Red Ring – Dark Light

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via.

Da anni l’Italia sfoggia una scena rock alternative molto interessante, proponendo da nord a sud ottime realtà che vanno dall’hard rock moderno e groovy al rock alternativo dall’impatto melodico e pregno di umori diversi ma ben assemblati in album che, guardando spesso aldilà dell’Atlantico, regalano ottima musica rock.

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via..
Questo in poche righe è quello che troverete in Dark Light, secondo album dei marchigiani Red Ring, licenziato in questo scorcio d’autunno dalla Volcano Records.
Attiva dal 2007 con il nome di Last Minute, cambiato in quello attuale nel 2013 e con un debutto (Knock Out) uscito due anni fa, la band si ripresenta sul mercato con questo buon lavoro, alternativo ed altamente melodico, non solo per la splendida voce della singer Elisa Goffi, ma anche per l’approccio radiofonico, che non fa sicuramente mancare la giusta grinta ma si concede refrain e chorus dall’ottimo appeal, sempre in bilico tra forza e delicata armonia.
Ne esce un lavoro che tocca da subito le corde giuste di chi riempie le sue giornate musicali con la musica delle radio rock nazionali, affascinante e duro il giusto specialmente nelle ritmiche dal buon groove (Best Wishes) e tenendo sempre la tensione ad un livello consono per sorprendere con brani dal piglio drammaticamente metallico (Escape).
La produzione, che va di pari passo con la musica, esplode potente e cristallina, valorizzando non poco i brani presenti, ed un songwriting che non ha cadute, mantenendo alto il livello dei brani per poco più di mezzora (scelta giusta) di rock davvero ben eseguito, sono le virtù principali di un lavoro che piace fino all’ultima nota della bellissima e conclusiva Is There Still Time?.
Dark Light, se spinto a dovere, potrà regalare molte soddisfazioni al gruppo marchigiano, rivolgendosi senza dubbio ai rockers del nuovo millennio ai quali va il consiglio di non farselo sfuggire.

Tracklist
1. Drowning
2. In your veins
3. If you didn’t exist
4. Is this life?
5. No regret
6. Best whishes
7. Escape
8. You are here
9. Is there still time?

Line-up
Elisa Goffi – Voice,
Edoardo Sdruccioli – Bass Guitar
Juri Cucchi- Drums
Davide Landi – Rhythm Guitar
Giacomo Lanari – Lead Guitar

RED RING – Facebook

Stairs Of Life – The Man In A Glass

Un rock che spazia tra vari generi, a tratti sfiorando la musica d’autore, sempre velato di melanconia dark e per questo vicino alle nuove leve della musica progressiva, meno legate al tecnicismo e più aperte a soluzioni emozionali ed intimiste.

Progressive rock moderno e alternativo, ormai non più così originale come qualche anno fa, ma molto suggestivo e drammaticamente dark.

The Man In A Glass è il debutto in formato ep dei nostrani Stairs Of Life, gruppo attivo nella capitale da qualche anno e ora sul mercato grazie alla Sliptrick Records.
Un rock che spazia, dunque, tra vari generi, a tratti sfiorando la musica d’autore, sempre velato di melanconia dark e per questo vicino alle nuove leve della musica progressiva, meno legate al tecnicismo e più aperte a soluzioni emozionali ed intimiste.
Meno metal di quello che ci si poteva aspettare, il sound del gruppo romano si incupisce e, dolcemente intriso di disperata malinconia, porta con sé quel male di vivere e storie al limite raccontate con buona padronanza della materia che nella musica degli Stars Of Life si traduce in atmosfere e sfumature progressivamente tinte di grigio, colore dell’anima di chi usa l’alcol (The Man in the Glass) per sfuggire alla realtà, di chi perde una persona amata (You Are Gone) o chi è costretto ad interpretare un ruolo non suo per affrontare la vita di tutti giorni (The Mask).
La musica della band segue quindi il mood oscuro e melanconico del progressive moderno e dai rimandi alternativi, quindi le ispirazioni del gruppo vanno dai Porcupine Tree agli ultimi Anathema, passando per le classiche influenze pinkfloydiane.
The Man In A Glass è un buon esordio e se il genere è presente nelle vostre corde, vi saprà regalare una ventina di minuti di musica raffinata ed emozionante.

Tracklist
01. Mask
02. The Man In A Glass
03. You Are Gone
04. Our Lady Of Grace

Line-up
Luca Aldisio – Vocals, Acoustic Guitar, Flute
Alessio Erriu – Electric Guitar
Giordano Maselli – Bass, Keyboards, Synth
Fabio Vitiello – Drums

STAIRS OF LIFE – Facebook

Dancing Scrap – This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk

Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Cambio di monicker (da Dancing Crap a Dancing Scrap), qualche aggiustamento ulteriore nella line up e Ronnie Abeille torna con la sua band ì, con una S in più ma non solo.

Avevamo lasciato la band nostrana all’indomani dell’uscita di Cut It Out, debutto sulla lunga distanza licenziato un paio di anni fa, ed è già tempo di nuova musica, mentre il sound ha subito qualche leggero cambiamento sterzando verso atmosfere più moderne e, come suggerisce il titolo, alternative.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk risulta infatti meno pervaso dallo spirito rock ‘n’ roll che aveva contraddistinto il suo predecessore, le sfumature elettroniche e funky contribuiscono a rendere l’album in sintonia con il rock americano più mainstream, facendo sì che le parti campionate e alternative, già comunque presenti in Cut It Out, diventino preponderanti nell’economia dell’album.
Se tutto questo è un bene dipende molto dai gusti di chi presterà ascolto a questa nuova raccolta di brani, sicuramente il gruppo (con la supervisione di Gianmarco Bellumori, che si è occupato del mix e della masterizzazione dell’album) ha fatto un buon lavoro, cercando di non soffermarsi troppo su un genere ma allargando i suoi orizzonti così da presentarsi come una realtà di non facile catalogazione.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk vive di alternative metal come di rock ‘n’ roll, sguazza in soluzioni elettropop e ci sbatte in faccia quell’irriverenza punk che continua ad essere l’arma in più del sound, con Abeille che a tratti ricorda non poco il Johnny Rotten post Sex Pistols.
Mezzora di musica dritta sul muso dei rockers, dallo stivale al Regno Unito, che Acid presenta al pubblico con un riff appunto acido e i ritmi che si mantengono su di un mid tempo rock, per poi trasformarsi in un irresistibile alternative funky alla Red Hot Chili Peppers in Big Fuckin’ Deal.
Il singolo I Like It, uscito qualche mese fa, segue le linee di ciò che poi si svilupperà lungo l’intero lavoro, con un rock sporcato di elettronica e punk che gioca a nascondino tra montagne di campionamenti.
I brani si susseguono con dei picchi di originalità (SWC e la conclusiva Bitch… And You Know It) che valorizzano il lavoro svolto dal gruppo, che continua imperterrito ad alternare i generi descritti non lasciando mai una traccia sicura per seguire l’andamento e riuscendo nell’impresa di non far perdere attenzione all’ascoltatore, ora sorpreso, ora divertito dai vari scenari musicali presentati su This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk.
Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Tracklist
1.Acid
2.Big Fuckin’ Deal
3.I Like It
4.Renegades
5.SWC
6.Ready for the Show
7.The Rocker You’re Not
8.My Goddess
9.Yet to Come
10.Watered Down Drink
11.Bitch… and You Know It (The Drunken Bass Song)

Line-up
Ronnie Abeille – Vox
Sal Ariano – Guitar
Eugenio “The Joker” Pavolini – Guitar
Bobby Gaz – Bass
Danilo “Wolf” Camerlengo – Drums

DANCING SCRAP – Facebook

Gerda/ Lleroy – Volumorama #4

Volumorama come al solito è sempre un’avanguardia del rumore, un vorticare di idee che saranno pure per pochi ma sono davvero un piacere per il cervello e per le orecchie di chi vuole un qualcosa che non sia omologato e fatto con passione e qualità.

Nuovo episodio per la serie Volumorama – Esplosioni di Underground Italiano – della Bloody Sound Fucktory, una delle etichette più innovative e di alta qualità del sottobosco italiano.

Questo è il primo Volumorama del 2017 ed è tutto marchigiano, rabbia e distorsione con un pezzo per uno dai Gerda di Jesi e dai Lleroy, jesini pure loro, ma trapiantati a Bologna. I Gerda con la loro traccia Vipera fanno sentire a che punto è la loro incredibile parabola musicale, una delle più interessanti del panorama italiano, con un emocore molto modificato e di difficile classificazione, ma di grande soddisfazione e profondità. I Gerda non sono mai ovvi, stupiscono sempre e riescono ad elaborare un suono sempre in movimento, mutante e potente, un percorso che non è ancora finito e riserverà grandi sorprese. I Lleroy sono un combo di hardcore moderno, che forse non è nemmeno definibile hardcore, ma mudcore come fanno loro, insomma bisogna sentirli per farsi un’idea. E l’ascolto di questo duo da l’idea di cosa sia il rumore fuori dallo schema, e Siluro li rappresenta molto bene. Inoltre i Lleroy sono usciti pochi mesi fa con Dissipatio Hc, un gran bel disco in free download sul loro bandcamp, e più di così cosa potrebbero fare?  Volumorama come al solito è sempre un’avanguardia del rumore, un vorticare di idee che saranno pure per pochi ma sono davvero un piacere per il cervello e per le orecchie di chi vuole un qualcosa che non sia omologato e fatto con passione e qualità.

Tracklist
01. Gerda – Vipera
02. Llleroy – Siluro

BLOODY SOUND FACTORY – Facebook

MoE / Gerda – Karaoke

Questo split è quanto di meglio possa offrire l’underground in quanto a rumore e sentimenti, distorsioni e amore per musica che è oltre la musica e si va scontrare con la vita, e con quello che c’è là fuori.

Ci sono amicizie che nascono con la musica e poi vanno ben oltre, dovute al comune sentire che poi si fa sentimento.

I MoE sono un trio norvegese che ha fatto del noise ,del rumore e del situazionismo la propria ragion d’essere, e nel loro genere sono molto bravi, fra i migliori. I Gerda invece sono italiani, vengono da Jesi e sono molto bravi nel fare emocore violento e distorto, e anche nel noise se la cavano. Entrambi i gruppi sono due gioie che vengono dal sottobosco musicale di chi ci crede per davvero, non cavalca le mode e fa tutto per passione. Se poi possiedi anche un bel talento è ancora più bello. Forse un’altra definizione di questi gruppi potrebbe essere diversamente hardcore, perché l’attitudine è quella, do it yourself e fallo con rabbia, ma con creatività. I due gruppi si conoscono e stimano da dieci anni, hanno suonato assieme e il tutto è partito dal rumore finito nell’atmosfera, ed è poi ridisceso sotto forma di rumore. I Gerda interpretato un canzone dei MoE, e i norvegesi hanno rifatto un pezzo degli italiani. È molto interessante sentire le strutture sonore che si incrociano e che seguono pulsando fortissimo altri canali. I MoE fanno diventare i Gerda un qualcosa di più lento e catartico, quasi un emo noise, molto originale e graffiante, andando un po’ oltre il loro canone. Invece i MoE come al solito rivoltano tutto e lo vomitano in maniera violenta e pazzesca, come se dei dipinti surrealisti prendessero vita e vi picchiassero, surrealità e schiaffoni. Questo split è quanto di meglio possa offrire l’underground in quanto a rumore e sentimenti, distorsioni e amore per musica che è oltre la musica, e si va scontrare con la vita, e con quello che c’è là fuori. Ma dentro vi garantiamo che siamo come questo split, Karaoke.

Tracklist
side A – Fucked Up Voice
composed by Gerda, performed by MoE

side B – Mucosa
composed by MoE, performed by Gerda

GERDA – Facebook

MOE – Facebook

Ankor – Beyond the Silence of These Years

La proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.

Ecco un album che teoricamente potrebbe far impazzire sfilze di ragazzini alternativi: un sound alternative rock con qualche spunto core, una serie di brani dall’appeal perfetto per non uscire dal lettore dello smartphone, momenti di scream vocals in contrasto con la vocina da lolita che fa il buono ed il cattivo tempo e la cover di un brano dei Linkin Park (Numb) uscito come video tanto per ribadire l’alto grado di ruffianeria dei catalani Ankor.

Il quartetto è diviso in egual misura tra la parte femminile e quella maschile, attivo dal 2003 e con una buona discografia alle spalle che conta tre full length ed una manciata di lavori minori, fino ad arrivare a questo Beyond the Silence of These Years che sinceramente lascia l’amaro in bocca.
Intendiamoci, non c’è niente che non funzioni in questo lavoro, ma la proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.
Quindi sappiate che Beyond the Silence of These Years è un lavoro composto da una serie di brani che sembrano usciti da qualche pubblicità per articoli da ragazzini, skateboard sotto i piedi e lacrimuccia rabbiosa che cade da sguardi da finti duri.
Poco, insomma per smuovere, l’interesse degli amanti del genere, anche se qualche traccia presenta buone melodie e Shhh… (I’m Not Gonna Lose It) ribadisce l’amore del gruppo per i Linkin Park del compianto Chester Bennington.
Troppo poco, ma forse abbastanza per riuscire a far breccia tra gli adolescenti iberici.

Tracklist
1.The Monster I Am
2.Love Is Not Forever
3.Lost Soul
4.Nana
5.Shhh… (I’m Not Gonna Lose It)
6.Kiss Me Goodnight
7.From Marbles to Cocaine
8.The Legend of Charles the Giant
9.Endless Road
10.Unique & Equal
11.Interstellar

Line-up
Jessie Williams – Vocals/Screams
David Romeu – Guitar/Vocals
Fito Martínez – Guitar/Insane vocals
Ra Tache – Drums/Keys

ANKOR – Facebook

Waterdrop – Waterdrop ep

I brani sono piacevoli e hanno un tocco raffinato che induce a pensare di essere al cospetto di musicisti giovani ma attenti a quello che è successo nel rock da un trentina d’anni a questa parte.

Partiamo da un considerazione importante, che poi è il fulcro e giudizio di questo articolo: il primo ep omonimo dei Waterdrop è un bel lavoro, curato nei minimi dettagli, con un copertina bellissima e composto da sei brani alternative rock che guardano al passato ma rappresentano il presente con uno sguardo al futuro per questi giovani musicisti in arrivo dalla provincia di Brescia.

Il quartetto lombardo, che nel frattempo ha sostituito il cantante Nicola Bergamo con Claudio Trinca, si diletta in un rock alternativo smosso da fremiti elettrici e da liquidi tappeti elettronici, due facce della stessa medaglia o per meglio dire della stessa anima, oscura ma aperta alla speranza, elegantemente tragica nel suo alternare chitarre pregne di sofferte sfumature moderne ed appunto alternative, senza mai dare l’impressione di andare oltre, mantenendo la parte elettronica e l’aspetto melodico in bella mostra.
I brani sono piacevoli e hanno un tocco raffinato che induce a pensare di essere al cospetto di musicisti giovani ma attenti a quello che è successo nel rock da un trentina d’anni a questa parte, con la new wave parte integrante del sound di Triumph e Insane (i primi due singoli) ma soprattutto delle notevoli My Addiction e Chemistry, appunto un buon mix di new wave e alternative rock alla Linkin Park.
Un buon inizio per il gruppo bresciano, è presto per dire dove potranno arrivare ma la strada è quella giusta anche se impervia.

Tracklist
1. Drift Away
2. My Addiction
3. Triumph
4. What’s Meant To Be
5. Chemistry
6. Insane

Line-up
Nicola Bergamo – Vocals
Alessandro Bussi – Guitar
Nicolas Pelleri – Bass
Francesco Bassi – Drums

WATERDROP – Facebook

Jaw Bones – Wrongs On A Right Turn

Quarantacinque minuti in pieno deserto, anche se le sfumature psichedeliche sono ridotte al lumicino in favore di soluzioni melodiche dirette e sostenute, questo sì, dalle ormai irrinunciabili ritmiche groove.

Stoner rock, e grunge, due dei generi che più hanno condizionato il mercato negli amati/odiati anni novanta, sono indubbiamente fonti inesauribili di influenze d ispirazioni per il novanta per cento delle rock band del nuovo millennio.

L’invasione del nuovo stoner che guarda al southern da una parte ed al grunge dall’altra, per trovare strade alternative alla solita formula, non ha risparmiato la vecchia Europa, ed in particolare i paesi che si affacciano sul mediterraneo, tradizionalmente più “americani” dei metallici stati centro/nord europei.
Da Salonicco arrivano i Jaw Bones, al primo full length licenziato dalla Sliptrick, con un concentrato di esplosivo stoner metal dalle sfumature grunge ed alternative.
Quarantacinque minuti in pieno deserto, anche se le sfumature psichedeliche sono ridotte al lumicino in favore di soluzioni melodiche dirette e sostenute, questo sì, dalle ormai irrinunciabili ritmiche groove.
on voce urlata ed un’attitudine che non nasconde una certa vena hardcore, i Jaw Bones si sono costruiti il loro muro sonoro di pietra stonerizzata e pesante, metal/rock diretto, forse leggermente monocorde, ma perfetto per sbattere capocciate a destra e a manca sotto il palco di qualche festival estivo.
Da segnalare, tra i brani, Communication, The Ride To Nowhere e la conclusiva Song Of The Nightingale, il brano più ricercato dell’album, valorizzato da sfumature che rimandano ai Tool e che chiudono con un’atmosfera progressiva Wrongs On A Right Turn.

Tracklist
01. Communication
02. Disciple
03. Ego Tripper
04. Don’t Bring Me Down
05. Fear
06. Sugar Daddy
07. The Ride to Nowhere
08. Should Know Better
09. Song of the Nightingale

Line-up
George Cobas – Vocals
Jelly Nano – Guitar
Bill – Guitar
Michael Tzoumas – Bass
Vangelis – Drums

JAW BONES – Facebook

Otherwise – Sleeping Lions

Sleeping Lions è un album dalle potenzialità enormi, l’opera della vita per gli statunitensi Otherwise, staremo a vedere se bastera per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Riusciranno gli Otherwise a far saltare il banco dell’alternative metal mondiale con questo candelotto di nitroglicerina che, ad ogni brano, esplode e distrugge lasciando solo vittime tra i rockers che bazzicano sul pianeta in questo inizio millennio?

La risposta arriverà con il tempo, vero è che con Sleeping Lions la Century Media piazza sul mercato un esempio di metal alternativo sorprendentemente accattivante, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e sostenuto da una raccolta di canzoni che non lasciano scampo, una più riuscita dell’altra, almeno se pensiamo all’hard rock ed al metal in uso nei circuiti mainstream.
Sleeping Lions arriva come un tornado metallico a rivalutare una scena internazionale in affanno, ancora alla ricerca del gruppo da un milione di dollari, ed è clamoroso come questo arrivi da un gruppo con più di dieci anni sulle spalle ed una manciata di lavori alle spalle.
Il gruppo di Las Vegas se ne esce con l’album della vita, la classica opera dove tutto funziona perfettamente, dall’alternanza tra il fervore metallico e le ruffiane soluzioni dell’alternative rock, che in Sleeping Lions sanno tanto di hard, duro come un’incudine e poco di rock, melodicamente moderno con qualche ispirazione numetal in ritmiche dal sapore groove, ed il singer Adrian Patrick che non sbaglia una strofa o un chorus, risultando l’asso nella manica della band.
Asso pigliatutto, accattivante e grintoso, dall’appeal straordinario che  offre ai giovani rockers mondiali una prestazione scintillante, mentre Ryan Patrick (chitarra/voce), Tony Carboney (basso/voce) e Brian Medeiros (batteria) prendono in mano la scena con soluzioni efficaci, tanta voglia di far male ed un stato di grazia per melodie che non lasciano scampo.
Niente di nuovo, questo è bene chiarirlo, perché gli Otherwise si muovono agevolmente tra il metal/rock statunitense degli ultimi anni, un po’ Alter Bridge, un po’ Linkin Park e tanto hard rock, anche se l’elevata qualità di canzoni come l’opener Angry Heart, l’esplosiva title track o Close To The Gods (Nickelback e U2 uniti sotto la bandiera dell’hard rock) seguite dalle altre nove fialette di nitroglicerina sballottate ed inevitabilmente esplose tre le mani del gruppo, fanno di Sleeping Lions un album dalle potenzialità enormi: staremo a vedere se basterà per arrivare in cima alle preferenze dei rockers dai gusti mainstream.

Tracklist
01. Angry Heart
02. Sleeping Lions
03. Suffer
04. Nothing To Me
05. Weapons
06. Crocodile Tears
07. Close To The Gods
08. Dead In The Air
09. Beautiful Monster
10. Blame
11. Bloodline Lullaby
12..Won’t Stop (bonus track)

Line-up
Adrian Patrick – lead vocals
Ryan Patrick – guitar/vocals
Tony Carboney – bass/vocals
Brian Medeiros – drums

OTHERWISE – Facebook

Bug – O’Brien Shape

Il ponte che unisce la musica rock degli anni settanta, attraversa il decennio successivo e tocca territori novantiani, è ben saldo nella musica dei Bug, autori di un lavoro che lascia presagire ottime potenzialità oltre ad un’originalità di idee che spaziano dal progressive all’alternative.

Si continua ad incontrare ottima musica rock alternativa nella scena underground dello stivale, magari poco seguita o molte volte del tutto ignorata dagli ascoltatori ma indubbiamente foriera di opere di valore.

Noi che di musica underground scritta ne abbiamo fatto una missione, cerchiamo di farvi partecipi dei movimenti musicali che si muovono nel sottobosco italiano ed internazionale, stupendoci ogni volta dell’alta qualità della musica rock creata specialmente sul nostro territorio.
Uscito da un po’ ma arrivato a MetalEyes IYE solo ora, vi presentiamo il primo lavoro dei Bug, quintetto lombardo nato tre anni dalle menti di Jacopo Rossi (chitarra) e Patrick Pilastro (batteria), raggiunti in seguito da Andrea Boccaruso (chitarra, voce), Giorgio Delodovici (voce) e Mattia Gadda (basso).
O’Brien Shape è il loro primo album in versione ep, sei brani per mezzora circa attraversati da umori che vanno dal grunge di Seattle al rock degli anni settanta, per tornare poi all’alternative in una congiunzione di suoni più vicini di quello che molti possano credere.
Quindi il ponte che che unisce la musica rock degli anni settanta, attraversa il decennio successivo e tocca territori novantiani, è ben saldo nella musica dei Bug, autori di un lavoro che lascia presagire ottime potenzialità oltre ad un’originalità di idee che porta a brani come The Tide e O’Brien Shape, tra Pearl Jam e Pink Floyd, mentre gli Alice In Chains dopo la cura Bug passano dall’essere la band più metal della scena grunge (specialmente nei primi due lavori) ad una camaleontica realtà progressiva.
Twice sposta le turbolenze progressive sui Pearl Jam, mentre le ritmiche si muovono tra il funky ed il crossover tipico di metà anni novanta.
Il suono è perfetto, l’album è curato nei minimi dettagli e il gruppo dimostra di saperci fare sia con il songwriting che con i ferri del mestiere, motivo in più per fermarvi, voltarvi all’indietro e cercare O’Brien Shape, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.March of the Worms
2.The Tide
3.Chain Stemmed
4.O’ Brien Shape
5.Twice
6.This Flood

Line-up
Patrick Pilastro – Drums
Giorgio Delodovici – Vocals
Jacopo Rossi – Guitars
Andrea Boccarusso – Guitars, Vocals
Mattia Gadda – Bass

BUG – Facebook

Paratra – Genesis

Genesis si rivela nel complesso un’opera intrigante, con alcuni brani killer (in versione elettronica) e un sound che dal vivo dovrebbe risultare ancor più trascinante.

Negli ultimi tempi dell’India abbiamo imparato a conoscere una scena metal molto viva, con una notevole propensione per i generi più estremi, nei quali si sono messe in luce numerose band di assoluto spessore.

Tra queste vanno annoverati sicuramente gli autori di un potente thrash/groove come i Systemhouse 33, il cui vocalist Samron Jude lo ritroviamo alle prese con questo particolare progetto denominato Paratra.
Imbracciata la chitarra e consorziatosi con il suonatore di sitar Akshat Deora, Jude ha realizzato all’inizio dell’anno questo doppio album che presenta i brani nella duplice versione elettronica e rock: il tutto è sicuramente intrigante e pare riscuotere un buon successo da quelle parti, anche in sede live, in virtù di un sound piuttosto trascinante e che appare efficace in entrambe le vesti offerte.
Detto ciò, personalmente prediligo il disco elettronico, perché l’incedere del sitar si lega maggiormente ai ritmi più incalzanti, mentre il suo inserimento appare a volte più forzato all’interno di brani connotati per lo più da una struttura alternative rock.
Oltre al gusto personale, si tratta anche di una maggiore peculiarità che spicca nel primo dei due casi: infatti, i brani elettronici mantengono ugualmente la loro connotazione rock, andando a creare così un ibrido nel quale il suono del sitar fa davvero la differenza, cosa che non avviene nel secondo disco che appare, sostanzialmente, il lavoro di una rock band con un ospite dedito a quello strumento.
Infine, proprio per la natura delle sonorità elettroniche, si rivelano sostanzialmente più efficaci i brani strumentali, questo benché Siddharth Basrur sia decisamente un buon vocalist; comunque sia, Genesis si rivela nel complesso un’opera intrigante, con alcuni brani killer (in versione elettronica) come Leap, Duality e Now Or Never e un sound che dal vivo dovrebbe risultare ancor più trascinante.
In sintesi, Genesis mostra più di un motivo di interesse anche se, chiuso questo primo esperimento, forse per i Paratra sarebbe più opportuno optare per l’una o l’altra opzione, e su quale sia la più opportuna tra le due mi sono già ampiamente espresso.

Tracklist:
1. Leap (Electronic)
2. Inferno (Electronic)
3. Waves of Time (Electronic)
4. Will Power (Electronic)
5. Duality (Electronic)
6. Now or Never (Electronic)
7. Home (Electronic)
8. Other Side (Electronic)
9. Leap (Rock)
10. Inferno (Rock)
11. Waves of Time (Rock)
12. Will Power (Rock)
13. Duality (Rock)
14. Introspection (Rock)
15. Now or Never (Rock)
16. Home (Rock)
17. Other side (Rock)

Line-up:
Samron Jude – Guitar
Akshat Deora – Sitar
Siddharth Basrur – Vocals

PARATRA – Facebook

Dead Register – Fiber

Un album originale e difficile, un’opera oscura e affascinante che porta i Dead Register sulla soglia del regno ove dimorano le cult band, ma al prossimo giro potrebbero entrare dalla porta principale.

Piccola perla gotica ed atmosfericamente dark: è questo il primo lavoro sulla lunga distanza dei Dead Register, trio statunitense composto da M. Chvasta, Avril Che e Chad Williams.

Il trio proviene da Atlanta ed il suo approccio al dark rock risulta un insieme di generi presi dal mondo della musica dark e melanconica e fatti convivere in un sound che potrebbe essere descritto come post rock, ma vi assicuro che non è così facile visto l’uso vario delle atmosfere che non si smuovono dai colori più scuri, ora tenui ora profondamente neri.
Post dark, new wave, addirittura accenni al doom, gothic e post rock diventano protagonisti di questa raccolta di brani, assolutamente maturi, fuori da ogni tentazione commerciale, ma profondi nel loro svolgimento.
Un album alternativo nel vero senso della parola, dove il rock saturo di elettricità è la benzina che alimenta il fuoco prima che il tempo faccia spegnere ogni ardire, un’attitudine distruttiva e pregna di rabbia malinconica si fa largo tra i solchi di brani splendidamente tragici come Alone, Drawing Down o Entwined, mentre i Joy Division si accompagnano ai Cure e l’ alternative rock si apparta con il dark rock di matrice ottantiana , in un urgenza sessuale appagante ma tragica.
Un album originale e difficile, un’opera oscura e affascinante che porta i Dead Register sulla soglia del regno ove dimorano le cult band, ma al prossimo giro potrebbero entrare dalla porta principale.

Tracklist:
1.Alone
2.Fiber
3.Drawing Down
4.Grave
5.Entwined
6.Incendiary

Line-up:
M. Chvasta: Vocals, Bass VI, Bass, Effects
Avril Che: Bass Synth, Keys, Textures, Vocals, Live Visuals
Chad Williams: Drums

DEAD REGISTER – Facebook

Fractal Reverb – Quattro

Il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock sottolinea la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico.

E’ tempo che i gruppi di cui vi avevamo parlato in passato tornino con nuovi lavori, chi magari deludendo non rispettando le aspettative personali di chi scrive, molti fortunatamente confermando tutto il buono che i precedenti lavori avevano messo in risalto.

I lombardi Fractal Reverb, si ripresentano sul mercato underground con un nuovo lavoro in formato ep di quattro brani che porta importanti novità rispetto a Songs to Overcome the Ego Mind, full length licenziato un paio di anni fa e che si presentava come un’opera monumentale di rock alternativo, poco adatta all’ascolto distratto ma che indubbiamente aveva nelle sua dimensioni eccessive il maggiore difetto, anche se metteva in risalto le ottime potenzialità del gruppo.
Carolina Locatelli (basso e voce) e Davide Trombetta (chitarra) tornano dunque con non poche novità insite nel nuovo Quattro, che ci presenta i due nuovi entrati nella formazione, il chitarrista Riccardo Burlini ed Alessandro Pinotti che prende il posto di Denny Cavalloni dietro alle pelli.
Abbandonato l’idioma inglese, i Fractal Reverb si ripresentano con un titolo che prende ispirazione dal numero delle canzoni che compongono l’ep e dalla nuova line up, con il non poco importante inserimento di una seconda chitarra che arricchisce il sound dei nostri, oggi meno scarno ed essenziale, con sfumature melodiche più accentuate anche se la band taglia definitivamente il cordone ombelicale che la legava al grunge per prendere una propria strada dagli orizzonti indie ed alternative molto marcati.
Quattro risulta così una nuova partenza per i Fractal Reverb: il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock, come l’opener Divampa o la splendida Frastuono, sottolineano la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico che ne dimostra la raggiunta maturità.

Tracklist
1. Divampa
2. Attonito
3. Frastuono
4. Pioggia e sole

Line-up
Carolina Locatelli – basso, voce
Davide Trombetta – chitarra
Riccardo Burlini – chitarra
Alessandro Pinotti – batteria

FRACTAL REVERB – Facebook

Lost Dogs Laughter – Out Of Space

Out Of Space è un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità prendendo ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

L’alternative rock italiano si avvale di un’ altra band, i Lost Dogs Laughter, trio romano al debutto con Out Of Space, facendo del rock americano il proprio credo cercando di risultare il più personale possibile.

Matt Bandini (chitarra e voce) fondatore della band e Luk La Grande (basso), sono stati raggiunti in questi anni da una manciata di batteristi, ma in questo esordio sentirete picchiare sulle pelli le bacchette di Andrea Vettor.
Un altro batterista in line up (Gianluca) nel presente del gruppo romano ed un debutto che si colloca nell’alternative rock dalle reminiscenze riscontrabili negli anni novanta, quindi influenze che vanno dall’hard rock di Seattle, a sferzate punk ed atmosfere post rock progressive che donano al sound un elegante, e quanto mai maturo, prog style che fanno di Out Of Space un ascolto affascinante.
Ritmiche che nascono dalle jam di Sonic Youth con l’aiuto di Corgan e dei suoi Smashing Pumpkins, chitarre che lasciano in bocca quel gusto d’acciaio del metal moderno e buone trame melodiche, fanno di Out Of Space un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità che si evince da brani come Honestly, Words Unknown e la title track, esempi di un sound che prende ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Sweeter Reaction
2. Honestly
3. Go Away
4. Words Unknown
5. Fade (September 1993)
6. Fallen Angel
7. Am I?
8. Out Of Space
9. The Forgetful

Line-up
Matt Bandini – Chitarra, Voce
Luk La Grande – Basso
Andrea Vettor – Batteria

LOST DOGS LAUGHTER – Facebook

One Eyed Jack – What’m I Getting High On?

Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.

Echi di Bleach e Nevermind, lasciati al caldo sole del deserto della Sky Valley, formano un sound massiccio e profondo, mentre il tempo si ferma e con una brusca inversione a U ci riporta ai primi anni novanta e alle perturbazioni musicali che, come la pioggia, fanno di Seattle una delle città più cupe del mondo.

Ma siamo nel 2017 e nel Nord Italia, precisamente nel bresciano dove si aggirano da qualche anno gli One Eyed Jack, tornati dopo un primo album autoprodotto con questo macigno di hard rock americano dalle ispirazioni grunge/stoner intitolato What’m I Getting High On?, licenziato dalla Fontana Indie Label 1933.
Il trio lombardo non si nasconde certo dietro ad un dito, ti sbatte in faccia le proprie influenze e come se fossimo tutti trasportati in un locale della Seattle sfatta di rock ed eroina, ci consegna un valido tributo ad una delle scene musicali più importanti del secolo scorso.
Ovviamente gli One Eyed Jack ci mettono del loro, che consiste nello stonerizzare il tutto con un basso grasso che al calore cola di liquido vischioso, presente come i riff potenti della sei corde ed il cantato malato, nervoso ma a tratti rilassato prima di esplodere in rabbiosi chorus di scuola Cobain.
Primetime, The Edge Of The Soul, l’atmosfera tirata dal basso che pulsa di Washyall, l’urgenza punk di Shitting Blood, e una presa live che non mancherà di fare vittime dall’alto di un palco fanno di What’m I Getting High On? un lavoro diretto e che ben fotografa l’influenza dei gruppi di Seattle sul rock del nuovo millennio.
L’album potrà risultare magari poco originale ma non ci sono certamente dubbi sul suo impatto.

Tracklist
1. Primetime
2. Little Junior Finally Grew A Beard
3. Soon Back Home
4. Shitting Blood
5. Sgrunt
6. The Edge of the Soul
7. Daily Abuse
8. Drama Shit
9. Washyall
10. Dog Fight

Line-up
Daniele – chitarre e voci
Giampietro – bassi
Dariored – batterie

ONE EYED JACK – Facebook

Closet Disco Queen – Sexy Audio Deviance for Punk Bums

Dopo il debut album omonimo del 2015, i Closet Disco Queen tornano in pista con questo nuovo lavoro che certo non può rendere giustizia alle loro capacità in soli tre brani.

Sexy Audio Deviance for Punk Bums è un EP di sole tre canzoni, di puro prog-rock sperimentale carico di influenze di vari generi.

I Closet Disco Queen sono un duo di recente formazione composto dal chitarrista Jonathan Nido e dal batterista Luc Hess, decisi a creare un progetto insieme. Dopo il debut album omonimo del 2015, tornano in pista con questo nuovo lavoro che certo non può rendere giustizia alle loro capacità in soli tre brani. La opening track Ninjaune inizia con l’atmosfera tipica dell’ambient (che potrebbe fuorviare gli ascoltatori) per poi crescere gradualmente d’intensità e volume dando spazio ad un più rude e rozzo metal, per poi calare di nuovo nel finale. Si passa poi a El Moustachito, secondo brano dall’intro quasi punkeggiante, che continua con uno stoner influenzato da chitarre heavy che non dà modo all’ascoltatore di annoiarsi. A chiudere l’EP, il brano Délicieux che ci trasporta nelle atmosfere di settantiana memoria, un mix di blues e hard rock con influenze tipiche del prog che rende giustizia all’intero lavoro, rivelandosi una degna conclusione. Nel complesso, i Closet Disco Queen si sono costruiti un’ottima base di lancio creando qualcosa di nuovo, un prog di stampo “antico” ma proiettato nel futuro grazie ad influenze che attingono dal moderno. Il duo è perfettamente amalgamato ed in sintonia, e riesce a creare un ibrido che spazia da atmosfere tipiche del rock anni ’70 ad un più rude metal con caratteristiche dell’heavy, e non solo. Insomma, una band della quale sentiremo ancora parlare.

Tracklist
1. Ninjaune
2. El Moustachito
3. Délicieux

Line-up
Luc Hess – Drums
Jona Nido – Guitar

CLOSET DISCO QUEEN – Facebook

She Was Nothing – Reboot

L’album scorre via in maniera assolutamente gradevole, ben prodotto e ricco di brani orecchiabili, ma nel contempo è afflitto da una “leggerezza” che rischia di far perdere alla band molti degli estimatori dal background metallico.

Secondo album per i milanesi She Was Nothing, a 5 anni di distanza da Dancing Through Shadows, lavoro che ebbe una buona accoglienza all’epoca con la sua abbastanza audace mistura tra elementi metal ed elettronici.

Reboot, come suggerisce il titolo, sembra resettare in parte quanto fatto in passato, intanto “ripulendo” il sound quasi del tutto della componente metal, fatto salvo qualche riff disseminato in maniera omeopatica nei brani; il risultato è un album che scorre via in maniera assolutamente gradevole, ben prodotto e ricco di brani orecchiabili, ma nel contempo afflitto da una “leggerezza” che rischia di far perdere alla band molti degli estimatori dal background metallico.
Before It’s Too Late – Pt. I è, se vogliamo, emblematica del nuovo corso, con i suoi rimandi ai Linkin Park, trattandosi di una canzone appena sporcata da una vena rock e focalizzata su un chorus di immediato impatto, ma destinato a dissolversi come una bella ma effimera bolla di sapone; molto meglio, allora, Can’t Stop These Things, leggermente più robusta e vicina al sound di una band di notevole spessore artistico come furono gli AFI di inizio millennio.
La tendenza è, comunque, quella di proporre un rock talvolta spruzzato di dub ed elettronica (che sono i momenti in cui le cose tutto sommato funzionano meglio, come nella buona B.S.O.D.), in grado di catturare l’attenzione con una manciata di potenziali hit (la già citata opener, Man VS Beast, Cocoon), spingendosi su lidi abbastanza lontani da quelli di chi si nutre del rock e metal di matrice underground.
Reboot non è affatto un brutto disco, visto che consente di passare una cinquantina di minuti abbastanza spensierati, ma il suo problema è che, con tali caratteristiche, difficilmente potrà rendersi appetibile a chi è abituato ad altre sonorità

Tracklist:
1. Before It’s Too Late – Pt. I
2. Can’t Stop These Things
3. The Hunt
4. Digging Under Your Skin
5. Man VS Beast
6. Brick After Brick
7. Before It’s Too Late – Pt. II
8. Back to Sleep
9. B.S.O.D.
10. Another Day, Another Way
11. Cocoon
12. Reboot

Line-up:
Augusto Boido – Bass, Guitars
Claudio Lobuono – Vocals
Davide Malanchin – Drums
Leonardo Musumeci – Keyboards

SHE WAS NOTHING – Facebook

Bullet Height – No Atonement

“E’ stato chiaro da subito che sarebbe diventato qualcosa più grande di come ce lo saremmo mai aspettati”, sono le parole usate per descrivere questo recente lavoro, un full-length album di debutto che apre le porte a questo nuovo duo di grande impatto.

I Bullet Height sono nati dall’idea di Sammi Doll (tastierista della band IAMX che ha militato anche in altri gruppi) e Jon Courtney (cantante, chitarrista e tastierista della band Pure Reason Revolution) di dare vita ad un nuovo progetto insieme: un duo rock elettronico che potesse unire le caratteristiche personali di entrambi per creare qualcosa di innovativo e nuovo, diverso.

La sperimentazione musicale e l’attento songwrigting di Jon Courtney, affiancati alle doti canore di Sammi Doll, fanno dei Bullet Height un nuovo punto di svolta del rock, attingendo sia dal passato (band come i vecchi Garbage, Stabbing Westward o Snake River Conspiracy) che dal moderno e facendo del genere qualcosa di nuovo e proiettato nel futuro. L’album inizia con Fight Song, brano che già la dice lunga sul progetto in cui ci stiamo addentrando: una sferzata di chitarre e elettronica che sottolineano voci molto energiche, passando poi a Bastion, secondo brano, nel quale i Bullet Height fanno un piccolo “tributo” a Immigrant Song, portandola alle atmosfere del nuovo millennio. Di grande impatto il brano Fever, un duetto tra la splendida voce di Sammi Doll e la dolcezza del pianoforte che si trasforma in sonorità più dure affini al noise e all’industrial. “E’ stato chiaro da subito che sarebbe diventato qualcosa più grande di come ce lo saremmo mai aspettati“, sono le parole usate per descrivere questo recente lavoro, un full-length album di debutto che apre le porte a questo nuovo duo di grande impatto. Nel complesso il lavoro riesce ad unire molti elementi passando dal dark, al goth, all’avant-garde, all’hard rock e industrial con chitarre heavy, mescolando tutto alla perfezione e creando qualcosa di sperimentale e fortemente innovativo. Le voci della coppia si intrecciano perfettamente, creando a loro volta una melodia a sé stante e quasi ipnotica, che rende ogni brano una piccola perla. Un duo che ha buone basi per portare il rock elettronico in una nuova dimensione e sotto una nuova veste.

Tracklist
1. Fight Song
2. Bastion
3. Hold Together
4. Wild Words
5. Intravenous
6. Cadence
7. No Atonement
8. Break Our Hearts Down
9. Fever
10. Up to the Neck

Line-up
Sammi Doll – Keys, Vocals
Jon Courtney – Guitar, Vocals

BULLET HEIGHT

In A Testube – Immigration Anthems

Un album che si fa ascoltare, perfetto da inserire nel supporto mp3 della vostra automobile, melodico e non troppo metallico per essere gradito anche da chi il rock lo ascolta ogni tanto.

Non solo in America e nel Regno Unito si suona rock alternativo di una certa qualità: in ogni paese e specialmente in Europa il genere è suonato e seguito e nell’underground nascono tutti i giorni gruppi dediti ai suoni alternativi.

In Italia, per esempio, il genere può vantare una scena florida cresciuta negli ultimi anni, ma anche in Grecia non si scherza e gli In A Testube dimostrano i buoni propositi dell’underground di quel paese che ancora lotta per riprendersi da una devastante crisi economica.
Il gruppo proveniente da Salonicco, con Immigration Anthems cerca di uscire da quei  confini supportato dalla Dream Records con quest’ora di rock moderno, dall’ottimo appeal e con una manciata di brani che in altri tempi e, forse con altri natali da parte della band, avrebbero potuto fare il botto.
Auguriamo il meglio al quartetto di rocker che ha forse l’unico difetto di allungare un po’ troppo la vita di un album che, con una ventina di minuti in meno, sarebbe stato perfetto per sfondare tra gli amanti di un genere facile da assorbire ma altrettanto da dimenticare e per questo, perfetto quando risulta il più diretto possibile.
Tra i brani si segnalano il singolo C.I.C.O, la darkwave Limitless, Lucky Thirteen e la finalmente dura e grintosa Flying Away, canzoni ricche di sfumature elettroniche a delineare molto del sound di questo Immigration Anthems e la voce che rimane sempre al giusto livello di guardia, con appeale quel pizzico di ruffianeria obbligatoria se si vuole sfondare.
Dunque dimenticate Korn, Nine Inch Nails e System Of A Down, come scritto nella biografia del gruppo, e concentrate le vostre attenzioni si un sound più vicino ai Linkin Park e alla seconda generazione dei gruppi alternativi d’oltreoceano.
Un album che si fa ascoltare, perfetto da inserire nel supporto mp3 della vostra automobile, melodico e non troppo metallico per essere gradito anche da chi il rock lo ascolta ogni tanto.

TRACKLIST
1.Believe
2.In The End
3.C.I.C.O
4.Hey Lilly
5.CLOC
6.Limitless
7.Together As Two
8.Lucky Thirteen
9.Many Things
10.Flying Away
11.Digital Eyes
12.Slipping Away
13.Mythu

LINE-UP
Dennis Konstantinidis
Petros Kabanis
Panos Papadopoulos
Konstantinos Mentesidis

IN A TESTUBE – Facebook

Outrider – Foundations

Quarantadue minuti persi nel sound che, partendo dagli anni del rock di Seattle, si avvicina al nuovo millennio passando per il post grunge, raccogliendo nel suo peregrinare un tocco di southern metal, e giuntovi, si trasforma in un’oliata macchina hard rock.

Ennesimo ottimo esempio di hard rock moderno, tra citazione novantiane e retaggi dagli anni settanta, il tutto inglobato in un sound hard & heavy perfetto per chi stravede per i gruppi statunitensi usciti negli ultimi vent’anni o giù di lì.

In Italia la scena hard rock non manca certo di gruppi sul pezzo, tutti con una forte personalità e che spaziano tra l’hard rock più classico e melodico o quello più aggressivo, groovy ed oscuro, cool in questi primi decenni del nuovo millennio.
Gli Outrider sono un gruppo proveniente da Monza e dintorni, nascono nel 2008 e con solo un ep alle spalle si presentano in questa seconda parte dell’anno sotto i tentacoli della piovra Sleaszy Rider  con questo riuscito debutto dal titolo Foundations, prodotto ai Magnitude Recording Studio di Seregno da Marco D’Andrea, chitarrista dei magnifici Planethard.
E allora ecco che la musica del gruppo può finalmente colpire nel segno, con questi quarantadue minuti persi nel sound che, partendo dagli anni del rock di Seattle, si avvicina al nuovo millennio passando per il post grunge, raccogliendo nel suo peregrinare un tocco di southern metal, e giuntovi, si trasforma in un’oliata macchina hard rock., di quello senza fronzoli con dosi misurate alla perfezione di groove, essenziale per far breccia nei rocker moderni.
Foundations non ha un brano trainante, risulta più un insieme di umori che la band ci scarica sotto forma di watt e ritmiche grasse, mentre Alberto Zampolli interpreta con tono aggressivo ma senza tralasciare parti melodiche l’ottimo hard rock suonato dai suoi compagni d’avventura.
Le due chitarre (Roberto Gatti e Andrea Fossati), il basso corposo di Davide Rovelli e le pelli torturate da Federico Sala formano un muro sonoro di hard rock, con qualche rara ruvidezza metallica, ma sempre intriso dell’attitudine i estrazione statunitense.
I gruppi che hanno ispirato il sound di Foundations vanno ricercati proprio aldilà dell’oceano, mentre The Void apre le danze, A Tale From The Land la segue, così come le altre canzoni, rivelandosi tutte di ottima fattura tra grinta e melodia, e consigliate agli amanti del genere che apprezzano Alter Bridge, Soundgarden e Black Stone Cherry.

TRACKLIST
01 – The Void
02 – Sideways
03 – A Tale From The Land
04 – Get Out
05 – Stronger Than Before
06 – Down
07 – Empty Shell Of Me
08 – Kimberly
09 – Brutal Games
10 – Raindrops

LINE-UP
Alberto Zampolli – Vocals
Roberto Gatti – Guitars
Andrea Fossati – Guitars
Davide Rovelli – Bass, Backing Vocals
Federico Sala – Drums

OUTRIDER – Facebook