarrista classico Andrea Vaccarella , attiva da più di vent’anni ma con solo un paio di opere alle spalle: Ancient Oak, licenziata nel 1997, e The Acoustic Resonance of Soul, uscita nel 2006, dodici anni prima che questa nuova opera vedesse la luce, con il gruppo che, oltre al compositore e chitarrist,a vede al microfono Giulia Stefani (Ravenscry) e alla batteria Stefano Ruscica, più un nutrito numero di special guests come Roberto Tiranti (Labyrinth), Mathias Blad (Falconer), Francesco “Frank” Marino (Union Radio – J. Macaluso band) alla voce, Cosimo Tranchino, Dario Giannì, Filippo Di PietroBasso al basso e Alexandra Butnaru al violino.
Elegante opera che unisce rock, musica da camera, ispirazioni folk mediterranee e prog metal, Hate War Love è una maestosa creatura musicale formata da diciassette brani, dai quali veniamo accompagnati tra le terre bruciate dal sole della Sicilia dalla splendida e particolare voce della Stefani, seguendo il corso fluido delle note, quelle grintose del metal progressivo, oppure creatrici di atmosfere classiche, o ancora ispirate alla musica popolare, suonata da centinaia di anni sulle rive che si affacciano nel Mediterraneo.
Gli ospiti danno il loro contributo, ma al microfono la scena è tutta per la cantante, dalla timbrica suadente che non ha nulla delle cantanti pompose che tanto vanno di moda oggi nel metal sinfonico.
I brani classici sono quelli che più donano quel tocco di originalità all’opera, lasciando le sicure strade sinfoniche e mettendo in risalto la chitarra classica e le eleganti armonie di violino, viola e violoncello.
Album da ascoltare nella sua interezza, sensibile alla raffinata musicalità degli strumenti classici, Hate War Love esprime un susseguirsi di emozioni che odio, guerra ed il loro naturale antidoto (l’amore) regalano dall’inizio dei tempi.

Tracklist
1.Walking (Barcarola)
2.Eternal Clash
3.Love Theme (Piano)
4.By the Sea
5.Diario di bordo
6.The Heaven’s Lie
7.Sweetly (Ninna nanna)
8.Men Fighting for Men
9.Love Theme (Dialogue)
10.Barcarola
11.The Race
12.Will You Remember Me?
13.The Letter
14.Epilogue
15.Sick Dream
16.Love Theme (Guitar Version)
17.Ninna nanna

Line-up
Andrea Vaccarella – Guitars
Giulia Stefani – Voice
Stefano Ruscica – Drums

Guests:
Roberto Tiranti (Labyrinth) – Voice
Mathias Blad (Falconer) – Voice
Francesco “ Frank” Marino (Union Radio – J. Macaluso band) – Voice
Cosimo Tranchino – Bass
Dario Giannì – Bass
Filippo Di Pietro – Bass
Alexandra Butnaru – Violin, Viola

ANCIENT OAK CONSORT – Facebook

Materdea – Pyaneta

Un affascinante e superbo album di musica metal, tra sontuose orchestrazioni, melodie acustiche, attitudine pagan/folk e potenza power.

Torna, a distanza di due anni dal bellissimo The Goddess’ Chants e a quattro dal capolavoro A Rose For Egeria, quella che dopo aver ascoltato questa sontuosa opera dal titolo Pyaneta, si conferma come una delle migliori realtà symphonic metal in assoluto.

I Materdea sono un mondo a parte, raffinati ed eleganti musicisti che coniugano in modo assolutamente perfetto sinfonie metal e melodie folk, ritmiche power prog ad un amore incondizionato per la natura ed il pianeta che ci ospita, troppo spesso dimenticato e torturato dalla scellerata umanità moderna.
La bellezza di Pyaneta raggiunge vette straordinarie: il viaggio intrapreso dal gruppo esplora la vita e la natura con l’aiuto di una musica totale, magari dall’approccio più moderno rispetto all’immaginario fantasy che ispirava gli scorsi lavori, ma ancora una volta supportato da un’eleganza ed una raffinata attitudine che l’album talmente bello da commuovere.
Al comando dei Materdea ci sono sempre il chitarrista Marco Strega e quella splendida interprete che è Simon Papa, cantante che incanta letteralmente, grazie al dono di saper ipnotizzare con l’elegante bellezza della sua voce.
Prodotto da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, Pyaneta è composto da undici perle sinfoniche, pregne di atmosfere folk e cavalcate power metal, dove violini e violoncello (Camilla D’Ononfrio, Giulia Subba e Chiara Manueddu) insieme alle orchestrazioni formano un muro sonoro costruito su una sezione ritmica precisa e potente (Morgan De Virgilis al basso e Carlos Cantatore alla batteria), con la chitarra di Marco Strega a colorare quadri elettrici là dove Simon Papa ci delizia con la sua voce fuori dal tempo.
Potrei citarvi tutta la tracklist senza correre il rischio di uscire dall’eccellenza, mentre sarebbe più difficile fare paragoni scomodi con realtà che sono lontane miglia dal suono Materdea: preferisco quindi lasciarvi all’ascolto di questo affascinante e superbo album di musica metal, tra sontuose orchestrazioni, melodie acustiche, attitudine pagan/folk e potenza power.

Tracklist
01. Back To Earth
02. The Return of the King
03. One Thousand and One Nights
04. Pyaneta
05. Neverland
06. S’Accabadora
07. The Legend of the Pale Mountains
08. Legacy of the Woods
09. Coven of Balzaares
10. Metamorphosis (Bonus Track CD version only)
11. Bourrè del Diavolo

Line-up
Simon Papa – voce
Marco Strega, – chitarra e voce
Chiara Manueddu – violoncello
Camilla D’Onofrio – violino
Giulia Subba – violino
Morgan De Virgilis – basso
Carlos Cantatore – batteria

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Sign Of The Jackal – Breaking The Spell

Quello dei Sign Of The Jackal è heavy metal tagliente e perfettamente in grado di far rivivere il periodo d’oro, tra N.W.O.B.H.M. e hard & heavy, melodico ma sempre tenuto a livello altissimo di tensione grazie alla graffiante prestazione della band.

Nel recupero della tradizione metal/rock che sta avvenendo in questi anni, non manca certo l’heavy metal di scuola ottantiana ed in particolare quella che univa la musica pesante con tematiche horror, prese in prestito da libri e film e di cui in Italia eravamo e siamo ancora oggi maestri.

Inutile menzionare i Death SS, band che più di ogni altra ha marchiato con il fuoco dell’inferno la musica metal tricolore, mentre nel sottobosco ad alimentare la fiamma luciferina si ergono realtà interessantissime.
Il talento dei gruppi nostrani, oltre che nella musica in sé, è sempre stato l’apparire più credibili di altri e non si smentiscono neppure a questa regola i Sign Of The Jackal, gruppo trentino che dell’horror heavy metal ne ha fatto il suo blasfemo credo.
Con la strega Laura “Demon’s Queen” al microfono ed un paio di lavori alle spalle (l’ep The Beyond del 2011 e Mark Of The Beast, album licenziato nel 2013), il quintetto ci regala un altra notte insonne con il timore che gli artigli di Freddy Krueger ci afferrino l’anima o la piccola Regan si svegli dal torpore gelido in cui è piombata da quando il demone l’ha posseduta.
Quello dei Sign Of The Jackal è heavy metal tagliente e perfettamente in grado di far rivivere il periodo d’oro, tra N.W.O.B.H.M. e hard & heavy, melodico ma sempre tenuto a livello altissimo di tensione grazie alla graffiante prestazione dei nostri, tra citazioni musicali che vanno dai Maiden, agli Scorpions (Terror At The Metropol) senza ovviamente dimenticare Steve Sylvester e tutto quello che ha insegnato in materia.
Grande partenza con le keys che intonano il tema portante de L’esorcista e che ci danno il benvenuto in Breaking The Spell, poi la batteria accende la miccia e Night Curse ci investe con la sua carica heavy metal, un vero sballo per gli amanti del suono metallico duro e puro.
Non c’è un brano sotto tono o un assolo che non faccia venir voglia di imbracciare la scopa e scimmiottare inarrivabili guitars hero, in un’atmosfera horror metal trascinante ed irresistibile (Class of 1999, Heavy Rocker, Nightmare ma potrei citarle tutte).
In conclusione, Breaking The Spell risulta un gioiellino metallico, ed i Sign Of The Jackal un’autentica sorpresa nel vasto panorama underground italico.

Tracklist
Side A
1.Regan
2.Night Curse
3.Class of 1999
4.Mark of the Beast
5.Heavy Rocker

Side B
6.Nightmare
7.Terror at the Metropol
8.Beyond the Door
9.Headbangers

Line-up
Laura “Demon’s Queen”- Vocals
Bob Harlock666 – Lead & Rhythm Guitars
Max – Rhythm & Lead Guitars
Nick “DevilDrunk” – Bass
Corra “Hellblazer”- Drums

SIGN OF THE JACKAL – Facebook

Hertz Kankarok – Make Madder Music

Hertz Kankarok conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili.

Dopo un ep sorprendente come Livores, datato 2015, ritorna Hertz Kankarok con la sua proposta trasversale, inquieta e lontana dalla banalità.

Il musicista siciliano conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili, in quanto anche quando può sembrare che siano le ritmiche nervose del djent a prendere il sopravvento, in realtà troviamo sempre una linea melodica ben definita a guidarci nel labirinto musicale ideato da Hertz Kankarok, il quale, come nel precedente lavoro, si dedica esclusivamente ad una versatile interpretazione vocale lasciano ad Andrea Cavallaro (nei primi tre brani) e a Dario Laletta (nel quarto) l’onere di occuparsi dell’intera parte strumentale e degli arrangiamenti.
Per quanto anomali, questi connubi funzionano a meraviglia e questo nuovo ep si dimostra l’ulteriore sviluppo di un sound che era già apparso ampiamente evoluto in Livores: forse nel complesso la struttura dei brani è leggermente più arcigna, ma i cambi di scenario, talvolta repentini, che fanno approdare il sound su lidi molto più ariosi ed atmosferici, avvengono sempre con magistrale fluidità.
Nei quattro brani che vanno a comporre questo ep non c’è un solo momento di stasi, con i suoni che si rivelano ottimali sia quando al proscenio salgono riff secchi e taglienti sia quando il tutto assume connotati più melodici od evocativi.
Del resto, ascoltando più volte Make Madder Music, mi sono reso conto di quanto sia complesso provare a descrivere i brani, anche per la difficoltà oggettiva nell’individuare un termine di paragone o di ispirazione ben definita: volendo esemplificare al massimo, nel corso del lavoro di volta in volta si manifestano richiami che vanno  da Meshuggah a King Crimson, dai Nevermore ai Tiamat, dai Nine Inch Nails per giungere perfino ai Devil Doll, ma sono citazioni del tutto soggettive e che i,n quanto tali lasciano il tempo che trovano. Ma la cosa che maggiormente conta è il consuntivo finale, rappresentato in questo caso da un lavoro che convince e, in più di un passaggio, entusiasma, passando dalle nervose ruvidezze di una Cargo Cult alla stupefacente solennità del capolavoro Who Is Next, e con le irrequiete Deceive Yourself! e The Great Whirlpool (la cui seconda metà rappresenta la chiusura ideale per qualsiasi disco) a mostrare la capacità di cambiare veste in maniera vorticosa senza soluzione di continuità come i migliori dei trasformisti.
Hertz Kankarok per lavoro ha viaggiato molto ed ha vissuto in diversi paesi, anche extraeuropei: questa sua indole cosmopolita influisce nel suo percorso compositivo non tanto in maniera diretta, perché nella sua musica le pulsioni etniche appaiono ma non in maniera preponderante, quanto nella naturalezza con la quale i vari impulsi vengono assimilati e poi trasformati in sonorità che, pur non offrendo uno stabile punto di riferimento, non appaiono mai dispersive od ancor peggio ridondanti.
Tutto questo consente di affermare, senza tema di smentita, che questo musicista atipico è stato nuovamente in grado di offrire, a distanza di qualche anno, un’ulteriore testimonianza di una sound innovativo e progressivo nel senso più autentico del termine, con il decisivo valore aggiunto di una scrittura ficcante e sempre ben lontana da una sterile esibizione di tecnica, nonostante la possibilità di avvalersi di due compagni d’avventura di eccezionale bravura come Cavallaro e Laletta.
Resta solo da ottenere, per Hertz Kankarok, la consacrazione a questi livelli con un full length, auspicabilmente con l’aiuto decisivo di una label capace di promuoverne a dovere la musica.

Tracklist:
1. Deceive Yourself!
2. Cargo Cult
3. Who Is Next?
4. The Great Whirlpool

Line-up:
Hertz Kankarok – Vocals
Andrea Cavallaro – Guitars, bass, Synths on 1.2.3.
Dario Laletta – Guitars, bass, Synths on 4.

HERTZ KANKAROK – Facebook

My Haven My Cage – Sweet Black Path

Sweet Black Path è il nuovo album della one man band italiana chiamata My Haven My Cage, un ottimo esempio di thrash/death vecchia scuola contaminato dalla musica popolare spagnola e normanna, creando interessanti e particolari atmosfere tra irruenza ed epici momenti folk.

Uscito lo scorso anno ed arrivato a MetalEyes solo oggi, Sweet Black Path è il secondo album della one man band siciliana My Haven My Cage.

Il musicista Mauro Cardillo ha dato vita alla sua creatura qualche anno fa, con il primo lavoro intitolato The Woods Are Burning del 2016, che viene dunque seguito da queste nuove otto tracce che, se lasciano ancora per strada qualcosa per quanto riguarda la produzione, offrono non poco a livello artistico, il sound infatti si basa su di un thrash/death con affascinanti inserti di musica folk normanna e spagnola.
Ovviamente il mastermind sa il fatto suo, sia tecnicamente che a livello compositivo, e già dall’opener Abyss I Am l’impressione di essere al cospetto di un album interessante e a suo modo originale è forte.
Immigrant Song e Delirium mostrano che la strada compositiva intrapresa dai My Haven My Cage è quella giusta: passaggi heavy/thrash vengono impreziositi da lunghe parti strumentali in cui atmosfere folk ricamano momenti di musica totale, la voce cartavetrata ed in linea con il genere viene accompagnata da linee corali dal flavour epico, mentre Hope viene introdotta da una suggestiva atmosfera semiacustica prima che la furia estrema riprenda il sopravvento.
Lamb Of God (Aleppo) è un brano che segue strade progressive, così come la folk/thrash/prog/death Werther Dies, traccia che lascia spazio alla conclusiva title track, che suggella un lavoro molto intenso.
Da migliorare sicuramente la produzione che rimane a mio avviso il tallone d’Achille di questo nuovo lavoro firmato My Haven My Cage, gradita sorpresa ed ulteriore gioiellino dall’underground tricolore.

Tracklist
1.Abyss I am
2.Immigrant Song
3.Delirium
4.Hope
5.Peaceful
6.Lamb of God (Aleppo)
7.Werther Dies
8.Sweet Black Path

Line-up
Mauro Cardillo – All Instruments

MY HAVEN MY CAGE – Facebook

Follow The Cipher – Follow The Cipher

I Follow The Cipher sul versante commerciale hanno tutto per sfondare, su quello del sound magari peccano un po’ in personalità per puntare tutto sull’impatto (anche visivo), un dettaglio che certo non rallenterà la corsa di Ken Kängström e compagni.

I Follow The Cipher sono la band fondata da Ken Kängström, musicista che i fans dei Sabaton conoscono bene visto la sua duratura collaborazione con il gruppo guerriero svedese.

Kängström ha trovato nella bravissima e bellissima cantante Linda Toni Grahn la musa per la sua creatura e, firmato un contratto per il colosso Nuclear Blast, rilascia il primo lavoro omonimo.
Follow The Cipher è un album destinato a fare il botto tra gli amanti dei suoni bombastici e sinfonici, una raccolta di brani dall’irresistibile appeal che, se pecca in personalità (d’altronde è pur sempre un debutto), risulta uno spettacolo di suoni raffinati, dal taglio epico e dai rimandi orchestrali in un contesto moderno, supportato da una produzione che molti considereranno troppo cristallina per un album metal, ma proprio per questo inattaccabile per scalare le classifiche rock del nord e centro Europa.
L’album si snoda così tra un omaggio alla band con cui i Follow The Cipher mantengono una stretta amicizia (Carolus Rex, scritta da Kängström per i Sabaton) e tanto epic symphonic metal, con la cantante che piazza una prestazione magnifica e un songwriting che fa l’occhiolino ai gruppi storici della scena scandinava.
Valkyria, Titan’s Call, la bellissima A Mind’s Escape fanno parte di una tracklist che si rispecchia nel symphonic metal di Nightwish e Within Temptation, senza perdere nulla in potenza power metal e melodic death, in un contesto dove band come Children Of Bodom, Sabaton e primi In Flames si rivestono di una produzione moderna e dal taglio cinematografico (Play With Fire in questo senso è un piccolo capolavoro).
Follow The Cipher non deluderà i fans dei gruppi citati: il gruppo sul versante commerciale ha tutto per sfondare, su quello del sound magari pecca un po’ in personalità per puntare tutto sull’impatto (anche visivo), un dettaglio che certo non rallenterà la corsa di Ken Kängström e compagni.

Tracklist
1. Enter the Cipher
2. Valkyria
3. My Soldier
4. Winterfall
5. Titan’s Call
6. The Rising
7. A Mind’s Escape
8. Play With Fire
9. I Revive
10. Starlight
11. Carolus Rex

Line-up
Linda Toni Grahn – lead vocals
Ken Kängström – guitars & vocals
Viktor Carlsson – guitar & vocals
Jonas Asplind – bass & vocals
Karl Löfgren – drums

FOLLOW THE CIPHER – Facebook

Gunjack – Totally Insane

I Gunjack seguono gli insegnamenti di Lemmy in modo perfetto, ma, a differenza di altri, la personalità e la convinzione nei propri mezzi ed in quello che suonano diventa determinante per la riuscita di questa raccolta di brani.

Sarà che, ogni tanto, di sano, robusto e cattivo rock’n’roll se ne ha bisogno come il pane, sarà che in fondo Lemmy ci manca, sarà che quando lavori come questo nascono da chi ha le giuste doti e l’attitudine per non sembrare solo un clone, ma all’ascolto di Totally Insane, debutto dei Gunjack, ci si ritrova pieni di bernoccoli a causa delle capocciate provocate dal sound irresistibile e motorheadiano di questa fulminate raccolta di brani.

Il trio di rockers è composto da vecchie conoscenze della scena hard & heavy tricolore, una band pronta ad assaltare i nostri padiglioni auricolari con quello che risulta 100% Motorhead Style, con Lemmy che da lassù (o da laggiù) applaude tra una golata di whiskey ed una sigaretta.
Totally Insane è probabilmente l’album più bello che sia uscito negli ultimi anni tra quelli che rispecchiano in toto il credo musicale di chi ha inventato un genere ed un sound immortale.
I Gunjack seguono gli insegnamenti di Lemmy in modo perfetto, ma, a differenza di altri, la personalità e la convinzione nei propri mezzi ed in quello che suonano diventa determinante per la riuscita di questa raccolta di brani.
Prodotto magnificamente e suonato al meglio, l’album travolge ogni cosa spinto da una carica irrefrenabile, undici calci nelle natiche a chi pensa che suonare rock’n’roll di matrice motorheadiana sia obsoleto.
Vecchia scuola o come si dice oggi old school, mettetela come volete, ma dall’opener 4B4Y la band passa idealmente in rassegna il meglio della discografia del gruppo britannico, rivelandosi una perfetta macchina da guerra che ci rinfresca la memoria con una serie di bordate micidiali (Black Mark, Into The Fire, Old Guard) .
Mr.Messerschmitt (voce e basso), Gamma Mörser (chitarra) e M47 (batteria) hanno dato vita ad un terremoto sonoro, occhio all’inevitabile tsunami rock’nroll che vi travolgerà.

Tracklist
1.4B4Y
2.Totally Insane
3.Black Mark
4.Bloodbath
5.Into the Fire
6.Seven
7.Old Guard
8.Cry of Demon
9.Iron Cross
10.Mr.Daniels
11.Outro

Line-up
Mr.Messerschmitt – Vocals, Bass
Gamma Mörser – Guitars
M47 – Drums

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Horrorgraphy – Season of Grief

Season of Grief  alla fine si lascia ascoltare ma, quasi ad avallare l’impietosità del confronto, la band greca piazza alla fine la cover di The Rise of Sodom and Gomorrah che definisce con chiarezza la distanza siderale che spesso intercorre tra i maestri di un genere ed i loro volenterosi epigoni.

La recente uscita dei Therion, viste le sue dimensioni inusuali, dovrebbe aver placato per un po’ la sete di symphonic gothic metal degli appassionati.

Diviene così ancora più difficile per le band minori trovare nuovi spazi in un settore che di suo è già sufficientemente inflazionato, figuriamoci poi se uno dei nomi di punta se ne esce con tre ore di musica inedita.
Ci provano ugualmente i greci Horrorgraphy a ritagliarsi uno spazio, con questo lavoro d’esordio che non nasconde in alcun modo la devozione nei confronti dell’opera di Christofer Johnsson.
Il tutto avviene, ovviamente, senza che a disposizione ci siano né i mezzi né il talento per avvicinare quei livelli, ma nonostante ciò il risultato finale non è affatto deprecabile.
Dimon’s Nigh, già incrociato con altri suoi progetti come Humanity Zero e Inhibitions, si occupa di tutta la parte musicale e si avvale di tre voci, quella femminile di Marialena Trikoglou e quelle maschili di Pain e Seek.
La configurazione, sia detto con il massimo rispetto, sembra quella di una sorta di Therion dei poveri e quello che ne deriva non può che essere inevitabilmente un discreto surrogato e nulla più.
A livello compositivo Season of Grief mostra buone intuizioni, mentre la perfezione sonora ed esecutiva delle opere johnssoniane è piuttosto lontana; meglio quindi allorché gli Horrorgraphy spingono in po’ più sull’acceleratore, dato che nelle parti più evocative e rarefatte certe carenze (voce femminile e chitarra solista in particolare) tendono ad emergere più nettamente.
Season of Grief  alla fine si lascia ascoltare ma, quasi ad avallare l’impietosità del confronto, la band greca piazza alla fine la cover di The Rise of Sodom and Gomorrah che definisce con chiarezza la distanza siderale che spesso intercorre tra i maestri di un genere ed i loro volenterosi epigoni.

Tracklist:
1. In a Dark Time
2. Ghosts
3. Hauted
4. The March of the Dead
5. Hounds of Hell
6. Her Violin Sings at Night
7. Join Me in Suicide
8. Season of Grief
9. The Rise of Sodom and Gomorrah (Therion cover)

Line up:
Dimon’s Night – All instruments, Songwriting
Pain – Vocals
Seek – Vocals
Marialena Trikoglou – Vocals (soprano)