Pigeon Lake – Barriers Fall

Barriers Fall è un gioiellino di genere, lontano dalla rabbia sincopata e molte volte adolescenziale del metalcore da classifica, e vicino alle anime travagliate che si aggirano nella la scena musicale moderna.

Rock alternativo, progressivo e melanconicamente dark, attraversato da umori metallici moderni che squarciano lo spartito, mentre l’oscurità lascia il posto a una rabbiosa disperazione.

Il quartetto norvegese chiamato Pigeon Lake torna dopo tre anni dal primo full length, Tales Of a Madman, con questa raccolta di brani, sofferti e maturi, intimisti ed atmosfericamente depressivi che formano Barriers Fall, album elegante ed intenso.
Il gruppo ha nella voce del singer Christopher Schackt il suo punto di forza, dal tono non comune e molto interpretativo, che dona ai brani un’intensità ed uno spessore che si tocca con mano, mentre il sound si rivolge agli alternative rockers amanti delle sfumature dark, progressivamente moderne.
Barriers Fall mantiene un atmosfera intrisa di depressiva malinconia, mentre la musica alterna parti grintose vicine al metal moderno a liquide atmosfere dark, passando agevolmente da un’interminabile tonalità di colori che si mantengono sul grigio per arrivare al buio totale del nero.
Un gruppo maturo che delle proprie ispirazioni si nutre, mantenendo un approccio personale ad un genere che ormai non è più una novità, ma che come in questo caso sa regalare ottima musica alternativa.
Un album da ascoltare con la dovuta calma, dandogli la possibilità di farci partecipi dei suoi umori, mentre le splendide linee vocali dell’opener Ragnarock e di Lyra ci introducono nel mondo dei Pigeon Lake e la rabbiosa parte metallica fa capolino tra le note di A Familiar Problem e Perfect Place. le tracce più estreme di questo intenso lavoro.
Consigliato agli amanti del rock/metal alternativo dalle tinte dark, Barriers Fall è un gioiellino di genere, lontano dalla rabbia sincopata e molte volte adolescenziale del metalcore da classifica, e vicino alle anime travagliate che si aggirano nella la scena musicale moderna.

TRACKLIST
1.Ragnarok
2.Lyra
3.Barriers fall
4.The Futility of You
5.Hide and Seek
6.Sunder
7.A Familiar Problem
8.Perfect Place
9.Let’s Pretend

LINE-UP
Christopher Schackt – Vocals/Guitar
Magnus Engemoen – Lead Guitar
Haakon Bechholm – Bass Guitar
Jonas Rønningen – Drums

http://www.facebook.com/PigeonLakeMusic

Starsick System – Lies, Hope & Other Stories

Niente di più e niente di meno che belle canzoni di quel rock dato per morto troppe volte, ma assolutamente in buona salute ed in formissima è quello che troviamo tra i solchi di questo nuovo lavoro targato Starsick System.

Questo è il rock’n’roll del nuovo millennio, che si nutre del meglio che la musica alternative ha regalato in questi anni e l’accompagna con un buon bicchiere di hard rock, come un Chianti d’annata …

Questo scrivevo un paio d’anni fa, quando feci la conoscenza dei nostrani Starsick System in occasione dell’uscita del loro bellissimo debutto, Daydreamin’.
Sono passati due anni, nel frattempo il quartetto di Pordenone ha calcato instancabilmente i palchi di mezza nazione ,con la chicca di aprire per i Black Label Society di Zakk Wilde, facendo sbattere teste e natiche a colpi di rock’n’roll moderno, alternativo ma legato con un filo invisibile alla tradizione a stelle e strisce.
Lies, Hope & Other Stories conferma e valorizza gli sforzi di questa macchina da guerra rock tutta italiana e chi, incuriosito dal primo lavoro si avvicinerà a questa nuova raccolta di brani, troverà una band sul pezzo, matura, perfetta in ogni sua componente e soprattutto in grado di competere con act più famosi ma non per questo migliori dei quattro moschettieri dell’alternative rock tricolore.
Hard rock, post grunge e street metal, la ricetta è sempre la stessa per un piatto di leccornie musicali di cui abbuffarsi ancora una volta, con i quattro musicisti al loro posto (Sandron, Donati, Bidin, Battain) per una formazione vincente che non si cambia ma risulta ancora più legata e coesa.
Moderno rock’n’roll, niente di più e niente di meno che belle canzoni di quel rock dato per morto troppe volte, ma assolutamente in buona salute ed in formissima è quello che troviamo tra i solchi di questo nuovo lavoro targato Starsick System., con Sandron vocalist dall’appeal straordinario, una perturbazione rock che fa danni su una serie di brani irresistibili come I’m Hurricane, che dopo l’intro apre le danze a suon di hard rock dal riff sudista, mentre Bulletproof e Sinner completano il trittico iniziale, un temporale estivo, fulmineo e devastante che si abbatte sulle nostre teste.
Lampi e tuoni, ritmiche al limite del metal, chitarre torturate, melodie che entrano in testa al primo ascolto e chorus da cantare, saltando nelle pozzanghere lasciate dall’improvvisa tempesta, mentre Scars e Perfect Lies rompono l’atmosfera rilassata delle super ballatone post, southern grunge come Everything And More e Hope.
Questa estate guardatevi in giro, i quattro rockers non mancheranno di portare il loro nuovo lavoro in una dimensione live che risulta la vera casa per la band e per la sua musica … e ci sarà da divertirsi, parola di MetalEyes.

TRACKLIST
1.Nebulus
2.I’M the Hurricane
3.Bulletproof
4.Sinner
5.The Promise
6.Scars
7.Everything and More
8.Come one, Come All
9.Perfect Lie
10.Hope
11.You Know My Name

LINE-UP
Marco Sandron – Vocals, Guitars
David Donati – Guitars
Ivan Moni Bidin – Drums
Valeria Battain – Bass

STARSICK SYSTEM – Facebook

Lightyears – Erase

Cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente, così come un approccio dark wave formando così un sound elegante ma nervoso, raffinato ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.

Rock, in una parola tutta la musica degli ultimi sessant’anni e che in tutti questi anni ha cambiato pelle centinaia di volte, adattandosi ai tempi, alla cultura e diciamolo, alle mode, mentre i decenni passano e chi di rock vive ascolta il suo evolversi ma anche la sua natura primaria.

Tempi, questi, di rock che denominato alternativo, tempi dove il suo figlio più ribelle (il metal) lo ha portato verso nuovi orizzonti accompagnato in questo suo viaggio appena intrapreso nel nuovo millennio, con molti dei sottogeneri che hanno segnato i decenni passati.
I Lightyears sono un quintetto nostrano, arrivano da Ferrara ed Erase è il loro debutto in formato ep, licenziato dalla Wormholedeath/The Orchard su licenza esclusiva di Too Loud Records: cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente così come un approccio dark wave e che vanno a formare un sound elegante ma nervoso, raffinato (anche per l’ottima voce della singer) ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.
Ed Erase vive la sua cangiante atmosfera con la consapevolezza di essere composto da buone canzoni rock, con l’energia e l’impatto di un sound che dal metal acquista l’energia e dall’alternative rock le melodie neanche troppo nascoste nell’opener Say It, come nel singolo Show Me, In A Bitter Taste o nell’ultima e metallica Sticks & Stones.
Un buon inizio, cinque ottimi brani che sono un punto di partenza per il gruppo ferrarese che suona un rock con tutte le sue ispirazioni ed influenze: sta a voi farlo vostro, ma un ascolto i Lightyears se lo meritano.

TRACKLIST
1. Say It
2. The Story
3. Show Me
4. A Bitter Taste
5. Sticks & Stones feat. Chuck Ford

LIGHTYEARS – Facebook

Les Discrets – Prédateurs

Prédateurs si va a collocare in una sorta di terra di mezzo, dove la rinuncia alle passate sonorità non ha portato con altrettanta decisione all’approdo verso un sound maggiormente definito, facendo ragionevolmente pensare che possa trattarsi di un passo interlocutorio

Sono già passati cinque anni dall’uscita di Ariettes Oubliees, anche se a livello temporale non sembra, visto che i Les Discrets hanno comunque continuato a lanciare frequenti segnali, pur se concretizzati a livello discografico dall’uscita del solo Live At Roadburn nel 2015 e del singolo Virée Nocturne la scorsa estate.

Questo periodo appare, invece, molto più lungo alla luce delle novità riscontrabili in questo lavoro che prende le distanze, in maniera abbastanza evidente, rispetto a quanto fatto in precedenza dalla creatura musicale partorita dalla mente di Fursy Teyssier.
Se almeno fino al disco precedente, pur trattandosi di una semplificazione forse anche superficiale, non era del tutto azzardato considerare i Les Discrets come autori di una sorta di versione alleggerita dello shoegaze degli Alcest, realtà con la quale esiste da sempre un legame a doppio filo, con Prédateurs il musicista transalpino ha imboccato con risultati alterni una strada il cui possibile approdo è tutto da definire, potendo risultare un’intrigante forma di trip hop (emblematico appunto il brano Virée Nocturne) ma anche un pop intimista e spruzzato di elettronica, indubbiamente di buona qualità esecutiva ed altrettanta pulizia sonora, ma in diversi momenti piuttosto inoffensivo.
In effetti, il rischio più grande che corre Teyssier (come sempre accompagnato nella sua avventura da Audrey Hadorn), con questa sua svolta, è quello di non incidere come dovrebbe/potrebbe, pur proponendo un lavoro di indiscutibile perizia e gradevolezza; la totale assenza di qualsivoglia accelerazione o cambio di ritmo rende oggettivamente difficile esprimere qualcosa che vada oltre un blando apprezzamento da parte dell’ascoltatore.
Forse Teyssier aveva voluto lanciare un indizio, definendo la musica dell’album come cinematografica e, alla luce di diversi ascolti, viene proprio da pensare che la musica contenuta in Prédateurs potrebbe risultare più efficace se abbinata alle immagini di una pellicola ambientata nello scenario decadente di una periferia parigina, immortalata nelle sue ore notturne.
Definire brutto questo lavoro non sarebbe né giusto né corretto, perché l’artista francese ha perlomeno il merito di non aver voluto ripercorrere, con il pilota automatico inserito, la stessa strada che gli aveva regalato un certo successo al’inizio del decennio e, come già detto, la gradevolezza di certi passaggi depone a favore delle sue doti di compositore.
Resta il fatto che Prédateurs si va a collocare in una sorta di terra di mezzo, dove la rinuncia alle passate sonorità non ha portato con altrettanta decisione all’approdo verso un sound maggiormente definito, facendo ragionevolmente pensare che possa trattarsi di un passo interlocutorio, anche se forse dopo un quinquennio sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di differente.
Poi, quando si ascoltano canzoni come la già edita Virée Nocturne, Le Reproche o Rue Octavio Mey, appare palese quale sia il talento e la sensibilità artistica di cui dispone Fursy Teyssier, e forse anche per questo è difficile non restare parzialmente delusi e perplessi di fronte a quest’ultima fatica targata Les Discrets.

Tracklist:
1.Prédateurs
2.Virée Nocturne
3.Les Amis De Minuit
4.Vanishing Beauties
5.Fleur Des Murailles
6.Le Reproche
7.Les Jours D’Or
8.Rue Octavio Mey
9.The Scent Of Spring (Moonraker)
10.Lyon – Paris 7h34

Line up:
Audrey Hadorn – Vocals & Lyrics
Fursy Teyssier – Guitars, bass, vocals, visuals

LES DISCRETS – Facebook

The Match – Just Burn

Just Burn non è un affatto brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

I The Match sono un duo composto da Francesco Gallo e Ivan Mercurio, rispettivamente basso/voce e batteria, attivi da quattro anni ed ora all’esordio con l’album Just Burm.

Un sound strutturato solo su strumenti ritmici non può che risultare un concentrato di cambi di tempo, sfuriate alternative che fanno capo al funky, ancor prima del rock, e questo rende senz’altro originale la proposta del gruppo.
Chiaramente il rock alternativo proposto non può che fare riferimento ai gruppi che, nel proprio DNA, hanno ben consolidati generi che con il rock hanno poco a che fare, ma è pur vero che in generale i nove brani presenti in Just Burn funzionano, almeno ad un primo ascolto, quando il fattore sorpresa fa il suo sporco lavoro.
Con il passare del tempo scema la sorpresa ed anche l’attenzione, perché le tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo, coinvolgendo l’ascoltatore solo a sprazzi.
La cover di Firestarter dei Prodigy, Danger e Earthz (il brano più metal del lotto) sono i brani più coinvolgenti di un lavoro consigliato agli amanti dei Primus e dei Red Hot Chili Peppers, nascosti da un attitudine punk rock e dal lavoro del basso, tecnicamente notevole così come quello delle bacchette sulle pelli.
Just Burn non è affatto un brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

TRACKLIST
1. Beast
2. Firestarter
3. Aflame
4. K-22
5. Danger
6. Shinobu
7. Earthz
8. San Francisco
9. Neh

LINE-UP
Francesco “The GrooVster” Gallo – Bass, Vocals
Ivan “Pattùman” Mercurio – Drums, backing vocals

THE MATCH – Facebook

Del Norte – Teenage Mutant Ninja Failures

Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana

Gli anni novanta non sono stati solo il decennio del grunge, infatti il rock americano in quel decennio ha avuto esponenti di un’ importanza epocale per lo sviluppo di un certo tipo di sonorità, uscite dai primi posti delle classifiche ma assolutamente in grado di influenzare generazioni di rockers in ogni parte del mondo.

Parliamo per esempio di Sonic Youth e Dinosaur Jr, con i primi all’assalto con il loro punk/noise e J Mascis a farci partecipi di un rock di provincia, malinconicamente alternativo, ma meno irruento; se a queste due band aggiungiamo il sound dei primi Smashing Pumpkins (Siamese Dream), siamo molto vicini al rock dei nostrani Del Norte, trio di Pesaro che, all’esordio con Teenage Mutant Ninja Failures, convince con sei brani potenti, irriverenti e aggressivi.
Badano al sodo i Del Norte, infatti l’attacco dell’opener Chun-Li è di quelli che lascia il segno, dritto per dritto il gruppo spara una serie di colpi che non si esauriscono alla prima traccia, e con Faceless arriva la prima bomba dalle reminiscenze Sonic Youth.
Leggermente più ariosa ed armonica On The Basement, mentre Billy Corgan jamma con i Sonic Youth in Pa Pa Pa! e la conclusiva Space Coyote si veste di rock ‘n’ roll energizzato da una vena punk rock.
Gianfranco Gabbani (voce, chitarra), Luca Follega (basso) e Gianluca Fucci (batteria) formano un gruppo molto interessante e Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana.

TRACKLIST
1.Chun-Li
2.Faceless
3.Old Boy
4.On The Basement
5.Pa Pa Pa!
6.Space Coyote

LINE-UP
Gianfranco Gabbani – Chitarra, Voce
Luca Follega – Basso
Gianluca Fucci – Batteria

DEL NORTE – Facebook

Three Horns – Jackie

Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

Tra citazioni del Grande Lebowsky, una partita a bowling, ed una Voghera trasportata nell’inferno del deserto americano (ma anche in quei luoghi d’estate il caldo non scherza), i Three Horns ci consegnano un altro lavoro di stoner hard rock, genere che in Italia sta regalando grosse soddisfazioni nella scena underground.

Il gruppo formato da Alessio Bertucci (chitarra e voce), Mic Roma (basso e voce) e Simone Gabrieli (batteria) se ne esce con un album, Jackie, formato da una serie di brani irriverenti, dallo spirito punk e rock’n’roll che si impossessa dell’hard rock stonato, classicamente americano e perso nel deserto o nelle pianure infuocate del nord Italia.
Diretto come un pugno in pieno volto preso in una rissa da bar, Jackie lascia ad altri jam psichedeliche per incontrare il grunge, l’alternative rock dei primi anni novanta ed il rock’n’roll appesantito da potenti dosi di ritmiche stonerizzate e varie, come se Kurt Cobain avesse lasciato le parti ritmiche di Nervermind nelle mani di Les Claypool.
L’irriverenza punk fa il resto, consegnandoci mezz’ora di rock adrenalinico, un sound live che si evince da una produzione essenziale ma perfettamente in linea con l’idea di rock del gruppo di Voghera, che piazza una serie di colpi come California, brano che apre l’album, la successiva Evil Dead, Michigan e Fight Velasquez.
Un lotto di brani da spararsi senza remore, una botta di vita a tutto volume, mentre il caldo ci soffoca e l’impianto dell’aria condizionata ci ha salutato da un pezzo, cosi che mai come ora la nostra pianura si trasforma in un deserto aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.California
2.Evil Dead
3.Jackie
4.Half Life
5.Michigan
6.Fight Velasquez
7.The balland of the lonley man

LINE-UP
Alessio Bertucci – lead vocals and backing vocals, electric and acoustic guitar, synth,dobro,banjo, keyboards,percussions, glockenspiel
Michele Romagnese – lead vocals and backing vocals, bass, megabass, percussions
Simone Gabrieli – Drums,percussions

THREE HORNS – Facebook

Left Sun – Left Sun

Un sound alternativo che attraversa un ventennio di musica rock tra il grunge di Seattle, una musica aperta a molte soluzioni e dalle atmosfere cangianti che formano un album molto interessante.

Dalla sempre attiva Ethereal Sounds Works arriva questo quartetto di Porto, del quale poco si sa se none che è formato da Flavio Silva (voce e chitarra), Eduardo Oliveira (basso), Artur Jorge (batteria) e Rui Salvador (chitarra solista), ma senz’altro autore di un buon rock metal alternativo.

Quello dei Left Sun è un sound alternativo che attraversa un ventennio di musica rock tra il grunge di Seattle, una musica aperta a molte soluzioni e dalle atmosfere cangianti che formano un album molto interessante.
Quello dei Soundgarden più introspettivi è un paragone calzante, anche per effetto della voce di Silva, che tende a prendere vie melodiche care al Cornell solista, mentre l’elettricità moderata delle sei corde porta a saliscendi emozionali come nei gruppi metal/prog odierni, tra Porcupine Tree e Pain Of Salvation.
Incuriositi? Il gruppo dimostra di saperci fare con queste ispirazioni scomode, visto il valore artistico dei gruppi citati, ma ne esce bene e con un lotto di brani che sanno intrattenere, emozionanti a tratti, aggressivi in altri, introspettivi e malinconici in molte occasioni.
Dopo la lunga opener che funge da intro all’album, Left Sun entra nel vivo con Another Earth e Blaze, due delle tracce cardine di questo lavoro assieme alla più ritmicamente pesante Return Interlude.
A Silva e compagni piace girovagare per lo spartito dei gruppi progressivi alla Porcupine Tree, mentre il grunge fa capolino come parte hard rock del sound di questo ottimo debutto.
Non so quanto sia di facile reperibilità ma se siete amanti del genere Left Sun può rivelarsi una piacevole sorpresa.

TRACKLIST
1.Water Under The Bridge
2.Another Earth
3.Blaze
4:59
4.Skyrim
5.Shifting Sideways
6.Feel
7.Return Interlude
8.Time Reversal
9.Concealed Needs
10.Elysian Hope

LINE-UP
Flávio Silva – Guitars, Vocals
Rui Salvador – Guitars
Eduardo Oliveira – Bass
Artur Jorge – Drums

LEFT SUN – Facebook

Uforia – Fight Or Flight

Fight Or Flight alterna spunti settantiani all’alternative rock nato negli anni novanta, mantenendo un approccio molto melodico dato dalla voce del singer Michael Ursini e irrobustito da chitarre grintose, forgiate nella piovosa Seattle.

Chi segue con più attenzione lo sviluppo dell’hard rock in questi primi anni del nuovo millennio, avrà sicuramente notato come le nuove band che si affacciano sul mercato tendono ad amalgamare con ottimi risultati tradizione e moderno rock alternativo.

La ricetta è più semplice di quanto si creda, all’ hard rock dei Led Zeppelin (per esempio) si aggiunge un po’ di grunge o del rock alternativo ed il gioco è fatto, più difficile ormai è risultare personali e scrivere belle canzoni.
I canadesi Uforia ci provano con Fight Or Flight, terzo lavoro in formato ep, cinque brani che vanno a formare un buon esempio di questo trend, magari non ufficializzato dal music biz, ma che sta prendendo campo in ogni parte del mondo, almeno per un certo modo di intendere il rock duro.
Fight Or Flight alterna così spunti settantiani all’alternative rock nato negli anni novanta, mantenendo un approccio molto melodico dato dalla voce del singer Michael Ursini e irrobustito da chitarre grintose, forgiate nella piovosa Seattle.
Niente di nuovo quindi, ma se amate il rock moderno ed un po’ freak di questi anni, brani come la title track o Radiation non potranno che sedurvi in balli al calar della notte ,su spiagge di quell’America di jeans strappati e voli sulle onde in piedi su una tavola, raccontata dal rock da ormai trent’anni.
Manca un full length per provare ad alzare l’asticella che rimane, per il gruppo, ad un altezza sufficiente per continuare il proprio sogno.

TRACKLIST
1.Fight or Flight
2.Radiation
3.Wake Me
4.Overthrow
5.Is Anybody Living?

LINE-UP
Michael Ursini – Vocals, guitars
Adam Brik – Guitars
Daniel Salij – Bass
Dylan Piercey – Drums

UFORIA – Facebook

Monsieur Gustavo Biscotti – Rabid Dogs

Questo è il rock, se volete, un mondo che va aldilà di inutili barriere e confini, una musica nata per ribellarsi e quindi è assolutamente inutile cercare di imprigionarla in schemi prestabiliti.

Sono sincero, quando mi hanno proposto di recensire questo album , il monicker usato dal gruppo mantovano mi ha lasciato molti dubbi, così avvicinarmi alla musica che compone Rabid Dogs, terzo lavoro dei Monsieur Gustavo Biscotti, è stata una piccola avventura, una scoperta che, ad ogni brano diventava consapevolezza di essere al cospetto di una band di tutto rispetto e di un lavoro che in se racchiude tanto del rock alternativo e del post punk degli ultimi due decenni.

I Monsieur Gustavo Biscotti sono attivi da una dozzina d’anni, sono arrivati al traguardo del terzo album e senza tante menate e con tanta gavetta alle spalle raccolgono i giusti consensi, merito di un sound che, pur pescando da una moltitudine di influenze, risulta fresco, al passo coi tempi senza essere la solita minestra riscaldata o ruffiano tanto da piacere a prescindere.
Ora, cosa ci fa una band dal piglio punk rock alternativo su una webzine come MetalEyes? Buona domanda e allora vi rispondo: cosa ci facevano un po’ di anni fa i ragazzi con la maglietta dei Napalm Death nei negozi di dischi a comprare il nuovo album dei Fugazi o dei Sonic Youth, o cosa c’entrano i Pixies con i Neurosis o gli Isis?
Questo è il rock, se volete, un mondo che va aldilà di inutili barriere e confini, una musica nata per ribellarsi e quindi è assolutamente inutile cercare di imprigionarla in schemi prestabiliti: e allora fatevi sballottare dal suono punk, scarno, noise e rock’n’roll di Rabid Dogs.
Helmet e Jesus Lizard si contendono la paternità di questo lotto di brani che, in poco più di ventidue minuti, ci destabilizzano come solo il vero rock sa fare, una musica ribelle, senza vincoli, sfrontata e fuori dagli schemi: it’s only rock’ n’ roll, ma basta e avanza.

TRACKLIST
1. Louis’ Wine
2. Little Bastard
3. First Time Shadows
4. Twenty Tunnel
5. Paralytic Taylor
6. Modernism Is My Past Continuos
7. Johnny

LINE-UP
Paolo – basso, chitarra, voce
Giandomenico – chitarra, voce
Filippo – basso, voce
Lorenzo – batteria, voce
Jacopo – farfisa

MONSIEUR GUSTAVO BISCOTTI – Facebook

Nadsat – Crudo

Ogni cambio di tempo, ogni variazione qui non è prevedibile, e come nel free jazz si naviga felicemente a vista, avvolti da un rumore molto piacevole e soprattutto bene composto.

Ottimo disco per questo duo chitarra e batteria, che suona poderose narrazioni di ritmo e pulsazioni.

I Nadsat sono Michele Malaguti e Alberto Balboni, il primo alla chitarra e effetti, il secondo alla batteria e al gong, e hanno la ferma intenzione di fare musica pesante, giostrando intorno ad un’idea di groove pulsante. Il disco è totalmente strumentale ed è progressivo, nel senso che non segue la tradizionale forma canzone ma si sviluppa per vie diverse, mettendo al centro la carnalità della musica, usando quest’ultima per estrapolare energia dalla materia nera, riuscendo a farlo in maniera peculiare ed originale. Ascoltando Crudo si intuisce che i modelli sono gli Zu, soprattutto per quanto riguarda la costruzione del groove, con un intreccio che è stato praticato per primi dai romani, che ora sono su altri lidi, e che i Nadsat rielaborano sapientemente e personalmente. Il disco può anche essere interpretato come una sublimazione di una fase della musica pesante e pensante, quella che eleva il ritmo al di sopra di ogni cosa. Ogni cambio di tempo, ogni variazione qui non è prevedibile, e come nel free jazz si naviga felicemente a vista, avvolti da un rumore molto piacevole e soprattutto ben composto. Le note ti avvolgono come spire di un lussurioso demone della musica e non c’è salvezza e ci si deve abbandonare a questa musica, figlia bastarda di Sun Ra come dei Tool, perché qui conta l’idea e non tanto la forma, si suona e si ascolta per davvero. Un disco che conferma l’ottima salute e l’alta qualità dei gruppi pesanti italiani, e soprattutto dei duo, che è una firma adeguata per affrontare perigliosi temporali musicali come questo.

TRACKLIST
1.Mesozoic
2.ATP
3.Novus
4.Carcharodon
5.Umhlaba
6.Sivik
7.Droid
8.Dolomite

LINE-UP
Michele Malaguti
Alberto Balboni

NADSAT – Facebook

Ghost Season – Like Stars In The Neon Sky

Debutto per i greci Ghost Season, band alternative sulla scia degli dei americani Alter Bridge, con Like Stars In The Neon Sky che risulta un buon ascolto in grado di ritagliarsi uno spazio nei cuori dei fans dell’hard rock moderno.

I Ghost Season sono un quartetto greco nato solo tre anni fa, autore del classico ep di rodaggio che ha portato il gruppo alla firma con Pavement Entertainment ed alla realizzazione di Like Stars In The Neon Sky, full length che darà sicuramente ottimi riscontri al gruppo ateniese, vista l’ottimo amalgama tra alternative metal e rock, un buon uso di groove nelle ritmiche e tanta ispirazione presa dagli dei del genere, gli Alter Bridge.

Da qui si parte con la consapevolezza che la band non ha nulla di originale, il loro rock/metal americano è figlio del post grunge con le chitarre che tagliano l’aria intorno a noi a colpi di solos metallici, le voci che non si spostano di un millimetro dallo stile di Myles Kennedy e, in generale, l’atmosfera che rimane melanconicamente ribelle, triste ed intimista come il grunge ha insegnato per tutti gli anni novanta.
Detto questo, l’album ha dalla sua una serie di buone canzoni, che poi è quello che a noi interessa, e la band sa dove andare a parare per piacere, facendolo con una buona dose di furbizia.
Il singolo Fade Away, Break My Chains e Vampire, brano che sembra uscito dalla colonna sonora di Twilight (la famosa trilogia sui vampiri adolescenti tratta dai romanzi di Stephenie Meyer) entrano nella testa al primo passaggio, tutto è perfettamente studiato per provare a mettere un piede più avanti rispetto alla scena underground e non è detto che il gruppo di Atene non ci riesca, con queste premesse.

TRACKLIST
1. The Reckoning
2. Sons Of Yesterday
3. Fade Away
4. Break My Chains
5. War Of Voices
6. The Highway Part I
7. The Highway Part II
8. Just A Lie
9. The Vampire
10. The Mirror
11. Of Hearts And Shadows
12. Break Me Shake Me (Bonus Track)

LINE-UP
Hercules Zotos – Vocals
Nick Christolis – Guitars/vocals
Dorian Gates – Bass/vocals
Helen Nota – Drums

GHOST SEASON – Facebook

Ninjaspy – Spüken

La fusione tra metal estremo e note provenienti da generi come reggae, jazz o fusion non è certo una novità appunto, ma Spüken non lascerà sicuramente indifferenti gli amanti di questo ibrido musicale.

Che fonte inesauribile di grande musica è l’underground rock/metal mondiale: non passa settimana (e mi sono tenuto largo) senza imbattersi in realtà straordinariamente affascinanti, non encessiaramente originali a tutti i costi (anche se in questo album l’inventiva non manca di certo), ma coraggiose nel modellare ed unire suoni apparentemente lontani tra loro.

La fusione tra metal estremo e note provenienti da generi come reggae, jazz o fusion non è certo una novità, appunto, ma Spüken esordio sulla lunga distanza dei tre Parent, canadesi di nascita uniti sotto il monicker Ninjaspy, non lascerà sicuramente indifferenti gli amanti di questo ibrido musicale.
Rock alternativo, deathcore ed appunto atmosfere jazz e fusion, qualche reminiscenza reggae ed il gioco è fatto, direte voi.
Beh, in teoria sembrerebbe più facile di quanto il tutto risulti effettivamente, infatti è un attimo perdere la fluidità tra le esplosioni estreme (e qui i Ninjaspy ci vanno davvero pesante) e le ariose parti strumentali dove, come in un torrente di montagna la musica scorre limpida e frizzante, ma il trio riesce incredibilmente a non perdere la bussola e regalarci momenti di musica a 360°, selvaggia, rabbiosa, piacevolmente rilassante per un attimo, per trasformarsi in un’aggressione spaventosa in quello dopo.
Sentire per credere, partendo dall’opener e singolo Speak, inizio di un viaggio pericoloso, pieno di soprese, tra momenti di tecnica strumentale di altissimo livello e brani che di scontato non hanno nulla, passando da parti estreme furiose, rock alternativo e tanta musica fuori dagli schemi.
Difficile trovare una traccia da portare ad esempio, ognuno montato e rimontato più volte senza lasciare un punto di riferimento (Dead Dock Duck, la splendida Jump Ya Bones) mentre System Of a Down, Nirvana, Meshuggah ed i generi descritti si uniscono in questo arcobaleno di musica dal titolo Spüken, consigliato agli amanti della musica rock/metal moderna e senza barriere.

TRACKLIST
1.Speak
2.Shuriken Dance
3.Brother Man
4.Dead Duck Dock
5.Become Nothing
6.What!
7.Jump Ya Bones!
8.Grip The Cage
9.Azaria
10.Slave Vehemence

LINE-UP
Joel Parent
Tim Parent
Adam Parent

NINJASPY – Facebook

Art Of Anarchy – The Madness

Robusti, graffianti e straordinariamente melodici, gli Art Of Anarchy sono pronti per conquistare i cuori degli alternative rockers sparsi per il mondo con questo ottimo lavoro.

Quello che sembrava il classico super gruppo autore di un album estemporaneo e dimenticato poi nel tempo, trova la strada per continuare a fare musica ed esce con un altro lavoro di alternative rock davvero bello.

I fratelli Votta, Jon alla chitarra e Vince alla batteria, in compagnia di Ron “Bumblefoot” Thal (ex Gunners) alla chitarra e John Moyer dei Disturbed al basso, dopo la perdita di Scott Weiland, che nel 2015 prestò la sua voce al debutto omonimo hanno acquisito i servigi di Scott Stapp, voce dei Creed, band sulla quale si possono ricamare facili paragoni con il gruppo ma che, a ben sentire, su The Madness sono evidenti ma non gli unici.
Per chiarire, la voce di Stapp richiama a più riprese la band d’origine (Won’t Let You Down), ma il sound dell’album è molto più aggressivo e ricco di groove rispetto all’esordio, in quei brani dove l’alternative metal con una spallata ritmica scaraventa all’angolo il post grunge, genere da cui gli Art Of Anarchy fanno di tutto per allontanarsi, a tratti riuscendoci, ma non sempre (per fortuna).
Sì, perché quando il gruppo si lascia portare dalla voce del singer, l’album prende il volo con una serie di canzoni intense e dallo spirito creediano (No Surrender, la splendida Changed Man, Somber), mentre la parte metallica di matrice heavy alternativa sconquassa lo spartito con la doppietta iniziale Echo Of A Scream/1000 Degrees e l’incalzante street rock di Dancing With The Devil.
La title track, scritta per far male (commercialmente parlando) è creata su di una melodia dall’appeal infallibile, classico singolo/video da far girare senza sosta sui media, anche se di fatto è tutto l’album che funziona.
Robusti e graffianti, straordinariamente melodici, gli Art Of Anarchy si possono ormai considerare un gruppo a tutti gli effetti: trovata la quadratura del cerchio con il bravissimo Stapp (senza nulla togliere al povero Weiland), la band è pronta per conquistare i cuori degli alternative rockers sparsi per il mondo con questo ottimo lavoro.

TRACKLIST
01. Echo Of A Scream
02. 1000 Degrees
03. No Surrender
04. The Madness
05. Won’t Let You Down
06. Changed Man
07. A Light in Me
08. Somber
09. Dancing With The Devil
10. Afterburn

LINE-UP
Scott Stapp – vocals
Bumblefoot – guitar
John Moyer – bass
Jon Votta – guitar
Vince Votta – drums

ART OF ANARCHY – Facebook

Dool – Here Now, There Then

La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.

Dopo aver fatto conoscenza con i Dool l’anno scorso, in occasione dell’uscita del singolo Oweynagat non era difficile presagire che il loro primo lull length avrebbe potuto lasciato il segno.

La band olandese mantiene le promesse e rafforza l’impressione, avuta allora, di trovarsi al cospetto di un gruppo di musicisti di livello superiore: se poteva esserci un minimo dubbio in considerazione del fatto che azzeccare un singolo brano capita a molti, poi incapaci di mantenere uno stesso standard su lunga distanza, era stata la versione acustica del brano a farmela considerare una vera e propria epifania di un nuovo talento.
Oweynagat è presente in Here Now, There Then solo nella sua versione canonica ed il lavoro è, appunto, del tutto all’altezza del suo brano trainante: come detto all’epoca, non deve destare stupore neppure il fatto che tale opera sia pubblicata da una band all’esordio, visto che la line up vede all’opera protagonisti piuttosto conosciuti della scena underground olandese, tra cui membri di band come The Devil’s Blood e Gold, oltre alla più nota Ryanne van Dorst.
Non c’è dubbio che una vocalist cosi versatile e dalla spiccata personalità sia un vero valore aggiunto, ma non va sottovalutato l’operato dei suoi degnissimi compagni di viaggio, musicisti davvero sopraffini.
Anche i Dool, come altri gruppi trattati di recente, sono difficili da catalogare, ma affermare che il loro sound, a grandi linee, si snoda lungo coordinate doom, dark e psichedeliche non sarebbe un peccato, per quanto comunque non del tutto appropriato.
La bellezza di Here Now, There Then sta anche nel suo cambiare toni da una traccia all’altra, con episodi trascinanti e dallo sviluppo in progressivo crescendo, come l’opener Vantablack e la già citata Oweynagat, altri magari più ariosi e dal chorus incisivo (Golden Serpents e In Her Darkest Hour), per giungere a canzoni che rimandano in maniera più decisa al gothic dark (She Goat) o alle atmosfere cupe del doom (The Alpha).
La proposta dei Dool risulta profonda senza sconfinare in soluzioni cervellotiche, e il tutto viene eseguito in maniera esemplare: la spiccata varietà sonora non diviene sinonimo di dispersività, ma si rivela l’elemento decisivo per rendere Here Now, There Then un lavoro adatto ad ascoltatori dal differente background.
I Dool, pur a fronte di una storia ancora breve, stanno già ottenendo riscontri importanti ed un’attenzione che li porterà senz’altro ad occupare posizioni di prestigio in diversi festival estivi, in primis al Prophecy Fest di fine luglio: non c’è davvero nulla di fortuito in tutto questo …

Tracklist:
1.Vantablack
2.Golden Serpents
3.Words On Paper
4.In Her Darkest Hour
5.Oweynagat
6.The Alpha
7.The Death Of Love
8.She Goat

Line-up:
Ryanne van Dorst – Vocals/Guitar
Micha Haring – Drums
Job van de Zande – Bass
Reinier Vermeulen – Guitar
Nick Polak – Guitar

DOOL – Facebook

Fuzz – A.R.T.

A.R.T. è quello che vuole essere, un ottimo disco di musica rumorosa in italiano, con un gusto particolare che abbiamo solo qui nello stivale per il noise grunge, ma che abbiamo tirato fuori poche volte, e questa è una di quelle.

I Fuzz vengono da Torino e fanno un gran bel rumore. Il loro suono è una interessante summa fra Verdena, Queens Of The Stone Age, Marlene Kuntz e Fluxus per citarne solo alcuni.

Nati nel 2010 i Fuzz portano avanti un discorso incentrato sulla libertà sonora, coniugando cattiveria e qualità, rumore e inusuali melodie. In Italia non ci sono molto gruppi capaci di sintetizzare in questa maniera la lezione della migliore musica alternativa italiana con gli esempi di rumore che arrivano da oltreoceano. Al centro dei Fuzz sta la possente e inviperita voce di Luca, che sciorina le giuste rimostranze contro il cielo, e il gruppo stende un ottimo tappeto sonoro, con molte influenze ma estremamente personale. Il disco è semplicemente bello, con molte soluzioni sonore distorte, un’ottima rabbia di fondo che ci riporta a quel sentire che si poteva provare nel migliore momento della musica cosiddetta alternativa italiana. Che poi diciamolo una volta per tutte : la musica non è mai alternativa, è sempre e solo musica. A.R.T. (Andare Restare Tornare) è quello che vuole essere, un ottimo disco di musica rumorosa in italiano, con un gusto particolare che abbiamo solo qui nello stivale per il noise grunge, ma che abbiamo tirato fuori poche volte, e questa è una di quelle. Il disco è un grido armonioso, una musica che incrocia deserto, New York e vie acciottolate di qualche centro storico, come impersonali rotonde e prati di periferie. I Fuzz fanno un disco che è davvero un piacere ascoltare, con una grossa punta di veleno, che è il giusto antidoto alla nostra merda quotidiana. A.R.T. in definitiva, è un lavoro molto interessante, cattivo e dolce al tempo stesso, e soprattutto c’è tanto bel rumore.

TRACKLIST
1 Suononero
2 Immobile
3 Ebola
4 Sasha
5 Linoeranza
6 Isola Blu
7 A Testa Bassa
8 La Parola Chiave
9 Noia
10 Io Ho In Mente Te

LINE-UP
Luca – chitarra,voce;
Marco – basso;
Paolo – chitarra;
Luca – batteria;

FUZZ – Facebook

Lomax – Oggi Odio Tutti

Un buon inizio per il gruppo modenese ed un ascolto consigliato agli amanti del rock alternativo cantato in lingua italiana, accompagnato dall’irruenza giovanile e ribelle dell’hardcore.

Un salto nel rock cantato in italiano con i Lomax, trio proveniente dalla provincia di Modena che con Oggi Odio Tutti, arriva ad un traguardo importante come l’esordio.

Un ep di sei brani per presentare la propria proposta, un indie rock attraversato da un’urgenza hardcore, che ne indurisce il sound quel tanto che basta per accontentare gli amanti dei generi sopracitati: questo è ciò che troverete tra le trame dell’opener Rigore, della title track e della bellissima Manhattan, trittico iniziale del lavoro.
La band è composta da due ragazze Greta Lodi e Valentina Gallini, che ricoprono i ruoli di batterista e chitarrista/cantante, con il basso lasciato a Matteo Capirossi: un giovane trio con tanto entusiasmo e rabbia, con Fuoco che abbandona lo spirito hardcore per un rock alternativo che si trasforma poi in puro punk rock in Non Vedo L’Ora che Muori.
Dio rappresenta il congedo della band: un brano lunghissimo, ricco di saturazione noise ed uno sguardo ai Sonic Youth del capolavoro Dirty, un arrivederci da parte dei Lomax mentre le ultime note della canzone ci lasciano respirare l’aria elettrica di jam alternative dai rimandi statunitensi.
Un buon inizio per il gruppo modenese ed un ascolto consigliato agli amanti del rock alternativo cantato in lingua italiana, accompagnato dall’irruenza giovanile e ribelle dell’hardcore.

TRACKLIST
1. Rigore
2. Oggi odio tutti
3. Manhattan
4. Fuoco
5. Non vedo l’ora che muori
6. Dio

LINE-UP
Valentina Gallini – Guitars, Vocals
Matteo Capirossi – Bass, Vocals
Greta Lodi – Drums

LOMAX – Facebook

RHumornero – Eredi

Eredi è un disco potente e completo, che è ricco e ottimo in tutti i suoi aspetti, e mostra finalmente un gruppo italiano di rock libero e piacevole, fautore di un gran disco, prodotto e suonato molto bene. Sicuramente uno dei migliori dischi di rock italiano degli ultimi tempi.

I Rhumornero sono un interessantissimo gruppo italiano che fa una sintesi alquanto singolare del rock in italiano ed italiano tout court.

Attivi dal 2005, questi ragazzi hanno all’attivo tre album ed hanno partecipato a tre raccolte di Virgin Radio. I Rhumornero sono un gruppo che opera una sintesi molto valida del meglio del rock cantato in italiano, riuscendo a coniugare melodie, orecchiabilità e grande appeal radiofonico. Eredi è la loro ultima fatica, e direi che è il loro disco migliore. Pochi, anzi nessuno gruppo meno che mai italiano, hanno saputo coniugare, rock melodico e hard, liriche intelligenti e orecchiabilità, senza mai stonare. Il disco è davvero notevole, forte di una capacità di portare l’ascoltatore dove vogliono loro, rendendo il tutto avvincente e variegato, con dei testi finalmente interessanti e che si mettono davvero a nudo, pregando il vuoto di non invaderci troppo. Forte è l’impronta del grunge, ma chi ascolta rock da qualche tempo il grunge ce l’ha dentro, è un’impronta indelebile perché non si trattava solo di musica. Si potrebbero citare riferimenti, ma non sarebbe corretto, poiché i Rhumornero sono venuti dopo alcuni e ne hanno preso qualcosa, ma il novanta per cento è tutta opera loro, ed è una bella opera. Ci sono molti generi musicali qui dentro, e su tutti la personalità del gruppo vince nettamente. Eredi è un disco potente e completo, che è ricco e ottimo in tutti i suoi aspetti, e mostra finalmente un gruppo italiano di rock libero e piacevole, fautore di un lavoro prodotto e suonato molto bene. Sicuramente uno dei migliori dischi di rock italiano degli ultimi tempi.

TRACKLIST
o1.UN MILIARDO DI ANNI
02. METALLI PESANTI
03. L’EQUILIBRIO (versione 2015)
04. SPIRITI
05. NEL TUO SILENZIO
06. SCHIAVI MODERNI
07. MASCHERE
08. EREDI
09. QUANDO AVEVO PARANOIA
10. LIMPERATRICE
11. 1492
12. LAST CHRISTMAS (non si sentirà) (Bonus Track)
13. SOTTO LE STELLE (Bonus Track)

LINE-UP
Carlo De Toni – Voce – Chitarra
Ettore Carloni – Chitarra
Luca Guidi – Batteria
Lorenzo Carpita – Basso

RHUMORNERO – Facebook

The Picturebooks – Home Is A Heartache

I titoli sono solo un proforma, un modo per dare un senso di inizio e di fine ai deliri contenuti i questo Home Is A Heartache, che non lascia scampo e si insinua come un serpente sotto la coperta.

Se volete ascoltare qualcosa di davvero intenso ed affascinate, un rock capace di contenere nelle sue note diverse anime ed atmosfere come la psichedelia, il blues, lo stoner e l’ alternative, ma scarno ed essenziale, crudo e diretto anche perché suonato solo con chitarra e percussioni, allora Home is a Heartache, nuovo album del duo tedesco dei The Picturebooks, dovrebbe essere il vostro prossimo acquisto.

Il duo tedesco è formato da Fynn Claus Grabke (voce e chitarra) e Philipp Mirtschink (batteria), suona un rock alternativo influenzato dal blues acido e come già detto ingloba varie atmosfere per un viaggio tra il deserto americano tra la polvere lasciata dalle gomme delle moto (altra passione del duo) ed il sole che accieca, stordisce alla pari di sostanze di dubbia provenienza e legalità e ci scaraventa in un mondo di streghe, tra pozioni ricavate dalle sacche velenifere di mortali crotali ed incantesimi sabbatici.
Una lunga jam dove i colpi mortali delle percussioni danno il tempo alla sei corde di torturarci con riff ora dai rimandi alternative, ora ultra heavy, avvolti in un atmosfera southern stoner metal a tratti disturbante.
I The Picturebooks, che voleranno a Londra, dove faranno compagnia ai grandi Samsara Blues Experiment nel Desert Fest in programma ad Aprile, sono arrivati già al quarto lavoro e il trip non accenna a diminuire, scandito dalle ritmiche che fecero da contorno ai riti tribali di vecchi stregoni pellerossa e lunghe marce bluesy, in cui la psichedelia è signora e padrona del sound di questo duo sciamanico.
I titoli sono solo un proforma, un modo per dare un senso di inizio e di fine ai deliri contenuti i questo Home Is A Heartache, che non lascia scampo e si insinua come un serpente sotto la coperta.

TRACKLIST
01. Seen Those Days
02. Wardance
03. Home Is A Heartache
04. Fire Keeps Burning
05. On These Roads I’ll Die
06. I Need That Oooh
07. The Murderer
08. Zero Fucks Given
09. Cactus
10. I Came A Long Way For You
11. Get Gone
12. Bad Habits Die Hard
13. Heathen Love
14. Inner Demons

LINE-UP
Fynn Claus Grabke – Vocals, guitars
Philipp Mirtschink – Drums

THE PICTUREBOOKS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=U_6tc9vkh1

Black Map – In Droves

Quindici brani, cinquanta minuti catturati da melodie e arrangiamenti fatti per imprigionare l’ascoltatore nel mondo patinato, delicato, a tratti aggressivo del rock del nuovo millennio.

Alternative rock che a tratti sconfina nel metal, un album che sembra una raccolta di hit radiofonici, magari leggermente ruffiani ma indubbiamente splendenti di un appeal da botto commerciale: In Droves è un vulcano musicale pronto ad eruttare note alternative o il solito lavoro che non andrà più in la di buone recensioni ed un paio di singoli in rete?

Comunque vada, il nuovo disco del trio di San Francisco conosciuto come Black Map, risulta un concentrato di rock che chiunque abbia vissuto (anche superficialmente) gli ultimi trent’anni di musica del diavolo non può non apprezzare.
Rock che trovate sulle radio di tutto il mondo, gustosamente melodico anche se non mancano grintose parte metalliche che avvicinano l’ alternative rock al new metal, contornandolo di graziosi ricami post grunge.
Aggiungete la voce di Ben Flanagan, che segue la corrente e porta la band vicino ai mostri sacri U2, ed avrete un’idea di che tiro commerciale (almeno sulla carta ) può avere In Droves, album sapientemente rivestito di comodi abiti, ultima moda del nuovo millennio.
Con una dose di post rock che fa capolino e mette l’ ombrellino sul cocktail preparato dal gruppo, questa raccolta di brani non manca di affascinare e fin da subito si viene catturati dalle melodie malinconiche, arrabbiate ed intense, di brani scritti per fare immediatamente breccia nei cuori degli alternative rockers.
Quindici brani, cinquanta minuti catturati da melodie e arrangiamenti fatti per imprigionare l’ascoltatore nel mondo patinato, delicato, a tratti aggressivo del rock del nuovo millennio.

TRACKLIST
1.Transit I
2.Run Rabbit Run
3.Foxglove
4.Ruin
5.Heavy Waves
6.Dead Ringer
7.Octavia
8.Transit II
9.No Color
10.Indoor Kid
11.White Fence
12.Just My Luck
13.Cash for the Fears
14.Transit III
15.Coma Phase

LINE-UP
Mark Engles – Guitar
Chris Robyn – Drums
Ben Flanagan – Vox/Bass

BLACK MAP – Facebook