Chronosfear – Chronosfear

Un power metal spontaneo, con un tocco moderno di prog che riesce a non sconfinare nel virtuosismo.

I Chronosfear si presentano al mondo con un album omonimo, un biglietto da visita per chi ancora non avesse capito con chi si ha a che fare.

Sì, perché ci sono dei pezzi da 90 dello scenario metal del nord Italia. La band, composta da 5 elementi, è nata nel 2003 con un altro nome e con l’intenzione di proporre cover rivisitate. Solo tra il 2015 e il 2016 completa la formazione con gli attuali elementi e sforna questo condensato di power metal con l’aggiunta di una sana nota di prog firmato Underground Symphony Records (che ha lavorato con gente del calibro di Labyrinth e Fabio Lione)
La formazione con una sola chitarra è del tutto uguale a quella dei Sonata Arctica, eccezion fatta per la virtuosa keytar di Klingenberg che però, di fatto, è uno dei pregi di questo album. Il virtuosismo dei singoli è infatti sempre controllato, malgrado il genere sia presti molto e ci abbia sempre abituato agli assoli di 5 minuti con tanto di botta e risposta continui tra chitarre e tastiere,-ma  i Chronosfear riescono a non eccedere mai, anche quando potrebbero.
Il disco ci fa saltare da momenti molto carichi dell’energia tipica del power a momenti lenti ed emozionanti con una disinvoltura tale che l’ascoltatore non se ne stanca mai. Tutto questo ovviamente, si ripercuote anche sui testi. I temi ci fanno viaggiare da battaglie per l’equilibrio dell’universo a tematiche più gotiche legate alla vita ed il suo significato, fino a quello attualissimo della guerra contemporanea. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
Se siete amanti del power metal non potrete che apprezzare questo lavoro d’esordio dei Chronosfear, che li posiziona certamente in cima alla lista dei dischi in uscita tra i gruppi emergenti. L’auspicio è che possa essere il primo di una lunga serie. L’inizio è dei migliori, ma presto vorremo conoscerne il seguito.

Tracklist
01. Clockworks
02. The gates of Chronos
03. Symphonies of the dreams untold
04. The last dying ember
05. Of dust and flowers
06. Faces
07. Innocent and lost
08. The ascent
09. Time of your life
10. Revelations
11. Homeland

Line-up
Filippo Tezza – Vocals
Eddie Thespot – Guitars
Davide Baldelli – Keyboards
Xavier Rota – Bass
Michele Olmi – Drums

CHRONOSFEAR – Facebook

Metalwings – For All Beyond

Un’ora di splendida musica symphonic metal tra atmosfere folk, sfumature gotiche e potenza power metal.

Un album come For All Beyond ci presenta una band dalle potenzialità enormi, nel campo del metal sinfonico una delle sorprese di questa prima metà dell’anno.

Il gruppo proveniente da Sofia, capitale della Bulgaria, paese non proprio al centro del mappamondo metallico e capitanato dalla cantante, tastierista e songwriter Stela Atanasova, dopo il mini cd Fallen Angel in the Hell, uscito nel 2016, trova la chiave per aprire lo scrigno dove il custode delle sinfonie tiene celato il segreto per suonare il genere e crea questa opera fuori dal tempo.
Un’ora di splendida musica symphonic metal tra atmosfere folk, sfumature gotiche e potenza power metal: il debutto sulla lunga distanza dei Metalwings procurerà non pochi brividi sulla pelle dei fans di queste sonorità, che vengono  nobilitate da un album che profuma di colline e foreste dell’est, di villaggi d’argilla sorti sulle rive di ruscelli incantati o castelli dimenticati dal tempo.
In questo contesto la band bulgara alterna le varie atmosfere con grande sagacia e For All Beyond ne trova giovamento acquistando appeal ad ogni passaggio.
L’attenzione è tutta per la cantante, davvero brava nel saper dosare toni operistici ed altri più personali, sempre sottolineati da una raffinata ed elegante interpretazione, mentre gli strumenti prettamente metal creano cavalcate power e passaggi folk, sinfonie gotiche e tempeste heavy.
Lo strumentale End Of The War ci introduce all’ascolto dell’album, lungo brano che crea la giusta atmosfera lasciata esplodere con Secret Town, comandata da chitarre elettriche e viola.
Un brano power sinfonico lineare, perfetto per un singolo, mentre già dalla notevole Immortal Metal Wings la musica disegna quadri di un tempo passato che non smetteranno di colorarsi fino alla fine dell’album.
When We Pray, la title track, le bombastiche Realm Of Dreams ed il singolo Fallen Angel In The Hell (brano che dava il titolo al precedente ep) ci accompagnano alla scoperta del mondo antico dei Metalwings, per un’ora l’unico paesaggio che risplende davanti ai nostri occhi.

Tracklist
1.End of the War
2.Secret Town
3.Immortal Metal Wings
4.When We Pray
5.A Wish
6.There’s No Time
7.For All Beyond
8.Realm of Dreams
9.Tujni Serza
10.For All Beyond (Orchestral Version)
11.Fallen Angel in the Hell
12.Fallen Angel in the Hell (Instrumental Version)

Line-up
Stela Atanasova – Lead Vocals, Electric Viola, Keys
Grigor Kostadinov – Guitars
Krastyo Jordanov – Guitars, Irish Flute, Backing vocals
Milen Mavrov – Bass
Angel Kitanov – Keyboards
Blackie – Drums

METALWINGS – Facebook

Leather – II

I fans dei Chastain e dell’heavy metal duro e puro possono avvicinarsi all’opera con la convinzione di ritrovarsi al cospetto di un lavoro che non tradisce, così come Leather, incontrastata regina della foresta metallica aldilà dell’oceano.

La leonessa dell’heavy metal americano e per anni graffiante regina dietro al microfono dei Chastain, è tornata con il secondo lavoro solista dopo quasi trentanni dal precedente Shock Waves, uscito nel 1989.

Leather Leone, accompagnata da una band gagliarda composta dai chitarristi Vinnie Tex e Daemon Ross, dal bassista Thiago Velasquez, e dal batterista Braulio Drumond dà dunque un seguito allo storico debutto, dopo l’ottimo We Bleed Metal , ultimo arrivato in casa Chastain.
Niente di nuovo,  ci mancherebbe altro, II è il classico album in cui la cantante offre il meglio di sé, undici brani di graffiante ed incendiario metallo old school, sostenuto da possenti mid tempo, grandi solos che tuonano note metalliche nel cielo scuro, il tutto per valorizzare la prova al microfono della storica singer americana che anche su questo album da l’impressione di non invecchiare mai.
I fans dei Chastain e dell’heavy metal duro e puro possono avvicinarsi all’opera con la convinzione di ritrovarsi al cospetto di un lavoro che non tradisce, così come Leather, incontrastata regina della foresta metallica aldilà dell’oceano.
Fin dall’opener Juggernaut veniamo quindi travolti da un sound tempestoso, puro heavy metal senza fronzoli, americano fino al midollo, con il quale la vocalist ci tiene stretti in un a morsa d’acciaio grazie alla sua inconfondibile voce e al grande lavoro delle due chitarre.
The Outsider, Black Smoke, la semiballad Annabelle ed American Woman sono i brani più incisivi del nuovo lavoro di Leather, un buon ritorno per la Ronnie James Dio in gonnella, leonessa indomita che ha ispirato più di una generazione di cantanti ed interpreti dell’heavy metal classico.

Tracklist
1. Juggernaut
2. The Outsider
3. Lost At Midnite
4. Black Smoke
5. The One
6. Annabelle
7. Hidden In The Dark
8. Sleep Deep
9. Let Me Kneel
10. American Woman
11. Give Me Reason

Line-up
Leather Leone – Lead Vocals
Vinnie Tex – Lead, Rhythm and Harmony Guitars
Daemon Ross – Lead Guitars
Thiago Velasquez – Bass Guitar
Braulio Drumond – Drums

LEATHER – Facebook

https://youtu.be/y5HbAWfllfg

Nereis – Turning Point

Turning Point è un album vario e moderno ma che mantiene un approccio classico, formato da belle canzoni e suonato al meglio: si può dire quindi che i Nereis hanno superato ogni aspettativa.

Da più di dieci anni attivi nella scena underground metallica tricolore, i trentini Nereis giungono al secondo lavoro sulla lunga distanza licenziato da Eclipse Records.

I Black Star (così si chiamavano fino allo scorso anno), dopo qualche problemino di line up, un esordio uscito nel 2012 dal titolo Burnin ‘Game e l’ep From the Ashes di tre anni dopo, hanno avuto la possibilità di suonare live con buona frequenza, mettendo in saccoccia un bel po’ di esperienza che è sicuramente servita per dare alle stampe questo buon lavoro dal titolo Turning Point.
Heavy metal e hard rock progressivo e melodico in un contesto moderno, rivestono la raccolta di brani e testimoniano  di un gruppo convincente nelle sue varie influenze assimilate per benino e sfruttate in toto per creare brani dal forte impatto, ricchi di  tecnica ed attitudine e valorizzati da arrangiamenti che guardano più alla scena moderna che quella classica.
Un buon mix che la bravura dei musicisti valorizza con cambi di tempo e solos che sono rasoiate, impreziosite da chorus di scuola hard rock, melodici ed accattivanti così come la voce del cantante, protagonista di una prova straordinaria.
Turning Point non conosce intoppi, forte di una serie di brani trascinanti che fino alla sesta traccia (Now) sono un susseguirsi di colpa di scena.
Unity, la melodica Ready For War, la super heavy Overdrive saltano da un genere all’ altro, tra hard rock melodico, heavy metal ed alternative fondendo abilmente King’s X, Alter Bridge, Symphony X e Gotthard.
What Is Wrong What Is Right torna alle montagne russe musicali dopo la parentesi One Time Only/The Wave,  ballata spezza ritmo dove ci si riposa prima del finale.
Turning Point è un album vario e moderno ma che mantiene un approccio classico, formato da belle canzoni e suonato al meglio: si può dire quindi che i Nereis hanno superato ogni aspettativa.

Tracklist
1.Unity
2.Ready for War
3.Breaking Bad
4.Overdrive
5.Two Wolves
6.Now
7.One Time Only
8.The wave
9.What is Wrong And What Is Right
10.Induced Extinction
11.Born To Fly
12.We Stand As One

Line-up
Andrea “Andy” Barchiesi – Vocals
Samuel “Sam” Fabrello – Guitar
Mattia “Pex” Pessina – Guitar
Gianluca “Gian” Nadalini – Bass
Davide “Dave” Odorizzi – Drums

NEREIS – Facebook

Sense Of Fear – As the Ages Passing By…

As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Oscurità e potenza, una forza sprigionata da un’onda d’urto power/thrash di notevole impatto in pieno rispetto della tradizione metallica, tra scuola europea e statunitense.

Questo in poche parole risulta As the Ages Passing By…, debutto su lunga distanza dei Sense Of Fear, quintetto attivo da anni come Holy Prophecy e dal 2013 a procurar battaglia con il nuovo monicker.
Un solo ep omonimo a precedere questa lunga mazzata che, se riesce a tratti ad esaltare con duetti chitarristici di scuola maideniana, ritmiche power ed atmosfere alla Iced Earth, lascia qualcosina a causa della prolissità, ma sono dettagli perché l’album come detto non manca di inorgoglire i defenders cresciuti a pane e heavy/power metal.
Album old school ma dalla produzione moderna (l’album è stato registrato ai Valve Studio da Stratos “Strutter” Karagiannidis in Grecia, per poi essere mixato e masterizzato in Germania da R.D. Liapakis e C. Schmid), As the Ages Passing By… è un mastodontico pezzo di granito metallico, i brani sono strutturati su potentissime ritmiche ed atmosfere oscure e drammatiche care alla band di Jon Schaffer, le chitarre svolgono un lavoro di coppia assai riuscito e la voce teatrale e drammatica ricorda quella dei vocalist di scuola americana, potenti e molto interpretativi.
Bellissima Slaughter Of Innocence, la traccia che più riassume il credo musicale del gruppo greco, seguita dall’inno metallico Agent Of Steel e dalla super ballatona The Song Of A Nightingale.
La title track chiude il lavoro con i suoi nove minuti di cavalcata in crescendo, confermando la buona vena del gruppo, anche se qualche brano verso il finale non brilla come nel corso dell’inizio pirotecnico dell’album.
As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Tracklist
1.Molten Core
2.Slaughter of Innocence
3.Black Hole
4.Angel of Steel
5.The Song of a Nightingale
6.Torture Of Mind
7.Lord Of The World
8.Unbreached Walls
9.Sense Of Fear
10.As the Ages Passing By, Time Still Runs Against Us

Line-up
Ilias Kytidis – Vocals
Giannis Kikis – Guitar
Themis Iakovidis – Guitar
Dimitris Gkatziaris – Bass
Markos Kikis – Drums

SENSE OF FEAR – Facebook

Amorphis – Queen Of Time

Queen Of Time è l’ideale suggello di una carriera che si sta approssimando ai trent’anni, per un gruppo la cui spinta propulsiva sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Gli Amorphis appartengono a quel novero di gruppi che godono di uno status collocabile a metà strada tra il mainstream e l’underground, trattandosi di una band dalla storia lunga che, magari, non raccoglie consensi oceanici ma comunque in grado di attrarre un numero importante di appassionati, sovente anche al di fuori degli abituali fruitori del metal.

Quello della band finlandese è ormai un trademark consolidato, qualcosa che per qualcuno potrà anche apparire ripetitivo ma che, alla luce della qualità media dei dischi pubblicati, alla fine riduce tutti questi discorsi a semplice aria fritta.
Indubbiamente l’ingresso di un cantante versatile come Tomi Joutsen, a partire da Eclipse nel 2006, ha contribuito a stabilizzare il sound in un death melodico dai richiami epici e folk, perfettamente oliato e incapace di deludere.
Ad ogni buon conto, anche per cercare di tacitare i critici per partito preso, gli Amorphis con questo loro ultimo Queen Of Time hanno provato con un certo successo ad inserire qualche elemento nuovo nel loro sound, pur senza stravolgerlo: ne consegue, così, un lavoro vario nel quale troviamo parti di sax, aperture corali e sinfoniche, duetti con voci femminili, il tutto all’interno di brani che, in diversi chorus, rimandano ai fasti di Eclipse e Silent Waters.
Varietà nella continuità è, quindi, ciò che in sintesi propone il gruppo finnico, il quale, recuperato lo storico bassista Olli Pekka Laine (di recente protagonista anche con i suoi Barren Earth) mantiene un assetto consolidato che consente di sfornare a getto continuo riff e chorus trascinanti, di presa immediata ma non banali, sintomatici di una classe superiore alla media.
Ne scaturiscono dieci brani intensi ed orecchiabili, ruvidi e melodici nel contempo, e interpretati da uno Joutsen ineccepibile (nella speciale classifica combinata clean vocals/growl, oggi Tomi è superato forse dal solo Jon Aldarà), con il supporto di una band precisa come un orologio svizzero e gratificata da un sound di rara pulizia.
Posto che ai campioni del calcio non chiediamo di segnare solo di tacco e in rovesciata, o a quelli del ciclismo di fare le salite su una ruota, così da quelli della nostra musica mi pare lecito che si esigano solo belle canzoni e questo compito essenziale, ma certo non banale, viene assolto al meglio dagli Amorphis, in virtù di una tracklist di rara solidità, priva di punti deboli e con almeno quattro brani meravigliosi: l’opener The Bee, a suo modo un classico, Daughter of Hate, dal refrain indimenticabile all’interno di una struttura piuttosto cangiante, la superhit Amongst Stars, con il duetto tra Joutsen e la divina Anneke van Giersbergen, e la conclusiva Pyres on the Coast, traccia che non è affatto tipica per gli Amorphis, in quanto va ad intrecciare modernismi a pulsioni sinfoniche senza mai smarrire la bussola.
Concludo facendo notare che non è così scontato trovare band capaci di fornite simili prove di efficienza alla quattordicesima prova su lunga distanza, all’interno di una discografia pressoché priva di passi falsi (forse il solo Far From The Sun appare, a posteriori, più debole degli altri lavori): questo splendido Queen Of Time è, quindi, l’ideale suggello di una carriera che si sta approssimando ai trent’anni, per un gruppo la cui spinta propulsiva sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Tracklist:
1. The Bee
2. Message in the Amber
3. Daughter of Hate
4. The Golden Elk
5. Wrong Direction
6. Heart of the Giant
7. We Accursed
8. Grain of Sand
9. Amongst Stars
10. Pyres on the Coast

Line-up:
Tomi Joutsen – Vocals
Esa Holopainen – Guitar
Tomi Koivusaari – Guitar
Olli-Pekka Laine – Bass
Santeri Kallio – Keyboards
Jan Rechberger – Drums

AMORPHIS – Facebook

Crossing Eternity – The Rising World

Un power metal molto classico con l’aspirazione di ricercare nuove sonorità.

I Crossing Eternity ci presentano The Rising World, primo lavoro per il trio multietnico che fa faville e ci dimostra che l’esperienza conta moltissimo nel loro sound.

Loro non sono affatto giovani, quindi di esperienza ne hanno anche un bel po’. Questo primo disco, composto da 13 tracce uscirà il prossimo 15 giugno sotto l’etichetta Rockshots Records (che ha lavorato con Dark Tranquillity, Lordi, Tristania, Venom e Vision Divine, tanto per citarne alcuni). Due delle tracce sono già disponibili per l’ascolto perché sono state rilasciate come singoli in due date separate.
Il sound non è di certo particolarmente innovativo, in generale le composizioni si attengono ad un power metal abbastanza old-style a cui vengono fatte delle piccole aggiunte, ma senza stravolgere nulla. Per la maggior parte si tratta di svariati strumenti percussivi che si sovrappongono alla sezione ritmica principale. Curiosa la scelta di inserire in due brani addirittura dei timpani. Il brano che li caratterizza di più è probabilmente l’omonimo Crossing Eternity, mentre il più discostato dal genere principale è certamente Kingdome Come, che prende tratti molto più folk metal. Anche i testi rispecchiano alla perfezione il genere suonato.
Ma i Crossing Eternity dopotutto piacciono. Certo, essere un trio è degno di nota, dato che il power prevede generalmente una formazione di 5 o 6 elementi (in alcuni casi anche 7). È chiaro che i suoni sono molto buoni, specialmente per un primo disco: ci auguriamo che il loro misticismo si possa rafforzare e che il tentativo di studiare nuove sonorità da inserire nel genere abbia successo.

Tracklist
1. Crossing Eternity
2. Ghost Of A Storm
3. Sand In The Sky
4. High above the crown
5. Kingdome Come
6. Embrace Your Voices
7. Journey To The End Of Dreams
8. Winter Poem
9. Haunted
10. Dreams Fall
11. Angles Cry, Rainbows Hide
12. Spirit Of The Forest
13. War Of Gods

Line-up
Berti Barbera – Vocal/Percussion intruments
Manu Savu – Guitar/ Bass/ Keyboards
Uffe Tilman – Drums

CROSSING ETERNITY – Facebook

Masquera Di Ferro – Stalactites

Elegante in molti passaggi, il metal dei Masquera Di Ferro unisce e concentra in una formula vincente heavy metal, dark/gothic e hard rock melodico, così da risultare piacevole ed estremamente fluido per tutta la sua durata.

Tra death metal classico, metal estremo moderno, black metal e thrash, la Wormholedeath ogni tanto piazza una band ed un album dai suoni più classici ribadendo la sua ottima varietà di proposte in ogni campo del metal e non solo.

Era successo lo scorso anno con gli svizzeri Invisible Mirror, autori dell’ottimo On The Edge Of Tomorrow, mentre quest’anno tocca ai greci Masquera Di Ferro, monicker che ricorda un romanzo di Alexandre Dumas (Il Visconte di Bragelonne, terzo libro sulla saga dei moschettieri) e gli scritti di Voltaire.
Stalactites è un opera che nella sua ora di durata regala momenti di heavy metal pervaso da atmosfere dark, intenso, sempre accompagnato da sfumature malinconiche e strutturato su mid tempo e crescendo in cui il quintetto incastra melodie su melodie.
Il cantato è interpretativo e profondo, melodicamente gotico, fuori dai contesti del cantante heavy metal, ma assolutamente in grado di regalare al sound il giusto accompagnamento vocale per valorizzare le atmosfere dei brani.
Elegante in molti passaggi, il metal dei Masquera Di Ferro unisce e concentra in una formula vincente heavy metal, dark/gothic e hard rock melodico, così da risultare piacevole ed estremamente fluido per tutta la sua durata.
L’opener Brinicle, Human Code, l’accoppiata centrale Sentenced To Life, Sirens, l’epica Spartacus e l’hard rock su cui si basa la title track sono i brani più riusciti di un album brillante e melodico senza penalizzare quella potenza metal che non mancherà di accontentare le truppe di appassionati dai gusti più raffinati.

Tracklist
1.Intro
2.Brinicle
3.Stalactites
4.Human code
5.Persona
6.Sentenced to Life
7.Spartacus
8.Sirens
9.Enough
10.Whiskey Roads
11.What Shall I Die For

Line-up
Tasos Psilovasilopoulos – Vocals
Fanis Badas – Guitar
Kostas Birbutsakis – Guitar
PanosThoidis – Drums
Teo Karalis – Bass

MASQUERA DI FERRO – Facebook

Novareign – Legends

I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

E’ forse iniziata una nuova era per il power metal, le battaglie non si vincono più trascinati dalle note degli eroi tedeschi o scandinavi, ormai tramontati o fermi a ricreare vecchie atmosfere.

Le nuove leve non guardano più con occhi luccicanti la seconda generazione di band che a metà degli anni novanta fecero tornare in auge i suoni classici, specialmente nella vecchia Europa, dal power teutonico dei Gamma Ray, al progressive power metal dei Symphony X, dall’epico incedere delle opere a tema storico dei grave Digger, all’eleganza compositiva dei fenomenali Angra di sua maestà Andrè Matos.
Qualche anno dopo, passato il momento d’oro, si affacciarono sul mercato band come gli inglesi Dragonforce di Hernan Li, band di maestri dello strumento che portarono all’esasperazione virtuosismo e velocità, con cascate di solos al limite dello shred.
E sono proprio i Dragonforce la band che più ha ispirato la creazione del primo lavoro dei Novareign, gruppo in arrivo dagli States che, con Legends, cerca di rubare cuori tra le fila dei defenders, ancora in un angolo a leccarsi le ferite dopo la scorpacciata di ottimi lavori usciti qualche hanno fa e che solo la reunion degli Helloween e il conseguente tour ha in parte lenito.
Legends mette la prima, accenna una sgommata e per un’ora abbondante travolge tra cascate di note e ritmiche alla velocità della luce, tra power metal diretto e scale progressive tecnicamente scintillanti.
Il problema di questo lavoro è lo stesso dei tanti album dei Dragonforce: alla lunga i brani sembrano tutti uguali, partono, si mettono sulla corsia di sorpasso e ci rimangono non scendendo di velocità, come in un virtuale viaggio lungo una strada che per centinaia di chilometri è assolutamente dritta e ci contorna dello stesso paesaggio.
I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

Tracklist
1.Call On the Storm
2.Mace of A Fist
3.Beyond the Cold
4.Heavy Heart
5.Skyline
6.To Wander the Stars
7.The Builder
8.Black As the Dead of Night
9.Legends

Line-up
David Marquez – Vocals
Danny Nobel – Guitars
Balmore Lemus – Guitars
Moises Galvez – Bass
Paul Contreras – Drums

NOVAREIGN – Facebook

Emerald Sun – Under The Curse Of Silence

Rage, Firewind e Gamma Ray: se siete fans di questi gruppi troverete in Under The Curse Of Silence un vostro fedele alleato, colmo com’è di cavalcate arrembanti e mid tempo forgiati sul monte dove dimorano gli dei. Un album con alti e bassi consigliato solo ai fans accaniti del genere che potranno ritrovarci tutti gli stratagemmi usati ed abusati dalle band storiche dei suoni power.

Il power metal classico, ormai lasciato ad agonizzare nelle sabbie mobili dell’underground, continua a faticare per riemergere sul mercato come una ventina d’anni fa , anche se i gruppi validi non mancano, specialmente nel sud Europa che sembra ormai diventata la culla del genere scalzando Germania e Scandinavia.

La mappa del power metal si è spostata sulle rive del Mediterraneo, con l’Italia in primissimo piano e la Spagna e la Grecia a seguire.
Gli Emerald Sun provengono proprio dalla terra del Monte Olimpo e sono attivi invero già dalla fine del secolo scorso, con tre full length pubblicati prima di questo ultimo capitolo intitolato Under The Curse Of Silence.
Il sestetto proveniente da Salonicco torna dunque all’assalto con il suo power metal che si nutre di tutti i cliché del genere nato in territorio tedesco, ma che non disdegna a tratti qualche finezza alla Firewind, sovrani del power metal ellenico.
Il problema di questo lavoro è la durata, quasi un’ora di suoni ed atmosfere che si ripetono senza oltrepassare la soglia della sufficienza, problema che diventa serio dopo una quarantina di minuti persi tra mid tempo, solos melodici, accelerazioni e doppia cassa che va di pari passo con chorus epici.
Un taglio alla track list avrebbe giovato ad un album che parte bene con Kill Or Be Killed, All As One e Carry On, ha nell’epica e battagliera Weakness And Shame il punto più alto e poi però comincia a perdere colpi fino ad arrivare alle ultime battute zoppicando non poco.
Rage, Firewind e Gamma Ray: se siete fans di questi gruppi troverete in Under The Curse Of Silence un vostro fedele alleato, colmo com’è di cavalcate arrembanti e mid tempo forgiati sul monte dove dimorano gli dei. Un album con alti e bassi consigliato solo ai fans accaniti del genere che potranno ritrovarci tutti gli stratagemmi usati ed abusati dalle band storiche dei suoni power.

Tracklist
01.Kill Or Be Killed
02.All As One
03.Carry On
04.Blast
05.Weakness And Shame
06.Journey Of Life
07.Rebel Soul
08.Land Of Light
09.Slaves To Addiction
10.Fame
11.World On Fire
12.La Fuerza Del Ser (bonus Track)

Line-up
Fotis “Sheriff” Toumanides – Bass
George Baltas – Drums
Paul Georgiadis – Guitars
Johnnie Athanasiadi – Guitars
Sefis Gioldasis – Keyboards
Stelios “Theo” Tsakirides – Vocals

EMERALD SUN – Facebook

Hexx – Quest For Sanity & Watery Gates

Power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo: il sound del gruppo era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.

Tra il 1988 e il 1990 prima che il full length Morbid Reality (uscito nel 1991) concludesse la prima fase della loro carriera, ripresa una quindicina d’anni dopo, i thrashers americani Hexx licenziarono questi due ep, Quest For Sanity (1988) e Watery Graves (1990).

La Vic Records ristampa in un unico formato i due storici lavori, così che il gruppo californiano, dopo il buon ritorno sulla lunga distanza dello scorso anno (Wrath Of The Reaper) ,torna a far parlare di sè dopo una lunga sosta ai box.
Band di culto nel panorama power/thrash statunitense, gli Hexx sono tornati in pista con una formazione rinnovata rispetto all’epoca dell’uscita di questi brani: d’altronde sono passati trent’anni, il metal classico ha vissuto il periodo buio dei primi anni novanta e dell’inizio del nuovo millennio, non ha mai mollato è sopravvissuto nell’underground e continua la sua missione tra alti e bassi.
Ai tempi era tutta un’altra cosa, ed una band come gli Hexx era venerata dai fans, fresca del capolavoro Under The Spell uscito nel 1986.
Il sound del gruppo, un power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo, era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.
La band all’epoca era un quartetto, con il chitarrista Dan Watson ed il batterista Jon Shafer, unici superstiti nella formazione che ha registrato l’ultimo album.
Una produzione in linea con le uscite dell’epoca ed una grinta invidiabile da parte del gruppo, fanno di questa operazione un buon modo per rituffarsi nel metal di fine anni ottanta.

Tracklist
1.Racial Slaughter
2.Sardonicus
3.Fields Of Death & Mirror Of The Past
4.Twice As Bright
6.Watery Graves
7.Edge Of death
8.Under The Spell

Line-up
Bill Peterson – Bass
John Shafer – Drums
Dan Watson – Guitars
Clint Bower – Guitars, Vocals

Current Line Up:
Eddy Vega – vocals
Dan Watson – guitars
Bob Wright – guitars
Mike Horn – bass
John Shafer – drums

URL Facebook
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Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)
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Descrizione Breve

Filii Nigrantium Infernalium – Hostia

Chi propende per sonorità raffinate e ricercate passi oltre, tutti gli altri sono invitati a farsi un sempre gradito pieno di malignità, scorrettezza e blasfemia che solo il metal più autentico sa garantire.

Anche se per continuare ad avere un minimo di vita sociale fingiamo, spesso con buoni risultati d’essere persone assolutamente normali, noi che ascoltiamo metal siamo a tutti gli effetti dei disadattati, almeno se prendiamo quale parametro la normalità imposta dalla convenzione del vivere civile.

A ricordarci tutto questo ci pensano band come i Filii Nigrantium Infernalium, entità portoghese che riesce nella mirabile impresa di vellicare in nostri peggiori e nascosti istinti con il proprio bastardo frullato di black, thrash ed heavy metal, reso ancor più letale da una vena blasfema portata alle estreme conseguenze.
Hostia, terzo full length dei lusitani dopo Fellatrix Discordia Pantokrator (riregristato con il titolo Fellatrix e in uscita anch’esso in questi giorni) e Pornokrates: Deo Gratias (pure oggetto di riproposizione con nuova veste grafica, sempre da parte della Osmose), è l’album adatto da mettere nell’autoradio per testare quale sia il proprio livello di gradimento da parte del resto dell’umanità, o ancor più probabilmente per ripulire la propria vita da conoscenze superflue e sepolcri imbiancati, ma già è difficile che qualcuno non apra le portiere per fuggire al primo semaforo dopo l’ascolto dell’intro Prece.
Ma, al di là delle facezie, questo lavoro del trio portoghese è la riprova di quanto all’inerno del metal ci sia bisogno di chi faccia delicati ricami o cerchi nuove vie espressive quanto di chi faccia nel miglior modo possibile il cosiddetto sporco lavoro.
Attenzione però, perché questi figuri provenienti dalla splendida Lisbona non sono solo dei beceri manovali metallici: in realtà siamo al cospetto di musicisti di vaglia, operanti nella scena da oltre un ventennio e quindi in possesso dell’esperienza necessaria per maneggiare con cura una materia che, messa in mano a dei neofiti, rischierebbe seriamente d’assumere sembianze grottesche.
Il sound dei Filii Nigrantium Infernalium è il frutto immondo dell’unione contronatura perpetrata nel corso di un’orgia tra Darktrhrone, Motorhead, Venom, Judas Priest e qualche occasionale passante …
I dieci brani più intro di Hostia sono bombe che deflagrano fin dalla prima nota senza fare prigionieri, inducendo ad un headbanging convinto ed incessante: Pó, Virtudes da Prostação e la title track sono solo alcuni degli episodi rimarchevoli all’interno di una tracklist che prosciuga ogni resistenza per ritmo ed intensità, con il valore aggiunto del cantato in lingua madre che conferisce al tutto una sua peculiarità.
Chi propende per sonorità raffinate e ricercate passi oltre, tutti gli altri sono invitati a farsi un sempre gradito pieno di malignità, scorrettezza e blasfemia che solo il metal più autentico sa garantire.

Tracklist:
1. Prece
2. Pó
3. Lactância Pentecostal
4. Virtudes da Prostação
5. Santa Misericórdia
6. Smrt
7. Autos de Fé
8. A Morte é Real e Para Já
9. Hóstia
10. Cadela Cristã
11. Raze The Dead of Death

Line-up:
Maalm: Drums
Belathauzer: Guitars, Vocals
Helregni: Bass, Vocals

FILII NIGRANTIUM INFERNALIUM – Facebook

Denied – Freedom Of Speech

Difficile trovare difetti in un album come questo, tributo alle sonorità metalliche tradizionali figlie dei Judas Priest e dei loro adepti che, negli anni, hanno portato avanti il credo di Rob Halford e soci, personalizzandolo con soluzioni power/thrash che sono la firma in calce del gruppo svedese.

Nuovo lavoro per gli svedesi Denied, affacciatisi da una quindicina d’anni sulla scena scandinava con il loro heavy metal old school potenziato da ritmiche thrash.

Il sound del gruppo di Stoccolma risulta un diretto in pieno volto, carico di forza heavy e valorizzato da ottime melodie che ne fanno un esempio di metal classico di origine controllata.
La band, in questo ultimo Freedom Of Speech, successore di altri tre album, si affida per le parti vocali all’ex Johan Fahlberg, ora nei Jaded Heart, protagonista di una prova sopra le righe, con Chris Laney (Pretty Maids), Andreas Larsson, and Madde Svärd come illustri ospiti e Fredrik Folkare (Unleashed, Firespawn) ad occuparsi di missaggio e masterizzazione.
L’album è una bomba heavy metal, con i musicisti impegnati in performance di valore assoluto ed una raccolta di brani che non mancheranno di esaltare i fans dell’heavy metal classico.
Andreas Carlsson e Chris Vowden (chitarre) e Markus Kask (batteria) sono i tre Denied, metallari duri e puri che con Freedom Of Speech confermano la bontà della loro proposta, musica metal fusa nell’acciaio, dalle melodie impeccabili e dalla forza dirompente.
L’album non concede tregua, nessuna ballad lascia riprendere fiato all’ascoltatore, qui si viaggia senza freni tra veloci scudisciate thrash, graffianti solos heavy metal, mid tempo terremotanti e melodie che si stampano in testa, valorizzate dall’ottima prova delle due asce e da quell’animale metallico dietro al microfono che si rivela Johan Fahlberg.
Difficile trovare difetti in un album come questo, tributo alle sonorità metalliche tradizionali figlie dei Judas Priest e dei loro adepti che, negli anni, hanno portato avanti il credo di Rob Halford e soci, personalizzandolo come detto con soluzioni power/thrash che sono la firma in calce del gruppo svedese.
Inutile nominare un brano piuttosto che un altro, quindi glsparatevi questo assalto heavy metal tutto d’un fiato, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Alive
2.Don’t You Know Me
3.Scarred Soul
4.Domestic Warrior
5.The Other Side
6.The Ferryman
7.The Devil in Me
8.Three Degrees of Evil
9.False Truth
10.Freedom of Speech
11.Stay Hungry (Twisted Sister cover)

Line-up
Andreas Carlsson – Guitar
Chris Vowden – Leadguitar
Markus Kask – Drums
Johan Fahlberg – Vocals

DENIED – Facebook

Crying Steel – Stay Steel

Stay Steel è un album dal taglio internazionale che ritroveremo sicuramente nelle classifiche di fine anno, almeno per quanto riguarda il metallo classico.

Si torna a parlare di una delle più importanti band heavy metal della nostra penisola, i Crying Steel, leggendario combo attivo dal lontano 1982, anno di uscita del primo demo.

Ovvio che qui si parli della storia del metal classico tricolore, trattandosi di uno dei dei gruppi proposti dal mitico Beppe Riva nella compilation HM Eruprion, che in quegli anni fu una sorta di Vangelo metallico.
Un primo full length licenziato nel 1987 (On The Prowl) e poi venti lunghi anni di silenzio fino al 2007, quando la band bolognese rientra in gioco con il primo di tre lavori arrivando così al 2018, con un Tony Mills in più dietro al microfono (Shy ,TNT, China Blue, tra gli altri) e dando fuoco alle polveri con questo manifesto all’hard & heavy classico intitolato Stay Steel, un pezzo di acciaio indistruttibile, tagliente e melodico, un ritorno imperdibile per tutti gli appassionati del metal duro e puro.
Le chitarre si incendiano sotto le dita dei due chitarristi Franco Nipoti e JJ Frati, la sezione ritmica supporta potente e massiccia con un Luca Ferri kraken dai devastanti tentacoli e Angelo Franchini preciso al basso, il tutto valorizzato da un Mills debordante: questo risulta in sintesi questo nuovo entusiasmante lavoro che si apre con una Hammerfall che lancia le carte e sbanca il tavolo da gioco, asso di una scala reale metallica.
Con The Killer Inside, Blackout e uno dopo l’altro tutti i brani, Stay Steel rappresenta l’heavy metal che ogni fan di Judas Priest e Accept vorrebbe sentire, suonato da un gruppo che non emula ma che, vista la lunga militanza, è custode della tradizione di un modo di fare metal che continua, malgrado gli anni che passano, ad essere nei cuori dei defenders.
Licenziato dalla Pride & Joy Music, Stay Steel è un album dal taglio internazionale che ritroveremo sicuramente nelle classifiche di fine anno, almeno per quanto riguarda il metallo classico.

Tracklist
1. Hammerfall
2. The Killer Inside
3. Speed Of Light
4. Born In The Fire
5. Blackout
6. Barricades
7. Raise Your Hell
8. Crank It Up
9. Sail The Brave
9. Name Of The Father
10. Name Of The Father
11. Warriors
12. Road To Glory

Line-up
Tony Mills – Vocals
Luca Ferri – Drums
Angelo Franchini – Bass
JJ Frati – Guitar
Franco Nipoti – Guitar

CRYING STEEL – Facebook

Tezza F. – A Shelter From Existence

L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.

Power metal melodico e sinfonico il giusto, epicissimo e che non rinuncia a correre veloce e potente, sullo stile delle uscite che infiammarono i cuori del true defenders di metà anni novanta.

Questo è più o meno il sunto dell’ottima proposta di Filippo Tezza, cantante dei Chronosfear e bassista-cantante degli Empathica, giunto al secondo lavoro del suo progetto solista, attivo dal 2006 e firmato Tezza F.: A Shelter From Existence segue di sei anni il primo album autoprodotto, The Message (…A Story Of Agony, Hope and Faith…) che gli valse la firma con Heart Of Steel Record.
Aiutato da Michele Olmi (Chronosfear, SpellBlast) alla batteria e da Davide Baldelli (Chronosfear), alle tastiere su tre brani,  il polistrumentista e songwriter nostrano dà vita ad un ottimo album incentrato su sonorità classiche, dalle varie impostazioni vocali che sconfinano nello scream di stampo black metal e dove non mancano parti cantante in italiano.
Epico, composto da brani medio lunghi ma non prolissi e piacevoli nella loro fluidità, A Shelter From Existence si rivela un lavoro riuscito, fresco e ben fatto, anche se ovviamente ispirazioni ed influenze sono chiare nel loro seguire i trademark del power metal melodico.
L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.
Tezza dimostra di saperci fare, confezionando un piccolo gioiello classico e lo valorizza con la bellissima suite Of Life And Death Opera, quindici minuti che riassumono in maniera impeccabile il credo musicale del progetto, tra orchestrazioni, ripartenze fulminee, mid tempo epici e tutto quello che gli amanti di queste sonorità vogliono trovare all’ascolto di un’opera del genere.
A Shelter From Existence risulta così una gradita sorpresa e un altro passo assolutamente riuscito per il musicista veronese.

Tracklist
01. The Dawn of Deliverance – intro
02. Nailed to My Dreams
03. A New Dimension
04. Gates To Worlds Unknown
05. Gleams Of Glory
06. Across The Sky
07. The Shelter
08. Rise and Fall
09. Of Life and Death Opera

Line-up
Filippo Tezza – all vocals, all instruments, programming, compositions, lyrics
Michele Olmi – Drums
Davide Baldelli – Keyboards (2,5, 6)

TEZZA F. – Facebook

Sacro Ordine Dei Cavalieri di Parsifal – Heavy Metal Thunderpicking

Heavy Metal Thunderpicking è un album pensato e suonato per gli amanti dell’heavy metal tradizionale, magari con qualche capello bianco sulla rada chioma ed il chiodo da anni ormai piegato nel baule in soffitta.

Arriva al debutto sulla lunga distanza tramite la Sliptrick la storica band goriziana Sacro Ordine Dei cavalieri di Parsifal, monicker che risveglia antiche leggende e l’istinto metallico degli appassionati meno giovani.

Attivo dall’alba del nuovo millennio per volere del cantante Paolo Fumis e del chitarrista Carlo Venuti, il gruppo dopo il primo demo licenziato nel 2005 ed un live uscito dieci anni dopo, a seguito di un lungo stop e vari cambi di line up, dà alle stampe questo buon lavoro di heavy metal old school, ispirato alla scena del decennio ottantiano ed in particolare alla New Wave Of British Heavy Metal: un heavy metal tradizionale, epico ed evocativo che riprende la tradizione britannica, senza dimenticare la lezione impartita dai Manowar, specialmente nei brani dove le atmosfere si fanno più epiche come in Tears Of Light.
Si torna indietro nel tempo con Heavy Metal Thunderpicking, le spade lucidate dagli scudieri brillano sul campo di battaglia prima di essere sporcate dal sangue di gloriosi cavalieri, e l’heavy metal trionfa, duro e puro come se tutti questi anni non fossero mai passato, in una bolla temporale dove primi Iron Maiden, Saxon, Manowar, Balck Sabbath e Dio, fossero ancora gli unici custodi del Sacro Graal della musica metal.
La produzione, che segue l’atmosfera retrò dell’opera, accentua l’attitudine old school dei vari brani che hanno in Ace Of Clubs, Fate’s Embrance e Stripes On The Sand sono le tracce più marcatamente sabbathiane dell’album, in un clima di scontri eroici ed evocative atmosfere epiche.
Heavy Metal Thunderpicking è un album pensato e suonato per gli amanti dell’heavy metal tradizionale, magari con qualche capello bianco sulla rada chioma ed il chiodo da anni ormai piegato nel baule in soffitta.

Tracklist
01. Intro
02. Ace Of Clubs
03. Fate’s Embrance
04. Earthshaker
05. Tears Of Light
06. Four Kings
07. Endless Worm
08. Stripes On The Sand
09. The Blood Of Your Roots

Line-up
Paolo Fumis – Vocals
Carlo Venuti – Guitar
Davide Olivieri – Guitar
Luca Komavli – Drums
Claudio Livera – Bass

SACRO ORDINE DEI CAVALIERI DI PARSIFAL – Facebook

Airborn – Lizard Secrets: Part One – Land of the Living

Questo 2018 in casa Airborn è un anno che potrebbe regalare grandi soddisfazioni, alla luce di questo bellissimo lavoro intitolato Lizard Secrets: Part One – Land of the Living, che va a rimpinguare una discografia di alta qualità,

E’ tempo per una nuova uscita targata Airborn, power band tricolore che gli amanti del genere ricorderanno attiva già dalla metà degli anni novanta, periodo che preparò la scena metal ad un ritorno in grande stile delle sonorità classiche, almeno in Europa.

E il gruppo piemontese era lì ad infiammare una scena nazionale che poteva contare su ottimi talenti a discapito di mezzi non ancora al top come in questi anni; questo 2018 in casa Airborn è un anno che potrebbe regalare grandi soddisfazioni, alla luce di questo bellissimo lavoro intitolato Lizard Secrets: Part One – Land of the Living, che va a rimpinguare una discografia di alta qualità.
L’album, come si intuisce, è il primo capitolo di una trilogia e vede all’opera graditi ospiti (Claudio Ravinale dei Disarmonia Mundi, Jan Bertram dei Paragon, Alexis Woodbury degli Instanzia e Marius Danielsen dei Darkest Sins) ma soprattutto tanto power metal melodico, di quello che in arrivo dalla Germania attraversò le Alpi e fece innamorare orde di metal fans, resi piacevolmente schiavi dalle opere di Gamma Ray, Iron Savior e Blind Guardian.
La band, che con Piet Sielck ci ha lavorato ai tempi del debutto Against The World, spara una serie di brani di eccellente power metal melodico, spettacolare nelle ritmiche, straordinario nei cori e nelle linee vocali, talmente perfetto nel suo incedere verso la gloria metallica che lascia senza fiato.
Non esiste un attimo che non si focalizzi nella mente con una semplicità straordinaria, Lizard Secrets non lascia scampo e torna a far rivivere le atmosfere di capolavori come Land Of The Free e mi fermo qui, perché dovrei andare a scomodare anche chi fino a poco tempo fa riposava negli anni ottanta ed è resuscitato grazie ad una reunion che ha fatto la gioia del popolo metallico mondiale.
Dopo la classica intro d’ordinanza si parte sull’ottovolante Airborn e ci si fermerà solo dopo una cinquantina di minuti di melodie classiche suonate a velocità proibitive, oppure rimarcate da mid tempo dove chorus di scuola Gamma Ray fanno alzare pugni al cielo nel salotto di casa, come sicuramente avverrà sotto ai palchi dei live in giro per un’estate che per la band si preannuncia ricca di soddisfazioni.
Who We Are, la title track, Wolf Child, Land of The Living, Defenders Of Planet Earth, ma potrei nominarvele tutte, tanto sicuramente non sbaglierei la scelta tra i brani che compongono questo gioiello metallico da non perdere per nessun motivo.
Nel genere difficile trovare di meglio, anche fuori dai confini nazionali.

Tracklist
01. Immortal Underdogs (intro)
02. Who We Are
03. Lizard Secret
04. We Realize
05. Brace For Impact
06. Wolf Child
07. Here Comes the Claw
08. Land of the Living
09. Meaning of Life
10. Metal Haters
11. Defenders of Planet Earth
12. My Country is the World
13. Cosmic Rebels 2018 (Bonus)

Line-up
Alessio Perardi – Vocals/Guitars
Roberto Capucchio – Guitars
Domenico Buratti – Bass
Roberto Gaia – Drums

AIRBORN – Facebook

Daylight Silence – Threshold Of Time

Il sound sprigionato da questo forzato esilio nello spazio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.

Una nuova band è in arrivo dallo spazio profondo, con la Red Cat ad interagire tra la terra e la navicella spaziale su cui viaggiano i Daylight Silence, quintetto romano al debutto con Threshold Of Time, concept fantascientifico nel quale i nostri sono cinque mercenari in un mondo portato allo stremo da guerre, ribellioni e lotte intestine, fino alla repressione da parte di un governo totalitario.

Il progetto Daylight Silence prevedeva di oltrepassare i limiti di spazio e tempo tramite l’utilizzo di una “cronosfera”: un veicolo in grado di creare un mini buco nero, una singolarità, con la quale spostarsi da un luogo all’altro eludendo la velocità della luce.
Il test, con un equipaggio sacrificabile tra i condannati per vari reati politici e sociali, non andò come previsto e la navicella si perse nello spazio, con l’equipaggio che, senza speranza di tornare sulla terra cominciò a suonare.
E il sound sprigionato da questo forzato esilio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.
Threshold Of Time è il frutto di un sodalizio obbligato, una voce metallica che arriva dallo spazio sotto forma di otto brani di buona fattura, grintosi, ma raffinati quel tanto che basta per concedersi spunti progressivi tra Crimson Glory e Queensryche. in un contesto al passo con i tempi.
Heavy metal dallo spazio per il nuovo millennio, così si potrebbe definire il sound creato per The Power Of Speech, grintosa opener dell’album e splendido biglietto da visita spedito dai Daylight Silence.
L’album mantiene le premesse poste con il primo brano e regala ancora ottime trame tra l note delle varie Dreaming Of Freedom, Making Up my Mind e la conclusiva title track.
Una band interessante e un buon debutto consigliato agli amanti dell’heavy metal progressivo e nobile, fatto di chitarre taglienti e splendide melodie.

Tracklist
1. The Power Of Speech
2.Dreaming Of Freedom
3.Live As One
4.Falling To The Ground
5.Making Up My Mind
6.Someone I Know
7.Sleep
8.Threshold Of Time

Line-up
MR.Wolf – Drums
M.T.Drake – Guitars
Von Braun – Vocals
Doctor X – Bass
El Diablo – Guitars

DAYLIGHT SILENCE – Facebook

Original Sin – Story Of A Broken Heart

Una raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.

Vi presentiamo Story Of A Broken Heart, debutto sulla lunga distanza dei ravennati Original Sin, uscito lo scorso anno in regime di autoproduzione.

Attiva da tre anni, dopo un paio di apparizioni in concorsi canori tra cui il Sanremo Rock, la band prova a conquistare i cuori del rockers con questa raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.
Matteo Axis Berti (voce e chitarra), Federico Fede Maioli (chitarra), Manuel Mana Montanari (basso) e Luca Canna Canella (batteria) ci fanno partecipi del loro tributo a queste sonorità e Story Of Broken Heart si presenta come un album vario, passando da brani heavy metal a ballad semi acustiche suonate sui marciapiedi delle strade americane.
Gli States chiamano Londra e Londra risponde con brani che tanto hanno dell’epicità di Dio e del classic rock britannico, mentre l’hard rock melodico si insinua tra lo spartito per donare un tocco raffinato al songwriting di brani piacevoli come l’opener Cry With Me.
Non ci sono cadute di tono, l’album mantiene una buona qualità per tutta la sua durata con le chitarre sugli scudi, protagoniste di gustosi solos dal flavour epico (Fighting For Your Love), con lampi che si disegnano nel cielo alternati alle luci che all’imbrunire illuminano le strade metropolitane (I’m Waiting).
Story Of A Broken Heart è sicuramente una partenza convincente per gli Original Sin, con qualche dettaglio da perfezionare come la produzione e la voce migliorabile nei brani più heavy ed epici.

Tracklist
1.Cry With Me
2.Living Life
3.I’m Still Burnin
4.Mr. Danger
5.Rebellion
6.Fighting for Your Love
7.Story of a Broken Heart
8.For Ever
9.I’m Waiting

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

Spellblast – Of Gold And Guns

Tornano gli Spellblast, band che coniuga il power metal con atmosfere western: il loro nuovo Of Gold And Guns, senza toccare le vette del precedente lavoro, si rivela comunque un buonissimo album.

Tornano i power metal/cowboy Spellblast dopo il sontuoso Nineteen, album licenziato dal gruppo quattro anni fa.

La band, abbandonato il power/folk delle origini, ha dato alle stampe un buon lavoro che, se non raggiunge le vette artistiche del precedente album, si assesta su un buon esempio di power metal dai richiami western, questa volta anche nei titoli dei brani, ognuno dedicato ad un personaggio della frontiera americana, dai fumetti di Bonelli (Tex Willer) ai pistoleri realmente esistiti come Wyatt Earp o Billy The Kid.
Ovviamente i riferimenti musicali al mondo del Far West sono i maggiori responsabili dell’attenzione dovuta al gruppo, bravo nel saper coniugare il power metal con sfumature tipiche delle colonne sonore di Ennio Morricone, il più grande compositore di musiche da film ed assoluto genio nel trasformare in note la polvere, il caldo, il tintinnio dei penny sul tavolo da gioco dei saloon.
L’album parte con Tex Willer, brano che fatica a decollare, mentre il trittico Wyatt Earp, Billy The Kid e Jesse James risulta uno splendido esempio del sound del gruppo, con il power metal valorizzato dalle atmosfere western che toccano lidi epici da duelli all’O.K. Corral.
Si continua a schivare pallottole in mezzo alla strade polverose fino a Goblins In Deadwood, tributo ai Goblin, ai quali il gruppo aveva già dedicato un brano sul debutto Horns Of Silence (Goblins’ Song), mentre la cover di Wanted Dead Or Alive dei Bon Jovi chiude questo tuffo nel mondo della cultura western in salsa power metal. Come detto, Of Gold And Guns risulta leggermente inferiore al suo splendido predecessore, ma rimane comunque un buonissmo lavoro.

Tracklist
1. Tex Willer
2. Wyatt Earp
3. Billy The Kid
4. Jesse James
5. Sitting Bull
6. William Lewis Manly
7. Crazy Horse
8. Goblins In Deadwood
9. William Barret Travis
10. Wanted Dead Or Alive

Line-up
Luca Arzuffi – Guitars
Xavier Rota – Bass
Dest Ring – Vocals
Manuel Togni – Drums

SPELLBLAST – Facebook