1476 – Wildwood / The Nightside

Per i 1476 il passaggio dallo status di “segreto meglio conservato” a realtà stimolante e di sicuro spessore è ormai cosa fatta.

La Prophecy Productions presenta i 1476 come “il segreto meglio conservato in ambito rock dark e atmosferico”, e noi abitualmente ci fidiamo della label tedesca …

E’ giunto, quindi, il momento di portare alla luce l’operato di questo duo di Salem, composto da Robb Kavjian and Neil DeRosa, che rinverdisce in parte i fasti dei Mission, quella che, nella seconda metà degli anni ’80, è stata la band che meglio ha interpretato e rielaborato l’eredità del post punk e del gothic, facendone emergere il lato più poetico e malinconico.
L’accostamento con il gruppo di Wayne Hussey serve, soprattutto, ad inquadrare meglio i 1476, i quali appaiono comunque molto più europei che non americani (e forse le origini che si desumono dai cognomi dei due musicisti in questo senso possono avere un loro peso), ma ci mettono molto del loro per rendere peculiare la proposta inglobando elementi neo folk ed ambient, rendendola quanto mai fresca pur rifacendosi in parte a sonorità in voga trent’anni fa.
Va detto che questo disco costituisce, di fatto, una parziale summa di quanto realizzato finora dai 1476 (sia l’album Wildwood che l’ep The Nightside, entrambi racchiusi in questa release, risalgono al 2012), aggiungendo che anche il restante operato del duo verrà pubblicato dalla Prophecy, in attesa di un nuovo disco programmato per l’autunno.
Wildwood consta di 11 tracce prive di momenti deboli, capaci di trasportare l’ascoltatore dalla malinconia acustica di Horse Dysphoria e Banners In Bohemia fino ai ritmi più incalzanti di Good Morning, Blackbird, Stave-Fire e An Atrophy Trophy, senza dimenticare altri episodi magnifici quali Black Cross/Death Rune e Watchers.
I quattro brani tatti dall’ep The Nightside (tra i quali c’è una versione più scarna della già citata Good Morning, Blackbird) appaiono invece molto più introspettivi e meno immediati, se vogliamo accostabili a certo neo folk, ed entusiasmano meno, pur restando ad un livello senz’altro soddisfacente.
In buona sostanza, i 1476 riescono in maniera efficace e convincente ad evocare quelle atmosfere misteriose ed ancestrali che sono caratteristiche del New England, regione che, non lo si può certo dimenticare, ha dato i natali a due giganti delle letteratura come Poe e Lovecraft.
E proprio al primo è dedicato il lavoro che uscirà proprio in questi giorni, sempre a cura della Prohecy: “Edgar Allan Poe: A Life Of Hope & Despair”, concepito nel 2014, è una sorta di colonna sonora che dovrebbe mostrare un volto ancora diverso del duo americano.
Insomma, c’è molta carne al fuoco per i 1476, per i quali il passaggio dallo status di “segreto meglio conservato” a realtà stimolante e di sicuro spessore è ormai cosa fatta.
Wildwood / The Nightside è un opera che potrebbe essere apprezzata da appassionati dal background diverso, ma accomunati da una naturale predisposizione a nutrirsi di sonorità oscure ed evocative.

Tracklist:
1.Black Cross/Death Rune
2.Watchers
3.The Dagger
4.Banners In Bohemia
5.Good Morning, Blackbird
6.Horse Dysphoria
7.Stave-Fire
8.Bohemian Spires
9.An Atrophy Trophy
10.Shoreless
11.The Golden Alchemy
12.Mutable : Cardinal
13.Know Thyself, Dandy
14.Good Morning, Blackbird
15.The Nightside

Line-up:
Robb Kavjian
Neil DeRosa

1476 – Facebook

Mausoleum Gate – Metal And The Might / Demon Soul

Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.

Heavy metal old school, un sound che racchiude la filosofia metallica di stampo classico in tutte le sue componenti e un’attitudine che rispecchia in toto la tradizione, queste sono le caratteristiche dei Mausoleum Gate, band finlandese attiva dal 2009, presentataci dalla Cruz De Sur Music con questo singolo di due brani.

Metal And The Might, song che da il titolo all’opera, più i sei minuti della vintage Demon Soul compongono questo singolo che va a rimpolpare una discografia che vede il quintetto di Kuopio alle prese con una manciata di lavori minori ed un unico full length omonimo uscito un paio di anni fa.
A prescindere dall’operazione criticabile nel genere proposto, questo singolo presenta quanto meno il gruppo a chi,dei suoni nostalgici dalle sfumature 70’/80, fa il suo credo, devoto ai suoni tradizionali in toto, compresa una produzione deficitaria e che non rende giustizia al songwriting dei Mausoleum Gate.
Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.
La verità come sempre sta nel mezzo, ed i Mausoleum Gate risulterebbero un ottimo gruppo se non fosse per le scelte in fase di produzione che, purtroppo in questi anni, trovano terreno fertile solo nei fans del rock, affondato nelle sabbie mobili di un passato che molti gruppi glorificano con album che amalgamano tradizione e modernità, ma che risulta obsoleto quando, per scelta o per difetto, i mezzi usati risultano deficitari.
Immaginatevi la vergine di ferro sprofondata in un profondo porpora ed ammaliata da un sabba nero ed avrete un’idea della proposta del gruppo finlandese, peccato solo che il tutto non venga valorizzato al meglio; speriamo che ciò accada alla prossima occasione.

TRACKLIST
Side A – Metal and the Might
Side B- Demon Soul

LINE-UP
V-P. Varpula – Vocals
Count L.F. – Electric and Acoustic Guitars
Nino Karjalainen – bass
Kasperi Puranen – Electric Guitars
Wicked Ischianus – Hammond C3 Organ, Mellotron M400 and MiniMoog
Oscar Razanez – Drums, Percussions and Gongs

MAUSOLEUM GATE – Facebook

Deviser – Unspeakable Cults

L’attiva etichetta greca Sleaszy Rider ci offre questa riedizione, a vent’anni dalla sua uscita, del miglior album inciso dai connazionali Deviser.

L’attiva etichetta greca Sleaszy Rider ci offre questa riedizione, a vent’anni dalla sua uscita, del miglior album inciso dai connazionali Deviser, quell’Unspeakable Cults che, all’epoca, andò a collocare la band di origine cretese sulla scia dei migliori act dediti al symphonic black metal.

Correva quindi il 1996, anno in cui le due band che hanno portato ai livelli più alti questo sottogenere, Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, uscivano rispettivamente con due pietre miliari quali Stormblåst e Dusk And Her Embrace; va detto, a scanso di equivoci, che lo stile dei Deviser, anche in virtù della loro contemporaneità, non si rifaceva in maniera smaccata a quei lavori, mostrando una vena più gothic e mediterranea ed un afflato melodico superiore a chi, come Rotting Christ (con Triarchy of The Lost Lovers) e Varathron (reduci da Walpurgisnacht), a quei tempi teneva alto il vessillo della fiamma nera nella penisola ellenica, con album dalle sonorità più estreme
Riascoltato oggi, Unspeakable Cults mostra, in tutto e per tutto, le sue sembianze di album novantiano, il che non sminuisce affatto il fascino di una serie di tracce di ottimo livello, che fanno intuire quale fosse il potenziale di una band che però, in seguito, non è più stata in grado di esprimersi agli stessi livelli, se non in parte con il successivo Transmission to Chaos; una traccia come The Rape Of Holiness porta a scuola gran parte dei gruppi che attualmente si cimentano con il black sinfonico, e lo stesso si può dire della bonus track Forbidden Knowledge, sicuramente un elemento che va ad arricchire ulteriormente questa edizione rispetto all’originale.
Lo screaming di Matt Hnaras non è eccezionale ma rimane comunque nella norma, mentre Nick Christogiannis si fa sentire non solo con un tastierismo elegante e non troppo invadente, ma anche con un basso pulsante che, per una volta, non viene fagocitato dal muro sonoro creato dalle chitarre.
Unspeakable Cults è un album che risente inevitabilmente dalla sua anzianità di servizio ma, nel contempo, si rivela uno spaccato ben più che interessante di quelle sonorità che, alla fine del secolo scorso, consentirono al black metal di aprirsi (non senza aver provocato diatribe in merito) ad un audience più ampia; nel frattempo i Deviser sono sempre rimasti attivi, sebbene con una produzione piuttosto diradata (il loro ultimo full-length risale al 2011): vedremo se questa riedizione del loro disco più riuscito fornirà un impulso decisivo per produrre ancora del nuovo materiale di pari livello.

Tracklist:
1. Stand & Deliver
2. Darkness Incarnate
3. Threnody
4. When Nightmares Begin
5. The Rape Of Holiness
6. Ritual Orgy (instrumental)
7. Dangers Of A Real & Concrete Nature
8. The Fire Burning Bright
9. In The Horror Field
10. Forbidden Knowledge (bonus track)
11. Afterkill (outro)

Line-up:
Matt Hnaras – Vocals/Guitars
Nick Christogiannis – Bass/synths
George Triantafillakis – Lead Guitars
Nikos Samakouris – Drums

DEVISER – Facebook

Virgin Steele – The House Of Atreus – Act I & Act II

Riedizione che unisce in un solo formato le due parti di The House Of Atreus, l’ultima opera di livello assoluto tra quelle pubblicate dai Virgin Steele.

Steamhammer / SPV ha pubblicato a fine maggio la riedizione di The House Of Atreus, la barbaric-romantic epic metal-opera dei Virgin Steele, uscita originariamente in due parti distinte (nel 1999 la prima e nel 2000 la seconda), racchiudendola in un elegante digipack contenente i tre cd.

Al di là dell’opportunità di possedere l’opera condensata in un unico formato, scelta senz’altro consigliabile a chi non avesse già le versioni originali, viene fornita l’occasione per parlare, a diversi anni di distanza, di questo mastodontico lavoro che, in qualche modo, ha creato una sorta di spartiacque nella carriera della band guidata da David DeFeis.
The House Of Atreus, infatti, considerato nella sua interezza, mostrava dei Virgin Steele ancora ispirati, allo stesso livello del precedente Invictus, soprattutto nell’Act 1 e nel primo cd dell’Act 2, mentre nel secondo cominciava ad venire meno quella brillantezza compositiva che andrà purtroppo smarrita nei successivi album.
Se nelle prime due ore si susseguivano brani magnifici come Through the Ring of Fire, Flames of the Black Star, Great Sword of Flame, Gate of Kings, Wings of Vengeance, Fire of Ecstasy e The Wine of Violence, alternati a frequenti inserti strumentali che, più di una volta, richiamavano il tema portante dei due Marriage Of Heaven And Hell, il cd conclusivo si snodava senza particolari sussulti (salvo proprio l’iniziale Flames of Thy Power), esibendo tracce belle ma non così incisive come sarebbe stato lecito attendersi da un compositore sopraffino come DeFeis, e mostrando così i prodromi di quanto sarebbe emerso dai dischi pubblicati nel nuovo millennio.
Sempre rispetto ai Marriage (due capolavori in senso assoluto, è bene ribadirlo) ed ad Invictus, un altro aspetto a non convincere del tutto erano dei suoni di tastiera meno efficaci, quasi plastificati rispetto al calore e alla solennità emanata nelle opere citate in precedenza: una pecca non da poco, questa, in quanto faceva perdere molto di quell’afflato epico che De Feis intendeva trasmettere.
Da queste mie righe penso si intuisca quanto io abbia amato questa magnifica band e, di conseguenza, come sia stata mal digerita la “normalità” di album come Visions of Eden, The Black Light Bacchanalia e Nocturnes of Hellfire & Damnation.
Vale la pena, quindi, di soffermarsi su questa riedizione (benché i contenuti “bonus” non siano qualcosa di irrinunciabile) che ci mostra dei Virgin Steele in grado di esaltare con il loro peculiare barbaric romantic metal, grazie un DeFeis ancora capace di alternare al microfono il proprio caratteristico ringhio ad acuti formidabili e ad un Pursino sempre in grado di tessere trame chitarristiche di gran pregio.
Anche se ritengo improbabile che la magnificenza delle opere pubblicate negli anni ’90 possa essere riavvicinata, la speranza è che DeFeis possa ritrovare almeno in parte quella magica ispirazione che non può essere andata del tutto smarrita con il passare degli anni.

Tracklist:
Disc 1
1. Kingdom of the Fearless (The Destruction of Troy)
2. Blaze of Victory (The Watchman’s Song)
3. Through the Ring of Fire
4. Prelude in A minor (The Voyage Home)
5. Death Darkly Closed Their Eyes (The Messenger’s Song)
6. In Triumph or Tragedy
7. Return of the King
8. Flames of the Black Star (The Arrows of Herakles)
9. Narcissus
10. And Hecate Smiled
11. A Song of Prophecy
12. Child of Desolation
13. G Minor Invention (Descent into Death’s Twilight Kingdom)
14. Day of Wrath
15. Great Sword of Flame
16. The Gift of Tantalos
17. Iphigenia in Hades
18. The Fire God
19. Garden of Lamentation
20. Agony and Shame
21. Gate of Kings
22. Via Sacra

Disc 2
1. Wings of Vengeance
2. Hymn to the Gods of Night
3. Fire of Ecstasy
4. The Oracle of Apollo
5. The Voice as Weapon
6. Moira
7. Nemesis
8. The Wine of Violence
9. A Token of My Hatred
10. Summoning the Powers

Disc 3
1. Flames of Thy Power (From Blood They Rise)
2. Arms of Mercury
3. By the Gods
4. Areopagos
5. The Judgment of the Son
6. Hammer the Winds
7. Guilt or Innocence
8. The Fields of Asphodel
9. When the Legends Die
10. Anemone (Withered Hopes… Forsaken)
11. The Waters of Acheron
12. Fantasy and Fugue in D minor (The Death of Orestes)
13. Resurrection Day (The Finale)
14. Gate of Kings (Acoustic Version)
15. Agamennon’s Last Hour
16. Great Sword of Flame (Alternate Version)
17. Prometheus The Fallen One (Re-mix)
18. Flames of Thy Power (From Blood They Rise) (Alternate Mix)
19. Wings of Vengeance (Alternate Mix)

Line-up:
David DeFeis – Vocals, Keyboards, Orchestration, Bass and Guitar Keyboard, Swords, Effects
Edward Pursino – Guitars, Bass
Frank Gilchriest – Drums

VIRGIN STEELE – Facebook

Deceased – Fearless Undead Machines

La Transcending Obscurity riporta all’attenzione degli amanti del thrash metal Fearless Undead Machine, capolavoro dei thrashers statunitensi Deceased, uscito originariamente per la storica label Relapse nell’ormai lontano 1997.

Molti non vedono di buon occhio le varie riedizioni e ristampe di album classici ed in parte anche il sottoscritto nutre dei forti dubbi su queste operazioni, specialmente se riguardano gruppi famosi e fatte solo per spillare qualche euro ai fans accaniti.

Discorso che cambia radicalmente se vengono presi in considerazione album storici di quei gruppi di genere, magari poco conosciuti se non ai più attenti alle uscite underground.
La Transcending Obscurity riporta all’attenzione degli amanti del thrash metal Fearless Undead Machine, capolavoro dei thrashers statunitensi Deceased, uscito originariamente per la storica label Relapse nell’ormai lontano 1997.
Capitanata dal singer King Fowley, la band proveniente dalla Virginia iniziò la sua attività nella metà degli anni ottanta e la sua discografia si compone di un gran numero di lavori, tra cui compilation ep e demo, ma non mancano ottimi album (sei in totale) di cui Fearless Undead Machine risulta il terzo, successore del debutto Luck of the Corpse del 1991 e The Blueprints for Madness uscito nel 1995.
Una band dalla storia travagliata, specialmente per i problemi di salute che hanno attanagliato il leader (prima un infarto e successivamente gravi problemi polmonari) ma che ha mantenuto una buona qualità sui propri lavori di cui questo disco, come detto, ne è la massima espressione.
Un’opera di quasi settanta minuti incentrata su suoni estremi di ispirazione thrash/death non è cosa da poco, specialmente se il livello di attenzione rimane altissimo ed il songwriting non cede un solo attimo, creando un bombardamento sonoro di dimensioni enormi.
Thrash metal, spunti più estremi riconducibili al death made in bay area ed elementi classici di estrazione heavy, sono le peculiarità del sound di cui si compone l’album, un vero e devastante esempio di metallo, belligerante, travolgente ed irresistibile per ogni fan dell’headbanger che si rispetti.
Sodom, primi Voivod ed i sempre presenti Slayer sono le band cardine del sound proposto dai nostri guerrieri della Virginia, ma l’heavy metal è ben presente nei brani del disco, non dimentichiamo che gli anni ottanta non erano poi così lontani (U.S. metal) e la metà del decennio successivo vedeva tornare in auge un po’ di quelle melodie classiche portate alla cronaca dal successo di band come per esempio gli Iced Earth di Jon Schaffer (restando in terra statunitense).
The Silent Creature, opener del disco, la title track, la devastante Night Of The Deceased, la voivodiana e progressiva Mysterious Research e la conclusiva Destiny fanno da sunto a questa ora abbondante di metallo incandescente ed oscuro, perfetto non solo per thrashers e deathsters ma anche per chi ama l’heavy metal classico più robusto.
Se non conoscete questo lavoro, non perdete tempo e fatelo vostro, mai ristampa fu più preziosa.

TRACKLIST
1.The Silent Creature
2. Contamination
3. Fearless Undead Machines
4. From the Ground They Came
5. Night of the Deceased
6. Graphic Repulsion
7. Mysterious Research
8. Beyond Science
9. Unhuman Drama
10. The Psychic
11. Destiny

LINE-UP
Mike Smith – Guitars
King Fowley – Vocals, Drums
Les Snyder – Bass
Mark Adams – Guitars

DECEASED – Facebook

The Answer – Rise 10th Anniversary Edition

Special edition per il decimo anniversario di Rise, splendido esordio degli hard blues rockers The Answer

Di questi tempi si parla tanto di revival, in campo hard rock, delle sonorità settantiane pregne di sanguigno blues rock e con soddisfazione per gli amanti delle sonorità vintage, le band protagoniste di album clamorosi non mancano di certo.

L’hard blues settantiano, con quel tocco moderno nei suoni e nelle produzioni, non manca di regalare opere molto interessanti, ma ad un orecchio attento è già da parecchi anni che i fans dell’hard rock possono avvalersi, oltre ai dischi dei gruppi storici, di nuovi eroi che si affacciano sul mercato con album bellissimi.
Tra questi ci sono sicuramente gli irlandesi The Answer che, con Rise, debuttavano sulla lunga distanza nel 2006.
In dieci anni altri quattro album, con l’ultimo Raise A Little Hell, uscito lo scorso anno, una serie di singoli, ed in mezzo il bellissimo Revival del 2011 a valorizzare una già ottima discografia.
Il decimo anniversario dell’uscita di questo bellissimo esordio il gruppo di rockers irlandesi lo festeggia licenziando questa gustosa special edition, che vede l’album completamente rimasterizzato con l’aggiunta dei demo del 2004, alcune canzoni in versione acustica e remix inediti.
Un ottimo modo per conoscere la band o per assaporare questo bellissimo lavoro di hard blues adrenalinico, fresco ed assolutamente irresistibile in ogni sua parte, composto da un lotto di brani esplosivi che miscelano in modo sapiente le sonorità settantiane con le moderne sfumature di cui si nutre l’hard rock del nuovo millennio.
Irlandesi di nascita, ma americani nell’approccio, i The Answer sono la perfetta via di mezzo tra i Led Zeppelin e i Black Crowes, con il caldo sole delle route a lasciare sull’asfalto un dolcissimo odore di southern rock.
Il primo album del gruppo è uno dei migliori lavori usciti in questo decennio, con il suo chitarrismo alla Page, vocals che si rifanno agli dei dei microfono (Cormac Neeson è il Chris Robinson del vecchio continente) e tanta voglia di blues rock, vitale, energico ed irresistibile; se siete rimasti folgorati dalle ultime uscite di genere, non potete mancare all’appuntamento con il gruppo irlandese.
D’altronde parla la musica e l’opener Under The Sky, seguita da quella Never Too Late che sembra uscita dalle registrazioni di The Southern Harmony and Musical Companion, fungono solo da benvenuto nel mondo The Answer e sono seguite da brani eccellenticome Come Follow Me, il blues di Memphis Water, il riff potentissimo di Into The Gutter (brano alla Ac/Dc era Bon Scott) e l’apoteosi southern di Preachin.
Tra le molte versioni, l’hardbook version composto da due cd ed il doppio vinile sono proposte a dir poco succulente e da non perdere, nel frattempo il gruppo suonerà di supporto a Coverdale ed ai suoi Whitesnake anche in Italia (Pistoia blues), un concerto che si preannuncia imperdibile per tutti i fans dell’hard rock, non mancate.

TRACKLIST
CD1:
(all songs remastered 2016)
1. Under The Sky
2. Never Too Late
3. Come Follow Me
4. Be What You Want
5. Memphis Water
6. No Question Asked
7. Into The Gutter
8. Sometimes Your Love
9. Leavin`Today
10. Preachin`
11. Always

CD2:
1. Under The Sky (2016 new mix)
2. Never Too Late (2004 demo)
3. New Day Rising (2004 demo)
4. Too Far Gone (2004 demo)
5. Preachin` (2004 demo)
6. Always (2004 demo)
7. Tonight (2004 demo)
8. So Cold (2004 demo)
9. Song For The People (2004 demo)
10. Take It Easy (2006 recording)
11. Not Listening (2006 recording, exclusive mix)
12. Keep Believin`(2006 recording)
13. Rise (2006 recording)

LINE-UP
Cormac Neeson – Vocals
Paul Mahon – Guitars
Micky Waters – Bass
James Heatley – Drums

THE ANSWER – Facebook

Pro-Pain – Foul Taste Of Freedom / The Truth Hurts

La Steamhammer/SPV immette sul mercato i primi due album dei newyorkesi Pro-Pain gruppo storico della scena hardcore metal della grande mela.

La Steamhammer/SPV immette sul mercato i primi due album dei newyorkesi Pro-Pain, gruppo storico della scena hardcore metal della grande mela.

Guidata dal sommo leader Gary Meskil, la band iniziò il suo lungo cammino discografico nel 1992 data di pubblicazione dell’esplosivo esordio Foul Taste Of Freedom, seguito un paio di anni dopo da The Truth Hurts.
Una lunghissima carriera nel mondo della musica pesante che ha visto i Pro-Pain licenziare ben sedici album, l’ultimo lo scorso anno (Voice Of Rebellion), sempre all’insegna dell’hardcore metallico, e che ha avuto il suo massimo splendore a cavallo dei due millenni con lavori violenti ma che strizzavano l’occhio tanto al thrash metal, quanto alle nuove sonorità crossover.
Era appunto il 1992 quando dalla scena hardcore di New York spuntarono questi guerrieri armati di strumenti e tanta voglia di spaccare, Foul Taste Of Freedom fu il primo capitolo della tradizione musicale del gruppo, violento e senza compromessi, una miscela esplosiva di spirito hardcore/punk e thrash metal targata Roadrunner, ai tempi una delle label underground più attiva del settore metallico internazionale.
La nuova versione proposta dalla Steamhammer/SPV quasi venticinque anni dopo propone l’intero album più alcune bonus track, doppia versione in digipack e vinile (tornato prepotentemente alla ribalta di questi tempi) e nuove foto.
Stesso discorso per il secondo album, The Truth Hurts, con una versione che includerà il vecchio artwork, all’epoca dell’uscita censurato, ed un poster a due facce.
Potrete così rivivere i primi passi di un gruppo storico della scena internazionale, che ha sempre mantenuto una buona qualità nelle uscite senza stravolgere una forma consolidata, la furia dei primi lavori è indubbiamente maggiore rispetto ai lavori successivi, anche se la band con gli ultimi album è tornata a far male (Voice Of Rebellion è una mazzata terrificante).
La titletrack, Pound For Pound, The Stench Of Piss, Johnny Black sul primo lavoro e Make War (Not Love), Put The Lights Out, One Man Army e The Beast Is Back sul secondo, sono esempi fulgidi della carica inumana del gruppo statunitense divenuto un’icona per i fans del genere.
Un ottimo modo per conoscere la creatura di Gary Meskil, assolutamente d’obbligo per i giovani fans del genere e per chi vuole riassaporare l’aria che tirava tra le strade della grande mela all’inizio degli anni novanta.

TRACKLIST
Foul Taste Of Freedom:
1.Death On The Dance Floor
2.Murder 101
3.Pound For Pound
4.Every Good Boy Does Fine
5.Death Goes On
6.Rawhead
7.The Stench Of Piss
8.Picture This
9.Iraqnophobia
10.Johnny Black
11.Lesson Learned
12.God Only Knows
13.Take It Back” (bonus track)
14.Pound For Pound” remix (bonus track)

The Truth Hurts:
1.Make War (Not Love)
2.Bad Blood
3.The Truth Hurts
4.Put the Lights Out
5.Denial
6.Let Sleeping Dogs Lie
7.One Man Army
8.Down in the Dumps
9.The Beast Is Back
10.Switchblade Knife

LINE-UP
Foul Taste Of Freedom:
Gary Meskil – Vocals, Bass
Tom Klimchuck – Guitars
Dan Richardson – Drums

The Truth Hurts:
Gary Meskil – Vocals, Bass
Dan Richardson – Drums
Nick St. Denis – Guitars (lead)
Mike Hollman – Guitars (rhythm)

PRO-PAIN

From The Depths – From The Depths

La loro proposta era un death metal con tracce di thrash e uno strano incedere hardcore.

Edizione in vinile del debutto di un gruppo che altrimenti andrebbe dimenticato.

Nati nella fertile scena metal di Cleveland dei primi anni novanta, i From The Depths sono stati attivi tra il 1994 e il 2000. La loro proposta era un death metal con tracce di thrash ed uno strano incedere hardcore. Molto veloci e marci, i From The Depths sono stati uno dei migliori gruppi di quegli anni. Uscito originariamente su Unisound, questo disco ben rappresentava quanto di innovativo aveva da offrire il death metal di marca americana. Alla voce vi era Jim Konya, una leggenda della scena metal, sfortunatamente deceduto a settembre del 2015. La sua voce dava un’impronta speciale la gruppo, e questo lo si può sentire benissimo nel disco. Il suono è davvero particolare e caratteristico di quell’epoca, che è stata il periodo d’oro di un certo death metal, quello più legato alla contaminazione. I From The Depths sono un gruppo originale ed unico, ed il loro death metal è uno dei migliori mai esportati dal suolo americano. L’atmosfera che riescono a creare coinvolge e gasa l’ascoltatore, dato che possiamo riconoscere all’interno di essa molti degli elementi che portano ad amare il death metal.
Essendo fuori catalogo da molto tempo, l’operazione di recupero della Hells Headbangers è doppiamente meritevole, poiché oltre a riportare a galla un disco notevole, ne fa un’ottima edizione, con un bel ricordo di Jim Konya.

TRACKLIST
1.Dawn of the Crimson Harvest
2.And They Shall Rise Again
3.It Lurks
4.Autumn Colored Day
5.The Wraths of the Other Realms
6.From the Depths
7.Intro – Into Mystery and Beyond
8.The Magic of the October Moons
9.The War of the Captive Spirits
10.Fuck That Witch
11.Curse of the Scarecrow
12.Bring Forth the Detractor
13.Apparitions of Myself
14.Outro – The Echoes of Distant Dreams

LINE-UP
Jim Konya – Vocals
Wayne Richards – Bass
Rob Newlin – Drums
Matt Sorg -Guitars
Duane Morris – Guitars, Vocals

HELLS HEADNBANGERS – Facebook

Stoned Jesus – Stormy Monday EP

Ristampa dell’EP Stormy Monday del 2011, la Heavypsychsounds ci fornisce un’ottima occasione per poter avere in casa uno dei primi lavori della band ucraina in formazione completa.

A meno di sei mesi dall’uscita del precedente The Harvest il trio ucraino si ripropone al pubblico con la ristampa dell’EP Stormy Monday, datato 2011, che ripropone la title track in due diverse versioni, una cover dei californiani Red Temple Spirits (Bear Cave) e una canzone insolitamente veloce, quasi punk hardcore della durata di 2 minuti.

Interessante e estremamente gradevole l’inizio di Stormy Monday, esempio di amore disilluso. Da cantare in solitario quando le cose vanno male o si è contrariati.
Bear Cave è una ballata triste e sconsolata, il cui inizio è accompagnato solo da chitarra acustica e voce, piuttosto sofferente. E il testo può essere sia una metafora della vita dell’uomo, sia semplici parole sconnesse di un uomo che vive isolato. A metà l’esplosione sullo stile di Eye Of Every Storm dei Neurosis. Lacerante nelle interiora, piena di rassegnazione, espressa anche attraverso suoni sporchi, manifestazione di una registrazione non proprio efficace. Tributo buddista al nulla.
Drunk And Horny inneggia al puro divertimento, canzone da non cantare alla propria metà, ma piuttosto da serata in cui ci si vuole caricare per andare a rimorchiare, per finire in modo decisamente rovinoso.
Nella extended version gli assoli di chitarra alternano note psichedeliche con tratti decisamente più progressive, anche se rimane un movimento di sottofondo, riff stoner doom che poi sono quelli che chiudono la canzone.
Un album stoner decisamente più tendente alla psichedelica, ma vista la durata e il numero di canzoni, ad uso di collezionisti.

TRACKLIST
1. Stormy Monday (edit)
2. Bear Cave
3. Drunk And Horny
4. Stormy Monday (extended)

LINE-UP
Igor Sydorenko- chitarra, voce, campionamenti
Sergey Sliusar – basso
Vadim Matiiko – batteria
Sergey Nesterenko – tastiere, mix

STONED JESUS – Facebook

Distruzione – Endogena

Dopo il come back dello scorso anno si torna a parlare degli storici Distruzione, questa volta con la riedizione da parte della nostrana Jolly Roger del primo devastante lavoro sulla lunga distanza, Endogena.

Uscito originariamente nel 1996 e distribuito dalla major Polygram, Endogena fu l’album che trasformò la band in leggenda, conquistando i favori dei fans del metal estremo underground per la proposta feroce, i testi in lingua madre, ed un impatto terremotante.
Gli allora giovani protagonisti di questo olocausto sonoro si fecero notare per la qualità altissima del proprio sound, accompagnata da una tecnica non indifferente, ed un approccio alla materia estrema che, se pescava dalle band cardine del thrash death, non peccava certo in personalità e voglia di colpire pesantemente.
L’inserto sinfonico che funge da intro all’opener Senza Futuro, risulta un conto alla rovescia prima del decollo di questo, fino ad ora, introvabile lavoro, poi uno tsunami di metal estremo, si abbatte sull’ascoltatore, senza soluzione di continuità.
Ritmiche serrate e devastanti, chitarre aggressive, ed un growl animalesco ma perfettamente chiaro nel vomitare testi di morte, oscurità e distruzione, elevano l’album ad una sorta di must per tutti gli amanti del genere.
Siamo nel 1996, i mezzi a disposizione del gruppo non erano certo quelli in possesso alle giovani band di oggi, ma Endogena aveva in sé una carica così forte e devastante, da stare tranquillamente al passo con le releases dei gruppi europei.
Prodotto da Omar Pedrini dei Timoria, Endogena scarica una sequenza di mitragliate thrash violente e senza compromessi, rese ancora più pesanti da un uso parsimonioso ma geniale di sfumature prese dal famigerato death metal statunitense.
Slayer in primis e, poi, tanto thrash metal di matrice europea sono gli ispiratori del sound di questo monumentale lavoro, che ha nella compattezza il suo massimo punto di forza, anche se è indubbio che Delirio Interiore, Ossessioni Funebri e la conclusiva Agonia fungano da traino a tutto l’album.
Nel frattempo, come ben saprete se seguite la scena undergorund e, di fatto, la nostra ‘zine, i Distruzione sono tornati più forti che mai, ma il fascino di questo lavoro, rimane intatto come vent’anni fa, confermando che nel metal, non solo estremo, il passare degli anni conta poco quando ci si trova davanti a lavori come Endogena.
Complimenti alla Jolly Roger per l’iniziativa assolutamente consona all’importanza del gruppo parmense.

TRACKLIST
1. Senza futuro
2. Delirio interiore
3. Ossessioni funebri
4. Divina salvezza
5. Ombre dell’anima
6. Omicidio rituale
7. Diabolus in Musica
8. Agonia

LINE-UP
David Roncai – Vocals
Dimitri Corradini – Bass
Alberto Santini – Guitars
Massimiliano Falleri – Guitars
Ettore Le Moli – Drums

DISTRUZIONE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=jyyLWkfoSeM

Axe Crazy – Angry Machines

Se cominciate ad avere qualche capello bianco su quella che una volta era una lunga e folta chioma, occhio, perché Angry Machine potrebbe farvi tornare la voglia di poghi sfrenati

La Pure Underground Records ristampa l’esordio degli heavy metallers Axe Crazy, uscito originariamente nel 2014, un concentrato di heavy metal ottantiano clamoroso.

In soli diciassette minuti, divisi in quattro brani, la band, che prende il nome da un brano degli storici Jaguar, convince in toto gli appassionati della new wave of british heavy metal, con un sound esplosivo che, pur seguendo le coordinate del genere, risulta fresco, suonato benissimo ma soprattutto prodotto alla grande, così da investire l’ascoltatore con ritmiche aggressive, solos funambolici ed un cantante perfetto per urlare al vento l’appartenenza al mondo metallico.
Semplicemente heavy metal, certo, ma con un songwriting all’altezza, e tanto talento la band sfiora la perfezione, consegnandoci quattro perle da ascoltare e riascoltare e quando il genere è suonato così, beh, non ce n’è per nessuno.
Angry Machines, Hungry For Life, la fenomenale Sabretooth Tiger e Running Out Of Time vi faranno saltare come grilli, puro heavy metal ottantiano dove solos grintosi melodici e dall’appeal esagerato per il genere (Robson Bigos e Adrian Bigos), ritmiche terremotanti (Andrzej Heczko alle pelli e Kamil Piesciuk al basso) e vocals pulite e potenti (Michael Skotnicki).
Se cominciate ad avere qualche capello bianco su quella che una volta era una lunga e folta chioma, occhio, perché Angry Machines potrebbe farvi tornare la voglia di poghi sfrenati al limite dell’umano, birra a fiumi e borchie a coprire il polsino della camicia stirata dalla padrona di casa.
Se siete giovani metallers, il consiglio è di ascoltare con attenzione questi quattro brani, dove all’interno è racchiuso il segreto per suonare la musica più bella del mondo.
La ristampa da parte dell’etichetta tedesca, limitata a duecento copie in vinile, dovrebbe fare da preludio al debutto sulla lunga distanza che, con queste premesse, si annuncia spettacolare: state sintonizzati e nel frattempo godetevi questo succoso antipasto da parte di una grande band.

TRACKLIST
Side A:
1. Angry Machines
2. Hungry For Life
Side B:
3. Sabretooth Tiger
4. Running Out Of Time

LINE-UP
Adrian Bigos – Guitar, backing vocals
Andrzej Heczko – Drums
Michael Skotnicki – Lead vocals
Kamil Piesciuk – Bass
Robson Bigos – Guitar, backing vocals

AXE CRAZY – Facebook

Infamy – The Blood Shall Flow

The Blood Shall Flow si distingue per il sound che non concede tregua, quaranta minuti di assalto sonoro senza compromessi

La Terror From Hell, protagonista di un gran lavoro nel riesumare chicche metalliche, specialmente nei generi estremi, ci propone l’unico full length degli Infamy, quartetto proveniente da Los Angeles con all’attivo solo due demo, oltre ovviamente a questo lavoro uscito originariamente nel 1998, anno in cui, purtroppo perse la vita il bassista e cantante Joshua “Jagger” Heatley.

Il gruppo ad oggi risulta attivo, anche se l’ultima uscita discografica risale al lontano 2001 con il demo Burning Vengeance, poi il nulla.
Ma veniamo a questo buon full length, dallo stile che non può che essere americano, brutale e oscuro come la tradizione insegna, cadenzato e potente, attraversato da accelerazioni, chitarroni ribassati ed un growl uscito direttamente dall’antro più buio dell’inferno.
Niente di clamoroso, ma dall’impatto violento ed evil, The Blood Shall Fall riassume il sound prodotto dalla costa losangelina negli anni d’oro del death metal, alter ego della scuola scandinava e per molti re/tiranno di tutta la musica estrema.
The Blood Shall Flow si distingue per il sound che non concede tregua, quaranta minuti di assalto sonoro senza compromessi, magari per alcuni fin troppo statico nel sound, ma per i fans del genere un assatanato esempio della forza bruta proposta dal gruppo californiano.
L’opener The Maggots Are in Me, Onslaught of Carnage, Salem’s Burning e la title track, non fanno che confermare lo stato di grazia del genere in quegli anni e gli Infamy si aggiungono ai gruppi che seguivano con buoni risultati le devastanti opere di Immolation, Deicide e dei sovrani Morbid Angel.
Il lavoro in questione merita sicuramente una rivalutazione da parte degli amanti del genere, sia i giovani fans che quelli più attempati a cui all’epoca sfuggì questa uscita.

TRACKLIST
1. The Maggots Are in Me
2. Bodily Disembowelment
3. Onslaught of Carnage
4. Cranial Implosion
5. Putrid Infestation
6. Salem’s Burning
7. Mass Cremation
8. Lacerated
9. The Blood Shall Flow
10. Cryptobiosis

LINE-UP
Mark “Shark” Casillias – Guitars
Joshua “Jagger” Heatley – Bass, Vocals
Memo Mora – Vocals, Guitars
James Grijalva – Drums

https://www.youtube.com/watch?v=KM95UO0nihs

Fallen – Fallen

Riedizione dell’unico album pubblicato dai Fallen con l’aggiunta di due tracce inedite.

È tempo di riedizioni per le creature musicali di Anders Eek, uno dei protagonisti principali della scena doom norvegese.

I Fallen erano una band parallela dei più noti Funeral (dei quali parleremo appunto nei prossimi giorni trattando la ristampa del loro secondo album) e, nel corso della loro breve esistenza artistica, hanno lasciato una sola testimonianza su lunga distanza, A Tragedy’s Bitter End, un lavoro uscito nel 2004 che ottenne buoni riscontri a livello di critica.
Purtroppo, la prematura morte del chitarrista Christian Loos decretò l’interruzione dell’attività per i Fallen, con Eek che passò a dedicarsi a tempo pieno al suo principale progetto.
La Solitude offre oggi questa riedizione, che viene definita impropriamente una compilation, visto che si tratta di fatto della riproposizione dell’unico album con l’aggiunta di due brani registrati prima della scomparsa di Loos.
Musicalmente, A Tragedy’s Bitter End contiene una forma di funeral piuttosto scarna ma indubbiamente coinvolgente anche se non sempre del tutto a fuoco; la possibilità di parlare di questo vecchio album mi fornisce lo spunto per chiarire un personalissimo punto di vista sulla materia trattata: per quanto mi riguarda, l’unica forma vocale possibile per un disco funeral è il growl, punto, e “tutto il resto è noia” (nel vero senso della parola), come qualcuno cantava molti anni fa …
Il tono profondo e forzato di Kjetil Ottersen è piuttosto simile a quello utilizzato da Kostas Panagiotu nei Pantheist, il che tende sicuramente a fornire al sound un’aura più decadente (oltre all’indubbio vantaggio di poter cogliere il contenuto lirico senza l’ausilio di un testo scritto), ma con lo sgradevole effetto collaterale di dover ascoltare una sorta di Andrew Eldritch afflitto da adenoidi.
Per contro, l’attitudine e la competenza nel trattare il genere da parte di Eek e compagni è al di sopra di ogni sospetto, e si percepisce chiaramente quanto il tragico e ineluttabile sentore di morte che aleggia costantemente lungo ogni singola nota dell’album non sia frutto di un’esibizione manieristica.
Un brano splendido come Now that I Die, con i suoi diciassette minuti ed oltre di dolore che si fa musica, è emblematico della bontà intrinseca di un lavoro che è giustamente rimasto ben impresso nella memoria degli appassionati più incalliti.
Le due composizioni che vanno ad integrare la scaletta di A Tragedy’s Bitter End sono Drink Deep My Wounds, che si muove sulla falsariga dei brani precedenti pur rivelandosi in certi frangenti più arioso, e la cover di Persephone dei Dead Can Dance, piuttosto stravolta rispetto all’originale ma non per questo meno efficace (anche grazie al ricorso ad un timbro vocale meglio tarato da parte di Ottersen).
I motivi per far propria questa uscita quindi non mancano, inclusa la possibilità di avere per le mani un album che, all’epoca, venne stampato in un numero limitato di copie e che, oggi, viene oltretutto riproposto con una nuova e più soddisfacente veste grafica.

Tracklist:
1. Gravdans
2. Weary and Wretched
3. To the Fallen
4. Morphia
5. Now that I Die
6. The Funeral
7. Drink Deep My Wounds
8. Persephone – A Gathering of Flowers (Dead Can Dance cover)

Line-up:
Anders Eek – Drums
Christian Loos – Guitars
Kjetil Ottersen – Vocals, Keyboards, Guitars, Bass

Autumnia – Two Faces Of Autumn

Interessante riedizione dei due primi lavori degli Autumnia

Dopo aver parlato nei giorni scorsi dell’ultimo album degli Apostate restiamo in Ucraina per vedere cosa ci offre quest’uscita degli Autumnia.

Intanto, se nel caso citato in precedenza, si trattava del nuovo disco di una band riformatasi di recente, in questo caso ci troviamo di fronte ad un lavoro retrospettivo che unisce in una sola confezione, nel formato del doppio CD, i primi due dischi di un combo dalla storia più recente ma anche più noto.
È interessante, infatti, poter seguire, tramite l’ascolto di una coppia di album di buon valore, l’evoluzione della band di Alexander Glavniy nel corso degli anni.
Il musicista, avvalendosi di una delle migliori voci del settore come quella di Vladislav Shahin dei Mournful Gust, pubblicò nel 2004 un disco d’esordio davvero eccellente, probabilmente un po’ troppo devoto a tratti ai primissimi Anathema e My Dying Bride, ma anche per questo capace di rievocare in maniera competente e con la dovuta intensità le sonorità seminali che, qualche anno dopo averle tenute a battesimo, quelle stesse storiche band avrebbero abbandonato.
Drammatico e melodico nelle giuste dosi, In Loneliness of Two Souls introdusse così nel migliore dei modi il nome degli Autumnia al proscenio del doom europeo.
In By the Candles Obsequial, due anni dopo, fecero il loro ingresso nel sound pesanti influssi gothic accentuati dall’uso massiccio delle tastiere e dal contributo di una voce femminile in un brano che, se da un lato arricchirono e resero più accattivante la proposta, dall’altra fece apparire meno genuino e più artefatto l’operato del duo ucraino. Tecnicamente di livello superiore al predecessore, l’album destava una migliore impressione di primo acchito per poi mostrarsi non sempre troppo profondo: sicuramente un lavoro di buon livello, in ogni caso, in qualche modo propedeutico all’ulteriore passo verso sonorità ancor più eleganti che sarebbe avvenuto con “O Funeralia”, ultimo parto discografico degli Autumnia datato 2009.
Questa raccolta edita dalla Solitude, arrivata dopo un lungo periodo di silenzio, potrebbe far presagire un ritorno della band con materiale inedito. La perdita di Shahin, che nel 2010 scelse di dedicarsi esclusivamente ai suoi Mournful Gust, non è sicuramente da poco, visto il valore del soggetto, ma al di là di tutto sono piuttosto curioso di vedere che scelte potrebbe compiere oggi Glavniy, un musicista che, a mio modesto parere, ha nelle proprie corde il potenziale per comporre quell’album di grandissimo spessore che finora ha solo sfiorato in occasione del pur ottimo album di debutto.

Tracklist:
CD1
1….By Your Hand
2.Before Leave for Ever
3.In Sorrow and Solitude
4.At Eternal Parting
5.Pray for Me
6.Into the Grave
CD2
1.Increasing the Grief Terrestrial
2.With Wailing and Lament
3.Bitterness of Loss
4….And the Life Dies Away…
5.In Loneliness of Two Souls

Line-up:
Alexander Glavniy – All Instruments
Vladislav Shahin – Vocals

Saxon – Heavy Metal Thunder / The Saxon Chronicles

Due ottime ristampe edite dalla UDR Records che ripercorrono la carriera di una delle più importanti band heavy metal della storia.

Era l’alba del decennio più glorioso per i suoni metallici (gli anni ottanta), e sulla scena musicale europea, divisa ancora tra i suoni ribelli del punk e quelli patinati e spettacolari del progressive e dell’hard rock, eredità del decennio precedente, irruppero come un fulmine a ciel sereno un manipolo di band che fecero la storia della nostra musica preferita, conosciute dai posteri come le band della New Wave Of British Heavy Metal e di cui i Saxon furono una delle maggiori e più conosciute espressioni.

La band britannica, capitanata dal leggendario vocalist Peter Rodney Byford, in arte Biff, dopo l’album omonimo rifilò almeno cinque capolavori, tra il 1980 e il 1984, di cui i primi tre rimasero scolpiti nella storia dell’heavy metal: “Wheels Of Steel”, “Strong Arm Of The Law” e “Denim And Leather”, usciti nel giro di un paio di anni, tra il 1980 e il 1981 (gli altri due “Power And Glory” del 1983 e “Crusader” del 1984, leggermente inferiori ai primi tre, rimangono di una qualità altissima), fecero il botto e l’esercito sassone a suon di bombardamenti metallici conquistò i kids di tutto il mondo.
Sono passati quasi quarant’anni dalla formazione della band, nata nello Yorkshire nel 1976, e Biff è ancora qui, nel nuovo millennio, ad esaltare le truppe con queste nuove uscite discografiche che ripercorrono la carriera di una band che definire fondamentale è un eufemismo.
Via Udr Records, in attesa del nuovo dvd” Warriors Of The Road- The Saxon Chronicles II”, escono in contemporanea due compilation della band già edite ma di un’importanza assoluta.
La prima vede la riedizione della compilation Heavy Metal Thunder, originariamente pubblicata nel 2002 con l’aggiunta del Live in Bloodstock del 2014: la band, per l’occasione, risuona tutto il materiale donandogli un approccio più fresco ed in linea coi tempi, ed è così che le migliori canzoni dei primi lavori deflagrano in tutta la loro potenza metal e, se già allora erano in odore di immortalità, qui sono rese devastanti da una produzione folgorante.
Ci sono tutte i brani che hanno fatto la storia, da Heavy Metal Thunder, a Strong Arm Of The Law, passando per le monumentali Crusader, 747 (Strangers In The Night), Wheels Of Steel, Motorcycle Man e quella che personalmente ritengo la song metal con il più bel riff di tutti i tempi, Princess Of The Night.
Il live che fa da bonus cd ci consegna una band ancora sul pezzo ed esaltante quando sprigiona la sua forza su un palco: Biff stupisce per la carica che possiede intatta, e la band gira a mille tra vecchi classici e nuove canzoni che reggono tranquillamente il confronto con gli storici brani ottantiani.
The Saxon Chronicles uscì nel 2003, e si tratta di un doppio dvd: il primo vede la band cimentarsi sul palco del Wacken Open Air davanti ad una marea di fan nell’estate del 2001, e non esagero nel dichiarare che è uno dei più bei concerti visti col supporto ottico, almeno per quanto riguarda il metal classico.
I Saxon appaiono in forma strepitosa, con brani classici e non che si danno battaglia sullo stage metal più famoso d’Europa con un’ambientazione (quella di Wacken non ha eguali) che esalta a più riprese, anche se si è comodamente seduti sul divano di casa.
L’aquila dei guerrieri sassoni vola alta sul palco teutonico, regalando una performance eccezionale, apprezzata non poco dall’immenso pubblico accorso a quello che, ormai una quindicina d’anni fa, fu un evento; segue un un’intervista a Byford, ad impreziosire ulteriormente questo primo dvd.
Nel secondo trovano spazio video e riprese inedite, documentari e photo gallery, insomma, tutto quello che un fan può desiderare sulla sua band preferita e, per chi non la conoscesse a sufficienza, The Saxon Chronicles rimane un ottimo modo per approfondire la storia di una della icone del metal.
Anche qui troviamo un bonus cd audio: trattasi di Rock’n’roll Gypsie, live edito nel 1989, altro ottimo testamento live dei Saxon.
Inutile dire che, a chi sfuggì l’uscita di questi due ottimi capitoli del gruppo, è consigliato l’acquisto, del resto una buona fetta della “nostra” storia è racchiusa tra questi dischetti: lunga vita all’aquila sassone.

Heavy Metal Thunder
Tracklist
CD I:
01. Heavy Metal Thunder
02. Strong Arm of the Law
03. Power & the Glory
04. And the Bands played on
05. Crusader
06. Dallas 1PM
07. Princess of the Night
08. Wheels of Steel
09. 747 (Strangers in the Night)
10. Motorcycle Man
11. Never Surrender
12. Denim & Leather
13. Backs to the Wall

CD II – Live at Bloodstock 2014
01. Sacrifice
02. Power and the Glory
03. Heavy Metal Thunder
04. Battalions of Steel
05. Motorcycle Man
06. And the Bands Played On
07. To Hell and Back Again
08. 747 (Strangers in the Night)
09. Crusader
10. Wheels of Steel
11. Princess of the Night
12. Denim and Leather

The Saxon Chronicles
Tracklist:
DVD I Wacken Open Air Festival, Germany 2001:
01. Motorcycle Man
02. Dogs Of War
03. Heavy Metal Thunder
04. Cut Out The Disease
05. Solid Ball Of Rock
06. Metalhead
07. The Eagle Has Landed
08. Conquistador (Drum Solo)
09. Crusader
10. Power And The Glory
11. Princess Of The Night
12. Wheels Of Steel (Guitar Solo)
13. Strong Arm Of The Law
14. 20,000 Ft.
15. Denim And Leather

Bonus Stuff :
Interview with Biff Byford

DVD II – Saxon on Tour
Official Videos:
01. Suzie Hold On
02. Power And The Glory
03. Nightmare
04. Back On The Streets Again
05. Rockin’ Again
06. (Requiem) We Will Remember
07. Unleash The Beast + Behind The Scenes
08. Killing Ground

Saxon on TV – Interviews, History, TV-Appearances:
01. And the Band Played On
02. Back on the Streets
03. Never Surrender
04. Denim And Leather
05. Wheels of Steel

Bonus Stuff: Text/Photo Gallery

Rock’n’Roll Gypsies – 1989 Live AudioCD
1. Power And Glory
2. And The Bands Played On
3. Rock The Nation
4. Dallas 1PM
5. Broken Heroes
6. Battle Cry
7. Rock ‘N Roll Gypsies
8. Northern Lady
9. I Can’t Wait Anymore
10. This Town Rocks
11. The Eagle Has Landed
12. Just Let Me Rock

Tyrannosaurus Rex – My People Were Fair And Had Sky In Their Hair … But Now They’re Content To Wear Stars On Their Brows

Primo album dei Tyrannosaurus Rex di Marc Bolan rimasterizzato dalla Universal.

L’ importanza del “divino” Marc Bolan sul rock contemporaneo è pari a quella della manciata di musicisti che hanno fatto la storia della musica contemporanea: geniali sia musicalmente sia, in questo caso, venditori di se stessi, diventati icone rivoluzionando non solo il mercato discografico ma influenzando culturalmente un’intera generazione.

Da sempre il nome di Bolan è giustamente accomunato al glam rock, ancor prima dei viaggi psichedelici di Ziggy Stardust, un genere che prima della musica diede molta importanza al look di cui Marc fu il perenne modello.
Fortemente influenzato dalla scena hippie, il glam all’epoca fu uno schiaffo alla società del Regno Unito, bigotta fino al midollo e stravolta dall’arrivo di questo bel ragazzo vestito di lustrini e pailettes.
La Universal rimasterizza con bonus CD i primi tre lavori della prima incarnazione dei T.Rex, e questo My People … è il primo bellissimo vagito di un giovane Marc che, aiutato solo dai bonghi dell’ex batterista Steve Peregrine Took e dalla sua chitarra acustica, ammalia con dieci brani tra folk, blues ed uno spirito freak geniale, lasciando che atmosfere orientaleggianti e neanche troppo velati rimandi alla cultura Hare Krishna (eredità della cultura hippie, ancora fortemente presente nel giovane musicista) conquistassero i giovani ascoltatori dell’epoca, quei glamster che ebbero quasi una decina di anni gloriosi prima dell’esplosione del punk rock.
Prodotto da Tony Visconti e da John Peel, innamorato perso del personaggio Bolan, My People … suona scarno anche per l’epoca ma, tra i solchi di queste perle acustiche, esce il talento di un artista eccezionale, non solo ottimo chitarrista ma icona a tutto tondo e, a modo suo, un rivoluzionario.
Poco rock e tanto folk , un rhythm and blues nascosto tra lo spartito e gli accordi, venati da una divertente vena psichedelica che il talento di Bolan nasconde, per poi farcela assaporare a piccole dosi, lasciandoci sognare, come in preda ad un bel trip di cui l’artista è l’ambiguo sacerdote.
L’album , accompagnato da un secondo bonus cd e da una versione in vinile, è assolutamente consigliato ai fan e a chi vuole davvero entrare nel mondo di Bolan dalla porta principale, con questo primo testamento di una carriera folgorante.

Tracklist:
Side A
1. Hot Rod Mama 2014 Remaster / Mono Version
2. Scenescof 2014 Remaster / Mono Version
3. Child Star 2014 Remaster / Mono Version
4. Strange Orchestras 2014 Remaster / Mono Version
5. Chateau In Virginia Waters 2014 Remaster / Mono Version
6. Dwarfish Trumpet Blues 2014 Remaster / Mono Version

Side B
1. Mustang Ford 2014 Remaster / Mono Version
2. Afghan Woman 2014 Remaster / Mono Version
3. Knight 2014 Remaster / Mono Version
4. Graceful Fat Sheba 2014 Remaster / Mono Version
5. Weilder Of Words 2014 Remaster / Mono Version
6. Frowning Atahuallpa (My Inca Love) 2014 Remaster / Mono Version

Side C
1. Debora
2. Child Star Take 2 / Joe Boyd Session
3. Hot Rod Mama BBC Top Gear, London / Live / 1967 / Mono
4. Strange Orchestras BBC Top Gear, London / Live / 1968 / Mono
5. Chateau In Virginia Waters Take 3 / Joe Boyd Session
6. Mustang Ford BBC Top Gear, London / Live / 1968/ Mono
7. Pictures Of The Purple People BBC Top Gear, London / Live / 1967 / Mono
8. Afghan Woman (With Chat) BBC Top Gear, London / Live / 1968 / Mono

Side D
1. Highways (With Chat) BBC Top Gear, London / Live / 1967 / Mono
2. Puckish Pan Demo
3. Dwarfish Trumpet Blues Tony Visconti’s Home Demo
4. Knight Tony Visconti’s Home Demo
5. Scenescof BBC Top Gear, London / Live / 1967 / Mono
6. Lunacy’s Back Demo
7. Frowning Atahuallpa (With Chat)

Line-up:
Mark Bolan – Guitars
Steve Peregrine Took- Bongo

Avulsed – Carnivoracity

Ristampa da parte della Xtreem Music dell’Ep del 1994 con l’aggiunta di ben nove tracce registrate dal vivo.

Sono passati vent’anni dall’uscita di questo EP dei deathsters spagnoli Avulsed, una delle più importanti e longeve band estreme del loro paese.

Fondati dal vocalist Dave Rotten nel 1991, esordirono nel 1992 con il classico demo arrivando a Carnivoracity nel 1994, passando per altri tre demo tra il 1993 e l’anno successivo.
La carriera dei nostri arriva fino allo scorso anno, con una discografia ragguardevole composta da vari split, Ep e compilation e, cosa più importante sei full-length di cui almeno due sono lavori notevoli: “Yearning for the Grotesque” del 2003 e “Gorespattered Suicide” del 2009; peraltro gli Avulsed sono stati molto attivi lo scorso anno con ben due uscite, l’album “Ritual Zombi” e l’Ep “Revenant Wars”.
Il death metal brutale della band iberica, qui nella sua veste più selvaggia, ha molto dei Cannibal Corpse e del movimento gore statunitense, quindi con tematiche fatte di smembramenti, cannibalismo e horror di serie B, vera goduria per i fan del metal putrescente e necrofilo.
In Carnivoracity gli Avulsed girano a mille con tre brani di old school brutal pesante e assassino, che mette in evidenza il growl spaventosamente cavernoso del buon Dave, capace di far impallidire Chris Barnes e George Fisher.
Rallentamenti doom da brividi e accelerazioni spaventose fanno di questo Ep un gioiello nel panorama estremo europeo, con la title-track che spicca nel suo marcio incedere, il cammino di un orco verso la sua cantina dove ad aspettarlo ha i suoi cadaverini da smembrare, in un delirio di necrofilia orgiastica.
Grande il lavoro della sezione ritmica (Tony alle pelli e Lucky al basso) e chitarre sempre al limite suonate da Luisma e Cabra.
Nella nuova veste Carnivoracity ci regala nove tracce live, un assaggio delle potenzialità che la band esprime sul palco, con due chicche: le cover di As I Behold I Despise dei Demigod e Matando Gueros degli storici Brujeria.
In sostanza una buona ristampa, sia per chi conosce già la band di Madrid sia per chi ne avesse ignorato fino ad oggi l’esistenza e volesse avvicinarsi al metal estremo grazie a questi mostruosi Avulsed.

Tracklist:
1. Carnivoracity
2. Cradle of Bones
3. Demoniac Possession (Pentagram cover)
4. Morgue Defilement (Live)
5. Bodily Ransack (Live)
6. As I Behold Despise (Demigod Cover) (Live)
7. Gangrened Divine Stigma (Live)
8. Cradle of Bones (Live)
9. Deformed Beyond Belief (Live)
10. Carnivoracity (Live)
11. Matando Güeros (Brujería Cover) (Live)
12. Outro – M.C.E.D. (Live)

Line-up:
Dave Rotten – Vocals
Tony – Drums
Lucky – Bass
Luisma – Guitars
Cabra – Guitars

AVULSED – Faceboook

REX MUNDI – IVHV

Un album da scoprire, una riedizione di un demo uscito in sole 77 copie ed introvabile, un’opera unica in un genere che è stato devastante e disturbante grazie a dischi come questo.

Riedizione a cura della Debemur Morti del demo targato 2005 dei francesi Rex Mundi.

Questo è un grande album di black metal, con inserti di canti religiosi provenienti da diversi culti, che ne fa un lavoro occulto ed etereo. I  Rex Mundi con questa opera prima entrarono di diritto tra i migliori del genere, nonostante una produzione non eccelsa, ma nel black metal questo a volte non è un problema, quanto piuttosto un pregio. Il black metal è un genere minimale che dà grande spazio alle idee, senza soffocarle con la musica, che è cacofonica, ma in casi come questo è un incredibile tappeto sonoro che sublima il tutto. Certamente quest’album ha forti influenze da gruppi come i Satyricon di Rebel Extravaganza (a mio modesto avviso, uno dei grandi album black metal di sempre), ma rielabora tutto con fortissima personalità, a cominciare dall’inserire canti religiosi, per spingere il discorso all’estremo, caratteristica fondamentale del black metal. La traccia più notevole è la quarta Pious Angels (Sepher Seraphim), un viaggio di 11 e passa minuti in un altro mondo sospeso tra cielo ed inferno. Un album da scoprire, una riedizione di un demo uscito in sole 77 copie ed introvabile, un’opera unica in un genere che è stato devastante e disturbante grazie a dischi come questo.