Goblin 4 – Four Of A Kind

Four Of A Kind risulta ritorno molto convincente, ancora di più se pensiamo alla qualità altissima di queste nuove composizioni che non risentono minimamente dell’anagrafe dei loro creatori, musicisti eccezionali con ancora molto da dire nel panorama progressivo nazionale ed internazionale.

I Goblin sono, insieme ad una manciata di altri nomi illustri, la storia del progressive rock tricolore, famosi in tutto il mondo per aver legato il proprio nome alle fortunate pellicole dalle tematiche horror di Dario Argento.

Nel corso degli anni il loro monicker è stato modificato più volte per non inciampare in diatribe legali con il membro fondatore e tastierista Claudio Simonetti, riavvicinatosi alla band nel 2011, ma subito tornato ai suoi Claudio Simonetti’s Goblin.
New Goblin, Goblin Rebirth, Claudio Simonetti’s Goblin e Goblin 4: la quarta anima del folletto più importante della storia del progressive rock è formata dai quattro quinti della band originale, quindi Fabio Pignatelli al basso, Massimo Morante alla chitarra, Maurizio Guarini alle tastiere e Agostino Marangolo alla batteria.
Four Of a Kind segue il precedente Back To The Goblin e risulta un viaggio strumentale nel mondo progressivo, misterioso e oscuro di chi del genere è diventato l’icona, realtà intoccabile da quarant’anni di un certo modo di fare musica, sempre con quelle sfumature da colonna sonora che ne sono il marchio di fabbrica.
Fin da Uneven Times, splendida apertura, questo nuovo lavoro ci presenta un sound immortale, personalissimo, prodotto e suonato come il monicker in calce alla copertina richiede, pregno di atmosfere pressanti ma valorizzate da un’eleganza compositiva rimasta intatta dopo tutti gli anni trascorsi.
Si passa così da ovvie celebrazioni di sé stessi, a brani capolavoro come Kingdom o Dark Blue(s), sofferto blues dove la sei corde lacrima solos sanguigni, in un contesto che rimane progressivo ed altamente emozionale.
Un ritorno molto convincente, ancora di più se pensiamo alla qualità altissima di queste nuove composizioni che non risentono minimamente dell’anagrafe dei loro creatori, musicisti eccezionali con ancora molto da dire nel panorama progressivo nazionale ed internazionale.

Tracklist
1. Uneven Times
2. In the Name of Goblin
3. Mousse Roll
4. Bon Ton
5. Kingdom
6. Dark Blue(s)
7. Love & Hate
8. 008
9. Goblin [Recorded live in Austin]

Line-up
Maurizio Guarini – keyboards, Hammond orgena, clavicembalo
Fabio Pignatelli – bass, keyboards
Massimo Morante – electric & acoustic guitars, bouzouki
Agostino Marangolo – drums, keyboards

Guest:
Antonio Marangolo – sax (1)

GOBLIN – Facebook

Kanseil – Fulìsche

Fulìsche è un affresco di quello che è stato nel suo profondo il Veneto, terra ricchissima e poverissima, di estrema povertà come di grande orgoglio, e che ora come tante altre terre ha perso la propria identità che però si può trovare in dischi come questi, che raccontano con dolcezza e durezza, usando il folk metal come dovrebbe essere impiegato, dato che è un ottimo mezzo per raccontare e per far assaporare storie.

I Kanseil sono un gruppo folk metal nato in Veneto, e più precisamente a Fregona in provincia di Treviso.

In poche parole questi ragazzi sanno rendere molto bene con la bella musica e testi molto interessanti l’affetto per un terra, la descrizione di vite difficili, e soprattutto il fortissimo amore per la vita in mezzo alle avversità. C’è una grande forza in mezzo a queste note, ora metalliche, ora fortemente folk, e sopratutto ci sono storie da raccontare, infatti Fulìsche è quasi come un libro da leggere, un resoconto fedele di storie, cuori e carni in tumulto, in un ambiente non certo facile. Ascoltando questo secondo loro disco sulla lunga distanza, uscito per Rockshots Records, ci si innamora facilmente della bellezza e della profondità di questo gruppo. Oltre all’ottimo folk metal, con intarsi death o black, ci sono canzoni totalmente folk nello spirito e nella musica, come Serravalle, che riportano indietro nel tempo, regalandoci il profumo di tempi lontani e ormai andati, e non so se fosse meglio o peggio, ma valgono la pena di essere cantati dai Kanseil. Per tutto il disco si ascolta un gruppo che va ad inserirsi tranquillamente nel novero dei migliori del folk metal italiano e non solo. Fulìsche è un affresco di quello che è stato nel suo profondo il Veneto, terra ricchissima e poverissima, di estrema povertà come di grande orgoglio, e che ora come tante altre terre ha perso la propria identità che però si può trovare in dischi come questi, che raccontano con dolcezza e durezza, usando il folk metal come dovrebbe essere impiegato, dato che è un ottimo mezzo per raccontare e per far assaporare storie.
La differenza la fa la classe musicale dei Kanseil, che sono tutto meno che la media folk metal band, in quanto hanno una profondità ed un livello di composizione davvero superiore, e rendono davvero molto all’ascoltatore. In alcuni momenti si può tranquillamente parlare di grande poesia, e si chiudono volentieri gli occhi per ritrovarsi in piccoli borghi al tramonto, o in mezzo a boschi che bruciano per le battaglie.
Un disco da sentire tutto più e più volte, che afferma ancora una volta il grande valore del folk metal italiano, e che porta alla ribalta ancora una volta il Veneto metallico, che sta davvero vivendo una grande stagione soprattutto in campo black e folk metal.

Tracklist
1. Ah, Canseja!
2. La Battaglia del Solstizio
3. Ander de le Mate
4. Pojat
5. Orcolat
6. Serravalle
7. Vallòrch
8. Il Lungo Viaggio
9. Densilòc

Line-up
Andrea Facchin – Lead Vocals
Federico Grillo – Guitars
Davide Mazzucco : Guitars, Bouzouki
Dimitri De Poli – Bass
Luca Rover – Drums
Luca Zanchettin – Bagpipes, Kantele
Stefano -Herian
Da Re – Whistles,Rauschpfeife

KANSEIL – Facebook

Duir – Obsidio Ep

L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato.

I Duir sono un gruppo di folk black death che conferma il valore della scena folk metal italiana.

Si sono formati nel 2013 e hanno avuto diversi problemi di formazione, soprattutto per quanto riguarda il batterista, ma finalmente con l’ingresso del nuovo picchiatore di pelli sono andati avanti ed è un bene per chi ama certe sonorità. Fin dal nome Duir, che significa quercia, per le popolazioni celtiche un albero di grande importanza, i ragazzi veronesi hanno dato una forte impronta folk alla loro musica, ed inizialmente hanno cominciato ad affiancarlo al death metal, salvo poi introdurre una seconda chitarra e quindi avvicinarsi maggiormente al black metal attuale. Obsidio è un ottimo lavoro in bilico tra folk metal, viking, black e momenti epici. Il gruppo ha un potenziale davvero notevole e lo si sente in pieno ascoltando l’ep che è un degno successore di Tribe, anzi va molto oltre rispetto al predecessore, essendo una tappa importante della maturazione del gruppo. I Duir hanno un talento raro per i gruppi folk metal, ovvero quello di saper cambiare registro più volte all’interno della stessa canzone, dando una nuova interpretazione al tutto. Questo loro avvicinamento al black metal ha donato maggiore potenza ed incisività alle  canzoni, e ha anche accentuato il valore delle parti folk, che sono davvero notevoli. L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato. Ci sono passaggi molto belli, e nel complesso tutto il disco sprigiona un sentimento forte che difficilmente vi lascerà indifferenti.

Tracklist
1.Inconscio
2.Destarsi
3.Rise Your Fear
4.Dies Alliensis
5.Insomnia Seed
6.Obsidio

Line-up
Giovanni De Francesco : Voci
Mirko Albanese : Chitarra
Pietro Devincenzi : Basso
Thomas Zonato : Cornamusa Scozzese
Matteo Polinari: Batteria

DUIR – Facebook

Tezza F. – A Shelter From Existence

L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.

Power metal melodico e sinfonico il giusto, epicissimo e che non rinuncia a correre veloce e potente, sullo stile delle uscite che infiammarono i cuori del true defenders di metà anni novanta.

Questo è più o meno il sunto dell’ottima proposta di Filippo Tezza, cantante dei Chronosfear e bassista-cantante degli Empathica, giunto al secondo lavoro del suo progetto solista, attivo dal 2006 e firmato Tezza F.: A Shelter From Existence segue di sei anni il primo album autoprodotto, The Message (…A Story Of Agony, Hope and Faith…) che gli valse la firma con Heart Of Steel Record.
Aiutato da Michele Olmi (Chronosfear, SpellBlast) alla batteria e da Davide Baldelli (Chronosfear), alle tastiere su tre brani,  il polistrumentista e songwriter nostrano dà vita ad un ottimo album incentrato su sonorità classiche, dalle varie impostazioni vocali che sconfinano nello scream di stampo black metal e dove non mancano parti cantante in italiano.
Epico, composto da brani medio lunghi ma non prolissi e piacevoli nella loro fluidità, A Shelter From Existence si rivela un lavoro riuscito, fresco e ben fatto, anche se ovviamente ispirazioni ed influenze sono chiare nel loro seguire i trademark del power metal melodico.
L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.
Tezza dimostra di saperci fare, confezionando un piccolo gioiello classico e lo valorizza con la bellissima suite Of Life And Death Opera, quindici minuti che riassumono in maniera impeccabile il credo musicale del progetto, tra orchestrazioni, ripartenze fulminee, mid tempo epici e tutto quello che gli amanti di queste sonorità vogliono trovare all’ascolto di un’opera del genere.
A Shelter From Existence risulta così una gradita sorpresa e un altro passo assolutamente riuscito per il musicista veronese.

Tracklist
01. The Dawn of Deliverance – intro
02. Nailed to My Dreams
03. A New Dimension
04. Gates To Worlds Unknown
05. Gleams Of Glory
06. Across The Sky
07. The Shelter
08. Rise and Fall
09. Of Life and Death Opera

Line-up
Filippo Tezza – all vocals, all instruments, programming, compositions, lyrics
Michele Olmi – Drums
Davide Baldelli – Keyboards (2,5, 6)

TEZZA F. – Facebook

Hellretic – Lights Out

Sono solo quindici minuti, ma tanto basta agli Hellretic per entrare nelle grazie degli amanti del metal estremo di stampo thrash/death.

Sono solo quindici minuti, ma tanto basta agli Hellretic per entrare nelle grazie degli amanti del metal estremo di stampo thrash/death.

La band romana, attiva dal 2014, è nata dalle ceneri degli Opium Populi e ha subito qualche avvicendamento nella line up, prima di firmare per la Hellbones Records che licenzia Lights Out, ep di quattro tracce più intro di death/thrash metal potente e feroce, pregno di maligni mid tempo e ripartenze devastanti.
Il quintetto ci presenta quattro brani, altrettante mazzate estreme che raccontano tematiche horror dall’impalcatura  death metal e thrash slayerano, in un turbine di violenza ed atmosfere putride;  il growl di Demetrio è brutale e malato, le chitarre soffrono torturate da Piero e Lorenzo, mentre la sezione ritmica martella senza pietà i crani degli ascoltatori sotto i colpi inferti dal basso di Simone e la batteria di Andrea.
Dopo l’intro,Three Evil Mothers ci presenta un sound compatto e diabolico, un concentrato di cattiveria ispirato anche dai Necrodeath ed accentuato nella title track e soprattutto nella letale Evil Dead, brano ispirato dal film di Sam Raimi.
Buon inizio, dunque, per questa realtà estrema in arrivo dalla capitale: se il buon giorno si vede dal mattino seguitela con noi, ci sarà da divertirsi.

Tracklist
1. Intro (Ghosthouse)
2. Three Evil Mothers.
3. Lights Out
4. Devil’s Rejects
5. Evil Dead

Line-up
Demetrio – Growl Vocals
Piero – Guitar
Lorenzo – Guitar
Simone – Bass & Back Vocals
Andrea – Drums

HELLRETIC – Facebook

Walls Of Babylon – A Portrait of Memories

Gli spettacolari arrangiamenti tastieristici legano i moltissimi particolari che emergono da un ascolto attento, accentuando la presa sull’ascoltatore, travolto dal turbinio di note con cui gli Walls Of Babylon esprimono il loro concetto di musica progressiva, che dal metal prende il carattere ed il piglio drammatico ricamato a tratti da ariose aperture melodiche.

La Revalve non si smentisce neppure questa volta, licenziando questo bellissimo album ad opera dei marchigiani Walls Of Babylon e centrando per l’ennesima volta il bersaglio.

A Portrait Of Memories è infatti un ottimo esempio di metallo progressivo, dalle atmosfere e sfumature cangianti, intimiste, tragiche e drammatiche, in perfetto equilibrio tra la tradizione heavy power statunitense e quella nord europea.
La band attiva dal 2012 e con un primo album autoprodotto (The Dark Embrace) riesce nella non facile impresa di creare un sound robusto, tecnico, ma melodico e progressivo, valorizzandolo con una serie break atmosferici in un contesto metallico che ricorda tanto gli Evergrey come i Queensryche, aggiungendo quel tocco tricolore (Vision Divine) che fa la differenza.
Il gruppo non manca di tecnica, con un cantante che interpreta le varie tracce con una personalità notevole, e presenta un lotto di canzoni che, nei loro intrecci progressivi, le fughe rabbiose e momenti che esplodono in fuochi d’artificio musicali, convince a più riprese in un genere che lascia poco spazio all’originalità e molto al talento compositivo.
Gli spettacolari arrangiamenti tastieristici legano i moltissimi particolari che emergono da un ascolto attento, accentuando la presa sull’ascoltatore, travolto dal turbinio di note con cui gli Walls Of Babylon esprimono il loro concetto di musica progressiva, che dal metal prende il carattere ed il piglio drammatico ricamato a tratti da ariose aperture melodiche.
Starving Soul, le splendide melodie di Let Me Try e l’irruenza delle rocciose Sacred Terror e Treason, sono un ottimo inizio per entrare nel mondo di questa notevole realtà nostrana, fatevi avanti senza timore, non ve ne pentirete.

Tracklist
01.Oblivion
02.Starving Soul
03.My Disguise
04.Burden
05.Forgotten Desires
06.Let Me Try
07.Sacred Terror
08.Sudden Demon
09.Treason
10.My Heaven

Line-up
Valerio Gaoni- Vocals
Fabiano Pietrini- Guitar
Francesco Pellegrini -Lead guitar
Matteo Carovana- Bass
Marco Barbarossa- Drums

WALLS OF BABYLON – Facebook

Parris Hyde – Undercover 1

Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi.

Tornano i Parris Hyde, band nostrana capitanata dal compositore e musicista omonimo, ex Bonecrusher poi con gli hard rockers Waywarson, dando alle stampe un ep intitolato Undercover 1, composto da quattro cover, un brano inedito e la “video version” del singolo 2ND2NO1.

Undercover 1 viene licenziato dal gruppo in attesa del nuovo full length, successore del debutto Mors Tua Vita Mea, uscito un paio di anni fa e che vedeva la band inglobare in un unico sound tutte le influenze del musicista italiano, da trent’anni nella scena underground rock/metal.
Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi,  da Living Next Door To Alice (Smokie) alla famosissima Bad Romance di Lady Gaga, per tornare al metal con House of 1.000 Corpses di Rob Zombie e la splendida versione del capolavoro Lost Reflection dei Crimson Glory, tributo al grande Midnight, cantante preferito dal singer nostrano.
No Place To Call Me, ripresa dalle session del primo full length è un inedito metal/blues molto suggestivo, una jam tra Lizzy Borden e primi Whitesnake firmata Parris Hyde.
La versione video di 2ND2NO1, secondo brano nella track list di Mors Tua Vita Mea, conclude al meglio questo interessante ep: in attesa, come scritto, del nuovo lavoro del gruppo, nel frattempo godetevi questo ep, a conferma dell’ottima proposta dei Parris Hyde.

Tracklist
01.Living Next Door To Alice
02.Bad Romance
03.House of 1.000 corpses
04.Lost Reflection
05.No Place To Call me
06.2ND2NO1 (Video Version)

Line-up
Parris Hyde – Vocals, Guitars, Keyboards
Paul Crow – Guitars
Max Dean – Bass
Karl Teskio – Drums

PARRIS HYDE – Facebook

SirJoe Project – Letze Baum

A tratti sembra davvero di vivere l’emozione visiva di terre lontane e la bellezza del mondo animale, tra canti e cori etnici, trasportati e cullati dalla musica di questo splendido lavoro, che del progressive prende la sua caratteristica di non genere, o meglio di un’unione di stili che formano un quadro musicale in l’arcobaleno scaglia come frecce i suoi colori.

Nel mondo della musica le sorprese sono sempre dietro l’angolo e dopo quasi quarant’anni di ascolti, lo stupore e la consapevolezza di essere al cospetto di un lavoro sopra le righe è sempre vivo e rappresenta il motore per continuare ad ascoltare, senza costruirsi inutili barriere, cercando il bello in ogni angolo del mondo musicale rock/metal.

Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, l’ultimo animale libero ucciso, vi accorgerete… che non si può mangiare il denaro.
Questa bellissima, tragica e drammatica frase è lo spunto da cui nasce Letze Baum, concept ideato dai SirJoe Project, che altri non è che un musicista storico della scena dark/progressive/rock, il chitarrista Sergio Casamassima dei Presence, qui aiutato da una manciata di bravissimi musicisti come il cantante Alessandro Granato, il bassista Mino Berlano, il tastierista Luciano Longo ed il batterista Peppe Iovine.
Il musicista, compositore e maestro, crea questo viaggio di denuncia attraverso il nostro pianeta, a bordo di una macchina musicale che non trova ostacoli, tra bellissimi brani che ci portano dall’Africa, all’Oceania, dalla vecchia Europa alle Americhe, passando per i poli denunciando e difendendo il pianeta e la sua splendida madre, la natura.
A tratti sembra davvero di vivere l’emozione visiva di terre lontane e la bellezza del mondo animale, tra canti e cori etnici, trasportati e cullati dalla musica di questo splendido lavoro, che del progressive prende la sua caratteristica di non genere, o meglio di un’unione di stili che formano un quadro musicale in l’arcobaleno scaglia come frecce i suoi colori.
Grandi melodie all’interno di un sound vario e progressivo, dunque, per più di un’ora (non poca di questi tempi) nel corso della quale i SirJoe Project tessono spartiti, legano ispirazioni diverse tra musica etnica e rock riuscendo ad unire terre, popoli e natura, in tempi in cui le divisioni purtroppo sono sempre più nette.
Gli impulsi musicali quindi arrivano dal rock, come dal metal, dal progressive come da stili lontanissimi dal normale sentire per chi si nutre di queste sonorità, come la musica etnica e la world music, il tutto unito da trame melodiche affascinanti.
Settantadue minuti di musica, divisa in tredici perle musicali che trovano il sottoscritto in difficoltà nel suggerirne una piuttosto che un’altra: quindi prendete un po’ del vostro tempo e dedicatelo a qualcosa che vi riempia il cuore, come questo splendido lavoro, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Forgive Us
2.Thieves In The Temple
3.Coltan Grave
4.I Pray The Rain
5.The Power Of The Sea
6.Deadly Waltz
7.Anyway
8.Binary Codes
9.The King Of All
10.I Need Time
11.Maybe Today
12.Raimbow Warriors
13.Selfdestruction

Line-up
Sergio Casamassima – Lead Guitar
Alessandro Granato – Voice
Mino Berlano – Bas
Luciano Longo – Keybaords
Peppe Iovine – Drums

SIRJOE PROJECT – Facebook

Sacro Ordine Dei Cavalieri di Parsifal – Heavy Metal Thunderpicking

Heavy Metal Thunderpicking è un album pensato e suonato per gli amanti dell’heavy metal tradizionale, magari con qualche capello bianco sulla rada chioma ed il chiodo da anni ormai piegato nel baule in soffitta.

Arriva al debutto sulla lunga distanza tramite la Sliptrick la storica band goriziana Sacro Ordine Dei cavalieri di Parsifal, monicker che risveglia antiche leggende e l’istinto metallico degli appassionati meno giovani.

Attivo dall’alba del nuovo millennio per volere del cantante Paolo Fumis e del chitarrista Carlo Venuti, il gruppo dopo il primo demo licenziato nel 2005 ed un live uscito dieci anni dopo, a seguito di un lungo stop e vari cambi di line up, dà alle stampe questo buon lavoro di heavy metal old school, ispirato alla scena del decennio ottantiano ed in particolare alla New Wave Of British Heavy Metal: un heavy metal tradizionale, epico ed evocativo che riprende la tradizione britannica, senza dimenticare la lezione impartita dai Manowar, specialmente nei brani dove le atmosfere si fanno più epiche come in Tears Of Light.
Si torna indietro nel tempo con Heavy Metal Thunderpicking, le spade lucidate dagli scudieri brillano sul campo di battaglia prima di essere sporcate dal sangue di gloriosi cavalieri, e l’heavy metal trionfa, duro e puro come se tutti questi anni non fossero mai passato, in una bolla temporale dove primi Iron Maiden, Saxon, Manowar, Balck Sabbath e Dio, fossero ancora gli unici custodi del Sacro Graal della musica metal.
La produzione, che segue l’atmosfera retrò dell’opera, accentua l’attitudine old school dei vari brani che hanno in Ace Of Clubs, Fate’s Embrance e Stripes On The Sand sono le tracce più marcatamente sabbathiane dell’album, in un clima di scontri eroici ed evocative atmosfere epiche.
Heavy Metal Thunderpicking è un album pensato e suonato per gli amanti dell’heavy metal tradizionale, magari con qualche capello bianco sulla rada chioma ed il chiodo da anni ormai piegato nel baule in soffitta.

Tracklist
01. Intro
02. Ace Of Clubs
03. Fate’s Embrance
04. Earthshaker
05. Tears Of Light
06. Four Kings
07. Endless Worm
08. Stripes On The Sand
09. The Blood Of Your Roots

Line-up
Paolo Fumis – Vocals
Carlo Venuti – Guitar
Davide Olivieri – Guitar
Luca Komavli – Drums
Claudio Livera – Bass

SACRO ORDINE DEI CAVALIERI DI PARSIFAL – Facebook

Ulfhednar – Mortaliter

La proposta degli Ulfhednar è per lo più aspra e diretta, ma non è affatto monotematica in quanto presenta più di un passaggio a suo modo ricercato, volto a spezzare la furia che sovente traspare dall’incedere di un sound che finisce per attingere anche dal death, dall’hardcore e dal doom.

Ulfhednar è il monicker scelto da questi ragazzi romani per esprimere la loro interessante idea di black metal.

In realtà il gruppo aveva mosso i primi passi con il nome Delirium Tremens, ma opportunamente è sopraggiunta la scelta di optare per un qualcosa di più peculiare (visto la sovrabbondanza di band con la stessa denominazione) ed attinente con tematiche che si discostano dalle consuetudini del genere.
Il black degli Ulfhednar ha comunque connotazioni di chiara derivazione scandinava, ma al di là dell’aspetto prettamente musicale ciò non avviene tramite l’enunciazione di temi antireligiosi o satanisti, non di rado proposti maniera dozzinale, bensì attraverso l’espressione di un senso di caducità dell’esistenza che individua nella vita il vero e proprio nemico che, metaforicamente, viene combattuto dall’Ulfhednar, figura della mitologia norrena.
La proposta della band capitolina è per lo più aspra e diretta, ma non è affatto monotematica in quanto presenta più di un passaggio a suo modo ricercato, volto a spezzare la furia che sovente traspare dall’incedere di un sound che finisce per attingere anche dal death e dall’hardcore, quando le accelerazioni divengono parossistiche, ed al doom nei passaggi ovviamente più rallentati e riflessivi.
Degli Ulfhednar colpiscono favorevolmente la voglia di espandere il raggio d’azione senza smarrire la potenza dell’impatto, provando a variare anche a livello lirico con il ricorso a tre lingue differenti come l’italiano, il latino e l’inglese.
Una produzione ruspante, ma sufficientemente nitida, consente di ascoltare senza difficoltà Mortaliter e di godersi le peculiarità di una prova che trae forza dalla propria essenzialità ed urgenza espressiva: Fredda Pietra è il brano che maggiormente colpisce per un’intensità che si sposa al meglio con la ruvidezza del tessuto musicale, ma nel complesso tutto l’album si mantiene su un buon livello medio.
Chiaramente gli Ulfhednar hanno ancora diversi margini di miglioramento, perché ci sono tutte le potenzialità per ripulire un po’ il suono senza necessariamente snaturarlo, oltre che inserire con maggiore fluidità, all’interno delle sfuriate a tutta velocità, quei passaggi più ragionati che conferiscono al tutto un tocco di varietà e di peculiarità.
Mortaliter si rivela quindi una prova ben più che incoraggiante per i bravi Ulfhednar.

Tracklist:
1. Mortaliter
2. Aes Inferni
3. In Tenebra Noctis
4. Void
5. Fredda Pietra
6. In Nomine Cuius
7. Rulers of Darkness
8. Alea
9. Addicted to Tragedy

Line-up:
Eclipsis – Vocals
Hevn – Guitars, Lyrics, Songwriting
Dmitryus – Bass
Cerberus – Drums

Guests:
Heliogabalus – lyrics on “Mortaliter”
Dario La Montagna – keyboards

ULFHEDNAR – Facebook

Dogmathica – Start Becoming Nothing

Il genere suonato porta inevitabilmente a paragoni con i nomi di punta (Meshuggah, Pantera), ma in Start Becoming Nothing c’è la personalità necessaria per concentrarsi solo su quello che ascolta dopo aver premuto il tasto play.

Le scene rock/metal underground sviluppatesi nelle nostre isole maggiori sono fucine di realtà che non mancano di regalare soddisfazioni, almeno per chi si lascia affascinare dai suoni del sottobosco tricolore.

Lo scorso anno, per esempio, vi avevamo parlato del bellissimo The Day We Shut Down The Sun del combo sardo chiamato The Blacktones, dal quale provengono Sergio Boi e Gianni Farci, rispettivamente chitarra e basso pure nei Dogmathica, band che ha una storia iniziata nel lontano 2006 ma che affonda le sue radici anni prima, nelle vicende musicali dei L’Ego.
Dopo molte vicissitudini legate principalmente alla line up, la band con Alessandro castellano alle pelli (Acts of Tragedy), Stefano Pilloni al microfono e Matteo Spiga alla chitarra, trova quella stabilità necessaria per rimettersi al lavoro e terminare questo muro di groove/thrash metal chiamato Start Becoming Nothing.
Otto cannonate claustrofobiche e dissonanti esasperano il concetto di groove metal, otto colpi inferti senza pietà, rabbiosi e monolitici, valorizzati da un lavoro ritmico enorme e da un’attitudine senza compromessi, portano al compimento di un’opera a suo modo estrema, dove tutto funziona chirurgicamente.
La band, con un impatto invidiabile, porta a compimento la sua missione conferendo una ai brani quella rabbiosa violenza che è pane del genere, tenendo per le briglie il sound, imprigionato e fatto sfogare con devastanti uragani thrash metal.
Chanel N°0, la title track, Screaming In The Darkness, Hatred, mettono in mostra una band che all’impatto aggiunge quell’esperienza necessaria per usare le proprie capacità tecniche senza finire negli intricati labirinti del genere, mantenendo un tasso di violenza ed impatto altissimo.
Il genere suonato porta inevitabilmente a paragoni con i nomi di punta (Meshuggah, Pantera), ma in Start Becoming Nothing c’è la personalità necessaria per concentrarsi solo su quello che ascolta dopo aver premuto il tasto play.

Tracklist
1.Praghma
2.Chanel N° 0
3.Decadancers
4.Start Becoming Nothing
5.Rise Up
6.Screaming In The Darkness
7.Hatred
8.Burnum

Line-up
Stefano Pilloni – Voice
Sergio Boi – Guitar
Matteo Spiga – Guitar
Gianni Farci – Bass
Alessandro Castellano – Drums

DOGMATHICA – Facebook

Tribunale Obhal – Rumore In Aula

Rumore In Aula è buon esempio di hard rock moderno, ispirato dalla scena a stelle e strisce di fine millennio.

La Volcano Records si sta sempre più imponendo come etichetta attivissima e dal rooster di alta qualità, senza sbagliare un colpo da quando, poco tempo fa è entrata prepotentemente sul mercato nazionale.

Rock metal e sonorità moderne sono diventati gli abituali generi dai qual la label campana attinge, scoprendo nuove realtà come i marchigiani Tribunale Obhal, quartetto fuori lo scorso anno con l’ep omonimo e ora lanciato nella scena hard rock nazionale con il full length d’esordio intitolato Rumore In Aula, buon esempio di hard rock moderno, ispirato dalla scena a stelle e strisce di fine millennio: groove a manetta, potenza e impatto rock ‘n’roll rendono i brani dei devastanti diretti al corpo, la chitarra soffre e sanguina e la sezione ritmica imprime la giusta forza.  Non lascio fare a te (opener dell’album), i ritmi sincopati di Lei che esplodono in un irresistibile refrain, Quello Che Senti, il singolo Taipaa non lasciano dubbi sulla forza espressiva insita in ogni brano.
Rivolto agli amanti dell’hard rock statunitense nato tra le nebbie di Seattle ed arrivato nel nuovo millennio imponendosi come influenza primaria per i gruppi di rock duro odierni, l’album non faticherà ad imporsi, ricco com’è di impulsi crossover che lo avvicinano ad un buon ibrido tra Alice In Chains e System Of A Down, anche se a mio avviso la lingua inglese avrebbe reso più appetibili i brani e accompagnato meglio il piglio internazionale del sound, ma è solo un dettaglio.

Tracklist
1. Non lascio fare a te
2. Hey Juda
3. Lei
4. Nell’ombra
5. Nuova realtà
6. Quello che senti
7. Seven
8. Taipaa
9. What you gonna take?
10. Tutta la voce che ho

Line-up
Mattia “Labo” Bellocchi – Voce
Francesco Boschini – Basso
Lorenzo D’Addesa – Batteria
Tommaso Golaschi – Chitarra

TRIBUNALE OBHAL – Facebook

https://youtu.be/iHaLbIQ6Fag

2018 Hard Rock 7.40

Urban Steam – Under Concrete

Colori che sfumano o che luccicano intensi, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in un’alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica e da un songwriting ispiratissimo.

Un’altra ottima realtà nata nella capitale e presentata da Red Cat sono gli Urban Steam, quartetto attivo dal 2012 e protagonista di un metal/rock alternativo dai molti spunti progressivi.

I musicisti si sono ritrovati sotto il monicker Urban Steam dopo varie esperienze in altre band, e Under Concrete risulta il riassunto della loro avventura musicale, un quadro dove ogni dettaglio è perfettamente disegnato su una tela progressiva, con colori che sfumano o luccicano di intenso spessore, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in una alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica ed un songwriting ispiratissimo.
Si parte con l’opener Storm e lentamente il motore comincia a carburare, con brani che sono piccoli gioielli di musica senza barriere, moderni nel suono ma attenti alla tradizione, vari nel tenere per il colletto l’ascoltatore con la tensione sprigionata da funamboliche parti progressive, o lasciare che l’emozione prenda il sopravvento, quando il blues ed il soul si insinuano tra i solchi del capolavoro Soul.
La title track è un brano tra Deep Purple e Rush, hard rock che la parte progressiva rende raffinato, mentre Cross The Line e City Lights tornano a far parlare la parte più sanguigna del sound degli Urban Steam, in cui la durezza del blues viene raffinata da un tocco soul per un risultato molto intrigante.
Davvero bravo ed interpretativo il singer Paolo Delle Donne, ma è il gruppo tutto che si presenta al pubblico offrendo una prestazione da manuale, aiutata da una raccolta di brani sopra la media.
Wake Up e la progressivamente metallica Years concludono Under Concrete, album che non lascia dubbi sulle doti di questa ottima band meritevole dell’attenzione di chi alla musica chiede emozioni e qualità, aldilà del genere proposto.

Tracklist
1.Storm
2.They Live
3.Soul
4.Under Concrete
5.Cross The Line
6.City Lights
7.Wake Up
8.Years

Line-up
Paolo Delle Donne – Vocals
Diego Bertocci – Drums
Federico Raimondi – Guitars
Fabrizio Sclano – Bass

URBAN STEAM – Facebook

Me Vs I – Never Drunk Enough

Never Drunk Enough si pone come un lavoro che rilascia delle belle endorfine, e piacerà a chi ascolta hardcore punk ed ha un po’ di apertura mentale, perché se si dà una possibilità a questo disco ne verrete ricompensati.

Trio padovano che fa un hardcore che strizza l’occhio allo stoner e ai Raging Speedhorn.

Per i Me Vs I questo è l’ep di debutto ed è un gran bell’inizio. Nei primi minuti dell’ascolto il disco non impressiona più di tanto, ma progredendo nell’ascolto le sensazioni positive aumentano, e con esse la potenza ed il fascino del disco. I Me Vs I fanno un hardcore che non è un hardcore punk puro, ma è molto spurio, essendo contaminato dallo stoner e da un metal moderno che spunta in alcuni momenti. Il risultato è un ep di sette pezzi che ci porta dentro ad una musica veloce e sinuosa, con la peculiarità di essere suonata senza il basso: sinceramente non si sente la mancanza di un simile strumento, anzi forse snaturerebbe il loro suono che va benissimo così. I Me Vs I portano se non qualcosa di nuovo, una sfumatura di un suono che troppe volte è ortodosso e con poche cose da dire, con gruppi che si differenziano poco uno dall’altra. I Me Vs I possono piacere o no, ma fanno qualcosa di molto interessante e diverso, e molto piacevole da sentire. L’hardcore ha tante declinazioni e questa, in Italia e non solo, non si era ancora sentita. Never Drunk Enough si pone come un lavoro che rilascia delle belle endorfine, e piacerà a chi ascolta hardcore punk ed ha un po’ di apertura mentale, perché se si dà una possibilità a questo disco ne verrete ricompensati.

Tracklist
01. MadNess
02. Me Vs. I
03. Places
04. Keep Off The Grass
05. Empty
06. De-Vices
07. Up & Down

Line-up
Matteo Brunoro: Voce
Alberto Baldo: Chitarra
Francesco Baldo: Batteria

ME VS. I – Facebook

Daylight Silence – Threshold Of Time

Il sound sprigionato da questo forzato esilio nello spazio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.

Una nuova band è in arrivo dallo spazio profondo, con la Red Cat ad interagire tra la terra e la navicella spaziale su cui viaggiano i Daylight Silence, quintetto romano al debutto con Threshold Of Time, concept fantascientifico nel quale i nostri sono cinque mercenari in un mondo portato allo stremo da guerre, ribellioni e lotte intestine, fino alla repressione da parte di un governo totalitario.

Il progetto Daylight Silence prevedeva di oltrepassare i limiti di spazio e tempo tramite l’utilizzo di una “cronosfera”: un veicolo in grado di creare un mini buco nero, una singolarità, con la quale spostarsi da un luogo all’altro eludendo la velocità della luce.
Il test, con un equipaggio sacrificabile tra i condannati per vari reati politici e sociali, non andò come previsto e la navicella si perse nello spazio, con l’equipaggio che, senza speranza di tornare sulla terra cominciò a suonare.
E il sound sprigionato da questo forzato esilio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.
Threshold Of Time è il frutto di un sodalizio obbligato, una voce metallica che arriva dallo spazio sotto forma di otto brani di buona fattura, grintosi, ma raffinati quel tanto che basta per concedersi spunti progressivi tra Crimson Glory e Queensryche. in un contesto al passo con i tempi.
Heavy metal dallo spazio per il nuovo millennio, così si potrebbe definire il sound creato per The Power Of Speech, grintosa opener dell’album e splendido biglietto da visita spedito dai Daylight Silence.
L’album mantiene le premesse poste con il primo brano e regala ancora ottime trame tra l note delle varie Dreaming Of Freedom, Making Up my Mind e la conclusiva title track.
Una band interessante e un buon debutto consigliato agli amanti dell’heavy metal progressivo e nobile, fatto di chitarre taglienti e splendide melodie.

Tracklist
1. The Power Of Speech
2.Dreaming Of Freedom
3.Live As One
4.Falling To The Ground
5.Making Up My Mind
6.Someone I Know
7.Sleep
8.Threshold Of Time

Line-up
MR.Wolf – Drums
M.T.Drake – Guitars
Von Braun – Vocals
Doctor X – Bass
El Diablo – Guitars

DAYLIGHT SILENCE – Facebook

Original Sin – Story Of A Broken Heart

Una raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.

Vi presentiamo Story Of A Broken Heart, debutto sulla lunga distanza dei ravennati Original Sin, uscito lo scorso anno in regime di autoproduzione.

Attiva da tre anni, dopo un paio di apparizioni in concorsi canori tra cui il Sanremo Rock, la band prova a conquistare i cuori del rockers con questa raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.
Matteo Axis Berti (voce e chitarra), Federico Fede Maioli (chitarra), Manuel Mana Montanari (basso) e Luca Canna Canella (batteria) ci fanno partecipi del loro tributo a queste sonorità e Story Of Broken Heart si presenta come un album vario, passando da brani heavy metal a ballad semi acustiche suonate sui marciapiedi delle strade americane.
Gli States chiamano Londra e Londra risponde con brani che tanto hanno dell’epicità di Dio e del classic rock britannico, mentre l’hard rock melodico si insinua tra lo spartito per donare un tocco raffinato al songwriting di brani piacevoli come l’opener Cry With Me.
Non ci sono cadute di tono, l’album mantiene una buona qualità per tutta la sua durata con le chitarre sugli scudi, protagoniste di gustosi solos dal flavour epico (Fighting For Your Love), con lampi che si disegnano nel cielo alternati alle luci che all’imbrunire illuminano le strade metropolitane (I’m Waiting).
Story Of A Broken Heart è sicuramente una partenza convincente per gli Original Sin, con qualche dettaglio da perfezionare come la produzione e la voce migliorabile nei brani più heavy ed epici.

Tracklist
1.Cry With Me
2.Living Life
3.I’m Still Burnin
4.Mr. Danger
5.Rebellion
6.Fighting for Your Love
7.Story of a Broken Heart
8.For Ever
9.I’m Waiting

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

V-8 Compressor – Don’t Break My Fuzz

I V-8 Compressor indagano un altro lato della musica pesante, producendo un disco molto divertente, che è un misto di stoner, fuzz, southern metal e tanto hard rock, con momenti maggiormente psichedelici.

Album di debutto per gli imperiesi V-8 Compressor, un gruppo che fa stoner metal a mille all’ora, con tanta velocità ed amore per sua maestà Lemmy Kilmeister.

Fra i componenti possiamo trovare Pixo, che suona anche nei mitici e mefitici Carcharodon, uno dei migliori gruppi rumorosi della costa ovest ligure e non solo. I V-8 Compressor indagano un altro lato della musica pesante, producendo un disco molto divertente, che è un misto di stoner, fuzz, southern metal e tanto hard rock, con momenti maggiormente psichedelici. I membri della band non sono dei novellini e non devono dimostrare nulla, e la loro missione è quella di divertire il pubblico e loro stessi. La produzione li supporta benissimo, perché lascia una patina di sporcizia al suono, che pur essendo limpido ha quel speciale sapore di fango e sudore che calza molto bene. Il disco funziona ottimamente e ha molti livelli, dato che passa agevolmente da un genere all’altro senza mai perdere la sua coerenza ed identità. Il suono del trio ligure è molto ben definito e tutto va nella direzione voluta: verso l’inferno, perché è lì che siamo diretti. Le radici del suono dei V-8 Compressor sono da ricercarsi molto lontano, in quel rock blues di figli maledetti della grande terra oltre l’oceano, ma forse anche prima, in quel milieu di diseredati che vivevano molto veloce e morivano giovani. Don’t Break My Fuzz è un disco che può durare molto nelle orecchie degli ascoltatori, perché ha tante cose da dire e da sentire, il tutto fatto da persone che hanno una passione vera, e che non hanno paura di alzare il volume, senza tante pose o proclami, ma con testa bassa e corna in alto. Ennesima conferma che la provincia dell’impero è sempre prolifica e fa ottime cose, ma sopratutto prova a divertirsi.

Tracklist
1.Don’t Break My Fuzz
2.Stray Hound Dogs
3.No Sissies
4.Loud Knocks
5. Sgrunt Cow
6.Aniridia
7.Snake Charmer
8.Grey City
9.Appaloosa

Line-up
Pixo: bass/vocals
Matt Lithium: guitar/vocals
Doktor T: drums/bardot game

V-8 COMPRESSOR – Facebook

Vesta – Vesta

I Vesta ci spiegano, portandoci le prove, del perché il post rock sia un genere molto bello se fatto bene come lo fanno loro.

I Vesta sono un trio viareggino di post rock e molto altro, dal bel tiro musicale per un disco che vi renderà devoti di questo suono.

La copertina è molto bella ed aperta ad interpretazioni soggettive, e rende molto bene ciò che è questo disco : un viaggio bello robusto verso qualcosa di molto lontano. I riferimenti sarebbero quelli del post rock classico e meno classico, ma i Vesta rielaborano il tutto in maniera molto personale ed originale. Il gruppo viareggino costruisce una narrazione musicale e cerebralmente visiva, con risultati entusiasmanti che lasciano il segno. Musica e sensazioni che suonano, e ci sono anche pause e silenzi che valgono davvero molto, qui conta l’insieme, anche se ogni episodio è notevole. I Vesta rompono gli schemi del genere, forse perché non decidono di appartenere in maniera ortodossa a nessun genere, decidendo di fare un percorso tutto loro, e la scelta è più che mai giusta. Questo disco omonimo piacerà a tante persone dai differenti gusti musicali, a chi ama il post rock, ma anche a chi apprezza sonorità più pesanti, mentre lo potrà gradire anche chi è abituato a cose più soft. Per apprezzare al meglio questo album lo si deve ascoltare e lasciarlo fluire dentro di noi, perché è un fluido che scorre e porta i pensieri di ognuno, e ci fa vedere le nostre azioni dall’alto. I Vesta ci spiegano, portandoci le prove, del perché il post rock sia un genere molto bello se fatto bene come lo fanno loro.

Tracklist
1. Signals
2. Resonance
3. Constellations
4. Ethereal
5. Nebulae
6. Aurora pt.1
7. Aurora pt.2

Line-up
Giacomo Cerri – Guitar & Drones
Sandro Marchi – Drums & Cymbals
Lorenzo Iannazzone – Bass & Noise

VESTA – Facebook

Spellblast – Of Gold And Guns

Tornano gli Spellblast, band che coniuga il power metal con atmosfere western: il loro nuovo Of Gold And Guns, senza toccare le vette del precedente lavoro, si rivela comunque un buonissimo album.

Tornano i power metal/cowboy Spellblast dopo il sontuoso Nineteen, album licenziato dal gruppo quattro anni fa.

La band, abbandonato il power/folk delle origini, ha dato alle stampe un buon lavoro che, se non raggiunge le vette artistiche del precedente album, si assesta su un buon esempio di power metal dai richiami western, questa volta anche nei titoli dei brani, ognuno dedicato ad un personaggio della frontiera americana, dai fumetti di Bonelli (Tex Willer) ai pistoleri realmente esistiti come Wyatt Earp o Billy The Kid.
Ovviamente i riferimenti musicali al mondo del Far West sono i maggiori responsabili dell’attenzione dovuta al gruppo, bravo nel saper coniugare il power metal con sfumature tipiche delle colonne sonore di Ennio Morricone, il più grande compositore di musiche da film ed assoluto genio nel trasformare in note la polvere, il caldo, il tintinnio dei penny sul tavolo da gioco dei saloon.
L’album parte con Tex Willer, brano che fatica a decollare, mentre il trittico Wyatt Earp, Billy The Kid e Jesse James risulta uno splendido esempio del sound del gruppo, con il power metal valorizzato dalle atmosfere western che toccano lidi epici da duelli all’O.K. Corral.
Si continua a schivare pallottole in mezzo alla strade polverose fino a Goblins In Deadwood, tributo ai Goblin, ai quali il gruppo aveva già dedicato un brano sul debutto Horns Of Silence (Goblins’ Song), mentre la cover di Wanted Dead Or Alive dei Bon Jovi chiude questo tuffo nel mondo della cultura western in salsa power metal. Come detto, Of Gold And Guns risulta leggermente inferiore al suo splendido predecessore, ma rimane comunque un buonissmo lavoro.

Tracklist
1. Tex Willer
2. Wyatt Earp
3. Billy The Kid
4. Jesse James
5. Sitting Bull
6. William Lewis Manly
7. Crazy Horse
8. Goblins In Deadwood
9. William Barret Travis
10. Wanted Dead Or Alive

Line-up
Luca Arzuffi – Guitars
Xavier Rota – Bass
Dest Ring – Vocals
Manuel Togni – Drums

SPELLBLAST – Facebook