Psychedelic Witchcraft – Black Magic Man

Questo 10″ è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.

Un salto indietro nel tempo, un disco di razza per una grande cantante ed un gruppo molto valido.

Le atmosfere sono quelle rarefatte e fumose degli anni settanta, con un doom rock in stile Jex Thoth, ma con un’anima maggiormente aperta allo spettro di quegli anni.
Non è un’operazione vintage, ma l’espressione di una grande cultura musicale unita ad una passione fuori dal comune, che è quella di Virginia Monti, giovane donna che sa molto ciò che vuole, e ci porta per mano in un immaginario pagano che è assai più vero e calzante di quello che ci viene propinato ogni giorno.
Questo 10” è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.
La produzione rende pienamente merito a questo disco che è senz’altro l’inizio di una grande carriera. Non si può non rimanere impressionati dalla potenzialità di Virginia e del suo gruppo, che sembrano già consumati veterani.
Black Magic Man non ha bisogno di essere gridato o suonato a mille, ha soltanto un vitale bisogno di girare sul vostro giradischi, mentre interrompete lo stupro perpetrato ai vostri danni dalla vita moderna e vi lasciate guidare da Virginia.
Non ci saranno difficoltà ad immergersi in un piacevole liquido, dove il femmineo la farà da padrone, come è giusto che sia, riportando a casa ciò che è nostro e che ci è stato negato da almeno duemila anni.
Bello, piacevole ed è un ep che uscirà questa estate.

Tracklist:
1 Angela
2 Lying on Iron
3 Black Magic Man
4 Slave of Grief

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Defallen Prophecy – Death, Hate, Love, Life

Per gli amanti del genere, “Death, Hate, Love, Life” può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta

Dura di questi tempi parlare di metalcore: il genere è inflazionato, inutile girarci attorno, meno male che, nella valanga di band che si affacciano sulla scena più cool del momento, emergono realtà di un certo spessore.
Così vien da sé che buoni brani, groove a manetta e melodie azzeccate possano fare la differenza.

Basta questo per uscire allo scoperto e riuscire a portare il proprio prodotto all’attenzione dei fans?
Direi di si, anche se chiaramente non si può pretendere l’originalità, specialmente da un combo giovane e al debutto come i nostrani Defallen Prophecy, ma il buon songwriting e quattro brani che, pur non uscendo dai canoni del genere, dimostrano buona padronanza dei mezzi ed impatto notevole, sono già una garanzia di successo nei confronti degli amanti del metal più moderno.
In effetti gli standard del genere ci sono tutti e messi ben in evidenza, partendo dall’opener Panta Rei, muro sonoro colmo di groove, vocione estremo che si scontra con le clean, violenza controllata ma potente e melodie che si alternano, come il sound descritto esige dai suoi adepti.
Vero è che almeno due brani sono ottimi, Heartbreak (ripresa in versione remix alla fine del lavoro) e la veloce e devastante Rising Hope, dove le clean vocals si riprendono la rivincita con l’ottima melodia del refrain.
Per gli amanti del genere, Death, Hate, Love, Life può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta, prima che il music biz decida che non è più tempo per il metalcore e questi suoni vengano chiusi in quello stesso cassetto dove giace già da un po’ il nu metal: chi vivrà vedrà.

Track List:
1. Panta-Rei
2. The Invisible Cage
3. Heartbreak
4. Rising Hope
5. Heartbreak (Remix)

Line-up:
Lorenzo Carnevali – vocal
Alessandro Carati – bass, vocal
Francesco Oliva – guitar
Andrea Carnevali – guitar
Luca Impellizzeri – drum

DEFALLEN PRPHECY – Facebook

Salems Lott – Salems Lott

Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80

Los Angeles, California: tra le sfuriate estreme, il metalcore imperante e l’alternative rock, che in America è pane per adolescenti, c’è chi continua a portare alta e fiera la bandiera del metal ottantiano, tra glam, street e metal teatrale, infarcito di richiami alle band leggendarie del metal statunitense come Wasp e Lizzy Borden, senza dimenticare chi questo genere lo ha inventato, Alice Cooper, sempre troppo poco osannato per quello che poi, nella sua lunga carriera, ha regalato alla nostra musica preferita.

Questo ottimo Ep omonimo porta la firma dei Salems Lott, band nata nel 2013 ad Hollywood: quattro musicisti dal look variopinto, tra glam e horror/punk, che fregandosene delle mode si gettano nel calderone della scena metal della città degli angeli con il loro Visible Sonic Shock, molto teatrale in sede live ma comunque ottimo anche musicalmente.
Tutto il mondo Salems Lott gira intorno al cantante e chitarrista Monroe Black, dall’approccio aggressivo al microfono (la sua voce a tratti rimanda al thrash) e bravissimo con la sei corde, che spettacolarizza brani, dall’ottimo impatto, aiutato dall’altro bravissimo axeman Jett e aggiungendo alle influenze descritte ritmiche veloci, a tratti furiose, dove la voce al vetriolo avvicina non poco la band allo speed/thrash.
Tra riff esplosivi, solos da guitar hero, melodie ben inserite in un contesto che mantiene sempre altissima la tensione, l’assalto metallico del gruppo rimane per tutta la durata dell’album di ottima fattura; Wings Of Duress e No Choice To Love, danno il benvenuto nel mondo dei Salems Lott, anche se Smoke And Mirrors fa balzare sulla sedia: le velocità aumenta, l’anthem richiama generi più estremi e le due chitarre piazzano assoli taglienti come una lama alla gola.
Si torna a rocckare tra lustrini e pailettes con Black Magic, anche se sempre in un contesto oscuro, per arrivare alla canzone più smaccatamente thrash del lotto, S.S. (Sonic Shock), che aggredisce alla grande, mettendo in luce la sezione ritmica indiavolata composta da Kay al basso e Tony F. Corpse alle pelli.
Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80: il sottoscritto consiglia l’ascolto anche ai thrashers di larghe vedute, che troveranno di che crogiolarsi tra le tracce di Salems Lott.

Tracklist:
1. Wings of Duress
2. No Choice to Love
3. Smoke and Mirrors
4. Atlas
5. Black Magic
6. S.S. (Sonic Shock)
7. Twilight Traverse

Line-up:
Monroe Black – Lead Vocals, Lead Guitar
Jett – Lead Guitar, Vocals
Kay – Lead Bass, Vocals
Tony F. Corpse – Drums

SALEMS LOTT – Facebook

VV.AA. – Sed Auis

Stuzzicante split proposto dalla SixSixSix, che propone tre progetti solisti dediti al black metal ma con approcci piuttosto differenti.

Stuzzicante split proposto dalla SixSixSix, che propone tre progetti solisti dediti al black metal ma con approcci piuttosto differenti.

I primi due brani vedono all’opera i Nebel Über Den Urnenfeldern del tedesco C.: con il suo progetto di nascita recentissima il musicista della Bassa Sassonia si cimenta con uno stile non lontano dal depressive che, nonostante qualche imperfezione tecnica, denota una spiccata capacità di tessere melodie di qualità e soprattutto poco scontate.
Nelle sue dichiarazioni di intenti C. intende riprodurre le sonorità dei primi Nocte Obducta: come detto, dal punto di vista melodico/evocativo la strada è sicuramente quella giusta, c’è sicuramente da lavorare ancora un po’ sulla pulizia del suono, ma i due brani, Asche über dem Leidensweg (specialmentee Ein Riss im ewigen Kreis, possono sicuramente soddisfare chi nel genere cerca più i contenuti che non la forma.
La seconda coppia di tracce è appannaggio del cileno Tons con i suoi Eternal Spell: anche qui trattasi di un progetto dalla genesi molto recente, per cui i margini di miglioramento sono ovviamente molti.
In questo caso il black del musicista sudamericano prende le mosse dal black’n’roll in stile ultimi Darkthrone, nel quale affiorano anche diversi elementi punk, inclusi certi passaggi vocali. Come spesso accade per questo particolare sottogenere i brani scorrono via piacevoli ma senza lasciare un segno tangibile, all’insegna del palla lunga e pedalare che lì per lì non annoia ma che, alla lunga, lascia poche tracce nella memoria.
Gli ultimi due brani riportano su un altro livello il lavoro, trattandosi del contributo allo split dei Chiral, progetto dell’omonimo musicista italiano che abbiamo già avuto modo di conoscere in occasione delle sue ottime precedenti uscite.
Il fatto stesso che il nostro, rispetto ai compagni di avventura, abbia già alle spalle una discografia più rilevante, si sente nello sviluppo delle due tracce, Queste Voci Ch’Eclissano La Luce I e II, che mettono in mostra un black metal atmosferico di elevata qualità e maturità.
Il primo brano è pressoché perfetto nel suo bilanciamento tra aggressione e melodia, rivelandosi un ulteriore passo avanti nella progressione artistica di Chiral, mentre il secondo si muove inizialmente in maniera un po’ sghemba, ma il suo affascinante incedere al quale contribuisce una suono di chitarra piuttosto inusuale per il black (a tratti sembra provenire da ipotetiche session di “Pornography”, tanto per capirci …) lo rende alla fine soddisfacente quanto il precedente.
Lo split si rivela quindi ricco di spunti di interesse, con la piacevole conferma sui alti livelli dei Chiral, le notevoli potenzialità ancora da sgrezzare per i Nebel Über Den Urnenfeldern e l’auspicio della ricerca di una strada leggermente più personale per gli Eternal Spell.

Tracklist:
1. Nebel Über Den Urnenfeldern – Asche über dem Leidensweg
2. Nebel Über Den Urnenfeldern – Ein Riss im ewigen Kreis
3. Eternal Spell – Black Mysticism
4. Eternal Spell – Forces of Occult
5. Chiral – Queste Voci Ch’Eclissano La Luce I
6. Chiral – Queste Voci Ch’Eclissano La Luce II

Line-up:
Nebel Über Den Urnenfeldern
C. – All Instruments, Vocals

Eternal Spell
Tons – All Instruments, Vocals

Chiral
Chiral – All Instruments, Vocals

NEBEL UBER DER URNENFELDERN – Facebook

CHIRAL – Facebook

Dementia Senex / Sedna – Deprived

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Dementia Senex e Sedna, band entrambe di stanza a Cesena, si sono già messe in luce nel recente passato con ottime prove: i primi con l’ep “Heartworm” del 2013, i secondi con l’album omonimo dello scorso anno che è stato considerato da gran parte della critica come uno dei migliori lavori in assoluto del 2014.
I due brani presenti nello split sono stati incisi entrambi lo scorso anno ma, mentre per i Dementia Senex si tratta di una nuova produzione successiva allo scorso Ep, per i Sedna bisogna risalire a qualche settimana prima dell’inizio delle registrazioni dell’album; inevitabilmente ciò comporta per i primi una sostanziale evoluzione rispetto a quanto prodotto in precedenza, mentre per i secondi resta ben impresso il sound che poi sarebbe confluito nel lavoro su lunga distanza.
Indubbiamente i Dementia Senex denotano una rabbia veicolata in maniera più diretta, pur senza trascurare la componente melodica, nell’ambito di una traccia come Blue Dusk che sembra spostare comunque l’asse compositiva verso un sound meno aspro, mentre l’approccio dei Sedna, che affonda maggiormente le proprie radici in una forma molto personale di black metal impastato dallo sludge e da ampie sfumature post hardcore, anche con Red Shift  si dimostra in qualche modo più avvolgente pur essendo piuttosto contiguo a quello dei compagni di split.
In entrambi i casi la manipolazione della materia è di primissima qualità in maniera tale che, forse, mai prima d’oggi le due band concittadine si sono trovate così vicine anche dal punto di vista stilistico; in tal senso, se non si può fare a meno di constatare quanto l’intensità mostrata dai Sedna sia qualcosa difficilmente avvicinabile per chi si cimenta in questo genere musicale.
Nonostante ciò i Dementia Senex non escono certo ridimensionati dall’arduo confronto, confermando e rafforzando le doti messe in mostra all’epoca di “Heartworm”; va rimarcato però, a tale proposito, che dopo l’uscita dello split la band ha dovuto subire la defezione del vocalist Cristian Franchini e questo potrebbe intralciarne momentaneamente la progressione.
Detti ciò, Deprived è un uscita di pregio che riporta l’attenzione su due band destinate a dare ulteriore lustro alla scena metal nazionale.

Tracklist:
1. Dementia Senex – Blue Dusk
2. Sedna – Red Shift

Dementia Senex
Mattia Bagnolini – Drums
Cristian Franchini – Vocals
Filippo Merloni – Guitars
Marco Righetti – Guitars
Gianmaria Mustillo – Bass

Sedna
Mattia Zoffoli – Drums
Elyza Baphomet – Vocals, Bass
Alex Crisafulli – Vocals, Guitars

DEMENTIA SENEX – Facebook

SEDNA – Facebook

Dormant Inferno / Dionysus – Beyond Forgotten Shores

Davvero convincente questo split album che vede coinvolte due band asiatiche, gli indiani Dormant Inferno ed i pakistani Dionysus.

Davvero convincente questo split album che vede coinvolte due band asiatiche: gli indiani Dormant Inferno e i pakistani Dionysus: due realtà giovani e dalle enormi potenzialità, per di più piuttosto diverse tra loro nonostante vengano inserite entrambe nella famiglia death-doom.

Francamente sono rimasto molto impressionato dai Dormant Inferno, band che ha all’attivo un Ep (“In Sanity”) risalente al 2011; il trio di Mumbai è autore di una prova magnifica, con il picco rinvenibile nella seconda traccia Deliverance, dove viene esibita un’interpretazione del genere trascinate, melodica, ottimamente eseguita e arricchita da una versatile interpretazione vocale. Notevoli anche l’iniziale Veil of Lunacy e la perfetta rielaborazione di A Once Holy Throne, cover dei maestri statunitensi Incantation.
I pakistani Dionysius, reduci dall’Ep del 2012 “A Hymn to the Dying”, vengono parzialmente penalizzati da una produzione non all’altezza di quella che ha gratificato non poco l’operato dei compagni di split: il loro sound, però, sembrerebbe più riconducibile ad un black/death melodico alla Children Of Bodom, sia per le ritmiche più sostenute sia per lo stesso screaming del vocalist riconducibile allo stile di Alexis Laihio.
I due brani proposti, Beneath the Skies of War e Rain, sono comunque abrasivi il giusto e mettono in mostra una band preparata e dalle idee molto chiare, con l’aggiunta di una naturale predisposizione per soluzioni sonore catchy e di grande efficacia.
In sintesi: i Dormant Inferno hanno, a mio avviso, tutti i numeri per esplodere fragorosamente alla prossima occasione, mentre dai Dionysus mi aspetto quell’ulteriore salto di qualità necessario per emergere un contesto molto più affollato come quello relativo al genere da loro proposto.
Peraltro il lavoro è disponibile anche in versione limitata con un bonus CD contenente i precedenti lavori di entrambe le band: un’ottima occasione per ascoltare qualche minuto in più di buona musica e di verificare, dati alla mano, il grado di maturazione mostrato dai due gruppi nel corso di questi ultimi anni.

Tracklist:
1. Dormant Inferno – Veil of Lunacy
2. Dormant Inferno – Deliverance
3. Dormant Inferno – A Once Holy Throne (Incantation)
4. Dionysus – Beneath the Skies of War
5. Dionysus – Rain

Line-up:
Dormant Inferno:
Gautam Shankar – Vocals
Sunny Bhambri – Guitars, Bass
Lenin Kharat – Keyboards

Dionysus:
Sheraz Ahmed – Guitar, Drums
Umair Ahmed – Guitar
Waleed Ahmed – Vocals, Bass, Acoustic Guitar

DORMANT INFERNO – Facebook

DIONYSUS – Facebook

Sinatras – Six Sexy Songs

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove

Riuniti sotto la bandiera del death’n’roll, cinque musicisti nostrani assemblati dal chitarrista Emanuele Zilio (Strange Corner) debuttano con questo ottimo ep , disponibile gratuitamente in download sul sito del gruppo.

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove, trascinante e sacrificato sull’altare del puro massacro on stage.
La band nostrana, con l’esperienza accumulata dai protagonisti, da parecchi anni sulla scena metallica, sa come far sanguinare strumenti e padiglioni auricolari: il loro metal estremo diverte e sconquassa, macinando riff su riff, tra tradizione death ed un’attitudine rock’n’roll che deborda dalle canzoni come un fiume di note, rompendo gli argini sotto un’alluvione di watt e invade e trascinando con sé i fan di queste sonorità i quali, per salvarsi, dovranno compiere un’impresa.
Le ritmiche colme di groove, molto cool di questi tempi, sono l’arma in più del combo che, sommato al death dei maestri Entombed dell’epocale “Wolverine Blues” e a un sound panterizzato e a tratti stonerizzato, rendono brani come Contamination, Sunshine e The Game assolutamente devastanti.
Sulla ottima Franck Is Back compare qualche accenno core nei suoni di chitarra e nel ritornello, mente il resto delle tracce sballotta l’ascoltatore tra il death scandinavo ed il metal statunitense.
La band a livello tecnico non offre il fianco a critiche, partendo dall’ottima prova del singer Fla, sul pezzo sia nel growl sia nelle clean vocals comunque sempre robuste e di impatto; la sezione ritmica si dimostra un motore a pieni giri (Lispio al basso e Jenny B. alle pelli) ed enorme risulta il lavoro delle due asce (Minkio e Lele), tra ritmiche forsennate e solos di dirompente impatto hard & heavy .
L’ep, immesso sul mercato per sondare il terreno prima di un futuro full length, dimostra tutte le ottime potenzialità della band nostrana, dunque l’ascolto è consigliato agli amanti del genere; il download gratuito è una mossa azzeccata da parte del gruppo, quindi, senza indugi, fatevi travolgere da questi sei brani sexy, non ve ne pentirete.

Tracklist:
1. Contamination
2. Frank Is Back
3. Sunshine
4. The Game
5. W.A.F.S.
6. All Or Nothing

Line-up:
Lele Sinatra – Chitarra
Fla Sinatra – Voce
Lispio Sinatra – Basso
Minkio Sinatra – Chitarra
Jenny B. Sinatra – Batteria

SINATRAS – Facebook

Profanity – Hatred Hell Within

Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Band estrema con la quale vale la pena far conoscenza sono i tedeschi Profanity, dediti ad un death metal tecnico di ottima fattura: Hatred Hell Within è un Ep di tre brani, uscito sul finire dello scorso anno (dicembre) per cui relativamente fresco di stampa.

Il gruppo di Augsburg ha festeggiato lo scorso anno i vent’anni dalla nascita, perciò chiaramente non stiamo parlando di novellini della scena estrema germanica: il suo percorso musicale si è interrotto per una dozzina d’anni tra il 2002 e il 2014, ma nella seconda metà degli anni novanta le uscite discografiche avevano mantenuto un buon ritmo fino al 2000, con l’uscita di demo, split e dei due full length “Shadow’s To Fall” del 1997 e l’ultimo “Slaughtering Thoughts” ad inizio millennio.
Quindi i Profanity si rifanno vivi per devastare padiglioni auricolari, con il loro death metal molto tecnico, gioia per i fan del metal estremo, impreziosito da velocissimi cambi di tempo, scale e funambolismi vari, il tutto mantenendo una notevole violenza di fondo grazie all’esperienza di chi il genere lo mastica da un bel po’.
Il trio è composto da una sezione ritmica mastodontica, composta da Daniel Unzner al basso e Armin Hassmann alle pelli, fenomenale nel mantenere elevato il muro sonoro del sound, su cui spicca il sontuoso axeman e belluino vocalist Thomas Sartor, , protagonista indiscusso di questi tre brani dall’impatto brutale ma magnificamente eseguiti.
Il classico pelo nell’uovo sta nello specchiarsi troppo del buon Sartor, bravissimo ma spesso cervellotico ed intricatissimo nelle sue parti, il che rischia spesso di far perdere fruibilità alle cavalcate estreme del gruppo, che di conseguenza, lasciano per strada un po’ dell’impatto prodotto dal loro sound.
Niente di imperdonabile, d’altronde il genere suonato ha tra i fan molti amanti della pura tecnica che troveranno di che crogiolarsi nei virtuosismi del leader e dei suoi compari.
Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Tracklist:
1. Melting
2. I Am Your Soul (You Made Me Flesh)
3. Hatred Hell Within

Line-up:
Thomas Sartor – vocals and guitars
Daniel Unzner- bass
Armin Hassmann – drums

PROFANITY – Facebook

Evadne – Dethroned Of Light

Mezz’ora di musica di ottima fattura che, per assurdo, non placa ma rende ancor più impellente il desiderio di ascoltare un nuovo full length da parte degli Evadne.

Dopo un album splendido come “The Shortest Way” non si vedeva davvero l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo da parte degli Evadne: con questo Ep intitolato Dethroned Of Light, la band valenciana esaudisce solo in parte questo desiderio.

Infatti, tra le quattro tracce proposte, l’unica inedita è quella d’apertura, Colossal, e mai come in questa caso il titolo appare calzante: atmosfere drammatiche e melodie struggenti ci riportano al death-doom nelle sue espressioni più alte, andando a scomodare i Swallow The Sun più ispirati (quelli di “The Morning Never Came”, per interderci).
Dopo questo brano, che dimostra l’ottimo stato di salute dei nostri dal punto di visto compositivo, il resto del lavoro viene dedicato alla rielaborazione di brani già editi, uno per ciascuna delle precedenti uscite: The Wanderer era la malinconica traccia strumentale presente in “The Shortest Way”, la novità risiede nel fatto certo non marginale che qui vengono aggiunte le vocals, andando a completare nella maniera migliore un brano al quale mancava appunto il growl di Albert Conejero per assurgere allo stato di ennesima perla scaturita dalle mani degli Evadne.
Awaiting riprende i toni più gothicheggianti di “The 13th Condition”, ma è indubbio che questa versione appaia molto più adeguata al sound attuale della band iberica che qui, tra l’altro, si avvale del contributo vocale di Natalie Koskinen, voce femminile dei seminali Shape Of Despair, dei quali attendiamo sempre speranzosi un seguito ad “Illusion’s Play” pubblicato nel lontano 2004; risale allo stesso anno la prima uscita degli Evadne, con il demo “In the Bitterness of Our Souls”, dal quale viene tratta la traccia di chiusura dell’Ep, Bleak Rememberance, resa in maniera tale da non mostrare alcuna ruga essendo del tutto all’altezza, in questa sua nuova veste, della produzione più recente.
Mezz’ora di musica di ottima fattura che, per assurdo, non placa ma rende ancor più impellente il desiderio di ascoltare un nuovo full length da parte della band che oggi, assieme agli Helevorn, rappresenta nel migliore dei modi un movimento doom spagnolo che sta crescendo in maniera esponenziale.

Tracklist:
1. Colossal
2. The Wanderer
3. Awaiting
4. Bleak Remembrance

Line-up:
Albert Conejero – Vocals
Josan Martin – Guitars
Jose Quilis – Bass
Joan Esmel – Drums
Marc Chulia – Guitars

EVADNE – Facebook

Hierophant – Peste

Venti minuti nel segno della pestilenza, l’inferno sulla terra raccontato dagli Hierophant.

Dura solo una ventina di minuti Peste, ritorno sulle scene della band ravennate, ma sono venti minuti d’intensità estrema notevole, una bordata di metallo massiccio, urlante e assolutamente non convenzionale.

Gli Hierophant sono al terzo lavoro, i precedenti full length messi in archivio portano i titoli di “Hierophant”, omonimo debutto del 2010 e “Great Mother: Holy Monster” dello scorso anno.
Peste supera ogni aspettativa con questi dieci brani collegato tra loro, uno più rabbioso dell’altro e che formano un unico intenso monolite di metal estremo dove l’hardcore, il black, il death ed il punk uniscono le proprie forze per scaricarci addosso una valanga di potenza inaudita.
Un clima di delirio e sofferenza, raccontata dalla musica del gruppo che si avvale delle urla disumane di Carlo, cantore tra i fumi dei falò di cadaveri bruciati, sorretto dal basso colmo di groove di Giacomo che, con il drumming di Ben, compone una coppia ritmica da apocalisse.
Le chitarre sempre impostate su riff pesanti come macigni (Lollo e Steve) formano appunto con il basso un muro sonoro estremamente potente, l’atmosfera vera e non romanzata di un’apocalisse sulla terra, portata da un virus che, nei secoli passati, ha avvicinato con la sua devastazione la terra all’inferno.
Non un attimo di tregua e tanta violenza sonora, sommata alla varietà di stili che la band utilizza per creare il proprio sound, fanno di Peste un lavoro originale ed estremamente affascinante: una band ed un album fuori dagli schemi … notevoli.

Tracklist:
1. Inganno
2. Masochismo
3. Nostalgia
4. Sadismo
5. Apatia
6. Paranoia
7. Sottomissione
8. Alienazione
9. Egoismo
10. Inferno

Line-up:
Giacomo – Bass
Ben – Drums
Lollo – Guitars
Karl – Vocals
Steve – Guitar

HIEROPHANT – Facebook

Sepulchral Curse – A Birth In Death

“A Birth In Death” è una bella sorpresa per i fan del death metal old school.

Quindici minuti di devastante Death Metal, marcio, brutale e senza compromessi è quello che ci propongono i maligni Sepulchral Curse nel loro Ep d’esordio dal titolo A Birth Of Death.

La band dai natali finlandesi nasce nel 2013 ed arriva all’esordio con questi quattro brani di puro massacro sonoro, tra la tradizione scandinava ed il brutal, vomitandoci addosso scariche di metal estremo dall’impatto di un atomica.
Veloci come il vento e potenti come un panzer, la band di Turku ha il proprio punto di forza nell’ex Frostbitten Kingdom Jaakko Riihimäki alla sei corde, protagonista di una prova inumana sia nel riffing che nei solos di scuola old school.
I suoi degni compari non sono da meno e nelle buone Sepulchral Curse, Demonic Pestilence, Infernal Pyres e Torn To Shreds esce tutta la bravura di una sezione ritmica dirompente (Niilas Nissilä al basso e Tommi Illmanen alla batteria) e di un demonio dal growl brutale al microfono come Kari Kankaanpää.
Death metal old school si è detto, ed allora i richiami a Grave e Dismember sono palesi, così come il brutal di Autopsy e Cannibal Corpse racchiusi in questo girone infernale che è A Birth In Death.
Per i fan del genere una bella sorpresa, ora aspettiamo il full length.

Tracklist:
1. Sepulchral Curse
2. Demonic Pestilence
3. Infernal Pyres
4. Torn to Shreds

Line-up:
Niilas Nissilä – Bass
Tommi Ilmanen – Drums
Jaakko Riihimäki – Guitars
Kari Kankaanpää – Vocals

SEPULCHRAL CURSE – Facebook

Luna – There Is No Tomorrow Gone Beyond Sorrow Under a Sheltering Mask

L’Ep scorre in maniera oltremodo piacevole, collocando Luna tra i prospetti da tenere sotto stretta osservazione nel prossimo futuro

Ritroviamo, dopo circa sei mesi, questo progetto solista del musicista ucraino DeMort sotto forma di un breve Ep che su rivela, però, piuttosto interessante per diversi motivi.

Dall’ascolto di “Ashes to Ashes”, album uscito lo scorso anno sempre per la Solitude, era rimasta l’eredità delle pesanti influenze di band come Ea e Monolithe, benché di per sé ciò non debba essere considerato in assoluto un male ed il lavoro non fosse affatto disprezzabile: l’adesione a quei modelli appariva però eccessiva, e la presenza saltuaria di buoni spunti melodici non giustificava del tutto la totale rinuncia ad un proprio tratto personale; nei due brani pubblicati in questa occasione, DeMort pare invece essersi svincolato in buona parte da tali spunti stilistici, approdando ad una forma di doom atmosferico dai tratti meno funerei e dalle ampie aperture melodiche, non prive peraltro di una certa solennità.
There Is No Tomorrow Gone Beyond Sorrow Under a Sheltering Mask scorre pertanto in maniera oltremodo piacevole, collocando Luna tra i prospetti da tenere sotto stretta osservazione nel prossimo futuro.
Meno di un quarto d’ora di musica, ma ben focalizzata ed altrettanto ottimamente eseguita, costituisce infatti il viatico ideale per un prossimo full length che potrebbe garantire l’auspicabile salto di qualità alla one man band ucraina.
Resto, come sempre, lievemente perplesso al cospetto di proposte dal formato interamente strumentale (il ricorso ad un buon growl costituirebbe un valore aggiunto non da poco) ma, indubbiamente, questa è una prova che merita la dovuta attenzione ed un doveroso ascolto da parte degli appassionati alla ricerca di nomi nuovi.

Tracklist:
1. In a Silver Velvet of the Moon
2. There Is No Tomorrow Gone Beyond Sorrow Under a Sheltering Mask

Line-up:
DeMort – All Instruments

Villainy – The View From Ivory Tower

“The View From Ivory Tower” regala agli amanti del genere due ottimi brani

Provenienti dai Paesi Bassi, i Villainy sono una band death/crust nata nel 2010: nel 2013 licenziano il primo full-length dal titolo “Villainy I”, seguito quest’anno da una compilation contenente i due demo d’esordio.

Si ripresentano oggi tramite Hellprod con questo 7″ composto da due ottimi brani, The View from Ivory Tower, dall’andamento al limite del doom/death, e Heir To The Throne, dai ritmi più sostenuti e vicina all’hardcore/punk, caratterizzata da un ottimo lavoro della chitarra e dalle atmosfere rock’n’roll motorheadiane.
Due brani agli antipodi dunque, facce di una stessa medaglia che fa del metal fuori dagli schemi il punto di forza dei tre musicisti orange, con un ottimo impatto nella prima ed una buona attitudine nella seconda.
Jeroen Pleunis al basso e Bram Keijers alle pelli formano la solita sezione ritmica tutta potenza e velocità, mentre la chitarra di Reinien Vrancken (specialmente nel secondo brano) si crogiola in fiammate metal rock grintose e trascinanti.
Prodotto indubbiamente di nicchia, The View From Ivory Tower regala agli amanti del genere due ottimi brani e, per chi vuole avere tutto della band, un acquisto da compiere in fretta visto il limitato numero di copie disponibili.

TrackList:
Side A
1. The View from My Ivory Tower
Side B
2. Heir to the Throne

Line-up:
Jeroen Pleunis – Bass
Reinier Vrancken – Vocals, Guitars
Bram Keijers – Drums

VILLAINY – Facebook

Jupiterian – Archaic

I brasiliani Jupiterian fanno il loro esordio con questo ep all’insegna di un death doom dai connotati piuttosto tradizionali.

I brasiliani Jupiterian fanno il loro esordio con questo ep all’insegna di un death doom dai connotati piuttosto tradizionali.

Se il Brasile ha dato alla luce band formidabili in ambito power (Angra) o death/thrash (Sepultura), lo stesso non si può dire per il doom, dove le uniche realtà di una certa rilevanza, resesi protagoniste comunque di buone uscite in tempi recenti, sono i Mythological Cold Towers e gli HellLight, nomi comunque di non primissima fila; se vogliamo, il sound dei Jupiterian si rifà maggiormente ai lavori più datati dei primi pur senza toccarne le vette a livello di epicità.
Soprattutto nei primi due brani, Archaic fa emergere una band piuttosto consistente, in grado di trasformare un approccio relativamente grezzo in qualcosa di davvero efficace: un buon growl, riff pastosi e dilatati e una discreta vena evocativa rendono la title-track e Procession Towards the Monolith tracce senz’altro valide, a testimonianza di un potenziale da non sottovalutare.
Meno efficace, in quanto appesantita da soluzioni ripetitive, appare invece la conclusiva Currents of Io, che pure mostra alcuni sprazzi pregevoli, ma con l’aggravante di diluirli in oltre dieci minuti di durata, nel corso dei quail i Jupiterian propongono tutti gli stilemi del genere.
Decisamente valida quindi la prima metà del lavoro, al contrario della seconda che invece evidenzia qualche limite della band paulista.
Per sapere quale dei due volti sia effettivamente quello più rappresentativo dei Juptiterian non resta che attenderli alla prova del full-length, collocandoli per ora nel novero delle band da tenere sotto osservazione.

Tracklist:
1. Archaic
2. Procession Towards the Monolith
3. Currents of Io

Line-up:
R – Bass
G – Drums
A – Guitars
V – Vocals, Guitars

JUPITERIAN – Facebook

Abysmal Growls of Despair / In Lacrimaes Et Dolor / Until My Funerals Began – In Memoriam

Molto interessante questo split album, che vede all’opera tre diverse realtà dedite al funeral doom, unitesi con l’intento di dedicare la loro musica alle vittime del conflitto che sta lacerando da mesi l’Ucraina.

Molto interessante questo split album, che vede all’opera tre diverse realtà dedite al funeral doom, unitesi con l’intento di dedicare la loro musica alle vittime del conflitto che sta lacerando da mesi l’Ucraina.

Abysmal Growls Of Despair, In Lacrimaes Et Dolor e Until My Funerals Began sono tre progetti solisti rispettivamente provenienti da Francia, Italia e Ucraina e l’opera di assemblaggio è avvenuta grazie all’operato dell’attiva label russa GS Productions, che abbiamo imparato a conoscere grazie ad altri split album con protagonisti di livello quali, tra gli altri Aphonic Threnody, Ennui e Frowning.
La peculiarità di questo lavoro è, intanto, quella di mostrare tre maniere differenti di approcciarsi alla materia, anche se, ovviamente. per saper cogliere tali sfumature è necessario avere una certa dimestichezza con il genere.
L’apertura è affidata alle due tracce degli Abysmal Growls Of Despair, progetto dell’iperattivo musicista di Tolosa, Hangvart: ben quattro, infatti, sono gli album pubblicati negli ultimi due anni, tre dei quali solo nel 2014.
Rispetto ai compagni di split, il transalpino è quello che propone una versione decisamente meno accessibile del funeral, nonostante il primo dei due brani a sua disposizione, Nimis Sero, sia in effetti la pregevole rilettura di un tema arcinoto come quello della marcia funebre di Chopin: le atmosfere restano quasi sempre opprimenti, complici un growl che è soprattutto un rantolo e una scrittura pressoché priva di particolari aperture, benché in Quiet Moments faccia capolino una minima parvenza di melodia che attenua solo parzialmente il senso di soffocamento, sintomo di un dolore che implode letteralmente piuttosto che trovare uno sbocco verso l’esterno.
Superata questa fase di non facile decrittazione, le due tracce affidate agli In Lacrimaes Et Dolor di Dany Noctis, musicista residente a Macerata ma originario dell’est europeo, spostano gli scenari su terreni parzialmente più accessibili.
Dolor Aeternum e On Death’s Row sono le nuove testimonianze di un talento musicale al quale non manca davvero nulla per raggiungere i vertici qualitativi del genere: il suo funeral è decisamente melodico e atmosferico ma rifugge ogni banalità, arricchito com’è da una sensibilità artistica e personale che va a riversarsi in toto nelle composizioni. Se Dolor Aeternum è un bel brano, con l’uso delle clean vocals che ricorda parzialmente i Pantheist più recenti, On Death’s Row è una traccia magnifica che sfoggia una linea portante dal grande potenziale evocativo.
Ritroveremo tra breve gli In Lacrimaes et Dolor alle prese con un altro split, questa volta a quattro, con la presenza tra gli altri degli Aphonic Threnody, il cui cantante Roberto Mura (anche Arcana Coelestia e Urna) ha curato assieme a Dany stesso la parte grafica di In Memoriam, non facendo nulla per nascondere gli orrori della guerra e la stupida caducità del genere umano, anche attraverso immagini piuttosto crude.
Il compito di chiudere l’album è affidato agli Until My Funerals Began di Rumit, che è proprio di Donetsk, ovvero la città all’interno dei confini ucraini che più di altre è stata funestata da morti di civili derivanti dal conflitto. Luctus è un brano già edito, per l’esattezza nell’Ep “May 2, 2014”, ed è costituito principalmente da una musica carica di tensione emotiva che funge da accompagnamento a voci campionate connesse alla guerra in atto, mentre Burn My Flesh è un’altra traccia dall’elevato tasso di drammaticità che conferma quanto di buono era già emerso dal precedente full-length “False Horizon”.
E’ indubbio il fatto che Rumit, toccato molto da vicino dagli eventi che vengono trattati in questo lavoro, sia riuscito ad imprimere nelle proprie composizioni quel qualcosa in più in grado di far risaltare in maniera quasi fisica rabbia, dolore e disperazione.
Uno split album decisamente riuscito, quindi: per qualcuno magari potrebbe costituire lo spunto per informarsi meglio riguardo ad avvenimenti che superficialmente si tendono a sottovalutare in quanto lontani geograficamente ma che, in realtà, sono molto più vicini a noi di quanto vogliamo ammettere.
L’album può essere acquistato presso la GS Productions oppure contattando direttamente le band.

Tracklist:
1.Abysmal Growls Of Despair – Nimis Sero
2.Abysmal Growls Of Despair – Quiet Moments
3.In Lacrimaes Et Dolor – Dolor Aeternum
4.In Lacrimaes Et Dolor – On Death’s Row
5.Until My Funerals Began – Burn My Flesh
6.Until My Funerals Began – Luctus

GS PRODUCTIONS
ABYSMAL GROWLS OF DESPAIR – Facebook
IN LACRIMAES ET DOLOR – Facebook
UNTIL MY FUNERALS BEGAN – Facebook

D.A.M – The Awakening

Dopo l’ottimo Ep “Phantasmagoria”, a distanza di pochi mesi ancora un centro pieno per i D.A.M

Tornano, a pochi mesi di distanza dal bellissimo ep “Phantasmagoria” i symphonic/power metallers D.A.M di Guilherme De Alvarenga: la band di Belo Horizonte, autrice di un ottimo full-length di debutto (“Tales Of The Mad King”) lo scorso anno, brucia le tappe, qualitativamente parlando, andando a confermare quanto di buono aveva fatto sentire nell’Ep, continuando la crescita esponenziale di un songwriting che, ad oggi, risulta una garanzia; i suoni classici, amalgamati con sapienza dalla band con grandiose parti di death metal melodico contornanti di parti sinfoniche e power, avvicinano il gruppo alle band scandinave.

Ci ritroviamo così, in poco tempo, davanti ad un gruppo maturo, che regala canzoni dal potenziale enorme, suonate divinamente da un terzetto di ottimi musicisti, e supera di gran lunga molte delle più conosciute band europee.
Certo, stiamo parlando di una band brasiliana, ed allora è utile ricordare che, nel paese verdeoro, è forte la tradizione metallica, non solo per il successo delle band più conosciute (Sepultura, Angra), ma anche per un underground più vivo che mai, di cui i D.A.M sono diventati ormai una delle band di punta.
The Awakening si sviluppa su più di un’ora di metallo incandescente: i brani, tutti bellissimi, portano in sé una minor foga rispetto a “Pahntasmagoria”, che era incentrato su songs velocissime, mentre su quest’album la band lavora di fino, gli interventi delle vocals pulite sono più presenti ed il tutto risulta più rivolto al power piuttosto che al death melodico.
Non mancano comunque devastanti parti nelle quali il trio dà battaglia (la title-track), ma l’impronta di The Awakening è più classica e a mio parere piacerà non poco anche ai fan dei suoni heavy/power.
Guilherme De Alvarenga continua a dare spettacolo con i tasti d’avorio, in un turbinio di scale suonate alla velocità della luce, oppure regalando melodicissime parti dove la vena sinfonica del gruppo, questa volta, esce allo scoperto ancora più magniloquente, aiutato come sempre dall’ottimo Edu Megale, prezioso compare e chitarrista dal gusto melodico straordinario, dal tocco elegante ma grintoso e potente quando, insieme al basso di Caio Campos, decidono di aggredirci con debordanti parti ritmiche.
Prodotto da De Alvarenga in collaborazione con David Fau, The Awakening non tradisce le attese, il metal del gruppo è quanto di più esaltante e spettacolare possiate trovare in giro oggi, i richiami alle band scandinave come i primi In Flames e Children Of Bodom sono sempre presenti, così come ai gruppi più classici (Stratovarius), andando questa volta anche a prendersi a spallate con i Rhapsody più oscuri e regalando perle come Nightmare (T.M.S pt II), con l’intervento della voce di Jessica Delazare, Reborn From The Shadows, Violated Angel e la conclusiva, grandiosa, Thelema, brano che raggiunge l’apoteosi metallica regalando un finale di lavoro entusiasmante che conferma i D.A.M come una delle più convincenti realtà dedite al genere.
Notizie fresche dal gruppo: è in programma un tour in Giappone, il che dovrebbe dare al gruppo la meritata visibilità in una terra storicamente sensibile ai suoni metallici, sperando che presto possano sbarcare anche nel vecchio continente. Boa sorte …

Tracklist:
1.From The Ashes(T.J.O.T.F)
2.The Great Work(Magnum Opus PT 1)
3.Reborn From The Shadows
4.Lies
5.The Breaking Point(T.M.S PT IV)
6.Illusions
7.The Awakening
8.Violated Angel
9.Nightmare(T.M.S PTII)
10.Separation
11.Alone
12.Thelema

Line-up:
Guilherme De Alvarenga – Vocals, Keyboards, Synths
Edu Megale – Guitars
Caio Campos – Bass

D.A.M – Facebook

Cropsy Maniac – Sheer Terror

Ep di buon grind/death da parte degli statunitensi Cropsy Maniac.

Sembra di essere tornati indietro di vent’anni: fortunatamente il metal estremo old school, grazie all’underground, sta tornando a mietere vittime come ai bei tempi (primi anni novanta) ed in tutto il mondo nascono band dedite ai suoni che, all’epoca, fecero sfracelli.

Copertina splatter, sound devastante e tanta attitudine sono le armi messe in campo dagli statunitensi Cropsy Maniac, all’esordio con questo Ep di cinque brani, cortissimo ma che ci dice molto sulla band del Kentucky: all’insegna di un grind dall’impatto massacrante, che tiene più di un piede nel death metal old school, questo lavoro piace per la capacità della band di estremizzare il genere senza sconfinare nel grindcore, mantenendo le coordinate stilistiche dei vecchi Terrorizer. Grande è il lavoro delle chitarre, che hanno un tocco europeo molto apprezzabile (Creepy Things), investendo di riff l’ascoltatore torturato dai due axeman Kevin Herr e Aaron Whitsell.
Buon lavoro della sezione ritmica (Travis Ruvo alle pelli e lo stesso Whitsell al basso) e vocals brutali che vomitano testi gore e splatter come se piovesse (Kevin Reece).
Tra i brani spicca la conclusiva Dawn In The Rotting Paradise, cover degli storici Haemorrhage.
Nove minuti sono pochini, ma la band americana dimostra di saperci fare: essendo di formazione recente (2013), i Cropsy Maniac hanno sicuramente i numeri per far bene anche sulla lunga distanza.

Tracklist:
1. Cirque Du Absurd
2. Creepy Things
3. Shear Terror
4. I Strangled Mine
5. Dawn in the Rotting Paradise (Haemorrhage cover)

Line-up:
Travis Ruvo – Drums
Kevin Herr – Guitars
Aaron Whitsell – Guitars, Bass
Kevin Reece – Vocals, Lyrics

CROPSY MANIAC – Facebook

Thrash Bombz – Dawn

Tornano i Thrash Bombz, alfieri del thrash metal old school, con questo ottimo Ep intitolato Dawn.

Tornano i siciliani Thrash Bombz, alfieri del thrash metal ottantiano, con un nuovo Ep che, seppur seguendo la strada intrapresa nel precedente full-length di inizio anno, porta con sé, un’importante novità in seno alla band.

Causa la defezione del vocalist Leonardo Botta, infatti, la band ha deciso di affidare le parti vocali al bassista Angelo “Destruktor” Bissanti, già al microfono sull’album della sua “creatura” Blood Evil (“Infection”, pubblicato all’inizio di quest’anno), singer di razza e protagonista di un’ottima prova, tra vocals agguerrite in puro stile ottantiano, ricche di vari spunti e di debordante personalità.
Venti minuti circa nei quali i Thrash Bombz confermano quanto di buono fatto sul precedente album: i brani sono quanto di più coinvolgente potete trovare in ambito old school, chiaramente ispirati alle band che hanno fatto grande il genere oltre vent’anni fa, ma suonati con ottima tecnica e personalità, il che li rende una delle realtà più convincenti della nostra penisola in questo ambito musicale.
La coppia d’asce formata dalla ritmica di Giuseppe “UR” Peri e la solista di Salvatore “Skizzo” Li Causi mietono vittime come un mitragliatore sferragliante nell’ambito di uno scontro a fuoco: Li Causi, in piena forma, sforna solos straordinari, sostenuto dalla seconda chitarra di Peri ed un lavoro della sezione ritmica (lo stesso Bissanti al basso e Vincenzo “Vihol” Lombardi alle pelli) potente, veloce, ma oltremodo elegante laddove la band si concede passaggi dall’alto tasso melodico, come lo struggente strumentale che dà il titolo all’album.
Con sei brani notevoli, i Thrash Bombz nobilitano il genere continuando la loro tradizione che li vuole fautori di un thrash che alterna sfuriate metalliche (grandiose a mio parere … Presence ed Eternal Punishment) ad un talento mostruoso nel saper inserire parti strumentali tecnicamente ineccepibili e dal grande impatto emotivo, aspetto che ne rende vario e maturo il sound.
Ottimo lavoro, dunque, consigliato non solo ai fan del genere ma adatto anche a chi ha confidenza con i suoni metallici più classici: per il gruppo potrebbe essere una sorta di ripartenza vista l’importanza del cambio di vocalist nel contesto di una band; dal mio canto consiglio, per chi ancora non l’avesse ascoltato, anche il bellissimo album “Mission Of Blood”.

Tracklist:
1. Unknown…
2. …Presence
3. Drown in Your Misery
4. Eternal Punishment
5. Dawn
6. Human Obliteration

Line-up
Giuseppe “UR” Peri – Guitars
Angelo “Destruktor” Bissanti – Vocals, Bass
Salvatore “Skizzo” Li Causi – Guitars
Vincenzo “Vihol” Lombardi – Drums

https://www.facebook.com/ThrashBombzOfficial

Putrid Offal – Suffering

Un assaggio di quello che sarà il ritorno sulle scene degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

In attesa dell’imminente full-length che vedrà la luce nel prossimo anno, la Kaotoxin immette sul mercato il nuovo singolo degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

Nata nel lontano 1991, la band sfornò, fino alla metà degli anni novanta, lavori con buona continuità e dopo un demo d’esordio e una manciata di split si fermò, per tornare dopo vent’anni più forte di prima con questo singolo. Siamo davanti ad una band eccellente per impatto e violenza, i due brani inseriti in questo lavoro (Suffering in ben tre versioni e Livor Mortis) descrivono un gruppo compatto, che non ha nulla da invidiare alle band più conosciute del genere proposto: velocità inumana, devastazione, ritmiche mozzafiato e due voci (growl e scream) che letteralmente inchiodano l’ascoltatore, travolto da un wall of sound pari ad un vento atomico. Franck Peiffer (chitarra e voce) e Frèdèrick Houriez (basso) sono accompagnati nella nuova avventura da Philippe Reinhalter (chitarra) e la band gira a mille, lasciando esterrefatti. Come già accennato, i Putrid Offal sono pronti per uscire con il debutto su lunga distanza nel prossimo anno: il titolo sarà “Mature Necropsy” e, da quanto ascoltato in questo singolo, ne vedremo e sentiremo delle belle, state sintonizzati.

Tracklist:
1.Suffering(2014 version, taken from the full lenght Mature Necropsy).
2.Suffering(2014 demo version)
3.Suffering(1991 demo version)
4.Livor Mortis

Line-up:
Franck Peiffer – guitars & vocals
Philippe Reinhalter – guitars
Frédéric Houriez – bass & vocals

PUTRID OFFAL – Facebook

HaatE / Chiral – Where The Mountains Pierce The Nightsky

“Where The Mountains Pierce The Nightsky” è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone questi due progetti guidati da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani che dovrebbero essere già conosciuti a chi si aggira su queste pagine, visto che abbiamo avuto occasione di commentare nei mesi scorsi i loro recenti lavori.

Ben venga, quindi, questo split album che consente in un sol colpo di ascoltare due realtà differenti ma ugualmente contigue, più orientata verso un dark/ambient la prima e catalogabile come black atmosferico la seconda.
Per l’occasione i due sfruttano in parte il materiale già edito: HaatE, infatti, ripropone la splendida Crystal e la prima parte di As The Moon Painted Her Grief, tratte dall’omonimo album, regalando comunque una buona traccia inedita quale The Crystal Pathway, mentre Chiral, di fatto, rielabora in maniera decisamente interessante alcuni dei temi già proposti in “Abisso”, presentandoli in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata Everblack Fields of Nightside.
Appare inevitabile, quindi, parlare positivamente di questi due musicisti, sia per la qualità del loro operato, ribadita in quest’occasione, sia per la tenacia e la convinzione con la quale cercano di proporre al pubblico generi musicali sicuramente non per tutte le orecchie .
Per HaatE c’è la conferma di un modus operandi molto vicino a nomi quali Lustre o i Wolves In The Throne Room sperimentali dell’ultimo “Celestite”, mentre Chiral mostra un volto più atmospheric/ambient riducendo di molto rispetto ad “Abisso” la componente estrema del suo sound, quasi in ossequio al compagno di split e, soprattutto, ad un concept che viene ben rappresentato da queste due diverse entità: se la prima parte (HaatE) verte sul viaggio di un essere spirituale, la seconda (Chiral) narra del peregrinare terreno di una creatura mortale ma, per entrambe, nonostante diverse finalità e modalità, la fine del percorso coincide con il termine dell’esistenza.
Where The Mountains Pierce The Nightsky è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone queste due realtà musicali guidate da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

Tracklist:
HaatE
1. The Crystal Pathway
2. Crystal
3. As The Moon Painted Her Grief

Chiral
4. Everblack Fields of Nightside

HAATE – Facebook

CHIRAL – Facebook