The Loudest Silence – Aesthetic Illusion

Aesthetic Illusion ha le carte in regola per risultare un buon prodotto, anche se a tratti è evidente che al gruppo manca un po’ di personalità in più per non sembrare solo un clone dei gruppi di punta del gothic metal mondiale.

Il symphonic metal sta vivendo una fase di stasi fisiologica, dopo i fasti e la conseguente caduta patita da tutti quei generi che hanno vissuto una buona popolarità in periodi più o meno recenti.

Paesi Bassi, Scandinavia, centro Europa e Italia sono segnati sul mappamondo metallico come le terre dove più si è sviluppato negli anni questo tipo di sonorità, con i paesi dell’est che ultimamente possono vantare realtà molto interessanti.
I The Loudest Silence arrivano da Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, sono attivi dal 2010 ma arrivano al debutto solo oggi con Aesthetic Illusion, ambizioso lavoro che segue minuziosamente le coordinate del genere.
Symphonic metal d’ordinanza dunque, cantato a modo da una musa che di nome fa Taida Nazraic , con Mark Jansen degli Epica a fare da padrino ed un songwriting piacevole che conferisce un’aura sufficientemente affascinante per i tanti fans del genere.
Aesthetic Illusion ha dunque le carte in regola per risultare un buon prodotto, anche se a tratti è evidente che al gruppo manca un po’ di personalità in più per non sembrare solo un clone dei vari Nightwish, Within Temptation e primi Epica (quelli degli ultimi lavori sono inarrivabili per chiunque).
Un’ora di musica gotico sinfonica, quindi, tra potenza metal, atmosfere cinematografiche e sfumature dark/operistiche che la prestazione della cantante cerca di rendere il più elegante possibile, mentre la band si perde volentieri in lunghe tracce che hanno nei dodici minuti di Gallery Of Wonders il riassunto compositivo di Aesthetic Illusion.
I The Loudest Silence sono un buon gruppo di genere, ancora un po’ acerbo e non molto personale, ma con ampi margini di miglioramento auspicabili già fin dal prossimo album.

Tracklist
1. Illusion Aeternus
2. Redemption
3. Two Faced Ghost
4. Wood Nymph
5. Acheron
6. The Loudest Silence
7. Soul Reflection
8. Theatre Of The Absurd
9. Wake Up In My Dream
10. Gallery Of Wonders
11. The Loudest Silence (Through The Glowing Door)

Line-up
Taida Nazraic – Vocals
Denijal Catovic – Keyboards
Mirza Coric – Guitars
Džemal Bijedic – Bass, Vocals
Damir Sinanovic – Bumbar – Drums

THE LOUDEST SILENCE – Facebook

Aeolian – Silent Witness

Silent Witness sorprende per come gli Aeolian riescano, nella loro ferocia, a mantenere un tasso melodico elevatissimo, pregno di orgogliosa e suggestiva epicità.

Questo straordinario esempio di death metal melodico di matrice scandinava arriva dalla Spagna.

Ebbene sì, anche il sottoscritto per un attimo ha avuto il dubbio che il debutto degli Aeolian, fosse un album perso nel tempo e ritrovato in qualche gelida foresta della penisola scandinava, magari lasciato ai posteri da una delle band nate in quelle terre, prima che il successo portasse in parte via l’atmosfera leggendaria che regnava sui lavori creati nei primi anni novanta.
Invece gli Aeolian sono spagnoli, addirittura originari dell’arcipelago delle Baleari e precisamente di palma di Maiorca, ma il tepore dei venti mediterranei non ha frenato la voglia di metal estremo di origine nordica del quintetto che, con questo magniloquente, melodico ed epico lavoro brucia la concorrenza, almeno per quanto riguarda gli esordi di questo 2018.
Silent Witness è un album magnifico, un’autentica tempesta sonora di death/black melodico, che ricorda quello di una manciata di band storiche, a giudicare dal sound esibito in questi dodici spettacoilari brani: Dark Tranquillity, Naglfar, Dissection, Primi In Flames, Amorphis e Amon Amarth, il festival melodic death per eccellenza riassunto in un unico devastante esempio di metal dalla bellezza che lascia senza fiato.
Silent Witness sorprende per come il gruppo riesca, nella sua ferocia, a mantenere un tasso melodico elevatissimo, pregno di orgogliosa e suggestiva epicità, ben rappresentata dai fuochi pirotecnici che si stagliano nel cielo al suono delle varie tracce tra cui citiamo Chimera, Return Of The Wolf King e Going To Extinction, ma che sono in toto meritevoli di un plauso.
Un album sorprendente e bellissimo, nel genere il debutto più convincente dell’anno.

Tracklist
1.Immensity
2.The End of Ice
3.Chimera
4.My Stripes in Sadness
5.Return of the Wolf King
6.Going to Extinction
7.Elysium
8.Wardens of the Sea
9.The Awakening
10.Black Storm
11.Witness
12.Oryx

Line-up
Daniel Perez – Vocals
Raúl Morán – Guitars
Gabi Escalas – Guitars
Toni Mainez – Bass
Alberto Barrientos – Drums

AEOLIAN – Facebook

Karmian – Surgere et Cadere

Con il proprio death metal duro e puro, offerto accantonando inutili orpelli, i Karmian ci danno dentro come in una sorta di sanguinaria battaglia a suon di metal estremo.

Lo swedish death viene rappresentato al meglio nel debutto sulla lunga distanza dei Karmian, band originaria di Modena attiva addirittura dal 2005 con il monicker di When the Storm Broke, cambiato in quello attuale dopo una serie di vicissitudini riguardanti i tanti cambi di line up e relative ripartenze.

Il primo scossone del gruppo con l’attuale nome risale all’ep Ways Of Death, licenziato dalla band nel 2012, poi ancora cinque anni prima che questo primo lavoro sulla lunga distanza veda la luce.
Surgere Et Cadere è un concept su di un popolo di origine celtica, i Boii, scesi nel nord Italia invadendo la Pianura Padana e conquistando Bologna nel 390 ac, per essere poi sconfitti dall’impero romano dopo eroiche battaglie.
La band racconta queste vicende con il suo death metal di matrice scandinava nel quale, ovviamente, prevale un’atmosfera epica e battagliera, conquistando con il suo approccio senza compromessi.
Con il proprio death metal duro e puro, offerto accantonando inutili orpelli, i Karmian ci danno dentro come in una sorta di sanguinaria battaglia a suon di metal estremo, tra ripartenze furiose, ottimi accenni melodici ed un impatto che ricorda band che con il genere hanno familiarità (Ex Deo).
Il sound di genere non concede alcun tipo di novità o variante, lasciando che sia la tradizione l’ispirazione maggiore di brani convincenti come The Burn, Shadow The Eagle o le notevoli Druids In The Forest e Mutina Capta Est, un crescendo drammatico e degno finale di un album promosso per impatto, attitudine e padronanza dei propri mezzi.

Tracklist
1.They Burn
2.Conquering The Plain
3.Shadows Of The Eagle
4.The Gaul
5.The Alliance
6.Total War
7.Druids In The Forest
8.Sacred Selva
9.Mutina Capta Est

Line-up
Andrea Bertolazzi – Vocals
Andrea Baraldi – Lead Guitar
Mauro Leone – Guitar
Nicholas Badiali – Drums
Gabriele Gabrieli – Bass

KARMIAN – Facebook

Evilon – Leviathan

Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua.

La firma per Wormholedeath e gli svedesi Evilon possono partire alla conquista dei cuori guerrieri dei death metallers dai gusti melodici e folk.

La band, fondata tre anni fa dalla coppia di chitarristi Kenneth Evstrand e Jonny Sjödin, si affaccia sul mercato estremo con Leviathan, album di debutto su lunga distanza dopo Shores of Evilon, ep di cinque brani uscito lo scorso anno.
Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua, pregni di sfumature classiche, solos incisi sui manici delle spade e ritmiche che sono venti che spazzano il mare del nord in tempesta.
L’album ha una partenza fulminea con l’opener Eye Of The Storm e non si ferma più: uno dietro l’altro i brani si susseguono in un mare in burrasca di suoni metallici; a tratti l’anima folk avvolge di epica eleganza le note battagliere di brani trascinanti come la title track o la coppia di gioiellini melodic/folk/death come Sounds Of The Tomb e The King Of The Thousand Suns, con il singer Joel Sundell a radunare le truppe sul ponte del drakkar.
Leviathan risulta un gran bel disco, rappresentando il death metal melodico nella sua forma tradizionale, valorizzato da inserti folk epici e richiamando primi In Flames e Dark Tranquillity, così come Amorphis ed Eluveitie.
Grazie ad un songwriting eccezionale, Leviathan è una raccolta di brani perfetti nella loro natura estrema, melodica e guerriera; gli Evilon sono un gruppo di cui sentiremo sicuramente parlare ancora: ancora un grande colpo in casa Wormholedeath.

Tracklist
1. Eye of the storm
2. Sound of the tombs
3. Leviathan
4. Souldrainer
5. The king of a thousand suns
6. In the shadow of my grief
7. Welcome home
8. The sacred
9. Serpent eye
10. When the leaves are falling

Line-up
Kenneth Evstrand – Guitar/Choir
Jonny Sjödin – Guitar/Choir
Björn Wildjärn – Bass/Choir/Lead-Clean Vocals
Joel Sundell – Lead-Growling Vocals
Anders Hagen – Drums

EVILON – Facebook

Heavy Generation – The Spirit Lives On

The Spirit Lives On si rivela uno dei dischi più belli usciti quest’anno nel genere, oltre che il miglior debutto possibile per gli Heavy Generation.

Si affacciano sulla scena classica tricolore gli Heavy Generation, band dal sound heavy/power duro come l’acciaio, potente come un tuono e perfettamente bilanciato con quel tocco melodico che fa la differenza.

La band è composta dai fondatori Marco Stefani (Motorhell) alla batteria e Marco Marchioni al basso, a formare una sezione ritmica potentissima, dal chitarrista Fabio Cavestro (Gunjack, Motorhell, The Silence) e dal talentuoso cantante Ivan Giannini che, chi segue il metal targato Italia, avrà già potuto apprezzare nei Derdian e negli Elegacy, tra gli altri.
Con queste ottime premesse a livello di line up l’album non poteva che risultare all’altezza della situazione, ed infatti The Spirit Lives On non deluderà sicuramente le aspettative dei defenders, grazie ad un lotto di brani entusiasmanti, che travolgono l’ascoltatore grazie alla potenza di un heavy/power tellurico ed al notevole impatto epico melodico.
Giannini si trasforma dal vocalist potente ed elegante che abbiamo ammirato in passato in un animale metallico feroce e famelico, in possesso di un timbro che in questo caso ricorda il miglior Halford e aggiungendovi grandi doti interpretative (immenso nel mid tempo Path Of Denial).
In uno scenario post apocalittico i quattro guerrieri metallici ci consegnano un lavoro riuscito, formato da una raccolta di brani che non inciampano, ma marciano in direzione dell’epico scontro nelle strade di metropoli in disfacimento, al suono delle varie Fire Steel Metal, Heavy Generation, The Spirit Lives On e Warriors, tracce che dell’heavy/power epico si nutrono per soddisfare la voglia di metal classico di tutti i suoi seguaci pronti ad alzare il pugno verso il cielo.
The Spirit Lives On si rivela uno dei dischi più belli usciti quest’anno nel genere, oltre che il miglior debutto possibile per gli Heavy Generation.

Tracklist
01. Born To Rock
02. Fire Steel Metal
03. No Control
04. Blood And Sand
05. Heavy Generation
06. Path Of Denial
07. My Spirit Lives On
08. Odin
09. Warriors
10. March Until The Grave
11. No More Mercy

Line-up
Ivan Giannini – Vocals
Fabio Cavestro – Guitars
Marco Marchioni – Bass
Marco Stefani – Drums

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HEAVY GENERATION – Facebook

Voivod – The Wake

I Voivod si confermano ancora una volta autori di grande musica progressiva, metallica e straordinariamente fuori dal comune.

Un nuovo album degli storici Voivod è sempre motivo di discussione e consumo di litri di inchiostro vista l’importanza del gruppo all’interno della scena metallica fin dalla prima metà degli anni ottanta.

L’ultimo album The Wake viene licenziato in concomitanza con i trentacinque anni di carriera della band, un traguardo straordinario per una realtà sempre un passo avanti nella scena musicale mondiale fin dai primi devastanti lavori, passando per il progressive thrash metal melodico e spaziale degli anni novanta (con album bellissimi e sottovalutati come Angel Rat e The Outer Limits), per tornare al metal estremo degli esordi e nuovamente ora, con questo ottimo ultimo parto, alle digressioni space rock e progressive.
Langevin e Belanger, con i fidi Mongrain e Laroche, danno vita ad un viaggio intergalattico nel quale appunto il thrash metal amoreggia con generi lontani anni luce ma che nella loro musica diventano parte integrante di un concept musicale personalissimo.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e la fusione tra il metal estremo con progressive e jazz non fa più notizia, ma la band canadese riesce comunque a sorprendere con il suo personalissimo sound ed un talento compositivo fuori categoria.
The Wake sta tutto qui, con i Voivod che giocano tra note spaziali, trame progressive, atmosfere orchestrali e ed un mare di piccoli dettagli che vanno a formare una galassia musicale cangiante e ricca di fascino.
I Pink Floyd, così come i King Crimson (The End Of Dormancy), sono riferimenti che continuano a passare veloci come nubi gassose nell’universo chiamato The Wake, di assoluto livello anche sotto l’aspetto tecnico e a tratti difficilissimo da digerire se non si possiede la giusta confidenza con il sound della band.
Dall’opener Obsolete Begins fino alla conclusiva Sonic Mycelium, i Voivod si confermano autori di grande musica progressiva, metallica e straordinariamente fuori dal comune.

Tracklist
01. Obsolete Beings
02. The End Of Dormancy
03. Orb Confusion
04. Iconspiracy
05. Spherical Perspective
06. Event Horizon
07. Always Moving
08. Sonic Mycelium

Line-up
Dennis “Snake” Belanger – Vocals
Daniel “Chewy” Mongrain – Guitar
Dominic “Rocky” Laroche – Bass
Michel “Away” Langevin – Drums

VOIVOD – Facebook

The Vintage Caravan – Gateways

La formula del trio nato nel gelido nord è un caldo hard rock psichedelico, infarcito di riff che passano dalla potenza del mito sabbathiano al blues rock zeppeliniano fino a fumose melodie stoner, finendo per lasciare agli ascoltatori un tocco moderno e belle canzoni.

Il revival dell’hard rock di matrice settantiana continua a regalare ottimi gruppi e album da custodire gelosamente sotto l’etichetta vintage.

Non me ne vogliano i tanti gruppi che dalla Scandinavia agli Stati Uniti si sono dedicati al ritorno del sound che ha fatto grandi icone come Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Black Sabbath o Deep Purple, ma l’aggettivo in questione riassume perfettamente l’attitudine di band come i The Vintage Caravan, provenienti dall’Islanda e al quarto lavoro in uscita per Nuclear Blast.
La formula del trio nato nel gelido nord è un caldo hard rock psichedelico, infarcito di riff che passano dalla potenza del mito sabbathiano al blues rock zeppeliniano fino a fumose melodie stoner, finendo per lasciare agli ascoltatori un tocco moderno e belle canzoni.
Óskar Logi (chitarra e voce), Alex Örn (basso) e Stefán Ari (betteria), come i Blues Pills o i Radio Moscow, tornano alle origini del rock duro, lo drogano di psichedelia e blues acido, lo potenziano con riff pesanti come incudini e ci ricamano sopra solos hendrixiani, per un risultato assolutamente cool, almeno per questi tempi che, come già scritto in precedenza, sono già da un po’ forieri di ventate revivaliste, dopo tanto modern rock e metal dei primi anni del millennio.
Gateways è un buon lavoro, i brani mantengono un appeal assolutamente conforme ai gusti dei rockers senza affondare troppo le componenti psichedeliche, e i brani ci guadagnano in scorrevolezza, formando una raccolta di tracce che dall’opener Set Your Light, passando per Reflections e il blues di All This Time centrano il bersaglio, dirette e senza indugi.
Nebula apre la parentesi trip stoner/psych rock, rivelandosi una jam settantiana dalle melodie che passeggiano su nuvole di vapore che si tramutano in gocce di drammatico blues acido: a seguire Farewell e Tune Out, per una chiusura sicuramente più psichedelica rispetto a quanto ascoltato in precedenza, anche se la componente melodica rimane in primo piano.
Album che farà la gioia degli amanti dei suoni vintage, Gateways non concede pause e risulta un lavoro piacevole, in particolare se si è amanti dei gruppi storici citati precedentemente.

Tracklist
1. Set Your Sights
2. The Way
3. Reflections
4. On The Run
5. All This Time
6. Hidden Streams
7. Reset
8. Nebula
9. Farewell
10. Tune Out

Line-up
Óskar Logi – Guitar, Vocals
Alex Örn – Bass
Stefán Ari – Drums

THE VINTAGE CARAVAN – Facebook

Aborted – TerrorVision

Quest’ultimo parto firmato Aborted risulta un mastodontico, granitico e straordinario lavoro presentato perfettamente dalla title track, ma che non cede per tutti i suoi quarantacinque minuti di durata, formando un’opera estrema di livello assoluto, imperdibile.

Uno dei lavori più riusciti ed intensi di questo 2018 in campo death/grind porta la firma dei belgi Aborted, tornati con il decimo album di una discografia di altissima qualità, confermato da questo funambolico TerrorVision.

Il gruppo che, di fatto, ha tutti i crismi di una band internazionale capitanata dal singer Sven de Caluwé, con questo nuovo lavoro ci consegna un capolavoro di musica estrema violentissima, una spettacolare prova di forza sorretta da una tecnica ineccepibile e da un songwriting esaltante.
Caluwè da letteralmente spettacolo con una prestazione al solito varia, personalissima e a tratti davvero mostruosa, ed i suoi compari non sono da meno, invitando l’ascoltatore sull’ottovolante impazzito chiamato TerrorVision.
L’album è una continuo sorpresa, le soluzioni in mano al gruppo sono le più svariate anche nell’arco dello stesso brano, così che a tratti la violenza iconoclasta e l’atmosfera apocalittica passano in secondo piano davanti a tanta perizia, nel passare dal death/grind a soluzioni ritmiche di stampo groove e sferzate black metal, il tutto valorizzato da un approccio tecnico e progressivo di valore assoluto.
Difficile fare dei paragoni con altre realtà, perché nell’album ci si ritrova nel mondo Aborted, già ampiamente messo in evidenza con il precedente e bellissimo Retrogore, uscito un paio di anni fa, ma portato qui ad un livello ancora superiore.
Quest’ultimo parto firmato Aborted risulta un mastodontico, granitico e straordinario lavoro, presentato perfettamente dalla title track, ma che non mostra cedimenti per tutti i suoi quarantacinque minuti di durata, formando un’opera estrema imperdibile e di livello assoluto.

Tracklist
1. Lasciate Ogne Speranza
2. TerrorVision
3. Farewell To The Flesh
4. Vespertine Decay
5. Squalor Opera
6. Visceral Despondency
7. Deep Red
8. Exquisite Covinous Drama
9. Altro Inferno
10. A Whore D’oeuvre Macabre
11. The Final Absolution

Line-up
Sven De Caluwè – Vocals
Mendel Bij De Leij – Guitar
Ian Jekelis – Guitar
Ken Bedene – Drums
Stefano Franceschini – Bass

ABORTED – Facebook

Metal Allegiance – Power Drunk Majesty

Il progetto Metal Allegiance sforna un album che, aldilà dei nomi che vi partecipano, ci presenta una raccolta di brani dall’alto valore artistico, per cui ignorarlo sarebbe un vero peccato.

Come si potrebbe rimanere insensibili ad un album che vede come protagonista un supergruppo al cui interno interagiscono musicisti del calibro di Alex Skolnick, Dave Ellefson, Mike Portnoy, coadiuvati dal bassista e mastermind Mark Menghi e con una serie di ospiti al microfono da far saltare le coronarie?

Torna dunque la Metal Allegiance, dopo il debutto omonimo di tre anni fa, progetto nato da un gruppo di amiconi che si divertivano a suonare cover e che si sono ritrovati inevitabilmente a fare sul serio.
Power Drive Majesty è un disco heavy/thrash, duro come un blocco di cemento armato, suonato straordinariamente bene e valorizzato dalle urla di gente come Trevor Strnad (The Black Dahlia Murder), Mark Osegueda (Death Angel), John Bush (Armored Saint), Bobby “Blitz” Ellsworth (Overkill), Troy Sanders (Mastodon), Mark Tornillo (Accept), Johan Hegg (Amon Amarth), Max Cavalera (Soulfly) e Floor Jansen (Nightwish), unica incantevole valkiria in questo gruppo guerriero di vocalist dall’istinto predatore.
Tutti questi nomi altisonanti potrebbero condizionare il giudizio sui dieci brani, ed invero il pericolo sussiste, ma viene scongiurato da un ottimo songwriting che dà la possibilità di far rendere al meglio i musicisti ed i loro ospiti.
Il sound è compatto, di scuola americana, con la chitarra di Skolnick torturata a dovere ed il gran lavoro di Portnoy e della coppia Menghi/Ellefson precisa ed efficace sia in fase ritmica che nella produzione dell’album.
Il disco suona benissimo, i cantanti si danno il cambio su pezzi che sono cuciti loro addosso e l’operazione Power Drunk Majesty è portata così a compimento senza intoppi.
Bound By Silence con John Bush, l’epica King Of A Paper Crown con Johan Hegg, i ritmi tribali di Voodoo Of The Godsend cantata da Max Cavalera e le due parti della conclusiva title track (la prima cantate da Mark Osegueda e la seconda da Floor Jansen) sono gli episodi migliori di questo mastodontico pezzo di granito thrash metal.
Il progetto Metal Allegiance sforna un album che, aldilà dei nomi che vi partecipano, ci presenta una raccolta di brani dall’alto valore artistico, per cui ignorarlo sarebbe un vero peccato.

Tracklist
1. The Accuser (feat. Trevor Strnad)
2. Bound by Silence (feat. John Bush)
3. Mother of Sin (feat. Bobby Blitz)
4. Terminal Illusion (feat. Mark Tornillo)
5. King with a Paper Crown (feat. Johan Hegg)
6. Voodoo of the Godsend (feat. Max Cavalera)
7. Liars & Thieves (feat. Troy Sanders)
8. Impulse Control (feat. Mark Osegueda)
9. Power Drunk Majesty (Part I) (feat. Mark Osegueda)
10. Power Drunk Majesty (Part II) (feat. Floor Jansen)

Line-up
Alex Skolnick – Guitarist/Producer
Mark Menghi – Bassist/Producer
Mike Portnoy – Drums
David Ellefson – Bass

METAL ALLEGIANCE – Facebook

Infuriate – Infuriate

Un buon lavoro, diretto e senza fronzoli, una mazzata death metal old school suonata ottimamente e perfetta da portare live per un massacro promesso ed assolutamente mantenuto.

Gli Infuriate sono un gruppo estremo composto da vecchie conoscenze della scena death metal texana, provenienti da gruppi come Sarcolytic, Sect Of Execration, Images of Violence, ID and Whore Of Bethelem.

Infuriate è composto da nove brani, per mezzora di death metal tempestoso ed assolutamente old school, licenziato dalla Everlasting Spew, e segue il demo uscito un paio di anni fa.
Il sound si sviluppa su coordinate death metal tradizionali: veloce e dall’impatto devastante, l’album mette in mostra la buona tecnica esecutiva dei nostri unita all’esperienza per un risultato interessante.
Assolutamente senza compromessi fin dalle prime battute dell’opener Juggernaut Of Pestilence, Infuriate non lascia scampo tra accelerazioni vertiginose, rallentamenti e devastanti ripartenze: queste sono le armi con cui i quattro deathsters americani procurano battaglia, uno scontro sulle note delle varie Slaughter For Salvation, Only Pain Remains e Matando.
La sezione ritmica è un tornado, Alan Berryman al basso e Sterling Junkin alla batteria sono furie senza controllo, mentre Steven Watkins e Jason Garza (anche al microfono) torturano le loro sei corde che urlano dolore sia in fase ritmica che nei laceranti solos.
Ci si avvicina alla violenza del brutal in certi frangenti, accompagnata da ottime parti in cui affiora l’ottima tecnica esecutiva dei nostri, così che Infuriate riesce a convincere, compatto, estremo e marcissimo.
Un buon lavoro, diretto e senza fronzoli, una mazzata death metal old school suonata ottimamente e perfetta da portare live per un massacro promesso ed assolutamente mantenuto.

Tracklist
1.Juggernaut Of Pestilence
2. Slaughter For Salvation
3.collective Suffering
4.Engastration
5.Only Pain remains
6.Matando
7.Mori Terrae
8.Surrogate
9.Cannibalistic Gluttony

Line-up
Jason Garza – Guitar/Vocals
Steven Watkins – Guitar
Alan Berryman – Bass
Sterling Junkin – Drums

INFURIATE – Facebook

Rainbow Bridge – Lama

Secondo ottimo lavoro per i Rainbow Bridge, band che all’hard rock di matrice settantiana aggiunge blues e stoner, creando un sound avvolgente e psichedelico.

Il ponte dell’arcobaleno torna a solcare i cieli dello stivale, partendo dalla Puglia per disegnare un arco colorato di hard rock blues e stoner dal sentore vintage, tanto per ribadire alle più famose scene scandinave e statunitensi che nell’interpretare il genere ad alto livello non siamo secondi a nessuno.

I Rainbow Bridge, tornati con un nuovo album, confermano le impressioni entusiastiche lasciate con Dirty Sunday, primo lavoro uscito lo scorso anno dopo anni passati a suonare in giro come cover di Jimi Hendrix.
Non mancano le novità rispetto al primo lavoro: infatti Giuseppe JimiRay Piazzolla (chitarra e voce), Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria) inseriscono in Lama il cantato, così che l’album, pur risultando sempre una sontuosa jam blues/rock/stoner, si avvicina in qualche modo ad un ascolto più facile, anche se l’uso della voce è limitato e soggetto alla lunga ed estenuante marcia nel deserto.
Un basso stonato ci introduce in questa nuova avventura targata Rainbow Bridge, con la title track che lascia il tempo al trip di salire per poi esplodere nella testa dell’ascoltatore, ma è dalla seguente Storm che i riff si fanno più incisivi e di matrice hard rock, con la voce di Piazzolla che entra e dona al brano un’aura settantiana tra Hendrix e Led Zeppelin.
Day After Day, dai tratti psichedelici, riporta il gruppo verso lidi grunge (Alice In Chains) mantenendo un approccio zeppeliniano che ricorda l’atmosfera notturna di No Quarter, mentre con Words si fa un salto nella Sky Valley.
No More I’ll Be Back, con i suoi undici minuti, è la jam con cui i Rainbow Bridge si congedano, lasciandoci a vagare per dopo averci regalato un altro piccolo gioiello di musica pesante, psichedelica e stonerizzata quanto basta per non fare prigionieri.

Tracklist
1. Lama
2. The Storm is Over
3. Day After Day
4. Words
5. Spit Jam
6. No More I’ll be Back

Line-up
Giuseppe JimiRay Piazzolla – Guitar & vocal
Fabio Chiarazzo – Bass guitar
Paolo Ormas – drums

RAINBOW BRIDGE – Facebook

Heads For The Dead – Serpent’s Curse

Serpent’s Curse è un album dannato e bellissimo, puro male e terrore che si insinua sottopelle, un rettile infernale che ci stritola a colpi di metal estremo di altissimo livello emotivo, risultando uno dei migliori lavori dell’anno in corso.

Prendete una manciata di musicisti storici della scena underground estrema di stampo death metal, riuniteli sotto lo stesso monicker ed avrete in mano una bomba da sganciare sulle teste degli amanti del genere.

Una manciata di band che nel corso degli ultimi anni hanno dato nuova linfa al death metal classico, un gruppo di musicisti dal talento per la musica estrema di altissimo livello, ed un lavoro che sicuramente non sorprenderà chi sa con chi ha a che fare ma mieterà vittime come un virus letale.
La Transcending Obscurity licenzia il debutto degli Heads For The Dead, band composta dal duo Jonny Pettersson (Henry Kane, Wombbath, Ursinne) e Ralf Hauber (Revel In Flesh), aiutati in questo progetto da Matt Moliti (Sentient Horror), Hakan Stuvemark (Wombbath) e Erik Bevenrud (Down Among The Dead Men) in veste di ospiti speciali.
Serpent’s Curse riunisce nello stesso sound una manciata di generi per formare un muro sonoro diabolico e marcio, come una pozza dentro alla quale galleggiano da millenni i resti di necropoli dimenticate nel tempo.
Un labirinto di gallerie e cunicoli pregni di note malvagie ed atmosfere evocative, tra death metal, doom, crush e groove, mentre l’aria satura di gas mortiferi alimenta il profondo terrore che brani come la title track e le gli altri capitoli di questo Necronomicon in musica riescono ad alimentare.
Note decadenti che nell’ombra imprimono sfumature oscure in un contesto violento e brutale, con un Ralf Hauber cantore di storie horror, tra occultismo e misticismo, nascosto in una cripta dove serpenti letali danzano in mezzo al fango brulicante di vermi .
L’inferno, l’anticamera di un mondo dove il male trionfa, evocato da sacerdoti risvegliati dopo millenni e nutriti dal sangue che sgorga copioso dallo spartito di Deep Below, The Awakening e Return Of The Fathomless Darkness.
Serpent’s Curse è un album dannato e bellissimo, puro male e terrore che si insinua sottopelle, un rettile infernale che ci stritola a colpi di metal estremo di altissimo livello emotivo, risultando uno dei migliori lavori dell’anno in corso.

Tracklist
1.Serpent’s Curse
2.Heads For The Dead
3.Deep Below
4.Post Mortem Suffering
5.The Awakening
6.Death Calls
7.Of Wrath And Vengeance
8.Gate Creeper
9.Return To fathomless Darkness
10.In Darkness You Feel No Regrets (Wolfbrigade Cover)

Line-up
Ralph Hauber – Vocals, Lyrics
Jonny Pettersson – All Music And productions

HEADS FOR THE DEAD – Facebook

Albert Marshall – Speakeasy

Steve Vai e Joe Satriani sono i nomi per chi necessita di punti di riferimento e ispirazioni, ma su Speakeasy brilla soprattutto la stella di Albert Marshall e del suo talento.

La Red Cat si sta imponendo come marchio di qualità nel vasto mercato discografico odierno, specialmente per quanto riguarda i suoni classici.

Per esempio, viene sottolineata ancora una volta questa tendenza con il primo lavoro solista di Albert Marshall, intitolato Speakeasy, un concentrato di hard & heavy strumentale valorizzato dalla presenza in due brani (Fallen Angel e Tristam Fireland) della voce di Mark Boals, uno che non ha bisogno di presentazioni visto la sua militanza nella band di Malmsteen, in quella di un altro dio della sei corde come U.J.Roth e nei Ring Of Fire, tra le altre.
Il super gruppo formato da Albert Marshall non si ferma sicuramente al vocalist, ma ci regala le prove notevoli di Roberto Gualdi alla batteria (Pfm, Vecchioni, Glenn Hughes) e Simon Dredo al basso (L.A Rox, Alex De Rosso, Adam Bomb).
Speakeasy, con queste premesse, non poteva che uscirne vincitore e cosi è: l’album gode di uno splendido songwriting, con il chitarrista che giganteggia con la sua chitarra assecondato da una band di livello internazionale.
I due brani cantati da Mark Boals sono quelli che, ad un primo ascolto, esplodono letteralmente nelle nostre orecchie, ma Re Marzapane e Ramshackle Blues sono i capolavori strumentali del disco, letteralmente sfolgoranti per perizia tecnica e presa diretta sull’ascoltatore.
Steve Vai e Joe Satriani sono i nomi per chi necessita di punti di riferimento e ispirazioni, ma su Speakeasy brilla soprattutto la stella di Albert Marshall e del suo talento.

Tracklist
1.Butler’s Revenge
2.Badlands
3.Fallen Angel
4.Re Marzapane
5.Dreamlover
6.Tristam Fireland
7.Ramshackle Blues
8.Eclipse (White Horse)

Line-up
Albert Marshall – Guitars
Simon Dredo – Bass
Denzy Novello – Drums
Mark Boals – Vocals
Roberto Gualdi – Drums

ALBERT MARSHALL – Facebook

Silver P – Silver P

Un ottimo esordio che offre anche la possibilità di conoscere nuovi talentuosi musicisti itlaiani alle prese con un genere immortale come l’heavy metal classico.

Silver P è il monicker che campeggia sull’esordio omonimo del chitarrista e compositore Pugnale, al secolo Roberto Colombini, il quale, con l’aiuto del talentuoso vocalist Alex Jarusso, del bassista Alessandro Colla e del batterista Antonio Inserillo, offre una quarantina minuti di heavy metal tra classico e moderno.

I nove brani sottolineano in principio la bravura compositiva del nostro, così che Silver P risulti un ottimo album di heavy metal inserito perfettamente nel nuovo millennio.
Jarusso ci mette del suo per lasciare a bocca aperta anche l’ascoltatore più distratto, con una prova non solo gagliarda, ma soprattutto elegante ed in linea con quanto suonato dal gruppo, un perfetto ensemble di heavy/thrash metal di matrice statunitense, valorizzato da melodie di presa immediata tra Iron Maiden, Iced Earth e Fates Warning nelle parti più ragionevolmente progressive.
Di metal americano si tratta, quindi nelle varie Road To Hell, The Net e Out Of This World troverete quelle peculiarità che fanno dell’album un esempio riuscito del genere, incastonato nel nuovo millennio ed assolutamente in grado di farsi spazio grazie ai colpi proibiti delle dirette Fields Of War e I8.
Un ottimo esordio che offre anche la possibilità di conoscere nuovi talentuosi musicisti italiani alle prese con un genere immortale come l’heavy metal classico.

Tracklist
1.The Deep Breath Before The Plunge
2.Fields Of War
3.Road To Hell
4.Memories
5.The Net
6.A Shade In Light
7.Out Of This World
8.I8
9.Straight At The Heart

Line-up
Colombini Roberto Pugnale – Guitars
Alex Jarusso – Vocals
Alessandro Cola – Bass
Antonio Inserillo – Drums

SILVER P – Facebook

Krisiun – Scourge of the Enthroned

I Krisiun non deludono le aspettative e ci consegnano l’ennesimo devastante lavoro, confermandosi quale punto fermo di un certo modo di fare metal estremo.

Tornano con un nuovo lavoro i brasiliani Krisiun, una delle più importanti metal band verde oro, almeno per quanto riguarda i suoni estremi.

Lo storico trio arriva all’undicesimo lavoro di una carriera iniziata nel 1990, periodo in cui il genere ha avuto il suo momento d’oro sia in termini di popolarità che di sviluppo.
La band ha quindi continuato a sfornare opere estreme con buona costanza per quasi trent’anni e questo nuovo album, intitolato Scourge of the Enthroned, la conferma come garanzia di continuità per gli amanti dei suoni death metal tradizionali, con otto brani per quasi quaranta minuti di assalto sonoro alla Krisiun, con Alex Camargo, Max Kolesne e Moyses Kolesne a dettare le regole di un sound a suo modo riconoscibile.
La title track apre l’album, facendo capire che le ritmiche tambureggianti, la chitarra che si staglia melodica ed epica su una struttura tellurica, l’assalto senza soluzione di continuità sono ancora i punti fermi del suono Krisiun anche nel 2018, magari senza picchi assoluti, ma comunque in grado di soddisfare i fans che segue la band da anni, così come quelli dell’ultima ora.
Prodotto da Andy Classen, Scourge of the Enthroned ha nel suo approccio diretto un’arma micidiale: la band spara otto mitragliate senza soluzione di continuità mirando al cuore dell’ascoltatore maciullato dai colpi inferti da Demonic III, Whirlwind Of Immortality e A Thousand Graves.
I Krisiun non deludono le aspettative e ci consegnano l’ennesimo devastante lavoro, confermandosi quale punto fermo di un certo modo di fare metal estremo.

Tracklist
1. Scourge of the Enthroned
2. Demonic III
3. Devouring Faith
4. Slay the Prophet
5. A Thousand Graves
6. Electricide
7. Abysmal Misery (Foretold Destiny)
8. Whirlwind of Immortality

Line-up
Alex Camargo – Vocals / Bass
Moyses Kolesne – Guitar
Max Kolesne – Drums

KRISIUN – Facebook

The Creptter Children – Asleep With Your Devil

Asleep With Your Devil ci presenta una manciata di brani piacevoli: la band appare più a suo agio quando indurisce i suoni, e questa è la strada da seguire in previsione di un futuro full length per viaggiare sicura tra le notturne vie del gothic metal.

I The Creppter Children sono un duo proveniente da Melbourne, attivo dal 2006 e con un full length all’attivo uscito tre anni dopo (Possessed), formato dalla cantante Iballa Chantelle e da Nator Creppter, chitarrista alle prese anche con synth e batteria programmata.

Asleep With Your Devil è il loro nuovo lavoro in formato ep, composto da cinque brani di rock melodico dalle tinte dark, con accenni al gothic metal da balera, pregno di chorus ruffiani e qualche nota chitarristica che, ogni tanto, assume posizioni più metalliche rispetto al trend dei brani presenti.
Sintetico e liquido in molti frangenti, il sound dei The Creppter Children pesca dal movimento gotico con un tocco alternative di matrice statunitense, specialmente quando i toni si fanno leggermente più duri (Killer, Watching You).
Il resto viaggia con il pilota automatico, Iballa Chantelle a tratti signora dark dai toni lascivi lascia la sua sensuale impronta nella conclusiva Watching You, il brano più riuscito di questo mini cd, con ritmiche e synth che strizzano l’occhio al black metal sinfonico per poi tornare su lidi più moderni e cool.
Asleep With Your Devil ci presenta quindi una manciata di brani piacevoli: la band appare più a suo agio quando indurisce i suoni, e questa è la strada da seguire in previsione di un futuro full length per viaggiare sicura tra le notturne vie del gothic metal.

Tracklist
1.Asleep With Your Devil
2.Crazy
3.It’s A Game
4.Killer
5.Watching You

Line-up
Iballa Chantelle – Vocals
Nator Creppter – Guitars, Synth, Drums programming

THE CREPTTER CHILDREN – Facebook

Blaze Bayley – The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III

Se siete estimatori del vocalist, l’album è 100% Bayley e quindi The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III non vi deluderà, ma se l’artista non è mai riuscito ad entrare nelle vostre corde non credo che ciò possa accadere grazie a questo nuovo lavoro.

Diciamolo francamente: se a Steve Harris non fosse venuto in mente di metterlo dietro al microfono della vergine di ferro, di Blaze Bayley se ne parlerebbe poco, e solo a livello underground; invece, i due album con gli Iron Maiden, che non per colpa sua sono sicuramente i punti più bassi della loro discografia, hanno per assurdo dato l’immortalità artistica al cantante britannico, per molti solo vittima di scelte quantomeno azzardate, per altri semplicemente cantante di livello medio basso.

La trilogia a sfondo fantascientifico, iniziata qualche hanno fa con l’album Infinite Entanglement e proseguita con Endure Or Survive, arriva al suo epilogo con questo ultimo lavoro, The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III, un lavoro discreto, senza grossi picchi, ma che, solo per le buone ‘intenzione e la costanza con la quale il cantante britannico ci si è dedicato, va sicuramente premiato.
Molti ospiti fanno al sua apparizione all’interno dell’opera, tra questi vanno ricordati Chris Jericho dei Fozzy ed il bassista Luke Appleton degli Iced Earth, così che The Redemption Of William Black prende le sembianze di un’opera a tutto tondo.
Il sound è quello solito, heavy metal old school di matrice maideniana, venato di hard rock, duro e puro ed assolutamente convenzionale: una formula che non passerebbe l’esame se invece di Blaze Bayley come monicker ci fosse quello di una qualsiasi band alle prime armi.
L’album è onesto ed in linea con quanto ci si può aspettare dal vocalist, ma è troppo poco per andare oltre ad una abbondante sufficienza, strappata con le unghie per un paio di brani interessanti come la maideniana Redeemer e la più diretta The Dark Side Of Black.
Se siete estimatori del vocalist, l’album è 100% Bayley e quindi The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III non vi deluderà, ma se l’artista non è mai riuscito ad entrare nelle vostre corde non credo che ciò possa accadere grazie a questo nuovo lavoro.

Tracklist
01. Redeemer
02. Are You Here
03. Immortal One
04. The First True Sign
05. Human Eyes
06. Prayers Of Light
07. 18 Days
08. Already Won
09. Life Goes On
10. The Dark Side Of Black
11. Eagle Spirit

Line-up
Blaze Bayley – Vocals
Chris Appleton – Guitars
Martin McNee – Drums
Karl Schramm – Bass

BLAZE BAILEY – Facebook

The Outsider – The Outsider

The Outsider ha nelle parti folk il vero punto di forza, mentre il death metal melodico che struttura il sound risulta abbastanza anonimo.

The Outsider è una one man band proveniente dal Messico e attiva da un paio d’anni.

Partendo da questo debutto omonimo, il polistrumentista che dà il nome al gruppo ha dato vita in due anni a due full lenght, con il secondo uscito lo scorso anno ed intitolato Orchestral Renditions from the Unknown.
Il 2018 ha portato un nuovo ep (Ancient Beast of the Apocalypse) e la riproposizione del primo album, un buon esempio di death metal sinfonico, ispirato in molte parti alla musica popolare del paese di origine ed attraversato da melodie che creano suggestive atmosfere symphonic/folk.
Il musicista messicano si fa aiutare da una serie di ospiti come Nalle Påhlsson eThomas Vikström dei Therion, Antony Hämäläinen, Joey Concepcion e Rick Loera che ha registrato, mixato e masterizzato l’album, che presenta un death metal sinfonico con ancora molti dettagli da limare, ma in gradi di suscitare interesse negli amanti del genere: The Outsider ha nelle parti folk il vero punto di forza, mentre la componente più estrema che struttura il sound risulta abbastanza anonima.
E’ ottimo il growl, vario ed interpretativo, e spiccano un paio di brani (The Invocation e la progressiva The Worst Comes At Night) per una cinquantina di minuti persi nei meandri di un death metal che lascia alle sinfonie il compito di trascinare l’ascoltatore in un mondo lontano, tra incedere metallico e arabeggianti rimandi folk.
The Outsider appare così un lavoro discreto: nel genere si trova sicuramente di meglio, ma la strada è lunga ed il musicista messicano sembra assolutamente pronto alla sfida.

Tracklist
1.The Outsider
2.The Introduction
3.The Invocation
4.Carnage of the Gods
5.My Grave
6.The Race That Failed
7.Ancient Beast of the Apocalypse
8.The Worst Comes at Night
9.Under the Pyramids

Line-up
The Outsider – All instruments, Vocals

THE OUTSIDER – Facebook

Autotheism – Dogma Sculptured In The Flesh

Quello degli Autotheism è un progetto che farà sicuramente parlare di sé in futuro, se amate il death metal tradizionale ricamato con perizia tecnica attorno ad un concept maturo, Dogma Sculptured In The Flesh è assolutamente consigliato.

Nella scena estrema nazionale il death metal tradizionale ha regalato ultimamente grosse soddisfazioni ai fans, sia per quanto riguarda le nuove uscite dei gruppi storici, sia per le nuove leve, sputate fuori da covate malefiche nascoste nell’underground su e giù per la penisola.

Gli Autotheism sono un progetto nato nel 2016 nel quale suonano membri provenienti da altre realtà della scena come (EchO), Quantum Hierarchy (di cui vi abbiamo parlato pochi mesi fa in occasione dell’uscita del loro lavoro, Neutron Breed) ed Atomic Factory.
Dopo un primo ep uscito lo scorso anno (Hives MMXVII) arriva ora questo nuovo lavoro, sviluppato lungo un unico brano di diciassette minuti, che tratta della decadenza dell’umanità a livello filosofico e morale.
Il concept è impegnativo così come il sound, un death metal molto tecnico impreziosito da parti atmosferiche che portano verso lidi post metal e progressivi, con sfumature di tragico ed oscuro metal estremo, violento e drammatico.
La band si muove tra partiture rabbiose ma tecnicamente ineccepibili e le parti più dirette del sound lasciano ad accelerazioni devastanti o a sfumature più pacate il compito di variare un sound che in così risulta molto coinvolgente.
Il growl è un urlo animalesco di livore verso questo senso di disfacimento, mentre parti doom/death a metà del brano lasciano poi spazio al finale che torna tellurico come nella sua prima metà.
Quello degli Autotheism è un progetto che farà sicuramente parlare di sé in futuro, se amate il death metal tradizionale ricamato con perizia tecnica attorno ad un concept maturo, Dogma Sculptured In The Flesh è assolutamente consigliato.

Tracklist
1.Dogma Sculptured In The Flesh

Line-up
P. – Vocals
R. – Guitars
L. – Bass
N. – Drums

AUTOTHEISM – Facebook

Dischordia – Binge/Purge

Caotico e completamente fuori da schemi prefissati, il sound dei Dischordia è volutamente estremo fino al parossismo, il che per il gruppo vuol dire accavallare note su note, decine di cambi di tempo e dissonanze che a tratti sembrano non fermarsi più.

I Dischordia sono un terzetto dell’Oklahoma che del brutal death metal, tecnico e progressivo, ne ha fatto una missione dal 2010, anno di inizio attività che ha visto la band licenziare due full length e tre ep di cui questo Binge/Purge risulta l’ultimo delirio sonoro.

Caotico e completamente fuori da schemi prefissati, il sound dei Dischordia è volutamente estremo fino al parossismo, il che per il gruppo vuol dire accavallare note su note, decine di cambi di tempo e dissonanze che a tratti sembrano non fermarsi più.
Disturbante, tecnicamente ineccepibile ma fuorviante se non seguito con la giusta dose di concentrazione, l’ep inizia la sua devastante distruzione di spartiti con Binge, un assalto sonoro di matrice old school che non segue una linea precisa ma ci investe con un twister di suoni violentissimi, mentre più lineare e cadenzata risulta Purge, che a tratti ricorda le parti più tecniche di Morbid Angel ed Hate Eternal in un contesto progressivo e brutale.
Di non facile assimilazione, le due tracce hanno nella durata che supera abbondantemente i dieci minuti l’ennesimo elemento per garantire un ascolto sicuramente impegnativo per chi si avvicina alla musica dei Dischordia.
Album sperimentale e di non facile assimilazione anche per chi non è nuovo a questo genere, Binge/Purge si archivia come opera rivolta ad un audience piuttosto ristretta.

Tracklist
1.Binge
2.Purge

Line-up
Keeno – Vocals, Guitars, Ukulele
Josh Fallin – Guitars, Drums, Piano
Josh Turner – Bass, Marimba, Flute

DISCHORDIA – Facebook