Temtris – Rapture

Torna a ruggire la pantera Genevieve Rodda, graffiante e selvaggia vocalist dei Temtris, band storica del metal classico australiano.

Torna a ruggire la pantera Genevieve Rodda, graffiante e selvaggia vocalist dei Temtris, band storica del metal classico australiano.

Attivo dall’ alba del nuovo millennio, il quintetto arriva con questo roccioso nuovo lavoro intitolato Rapture al quinto album su lunga distanza, succedendo all’ottimo Enter The Asylum, uscito un paio d’anni fa.
La formula è quella tradizionale e segue le coordinate di un heavy metal roccioso ed oscuro, debitore di quello americano conosciuto come U.S. power metal e per questo fortemente legato a gruppi come Metal Church ed Iced Earth.
Anche Rapture, quindi, non delude i fans del genere, mostrando una raccolta di brani tellurici nei quali la singer ben figura, con la sua voce potente e d’impatto.
L’album parte sgommando con una serie di bombardamenti sonori, iniziati con la title track e che non trovano tregua fino alla semiballad Serpent, brano in crescendo che risulta uno dei più riusciti dell’album.
Si prosegue tra telluriche ritmiche heavy/power, nelle quali la singer dà prova d’essere una belva al microfono e la band che si produce in una prestazione sul pezzo anche a livello tecnico.
Parasite ricorda gli americani Benedictum di Veronica Freeman, cantante che ha non poche somiglianze vocali con la pantera dei Temtris, mentre Breathe e Fight sono cannonate metalliche di una potenza impressionante.
Grande vocalist, ottima band ed album che non può che essere un nuova esplosione heavy/power targata Temtris: consigliato.

Tracklist
01. Rapture
02. Flames Of Defiance
03. Wings Of Death
04. Run
05. Serpent
06. Parasite
07. Breathe
08. Carry You
09. Fight
10. Rise Of Dawn

Line-up
Genevieve Rodda-Vocals
Anthony Fox-Guitar
Nik Wilks -Bass
Youhan AD.- Drums
Anthony Hoffman- Guitar

TEMTRIS – Facebook

Mare – Ebony Tower

Nidrosian Black Metal at his best: i norvegesi Mare fondono mirabilmente le radici dei grandi antichi con ritualistici paesaggi sonori.Artisti con forte personalità che ci regalano uno dei migliori dischi dell’anno.

Iniziare l’ascolto del primo full length dei norvegesi, di Trondheim, Mare, è come affrontare un antico rituale generato da innominabili forze oscure; l’atmosfera è immediatamente, senza preliminari, permeata di fredda oscurità.

Il fascino ancestrale della nera arte pervade ogni fibra nervosa, ogni vaso sanguigno e ogni tessuto del nostro corpo; cinque brani bastano a saziare ogni nostra ricerca di sensazioni, che solo il Black Metal di alto livello può dare; i quattro musicisti sono tutti dotati di ampia credibilità all’ interno del circuito underground, sono artisti che han fatto parte di band come Dark Sonority, Celestial Bloodshed, Vemod, Aptorian Demon e altre, che negli anni hanno prodotto mirabili opere di arte nera sicuramente conosciute e apprezzate dai veri cultori. I Mare sono attivi dal 2005 e dopo vari demo e un paio di EP arrivano, finalmente, all’atteso e sospirato debutto sulla lunga distanza, Ebony Tower, che non tradisce le aspettative, anzi si propone come una vera e propria gemma da considerare probabilmente tra i migliori dischi dell’anno; affermazione sicuramente importante, ma i ripetuti ascolti mi hanno convinto che le atmosfere elaborate sono di gran livello, la capacità di scrittura è veramente eccellente e le chitarre, memori del grande suono norvegese, creano riff, momenti coinvolgenti, non perdendosi mai in momenti di stanca… tutto è votato alla creazione di un rituale oscuro e senza via di uscita. Nessuna luce può penetrare in questo tessuto sonoro, che, forte anche di vocals varie tra scream, litanie e teatralità, regalando momenti di inquietudine e maestosità (Nightbound). Originario di Trondheim, fino al 1200 d.C. capitale della Norvegia e successivamente denominata Nidaros fino a inizio ‘900, il gruppo appartiene al Nidrosian Black Metal, che raggruppa varie band, One Tail One Head prossimi al debutto, Vemod, Black Majesty tra le altre, che all’ interno della scena norvegese rappresentano un unicum creando un suono sì memore della old school ma capace di integrare anche “ritualistic soundscapes”, forgiando atmosfere arcane e dal forte fascino. Difficile non rimanere rapiti di fronte a un brano come Labyrinth of Dying Stars, impetuoso, memore dei grandi antichi ma capace con un finale da brividi, di proiettarci verso un cosmo infinito: una magnificenza da ascoltare in loop per sempre. Notevolissima conferma di una band che incarna con personalità il culto della Nera Arte.

Tracklist
1. Flaming Black Zenith
2. Blood Across the Firmament
3. These Foundations of Darkness
4. Nightbound
5. Labyrinth of Dying Stars

Line-up
Luctus – Bass
ⷚ – Drums
Nosophoros – Guitars
HBM Azazil (aka Kvitrim) – Guitars, Vocals

MARE – Facebook

Horehound – Holocene

Holocene si insinua dentro di noi, ammantato da una vena doom/stoner che raccoglie molti degli input naturalmente assimilati di questi tempi dal genere, accompagnandoli con le immancabili sfumature sludge/psichedeliche, marchio di fabbrica degli Horehound.

Il lento incedere sabbathiano viene potenziato da scariche di potente sludge/stoner metal, l’atmosfera evocativa si scontra con quella estrema creando un muro sonoro di notevole spessore con la voce che alterna litanie a rabbiose parti in growl.

Holocene si insinua dentro di noi, ammantato da una vena doom/stoner che raccoglie molti degli input naturalmente assimilati di questi tempi dal genere, accompagnandoli con le immancabili sfumature sludge/psichedeliche, marchio di fabbrica del combo statunitense.
Gli Horehound sono un quartetto di Pittsburgh attivo dal 2015, il primo album omonimo uscì un anno dopo, ed ora Holocene torna a far parlare del gruppo lungo i suoi quarantacinque minuti di musica del destino.
The Kind apre le danze, lenta ed atmosferica traccia che mette subito in risalto la potenza sludge che affiora a tratti, mentre veniamo trasportati in un lungo viaggio psichedelico, accompagnati dal canto della vocalist e violentato da rabbiosi interventi in growl che a loro volta accentuano il lato estremo del sound.
L’Appel Du Vide è il singolo e video che accompagna la nuova avventura firmata Horehound, traccia più varia nella struttura e con un ottimo lavoro ritmico risulta il brano che più alterna i vari elementi che formano la musica del gruppo, mentre con la mastodontica Sloth si torna in lidi sabbathiani.
Gli Horehound si rivelano una monolitica e potente macchina doom/stoner metal, e tra le note spesse e fangose dell’album convivono in un mondo parallelo, nel quale anche il tempo scorre lento, i Black Sabbath, gli Sleep e i Kyuss, uniti attraverso un mood psichedelico e fissati da catene sludge metal in Holocene.

Tracklist
01. The Kind
02. Dier’s Dirge
03. L’appel du Vide
04. Sloth
05. Anastatica
06. Highball
07. Hidden Track

Line-up
JD Dauer -Drums
Brendan Parrish – Guitars
Shy Kennedy – Vocals
Nick Kopco – Bass

HOREHOUND – Facebook

Eternal Rot – Cadaverine

Cadaverine è una prova tutt’altro che trascurabile, forte di un’ortodossia stilistica che mai come in questo caso appare inattaccabile quanto gradita.

Cadaverine è il primo album per gli Eternal Rot, autori di un death doom che tiene totalmente fede alla ragione sociale e alla copertina per le sonorità offerte.

I quattro brani, infatti, si snodano lungo una linea di putridume sonoro, con sonorità distorte e ribassate ed un growl degno del brutal più verace; se la varietà sonora latita, come contraltare troviamo una capacità non così scontata di evocare sensazioni quanto mai morbose, rendendo il tutto un prodotto in grado di soddisfare gli amanti di entrambi i generi dai gusti più vintage.
Mayer e Grindak sono due musicisti polacchi (anche se il secondo vive nel Regno Unito) il cui primo e unico parto risale ad un demo datato 2013, prima che i connazionali della Godz Ov War li inserissero nel loro mefitico roster; in mezz’ora scarsa, Cadaverine lascia la sua riprovevole scia di putrefazione senza che il duo molli mai la presa, chiudendo anzi a doppia mandata i cancelli del cimitero che hanno eletto quale loro dimora concettuale.
La formula è per certi versi semplice e ampiamente battuta, ma anche per questo non è affatto scontato renderla avvincente e relativamente appetibile per una cerchia seppure ristretta di ascoltatori.
Parlare dei singoli brani è superfluo, perché dalla prima nota di Undying Desolation fino all’ultima di Slough of Despond gli Eternal Rot ci tengono rinchiusi senza cedimenti o pentimenti nella cripta che hanno creato usando materiale grezzo, ma capace di resistere lungamente all’usura del tempo.
Cadaverine è una prova tutt’altro che trascurabile, forte di un’ortodossia stilistica che mai come in questo caso appare inattaccabile quanto gradita.

Tracklist:
1. Undying Desolation
2. In Their Decaying Eyes
3. Putrid Hallucination
4. Slough of Despond

Line-up:
Mayer – Vocals, Guitars, Bass, Drum programming
Grindak – Vocals, Lyrics

ETERNAL ROT – Facebook

Hermóðr – Rovdjur & Northern Might

Viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere.

Due lunghe suite di black metal atmosferico minimale e dal grande fascino, un qualcosa di arcaico che risveglia un senso di bellezza e di soddisfazione come se ci si stendesse sopra un prato verde in una primavera ventilata su al nord.

Hermóðr è un progetto dello svedese Rafn, attivo dal 2012, che ha saputo raccogliere un buon numero di adepti e ascoltandolo non si può fare a meno di amarlo perché incarna molte delle cose belle del black metal. Come già detto poc’anzi, la struttura del suono è fortemente atmosferica, la struttura è molto minimale e la bassa fedeltà non è estrema ma è voluta ed è indispensabile per la riuscita del tutto. Il suono nel suo complesso è debitore dei Bathory, del resto Quorthon è il nume tutelare di un certo modo di fare e di credere il black metal, ma è ugualmente originale. Il dipanarsi delle canzoni è progressivo (la forma canzone è lontana da questi lidi) e si può cogliere qualcosa in quota primo Alcest, giusto per far capire le coordinate, senza però l’attuale “piacioneria” del francese ma con un rigore minimale. Bisogna essere molto bravi e capaci per fare due pezzi di oltre quindici minuti l’uno in questo genere riuscendo a farsi apprezzare. Da ogni aspetto, copertina, titolo etc, traspare la ferrea volontà di mettere la musica come motore primo e scopo ultimo ed unico, senza fronzoli e pose. Tutto qui va verso un’idea mitica ed idealizzata del nord, sia esso quello antico o forse quello che non c’è mai stato, ma sempre meglio di ciò che stiamo vivendo, che è davvero sbagliato; viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere. Un sogno lento dal quale non vi vorrete svegliare.

Tracklist
1.Rovdjur
2.Northern Might

Line-up
Rafn – Everything

HERMODR – Facebook

Graveborne – 1918

Dischi così non hanno data di scadenza, prestandosi a molti ascolti che daranno sempre soddisfazione, perché chi ama il black metal classico e con contenuti amerà 1918, se poi approfondirete anche la guerra civile finlandese scoprirete molte cose interessanti.

La guerra civile finlandese, sisällissota in lingua originale, fu un sanguinoso e poco conosciuto conflitto interno allo stato nordico che cominciò il 27 gennaio 1918 e che terminò il 27 maggio dello stesso anno.

Gli schieramenti in campo erano fondamentalmente tra i finlandesi rossi, punaiset, guidati dai socialdemocratici e dai comunisti con il supporto sovietico, e dall’altra parte i finlandesi bianchi, i valkoiset, che furono aiutati dalla Germania. Lo scontro, nonostante il limitato periodo di tempo, fu cruento e mise di fronte la Finlandia a quello che sarebbe stato il suo futuro, ovvero di baluardo atlantico alla minaccia sovietica che ha sempre visto la Finlandia come un suo possedimento di diritto. I Graveborne raccontano tutto ciò attraverso un black metal classico e molto influenzato da momenti punk, dove non mancano importanti melodie con le tastiere ed intarsi epici. Il gruppo finnico è attivo da circa una decina di anni e nel corso degli anni ha saputo ritagliarsi una fetta importante di pubblico molto fedele, anche perché i suoi lavori sono tutti di ottima fattura, e forse questo 1918 è il loro episodio migliore. Il disco è interamente in lingua finlandese e ciò fa parte del suo fascino anziché essere un ostacolo alla comprensione: questo lavoro conferma che il black metal è un mezzo molto consono al racconto storico, sia per la sua capacità di rottura che per la sua urgenza musicale e verbale, una poesia di guerra e sangue. 1918 ha al suo interno un vortice di emozioni e di situazioni musicali diverse e tutte molto valide, che lo rendono un’opera black metal di alto livello e variegata, dalle molte opzioni. Dischi così non hanno data di scadenza, prestandosi a ripetuti ascolti che daranno sempre soddisfazione, perché chi ama il black metal classico e con contenuti amerà 1918. Se poi approfondirete anche la guerra civile finlandese scoprirete molte cose interessanti.

Tracklist
1.1918
2.Myrskytuuli
3.Jääkärin tie
4.Valkokaarti
5.Susinarttu
6.Kuoleman kellot
7.Tuomittu
8.Punakaarti
9.Vaiti
10.Jumalan palvelija

Line-up
Raato – Vocals
Marchosias – Guitar
Horkka – Guitar
Kalmo – Bass
Pentele – Drums

GRAVEBORNE – Facebook

Sektarism – Fils de Dieu

L’unica maniera per ascoltare la musica dei Sektarism senza essere respinti con perdite è quella di cogliere, innanzitutto, il senso della loro proposta dal punto di vista concettuale: compreso questo, ovvero il fatto che la band transalpina mette in scena un sorta di autoflagellazione musicale, allora si può tentare di aprire questo terrificante libro e sfogliarne la pagine.

C’è chi considera già le forme, per così dire, canoniche del funeral doom un qualcosa di totalmente alieno alla propria concezione di musica.

Bene, si sappia allora che si può anche andare ben oltre una straziante evocazione del dolore e del senso della caducità umana, come avviene per esempio con l’opera dei Sektarism, combo francese giunto con Fils de Dieu al proprio terzo full length.
Questa sorta di confraternita del dolore formata da musicisti gravitanti nella ben conosciuta ed oblique scena black metal francese, in circolazione da circa un decennio e molto attiva in particolare negli ultimi tre anni, ha ripreso a martellare impietosamente l’audience per ribadire con forza l’ignominia dell’esistenza umana.
Quello dei Sektarism è un vero e proprio rituale, che si perpetra attraverso album registrati dal vivo ed esibizioni che, immagino, siano quanto di più lontano si possa immaginare da un canonico concerto; il sound solo a tratti assume le sembianze di un funeral doom deviato, ma per lo più è segnato delle invocazioni del vocalist Eklezjas’Tik Berzerk che si stagliano incessanti su un substrato dronico/rumoristico che rifugge ogni parvenza di forma canzone.
Detto questo, l’unica maniera per ascoltare la musica dei Sektarism senza essere respinti con perdite è quella di cogliere, innanzitutto, il senso della loro proposta dal punto di vista concettuale: compreso questo, ovvero il fatto che la band transalpina mette in scena un sorta di autoflagellazione musicale, allora si può tentare di aprire questo terrificante libro e sfogliarne la pagine provando a lasciarsi ferire le carni dai dieci minuti di urla strazianti di Oderint Dum Metuant, che altro non sono poi che una sorta di lunga introduzione al secondo brano Sacrifice, oltre mezz’ora di disperazione sonora che ci precipita nella più assoluta oscurità.
Fils de Dieu è un lavoro per stomaci forti ed orecchie ben allenate, ma pensare di sfuggire ai Sektarism è un vano tentativo; in fondo tutti noi dovremmo cominciare a ragionare sull’opportunità di espiare, prima o poi, la colpa di esistere, perché quando ne saremo chiamati a rispondere sarà inevitabilmente troppo tardi.

Tracklist:
1.Oderint dum metuant
2.Sacrifice

Line-up:
Shamaanik B. – Drums
Messiatanik Armrek – Guitars
Eklezjas’Tik Berzerk – Vocals
Kristik A.K. – Bass

KrashKarma – Morph

Morph è un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

I KrashKarma sono un duo statunitense, formato dalla cantante/batterista Niki Skistimas e dal chitarrista/cantante Ralf Dietel, indicato come una sorta di The White Stripes del metal che, però, con la rock band di Jack e Meg White non hanno nulla a che fare.

Niente rock’n’roll,blues o garage per la coppia, che invece ci travolge con un hard rock moderno, ispirato dall’alternative metal a cavallo dei due millenni, e da qualche più poderosa ispirazione nu metal.
Il primo vagito della band risale al 2009 con il primo ep, seguito da due full length, Straight To The Blood del 2011 e Paint The Devil del 2015 che hanno portato buoni giudizi e quel pizzico di popolarità che sicuramente verrà rimpinguata dopo l’uscita di Morph, ultimo lavoro composto da una dozzina di brani da buon appeal, con il buon uso delle voci che si alternano in tracce dure e melodiche, pregne di chorus che catturano fin dal primo ascolto.
Ai KrashKarma non manca certo la carica metallica, su cui si strutturano brani dal buon impatto, e le ispirazioni si muovono tra le top band del periodo in cui il genere faceva sfracelli sui canali e radio satellitari, con accenni più o meno espliciti a Linkin Park, Avril Levigne e Disturbed.
A tratti ci vanno giù veloci e diretti i ragazzi: Morph Into A Monster alterna infatti ritmiche veloci e dirette a chorus di pesantissimo nu metal, risultando il brano più devastante di un lotto di brani che, imperterrito, continua ad alternare melodia e violente sciabolate di hard rock moderno, con la voce della Skistimas in grado di alzare la temperatura quando si fa carico dei chorus.
Morph è in definitiva un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

Tracklist
1. Wake Them Up
2. Stranded
3. Footsteps Of A Lemming
4. The Forgotten Man
5. R.I.O.T.
6. Mechanical Heart
7. Children Of The Never
8. Morph Into A Monster
9. Bury Me Alive
10. Way In/Way Out
11. War
12. Picture Perfect

Line-up
Niki Skistimas – Vocals, Drums
Ralf Dietel – Vocals, Guitars

KRASHKARMA – Facebook

Riverside – Wasteland

Wasteland conferma i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tornare sul mercato con un nuovo album dopo una tragedia come quella capitata ai Riverside non è sicuramente compito facile, così come la scelta di continuare come trio dopo la perdita del chitarrista Piotr Grudziński, deceduto nel 2016.

Il successore del bellissimo Love, Fear and The Time Machine suscita sicuramente la curiosità di chi segue da anni il percorso musicale del gruppo polacco, una band diventata di culto per i progsters da quando, nel lontano 2003, esordì con Out Of Myself.
Mariusz Duda, Michał Łapaj e Piotr Kozieradzki, aiutati da una manciata di ospiti, continuano il loro personale viaggio nel mondo della musica progressiva con Wasteland, poetica, tragica ed ombrosa opera che non lascia spazio a molte critiche ed ammalierà i fans del genere.
Introverso, concettualmente durissimo, sferzante di nobile metallo ed attraversato da un’atmosfera di malinconica poetica rock, Wasteland è aperto dall’intro The Day After, sorta di presentazione dei nuovi Riverside e del mood che aleggerà nell’album, che parte invece rabbioso con Acid Reign, spettacolare brano progressive metal.
Lament è un altro brano top del disco: la voce melanconica si erge su un tappeto sonoro che alterna bordate elettriche ad arpeggi delicati e dark, mentre The Struggle For Survival è uno splendido strumentale di oltre nove minuti che, di fatto, divide l’album e lascia al tenue incedere di River Down Below il compito di accompagnarci nella parte conclusiva dell’opera.
La title track è uno straordinario esempio di metal progressivo, in cui oscure atmosfere di matrice folk sono spazzate da venti metallici in un saliscendi emozionale intenso e coinvolgente.
L’album si chiude con le raffinate note dark del pianoforte in The Night Before, traccia che scrive la parola fine di un’ opera molto suggestiva, confermando i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tracklist
1. The Day After
2. Acid Rain Part I. Where Are We Now? Part II. Dancing Ghosts
3. Vale Of Tears
4. Guardian Angel
5. Lament
6. The Struggle For Survival Part I. Dystopia Part II. Battle Royale
7. River Down Below
8. Wasteland
9. The Night Before

Line-up
Mariusz Duda – vocals, electric and acoustic guitars, bass, piccolo bass, banjo, guitar solo on ‘Lament’ and ‘Wasteland’
Michał Łapaj – keyboards and synthesizers, rhodes piano and Hammond organ, theremin on ‘Wasteland’
Piotr Kozieradzki – drums

RIVERSIDE – Facebook

P.H.O.B.O.S. – Phlogiston Catharsis

Nonostante le sue tetragone sembianze, Phlogiston Catharsis è un album che desta notevole interesse, a patto d’essere già abbastanza in sintonia con le devianze metalliche proveniente dalla terra francese.

Il mio ultimo incontro con i P.H.O.B.O.S. risale a qualche anno fa in occasione dello split album con i connazionali Blut Aus Nord, ma in realtà il progetto di Frederic Sacri arriva abbastanza da lontano, avendo mosso i primi passi all’inizio del nuovo millennio.

Phlogiston Catharsis è il quarto full length che, indubbiamente, conferma questa entità come un qualcosa volto a non fare sconti all’ascoltatore, tramortito dal pervicace industrial che bandisce ogni ammiccamento ritmico per lasciare al doom e al black più sperimentale il compito di fungere da base stilistica.
Volendo esemplificare al massimo, ascoltare i P.H.O.B.O.S. potrebbe essere paragonabile a quello che accadrebbe se una band sludge decidesse di coverizzare i Godflesh, rallentandone così lo squadrato ed incessante incedere ed accentuando al massimo le tonalità ribassate, tanto da produrre una sorta di rombo sullo sfondo, volto ad accompagnare sporadiche note di lancinante chitarrismo ed uno screaming malignamente filtrato e distorto.
Nonostante le sue tetragone sembianze, Phlogiston Catharsis è un album che desta notevole interesse, a patto d’essere già abbastanza in sintonia con le devianze metalliche proveniente dalla terra francese; solo così brani temibili come Igneous Tephrapotheosis (forse quello più “orecchiabile” dell’intero lavoro, il che è tutto dire) o la rituale Aljannashid avranno una chance di indurre una certa frequenza d’ascolto .
Il risultato finale è alienante il giusto per intrigare gli ascoltatori più spericolati e indurre alla fuga tutti gli altri; a Sacri penso vada benissimo così, e non c’è alcun motivo perché debba cambiare il suo disturbante modus operandi.

Tracklist:
1. Biomorphorror
2. Igneous Tephrapotheosis
3. Zam Alien Canyons
4. Aurora Sulphura
5. Neurasthen Logorrh
6. Taqiyah Rhyzom
7. Aljannashid
8. Smothered In Scoria

Line-up:
Frederic Sacri – distortion / keys / pulse / vox
Mani Ann-Sitar, distortion / keys / vox
Magnus Larssen – subs / infras / lines / pulse

P,H.O.B.O.S. – Facebook

Gnaw Their Tongues & Crowhurst – Burning Ad Infinitum: A Collaboration

Molto raramente una collaborazione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore.

Quando due estremismi musicali e due produttori di rumore si incontrano non può che venirne fuori una piccola apocalisse, e questo è proprio il caso della collaborazione fra l’olandese Gnaw Their Tongues e Jay Gambit aka Crowhurst.

Gnaw Their Tongues è la creatura di noise tribale estremo di Maurice De Jong, che si è creato con le su opere uno zoccolo duro di amanti dei suoi suoni alieni, mentre Jay Gambit è un altro esploratore sonico in solitaria, ma ha anche collaborato proficuamente con Caïna ed Ævangelist
Il risultato è un ep devastante e bellissimo, una fotografia insanguinata ed in movimento di ciò che può essere un uso del metal e dl rumore fatto da due produttori molto talentuosi. I quattro pezzi dell’ep sono tutti diversi e portano avanti un discorso separato, quasi come se fossero opere a sé stanti ed autosufficienti, con il titolo che rende benissimo la struttura portante del lavoro. Burning Ad Infinitum, bruciare all’infinito, è un qualcosa che è molto ben rappresentato da questa musica, un continuo rovesciamento, un incrociare droni con un black death che vive di grind, un sottofondo violento che poi esplode in passaggi vicini all’hardcore e ai Sepultura più tribali. Un misto di estremismo e di grandi scelti musicali non convenzionali, qui come in ognuno di noi non vi è nulla di normale, come tastiere angeliche che fanno da accompagnamento ad un pezzo grind noise. Ascoltando questa collaborazione (che non è uno split, attenzione) si viene completamente immersi in una forma musicale che è una deprivazione sensoriale, poiché qui il vero protagonista è il rumore che distorce la realtà e ce la fa vedere per quello che è: il nulla. Molto raramente l’unione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore. A differenza di tante avanguardie che sono inascoltabili od illeggibili, a volte per scelta volontaria, qui tutto è perfettamente leggibile ed ascoltabile, e ciò spaventa ancora di più perché questo è rumore vero. Il dodici pollici è pubblicato dalla Crown And Thorne Ltd, che è una delle etichette più libere e creative in circolazione, nonché la casa più adatta per questi suoni.

Tracklist
1.Nothing’s Sacred
2.Speared Martyrs
3.The Blinding Fury of Suffering
4.The Divinity Of Our Great Perversions

Sweeping Death – In Lucid

In Lucid è un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.

Il precedente ep dal titolo Astoria ci aveva presentato una band assolutamente in grado di dire la sua nell’affollato panorama del metal progressivo europeo, grazie ad un sound maturo ed affascinante che univa thrash metal nobile alla Mekong Delta, intricate parti progressive ed heavy che molto avevano dei maestri Savatage, alternate a devastanti ripartenze classiche di scuola Annihilator.

Tornano così gli Sweeping Death con il primo full length, un’opera straordinariamente riuscita e perfettamente calata in un contesto metallico e progressivo di assoluto valore.
In Lucid risulta quindi un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.
Squadra che vince non si cambia, e la line up è la stessa del precedente lavoro, con il vocalist Elias Witzigmann a scuotere le fondamenta dietro al microfono con una prestazione emozionante, i due Bertl (Simon ed Andreas, alla chitarra e al basso) coadiuvati da Markus Heilmeier (chitarra) e Tobias Kasper (batteria e piano) a formare una band che sanno il fatto suo, dimostrandolo in ogni passaggio.
Heavy/thrash metal progressivo, drammatico e a tratti teatrale, è quello che ascolterete tra le note di In Lucid, composto da nove brani uno più intenso dell’altro, a cominciare dalla magnifica Blues Funeral, per attraversare i cinquanta minuti a disposizione del gruppo tra atmosfere di tensione palpabile, tragiche note progressive e splendide partiture estreme che compongono le varie Suicide Of A Chiromantist, Resonanz e la title track, la quale aggiunge alle ispirazioni già citate gli Evergrey e i Symphony X.
In Lucid è un album fortemente raccomandato agli amanti del metal progressivo dalle atmosfere teatrali ed oscure.

Tracklist
1.Eulogue
2.Blues Funeral
3.Horror Infernal
4.Suicide of a Chiromantist
5.Purpose
6.Resonanz
7.Antitecture
8.Lucid Sin
9.Stratus

Line-up
Elias Witzigmann – Leadvox
Simon Bertl – Guitar / Backingvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums/Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook

Ehfar – Everything Happens For A Reason

Metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.

Dopo tanto scrivere e suonare per gli altri Titta Tani ha deciso di fare qualcosa di completamente proprio e sono nati gli Ehfar, quartetto che si completa con Emiliano Tessitore alla chitarra (Stage Of Reality), Matteo Dondi al basso (Theia) e Andrea Gianangeli alla batteria (Dragonhammer).

Ex di DGM ed Astra (tra gli altri), batterista dei Claudio Simonetti’s Goblin e cantante degli Architects of Chaoz, Titta Tani è sicuramente una delle figure più importanti e carismatiche nella scena metal/rock tricolore, un musicista dall’enorme talento confermato anche in questo suo nuovo progetto.
La band debutta con Everything Happens For A Reason, album composto da nove brani che spaziano tra i generi in cui il mastermind si è dedicato in questi anni: quindi nell’album troverete metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.
A Man Behind The Mask risulta la traccia più classica dell’opera, con Oliver Hartmann (Avantasia, At Vance, Iron Mask) che compare come ospite al microfono, mentre il resto dell’album mantiene un approccio moderno, progressivo e a tratti durissimo, schegge impazzite di metal tecnicamente ineccepibile, tra atmosfere drammatiche ed un approccio melodico sopra le righe.
Everything Happens For A Reason ci riserva una escalation di emozioni che dalle prime note dell’opener Shout My Name, passando per il groove della seguente Night After Night, esplodono nelle due spettacolari e bellissime tracce poste verso la fine dell’opera (Victims e Master Of Hypocrisy), le quali in pochi minuti uniscono Alice In Chains, Symphony X e Savatage nello stesso splendido e drammatico spartito, prima che il crescendo di emozioni della splendida Losing You concluda questo bellissimo lavoro.
Nel mezzo tanta ottima musica metal moderna, melodica e progressiva, dura e pulsante che vi avvicinerà al mondo di questo bravissimo musicista e songwriter nostrano.

Tracklist
01. Shout My Name
02. Night After Night
03. A Man Behind the Mask
04. Dead End Track
05. Once Upon a Time
06. Someone Save Me
07. Victims
08. Master of Hypocrisy
09. Losing You

Line-up
Titta Tani – Vocals
Emiliano Tessitore – Guitars
Matteo Dondi – Bass
Andrea Gianangeli – Drums

EHFAR – Facebook

Felis Catus – Banquet On The Moon

Banquet On The Moon è un’opera che vi porterà lontano dandovi modo di sognare attraverso un reticolato musicale che si espande dentro e fuori di noi.

Felis Catus è l’affascinante progetto solista di Francesco Cucinotta, voce e chitarra dei catanesi Sinaoth.

In questo progetto solista cominciato nel 2010 Francesco si esprime liberamente e spazia in tantissimi generi, dando vita ad una delle cose più interessanti dell’underground italiano, uscendo per la Masked Dead Records di Brescia che ha un catalogo molto interessante. Il disco è visionario e usa diversi linguaggi musicali per dipanare una narrazione interessante ed assolutamente non convenzionale. Per idee e prolificità Francesco è una di quelle persone che vive di musica, ed è molto bravo a rendere al meglio atmosfere diverse. Ascoltando Banquet On The Moon, seppure non sia di lunga durata, ci sono innumerevoli sorprese, è come un palazzo con ampie stanze, ma anche passaggi segreti che scorrono a fianco delle cose visibili. Il suo approccio alla musica è totale, la sua ricerca musicale è immensa, in questo disco ci sono vere e proprie visioni musicali che denotano la sua voracità musicale. Qui dentro troviamo dal death metal all’ambient e tanto altro, ma soprattutto si incontra una coerenza nel raccontare una storia, come se Banquet On The Moon fosse la colonna sonora di un libro o di un film. Il filo conduttore del disco è la meraviglia, lo stupore dell’uomo di fronte a qualcosa di molto più grande e misterioso di lui, e Felis Catus mette in musica una grandissima gamma di emozioni, di vita, sogni e morte. Praticamente Cucinotta ha suonato da solo tutto il disco, come un magnifico direttore di orchestra, e il risultato assomiglia molto a vecchie colonne sonore di film italiani underground dimenticati ma ancora vivi. Il metal è solo un punto di partenza e c’è un forte gusto italiano in queste musiche, una sensazione che parte dagli anni sessanta ed arriva ai giorni nostri, un visionario filo che lega insieme molto dell’underground e di aspetti che attraversano varie discipline, senza terminare con il mero atto musicale o di scrittura. Banquet On The Moon è un’opera che vi porterà lontano dandovi modo di sognare attraverso un reticolato musicale che si espande dentro e fuori di noi.

Tracklist
1) Banquet On The Moon
2) Cydonia (Feat. Gray Ravenmoon)
3) Baron Munchausen
4) Eternity (The Nothigness) (Feat. Alessandro Riva)

Line-up
Francesco Cucinotta – All Instruments and voice

FELIS CATUS – Facebook

Cast The Stone – Empyrean Atrophy

Il non essere proprio dei novellini fa dei Cast The Stone un esempio assolutamente credibile, lasciando che la passione per il genere unita all’esperienza produca swedish death di altissimo livello.

I deathsters statunitensi Cast The Stone sono attivi dal lontano 2002 come progetto nato dalle menti di Derek Engemann (Scour, ex-Cattle Decapitation), Mark Kloeppel (Misery Index) e Jesse Schobel (Scour).

Il loro unico lavoro Dark Winds Descending fu licenziato nel 2005 e la speranza di rivedere sul mercato estremo un altro album targato Cast The Stone si era affievolita col passare degli anni.
Invece i tre musicisti, accompagnati dall’ottimo vocalist Andrew Huskey e con Dan Swanö alla produzione, tornano con questa mezz’ora di death metal scandinavo che si rifà in toto a quanto fatto dal guru svedese con gli Edge Of Sanity nella prima parte di carriera (Unorthodox, The Spectral Sorrow).
Ovviamente, il non essere proprio dei novellini, fa dei Cast The Stone un esempio assolutamente credibile, lasciando che la passione per il genere unita all’esperienza produca swedish death di altissimo livello.
In mezz’ora scarsa ma intensa, la band americana si lascia indirizzare verso la giusta via dal maestro svedese e ne esce un granitico pezzo di metal estremo scandinavo, rigorosamente marchiato a fuoco dai primi anni novanta, estremo e melodico come nella migliore tradizione.
Ottimo e convincente il growl di Huskey, in effetti simile a quello di Swanö del periodo citato, di gran classe le parti melodiche che ricamano oscure tracce death metal come The Burning Horizon, commovente la somiglianza con i leggendari Sanity nella diretta A Plague Of Light e dura e pura la title track, swedish death di origine controllata.
La cover di JesuSatan, originariamente incisa dagli Infestdead, chiude questo ep assolutamente da archiviare come lavoro old school e genuino tributo ad un genere che continua, malgrado lo scorrere del tempo, a regalare grande musica estrema.

Tracklist
1.As the Dead Lie
2.The Burning Horizon
3.Standing In the Shadows
4.A Plague of Light
5.Empyrean Atrophy
6.Jesusatan (Infestdead cover)

Line-up
Andrew Huskey -vocals
Derek Engemann-bass/vocals
Jesse Schobel-drums
Mark Kloeppel-guitar/vocals

CAST THE STONE – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook

Malthusian – Across Deaths

Un album difficile, non aiutato da una produzione che ne soffoca il suono e troppo impegnata a risaltare i bassi, magari anche voluta ed in linea con l’assoluto mood estremo di un sound che alterna (nei momenti più intensi e riusciti) furia death/black e litanie doom.

Un vento freddo e terribile spira da nord, portando con se la musica dei death/blacksters Malthusian, gruppo estremo di Dublino che mette in musica le teorie di Thomas Malthus, sotto la spinta di un metal estremo che risulta un caos primordiale, una tempesta di suoni death metal resi ancora più estremi e caotici da sferzate black metal.

I Malthusian sono un quartetto attivo dal 2012 che ha già espresso il proprio concept con un demo ed un ep uscito tre anni fa (Below the Hengiform).
Con musica e tematiche di difficile digeribilità anche per chi non è nuovo ad ascolti estremi, Across Deaths si sviluppa su cinque brani per quaranta minuti di tsunami musicale, tra brani medio lunghi che raggiungono durate importanti come i dodici minuti abbondanti di Primal Attunement-The Gloom Epoch, cuore di questo lavoro che ci riserva una varietà nel songwriting più accentuata, con atmosfere che rallentano fino a toccare lidi doom/death.
Un album difficile, non aiutato da una produzione che ne soffoca il suono e troppo impegnata a risaltare i bassi, magari anche voluta ed in linea con l’assoluto mood estremo di un sound che alterna (nei momenti più intensi e riusciti) furia death/black e litanie doom.

Tracklist
1. Remnant Fauna
2. Across the Expanse of Nothing
3. Sublunar Hex
4. Primal Attunement – The Gloom Epoch
5. Telluric Tongues (Roaring Into the Earth)

Line-up
PG – Bass, Vocals
JK – Drums
AC – Guitars, Vocals
MB – Guitars, Vocals

MALTHUSIAN – Facebook

Dark Buddha Rising – The Black Trilogy

Per chi ama il metal psichedelico e rituale, un sottogenere apertamente esoterico e alienante, questa raccolta dei primi tre dischi dei finlandesi Dark Buddha Rising è un bellissimo regalo da parte della Svart Records.

Per chi ama il metal psichedelico e rituale, un sottogenere apertamente esoterico e alienante, questa raccolta dei primi tre dischi dei finlandesi Dark Buddha Rising è un bellissimo regalo da parte della Svart Records.

Prima di accasarsi alla stessa Svart e incidere per la Neurot, gli sciamani finnici avevano rilasciato tre doppi dischi, Ritual IX del 2008, Entheomorphosis del 2009 e Abyssolute Transfinite datato 2011, sulla loro etichetta Post -RBMM con un bassa tiratura, diventando ben presto un feticcio per i collezionisti. Ora sono disponibili rimasterizzati e con una nuova veste, in doppio vinile, cd e download digitale. Inoltre c’è anche una bellissima edizione limitata in sette vinili che oltre a contenete i succitati lp ha anche al suo interno l’introvabile demo del 2007.
Definire la loro musica è molto difficile, diventa arduo anche decidere se sia musica, poiché qui gli strumenti musicali, inclusa la voce umana, sono usati per compiete rituali che aprono la mente a dimensione diverse a quella in cui viviamo. Infiniti giri di chitarra basso e batteria, che con frequenze diverse dal normale entrano nella nostra mente e grattano via le nostre idee mentali per aprirci delle porte. Ad esempio il rituale chiamato Ennethean, dal primo disco Ritual IX, ha una frequenza talmente bassa che farà vibrare tutto il vostro corpo, membra incluse. Ovviamente questa non può essere una proposta musicale per tutti: qualche curioso potrà essere un nuovo adepto di questo grandissimo gruppo, ma chi non ha la mente aperta non entri neppure qui. I Dark Buddha Rising sono uno dei pochi gruppi al mondo, inclusi i Nibiru da Torino, che fanno davvero musica rituale, ovvero un qualcosa che ci metta in contatto con mondi diversi, dentro e fuori da noi. Le coordinate spazio temporali qui perdono di significato, si viaggia per l’universo come la pallina di un flipper, oppure molto lentamente, con il terrore di incontrare gli Antichi di Lovecraft. Magia, arcaici archetipi che si fondono dentro di noi, perché ci sono sempre stati e questa musica rituale dei finlandesi li porta fuori o ce li fa semplicemente rivivere.
Un’operazione doverosa e ben condotta dalla Svart Records per riportare a galla delle gemme che si erano perse e per espandere le nostre coscienze.

Tracklist
– Ritual IX –

1.Enneargy
2.Enneanacatl
3.Enneathan
4.Enneathan

– Entheomorphosis –

1.Transperson I
2.Transperson II
3.Transcent
4.Nog Uash’Tem

– Abyssolute Transfinite –

1.Ashtakra I
2.Ashtakra II
3.Chonyidt 45
4.Sol’Yata

Line-up
V. Ajomo
M. Neuman
P. Rämänen
J. Rämänen
J. Saarivuori

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Fear Of Domination – Metanoia

Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Nonostante siano apparentemente ancora molto giovani, i finlandesi Fear Of Domination sono attivi da una decina d’anni e questo ultimo Metanoia rappresenta il loro sesto full length.

La band nordica è formata da ben otto elementi (con due vocalist) e questo sicuramente favorisce la costruzione di un sound piuttosto saturo, specialmente nei passaggi più robusti che sono l’espressione meglio riuscita di un sound che si muove tra un pizzico di industrial e pulsioni gothic/elettroniche che vanno a confluire in una forma di modern metal piuttosto ammiccante.
Fatte le debite premesse, non si può non rimarcare il fatto che il prodotto dei Fear Of Domination sia sicuramente ricco di un certo appeal commerciale, aspetto che è il suo pregio ma, soprattutto, il suo limite visto che, alla lunga, anche dopo diversi ascolti, rimane ben poco se non l’impressione d’aver ascoltato un album ben costruito, a tratti divertente, ma che in una fascia di ascoltatori più adulta faticherà a ricavarsi una seconda od una terza chance di passaggio nel lettore.
La sensazione è che la band provi a sondare un po’ tutte le strade del metallo più abbordabile, sia con brani che richiamano gruppi come i Deathstars ( Sick and Beautiful, We Dominate), sia proponendo ritmi più ragionati e suadenti in quota Evanescence (Shame, Ruin) sfruttando la vena della brava vocalist Sara Strömmer, ma in definitiva creando un coacervo sonoro che richiama a tratti i più nobili Linkin Park così come l’impalpabile ed adolescenziale metalcore in voga di questi tempi.
Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Tracklist:
1. Dance with the Devil
2. Obsession
3. Face of Pain
4. Sick and Beautiful
5. Shame
6. Lie
7. We Dominate
8. The Last Call
9. Mindshifter
10. Ruin

Line-up:
Saku Solin – Vocals
Lauri Ojanen – Bass
Jan-Erik Kari – Guitars
Johannes Niemi – Lead guitars
Vesa Ahlroth – Drums
Lasse Raelahti – Keyboards
Sara Strömmer – Vocals
Miikki Kunttu – Percussions, stage monkey

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