Thulsa Doom – Realms Of Hatred

Assalti sonori devoti all’old school death presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Dalle catacombe di una capitale sempre più avvolta da sonorità estreme arrivano in superficie i Thulsa Doom, trio di musicisti ed adepti all’underground metallico di matrice death metal.

In generale non ci si schioda dai primi anni novanta tra le trame putrescenti di questi sei brani che vanno a comporre la tracklist di Realms Of Hatred, debutto in uscita digitale e cassetta a ribadire l’assoluta attitudine underground di questa band che riesce a convincere grazie a cavalcate heavy, atmosfere catacombali ed un sound maligno, con una produzione che ben si adatta allo spirito dell’opera, senza inficiare il risultato ma rendendo l’atmosfera malsana, un vero e proprio viaggio nell’inferno dei Thulsa Doom.
Quattro brani e due interludi scaraventano per una ventina di minuti nei meandri in cui l’angelo morboso tortura anime con brani come l’opener The Final Scourge, guardando all’indietro anche al thrash metal più oscuro nato negli anni ottanta.
Assalti sonori devoti all’old school death come The Gates of Niniveh o Demon Conjurer presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Tracklist
1.The Final Scourge
2.The Gates of Niniveh (Woe to You…City of Blood)
3.Realms of Hatred (Instrumental)
4.Demon Conjurer
5.Intro
6.Thulsa Doom

Line-up
V.K. Nail – Vocals, Guitar
F.Phantomlord – Guitar & Bass Guitar
B.G. Triumph – Drums

THULSA DOOM – Facebook

Manam – Rebirth Of Consciousness

Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Un concept che segue un viaggio spirituale è quello che ci propongono i Manam, giovane band fondata dal chitarrista e cantante Marco Salvador, al debutto con Rebirth Of Consciousness.

Melodic death metal, power ed ispirazioni progressive compongono questa raccolta di brani, molto vari ma legati dal concept e dall’approccio al genere che rimane assolutamente estremo e melodico.
Suonato e composto dalla band con l’ambizione di ottenere un prodotto originale senza snaturarsi troppo, l’album alterna tracce estreme, alcune delle quali potenziate da classiche ritmiche power, ad altre più orientate verso un mood progressivo e melodico che nobilita in modo importante brani come Atman Denied, che arriva subito dopo quello che era un classico episodio melodic death metal come Supernova.
Le parti in clean sono ottime, non così scontate come in altre realtà, il growl è potente mentre ineccepibile è la parte tecnica, che permette al gruppo di regalare brani di spessore come l’evocativa Revelation.
Total War è una traccia heavy metal tradizionale potenziata dall’attitudine estrema dei Manam, A Raw Awakening parte come una power ballad e si sviluppa in un crescendo estremo notevole, mentre la parola fine a questo lavoro la mette la progressiva, melodica e splendida Sahara.
Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Tracklist
1. Fallen Leaves
2. Supernova
3. Atman Denied
4. Innerdemon
5. Revelation
6. Total War
7. A Raw Awakening
8. Anam
9. Sahara

Line-up
Marco Savador – Lead Guitar, Vocals
Fabiola Sheena Bellomo – Rhythm Guitar
Marco Montipò – Bass, Backing Vocals
Nicola Nik De Cesero – Drums

MANAM – Facebook

Obliteration – Cenotaph Obscure

Assoluta conferma del quartetto norvegese che rilascia un’opera veemente ma ricca di spunti lisergici e progressive, come al solito personale e coinvolgente.

Un breve suono di tamburi apre le danze al nuovo disco dei norvegesi Obliteration e libera tutta la forza dirompente del quartetto norvegese; dal 2004 si dipana una carriera impeccabile e totalmente priva di passi falsi, con quattro full length di death “mutante” con le radici ben salde ma libero da vincoli creativi e capace di spaziare in suoni e atmosfere multiformi.

Suoni stimolanti che riempiono ogni brano di variazioni, creando momenti estremamente avvincenti e creativi; a tal proposito e su medesime coordinate ricordo il meraviglioso Trance of Death dei Venenum del 2017, dove grandi capacità si amalgamavano perfettamente con scelte sonore molto “open mind”. Non fa assolutamente eccezione quest’ultimo disco dei norvegesi, provenienti dalla stessa città di origine dei seminali Darkthrone, Kolbotn, nel quale un sound veemente si interfaccia con tentazioni lisergiche e progressive; la band si lascia andare a canzoni dense, riuscendo a riempire ogni momento con idee, senza perdere in alcun modo intensità, ferocia e personalità. La title track incendia l’incipit del disco, colpendo subito i nostri neuroni, scagliandoci contro un chitarrismo torrenziale e incandescente:  atmosfere oscure, malefiche, il taglio progressivo lo si nota soprattutto nella gran voglia di variare e non rimanere ancorato alle “solita atmosfera”; la chitarra di Aryld Myren Torp si lancia in modo viscerale in tutti i brani, instancabile, rivaleggiando, in forza creativa, con la sezione ritmica e lacerando i brani con assoli acidi e psichedelici sempre selvaggi e liberi da schemi prefissati. Il breve, liquido e stralunato strumentale Orb apre i portali per la splendida Eldritch Summoning ,tour de force dalla forza incredibile, un fiume inarrestabile e veloce che travolge ogni argine e si erge minaccioso nei suoi otto minuti di furia devastatrice; è un piacere lasciarsi travolgere e si rimane storditi di fronte alla voglia creativa dei norvegesi, che assaltano i nostri sensi riducendo le nostre difese in brandelli. Ogni brano merita ascolti reiterati e per chi fosse interessato la riscoperta della discografia pregressa (soprattutto Nekropsalm e Black Distant Horizon) sarà fonte di puro piacere.

Tracklist
1. Cenotaph Obscure
2. Tumulus of Ancient Bones
3. Orb
4. Eldritch Summoning
5. Detestation Rite
6. Onto Damnation
7. Charnel Plains

Line-up
Didrik Telle – Bass
Kristian Valbo – Drums
Arild Myren Torp – Guitars
Sindre Solem – Vocals

OBLITERATION – Facebook

Proliferhate – Demigod Of Perfection

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.

Dopo i Brvmak, fuori con il bellissimo In Nomine Patris, ecco che la scena estrema tricolore ci regala un altro gioiellino di death metal, maturo e progressivo: la seconda opera dei Proliferhate, band torinese attiva dal 2012 ed arrivata sul mercato con il debutto In No Man’s Memory, datato 2015.

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.
L’album è dunque un’ottima esibizione di metal estremo, che trova spazio nei tanti e repentini cambi di atmosfera, in un’altalena assolutamente riuscita tra tempeste metalliche di stampo old school e pacati momenti di musica progressiva, rock ma soprattutto jazz.
Questo continuo mutare atmosfere e tensioni musicali porta ad un sound che, pur rifacendosi ai soliti nomi del metal estremo di fine secolo scorso, ha nella personalità la sua massima forza, in virtù di un’espressività che porta la band a confrontarsi con nomi storici senza timori reverenziali.
E facciamoli questi nomi: Opeth e Between the Buried and Me su tutti, anche se, come scritto, il gruppo torinese si districa bene quel tanto che basta per non risultare una band clone, grazie alle tante digressioni jazz/fusion che sull’album abbondano e rendono l’ascolto molto interessante.
La tecnica c’è, si sente ma non è la virtù primaria dei Proliferhate, risultando ben inserita nel sontuoso songwriting di cui si possono vantare brani del calibro di Conjuring the Black Hound, The Frailty of a Tender Soul e Naked Monstrosity.
In conclusione Demigod Of Perfection è un lavoro che conferma i Proliferhate come una delle band da seguire con più attenzione nel suo cammino nel mondo del metal estremo progressivo.

Tracklist
1. Prologue to Damnation
2. Conjuring the Black Hound
3. Auerbach’s Vineyard
4. The Frailty of a Tender Soul
5. Oberon
6. Naked Monstrocity
7. A Shadow from an Ancient Past
8. Euphorion
9. Demigod of Perfection
10. Elegant in Decay

Line-up
Omar Durante – Vocals/Guitar
Andrea Simioni – Bass
Daniele Varlonga – Drums
Lorenzo Moffa – Rhythm Guitar

PROLIFERHATE – Facebook

Cult of Self Destruction – Exitium

Exitium costituisce per i Cult of Self Destruction una discreta base di partenza sulla quale provare costruire qualcosa di ancor meglio focalizzato nel prossimo futuro.

Esordio su lunga distanza per questo duo spagnolo denominato Cult of Self Destruction, con Exitium, anticipato quest’estate dal singolo Descending to the Deepest of the Abyss.

E’ proprio questo il brano che di fatto apre il lavoro dopo la breve intro: il sound offerto dagli iberici è un black death ben costruito e dal gradevole impatto, anche melodico, sul quale incombe un suono della batteria troppo secco e preponderante sul resto della strumentazione.
Uno squilibrio, questo, che non inficia comunque il lavoro complessivo di P. e M., capaci di offrire nel corso di questi trentacinque minuti una buona dimostrazione di efficienza, all’interno della quale manca solo quella scintilla decisiva in grado di far spiccare il volo ai Cult Of Self Destruction.
Infatti, l’album arriva al termine senza annoiare ma senza neppure provocare quei sussulti che ognuno si attende nel corso dell’ascolto: nel ribadire che il suono della batteria alla lunga si rivela un elemento vagamente di disturbo, troviamo un brano emblematico come Sui Caedere che, a tratti, sembra indicare la strada ideale da percorrere, con il suo incedere diretto e incalzante, opportunamente spezzato da un break centrale che crea i presupposti per una ripartenza a ritmi sempre serrati.
Exitium costituisce per i Cult of Self Destruction una discreta base di partenza sulla quale provare costruire qualcosa di ancor meglio focalizzato nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Initium
2. Descending to the Deepest of the Abyss
3. Misanthropic Condition
4. Moon on Saturn
5. Sui Cædere
6. We Will Be Wolves
7. Until the Dying
8. The Curse of the Witch
9. Exitium

Line-up:
P. – Guitars, Bass, Keyboards, Drums
M. – Vocals, Drums, Keyboards, Samplers

Satan’s Grind – Degenerazione EP

Accompagnata da testi più articolati che in passato, la musica segue il nuovo corso concedendosi non solo alla violenza tout court, ma sorprendendo per una vena elettronica e, se mi passate il termine, progressiva, variando atmosfere e ritmi anche nello spazio di un brano lungo un solo minuto.

I Satan’s Grind sono di fatto la band del musicista pugliese Antonio, chitarrista con un passato nei Blood Soda che nel 2016 decide di lasciare il gruppo per dedicarsi a questo progetto estremo dai taglio grind.

Una serie di ep e split, un paio di cambi al microfono, ed un presente che vede il nuovo cantante Giovanni (proveniente anch’egli dai Blood Soda) alle prese con i nove brani che compongono questi dieci minuti di musica estrema alquanto sperimentale intitolata Degenerazione.
Accompagnata da testi più articolati che in passato, la musica segue il nuovo corso concedendosi non solo alla violenza tout court, ma sorprendendo per una vena elettronica e, se mi passate il termine, progressiva, variando atmosfere e ritmi anche nello spazio di un brano lungo un solo minuto.
La presenza del piano in alcuni brani, l’alternanza tra elettronica e grind efferato fanno di brani come Indulto, Elettroesecuzione, la title track e la conclusiva Reprobo un modo originale per proporre una musica estrema come il grind, orchestrato con sagacia dai Satan’s Grind.
Il duo sta lavorando al full length che dovrebbe uscire il prossimo anno, noi vi terremo informati, nel frattempo non perdetevi questi dieci minuti di musica targata Satan’s Grind.

Tracklist
1.Pozzo Per L’Ade
2.Indulto
3.Bagno Nel Cocito
4.Pietà e Coscienza
5.Elettroesecuzione
6.Palpitazioni
7.Morbo
8.Degenerazione
9.Reprobo

Line-up
Antonio – Drum, Guitar and Bass programming
Giovanni – Lyrics and Vocals

SATAN’S GRIND – Facebook

Mortuous – Through Wilderness

Chi ama queste sonorità le troverà maneggiate con dovizia e competenza dai Mortuous, tra suoni ribassati, growl catacombali, assoli ficcanti e micidiali rallentamenti che in certi momenti spostano il sound sul versate di un vero e proprio death doom,

Dopo due demo risalenti ai primi anni del decennio, approdano oggi al loro primo full length i Mortuous, band formata da elementi già piuttosto attivi all’interno della scena death californiana.

Il genere nelle intenzioni del quartetto di San José, è quanto mai aderente alla tradizione americana portando cosi gli ascoltatori a ad esplorare i meandri più cupi e malsani di un sound che si rifà ai vari Incantation, Morbid Angel e Autopsy (e non è un caso se troviamo come ospite sull’album la coppia Reifert-Coralles).
Il risultato che ne scaturisce è notevole perché chi ama queste sonorità le troverà maneggiate con dovizia e competenza dai Mortuous, tra suoni ribassati, growl catacombali, assoli ficcanti e micidiali rallentamenti che in certi momenti spostano il sound sul versate di un vero e proprio death doom, come per esempio nella seconda metà di Screaming Headless nella quale l’uso anche del flauto richiama addirittura i Cathedral del seminale Forest Of Equilibrium, ma al di la di questo è il death più puro canonico e soddisfacente che occupa quasi per intero il proscenio, per la soddisfazione di chi ama le band citate quali quali di ispirazione per gli ottimi Mortuous.

Tracklist:
01. Beyond Flesh
02. Bitterness
03. Chrysalis of Sorrow
04. The Dead Yet Dream
05. Anguish and Insanity
06. Through Wilderness
07. Prisoner Unto Past
08. Screaming Headless
09. Subjugation of Will

Line-up:
Colin Tarvin – guitar
Mike Beams – vocals, guitar
Clint Roach – bass
Chad Gailey – drums

Guests:
Chris Reifert (guest vocals on “The Dead Yet Dream” and “Anguish And Insanity”)
Danny Coralles (solo on “The Dead Yet Dream”)
Derrel Houdashelt (solo on “Through Wilderness”)
Teresa Wallace (flute on “Screaming Headless”)

MORTUOUS – Facebook

Organic – Carved In Flesh

Prodotto benissimo, tanto che i dettagli compositivi sono perfettamente leggibili, ed accompagnato da una copertina dal fascino old school commovente, Carved In Flesh è un album che entusiasma, una vera sorpresa assolutamente imperdibile se siete amanti di queste immortali sonorità.

Certo che nel far suonare questo album sulle montagne dolomitiche che fanno da sfondo a Brunico si rischiano,  ad ogni nota, valanghe dovute alla potenza emanata da questa bomba death metal dal titolo Carved In Flesh.

La band che ha creato questo tsunami di metal estremo di matrice old school si chiama Organic, arriva all’esordio su lunga distanza dopo un ep licenziato quattro anni fa (Death Battalion) ed ora si appresta a conquistare i cuori dei deathsters dai gusti tradizionali con questo ottimo lavoro composto da nove brani, più le due tracce presenti nell’ep quali bonus track nella versione in vinile.
Il death metal degli altoatesini si ispira a quello svedese dei primi anni novanta, quando erano in piena azione creature musicali mostruose come Grave, Dismember ed Unleashed, con chitarre come motoseghe che abbattono alberi millenari, ritmiche scatenate che si stemperano in atmosferici momenti doom/death che ricordano gli Asphyx, e poi growl cavernoso, riff taglienti e melodie scaturite da death metal infernale.
Prodotto benissimo, tanto che i dettagli compositivi sono perfettamente leggibili, ed accompagnato da una copertina dal fascino old school commovente, Carved In Flesh è un album che entusiasma, una vera ed imperdibile se siete amanti di queste immortali sonorità.
Gli Organic offrono quasi quaranta minuti, che vorremmo non finissero mai, di immersione in quel sound che ha fatto la storia del metal estremo.

Tracklist
1. Suffocate In Blood
2. Shrouded In Darkness
3. Frozen Meat Medal
4. Macabre Rites
5. Der Fotzenknecht
6. I, Soulless
7. Carved In Flesh
8. Carnal Absolution (Behind The Altar)
9. From Beyond
10. Death Battalion (Vinyl Bonustrack)
11. The Result Is To Collapse (Vinyl Bonustrack)
Line-up

Maxi Careri – Vocals
Benni Leiter – Guitar
Markus Walder – Bass
Lukas Hofer – Drums

ORGANIC – Facebook

Madvice – Everything Comes To An End

Il sound non ha nulla a che vedere con quello dei Nameless Crime, ma rimane una sagacia compositiva che si respira nello spartito di queste devastanti nove esplosioni metalliche che racchiudono un impatto tradizionale, con un approccio moderno e progressivo e assolutamente diretto.

Quattro anni fa affrontavamo lo straordinario, ultimo lavoro dei Nameless Crime (il bellissimo Stone The Fool), un album metal che inglobava nel proprio sound una marea di intuizioni provenienti dai generi più disparati risultando un lavoro originale e sopra le righe.

Maddalena Bellini e Raffaele Lanzuise, rispettivamente chitarrista e bassista di quella band, tornano oggi con il nome Madvice: con Asator al microfono e Marco Moretti alla batteria, il gruppo debutta con Everything Comes To An End, licenziato dalla Time To Kill Records.
Nove brani, compresa la cover di Everybody Wants to Rule the World dei Tears For Fears, compongono questo notevole esempio di metal estremo, dai rimandi death/thrash.
Il sound non ha nulla a che vedere con quello dei Nameless Crime, ma rimane una sagacia compositiva che si respira nello spartito di queste devastanti nove esplosioni metalliche che racchiudono un impatto tradizionale, con un approccio moderno e progressivo e assolutamente diretto.
Tra le note di brani pesantissimi come Vengeance, il potente mid tempo di A Day To Fight, A Day To Suffer o Master Of Doom si trova la chiave per entrare nel mood di questo lavoro che vive di sonorità estreme, ma che non rinuncia a qualche geniale digressione progressiva in una perfetta simbiosi tra At the Gates, Soilwork e il Devin Townsend più diretto.
Un ottimo lavoro che da il via alla carriera dei Madvice, band da seguire con molta attenzione, anche perché i musicisti coinvolti lo meritano.

Tracklist
1. Vengeance
2. Everything Comes To An End
3. A Day To Fight, A Day To Suffer
4. The Gate
5. Nothingness
6. Master Of Doom
7. Everybody Wants to Rule the World
8. Rebirth
9. Hopeless

Line-up
Asator – Vocals
Maddalena Bellini – Guitars
Raffaele Lanzuise – Bass
Marco Moretti – Drums

MADVICE – Facebook

Aethereus – Absentia

Un debutto più che positivo per una band davvero eccellente sotto l’aspetto tecnico e che riesce a superare in modo soddisfacente anche l’ostacolo del songwriting in un genere nel quale scadere nel mero tecnicismo è piuttosto facile.

Il lato progressivo del death metal continua a mietere vittime, in questo periodo costellato da uscite molto interessanti sia per quanto riguarda le band più affermate che le giovani leve, sempre più agguerrite e preparate a livello tecnico.

Progressive death o technical death, fate voi, l’importante è strabiliare con capacità tecniche, brutalizzare il sound accelerando come una Formula 1 sul rettilineo prima del traguardo, ed aggiungere bellissime parti atmosferiche a fungere da quiete prima della tempesta.
In arrivo da Tacoma, cittadina dello stato di Washington, si affacciano sulla scena estrema grazie all’etichetta The Artisan Era gli Aethereus, quintetto attivo da quattro anni con un ep (Ego Futurus) alle spalle, ora affiancato da Absentia, primo lavoro sulla lunga distanza.
La band statunitense risulta perfettamente calata nel genere grazie ad un sound in linea con quanto descritto in precedenza, mancando forse di personalità, ma ritagliandosi un suo spazio in quanto a potenza e bravura esecutiva.
Absentia elargisce ottima tecnica in abbondanza, gli stacchi atmosferici sono oscuri e pesanti ma frenano l’ondata brutale del sound, mentre varianti ritmiche e scale vorticose dettano le regole su cui sono strutturati brani convincenti come in Fluorescent Halls of Decay e The Pale Beast.
Un debutto più che positivo per una band davvero eccellente sotto l’aspetto tecnico (Kyle Chapman e Ben Gassman risultano chitarristi dall’accentuato talento melodico), e che riesce a superare in modo soddisfacente anche l’ostacolo del songwriting in un genere nel quale scadere nel mero tecnicismo è piuttosto facile.

Tracklist
1. Cascades of Light
2. Writhe
3. Mortal Abrogation
4. Fluorescent Halls of Decay (Ft. Brody Uttley of Rivers of Nihil)
5. Absentia
6. That Which is Left Behind
7. The Black Circle
8. With You, I Walk
9. The Pale Beast

Line-up
Vance Bratcher – Vocals
Kyle Chapman – Guitar/Vocals
Ben Gassman – Guitar
Scott Hermans – Bass
Matthew Behner – Drums

AETHEREUS – Facebook

Tragacanth – The Journey Of A Man

Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici.

I Paesi Bassi sono per tradizione una delle terre più importanti per lo sviluppo delle sonorità estreme, specialmente per quanto riguarda il caro e vecchio death metal, fin dai primi anni novanta.

I Tragacanth fanno parte di quelle nuove leve che provano, anche se con approccio diverso, a tenere alta la bandiera del metal estremo nel paese dei tulipani, riuscendoci con un sound interessante e questo nuovo lavoro intitolato The Journey Of A Man, il secondo dopo Anthology Of The East licenziato tre anni fa.
Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici: questo è il sound proposto dal gruppo proveniente da Utrecht, imprigionato in nove composizioni per cinquanta minuti di intricate parti tecnico progressive e devastanti ripartenze death/black metal che non lasciano scampo.
La bravura tecnica dei nostri non inficia la scorrevolezza di composizioni dalla durata importante, cangianti nelle atmosfere di cui si compongono e perfette nel presentare al meglio i loro creatori.
Denial: They Are Mistaken, Depression: Waning Light e Acceptance: My Destiny Awaits, basterebbero per fare una carneficina, scorticando e torturando i padiglioni auricolari dei fans per via di un songwriting che alterna death metal, progressive, brutal e black metal in un continuo saliscendi estremo di ottimo valore.
Nella musica dei Tragacanth troverete sicuramente note che vi porteranno al confronto con altre e più famose realtà, ma il tutto rimanendo comunque saldamente all’interno in una proposta a suo modo personale.

Tracklist
1.Survival: Stagnate Reality
2.Denial: They Are Mistaken
3.Anger: Kitrine Chole
4.Depression: Waning Light
5.Bargaining: Will You Answer Me?
6.Nightmare: The Vision
7.Acceptance: My Destiny Awaits
8.Suffering: The Essence Implodes
9.Death: Journey’s End

Line-up
Jasper – Drums
Adrian – Guitars
Erik – Guitars
Terry – Vocals
Mark – Bass

TRAGACANTH – Facebook

Brvmak – In Nomine Patris

In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.

Testi sacri e death metal: non è sicuramente la prima volta che una band estrema crea musica per raccontare quello che l’uomo tramanda da generazioni, eppure risulta sempre affascinante questo binomio per molti inusuale.

Comporre musica per le epiche e misteriose vicende raccontate da più di duemila anni non è certo facile, ma in questo caso i Brvmak hanno fatto un lavoro eccellente e In Nomine Patris, secondo album del gruppo laziale, conquisterà non poco gli amanti del death metal progressivo ed epico.
Il gruppo, in attività da una dozzina d’anni, ha alle spalle un ep ed il primo full length intitolato Captivitas uscito cinque anni fa, lavori discreti ma sicuramente non paragonabili a questa monumentale opera composta da dieci capitoli registrati, mixati e masterizzati al Time Collapse Recording Studio di Roma da Alessio Cattaneo e Riccardo Studer (Novembre, Ade, Scuorn), con un ospite d’eccezione come Paul Masvidal dei Cynic a valorizzare un album già di per sé bellissimo.
In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.
Un album che ha nella lunga e conclusiva Revelations il suo apice, una suite di quindici minuti che regala un finale spettacolare all’opera, degna conclusione e vetta di una montagna che deve essere scalata facendo proprie le varie tappe tra virtuosi cambi di tempo, atmosfere ed umori in un sound tempestato da sfuriate incastonate in attimi di tensione sempre pronta ad esplodere.
Non c’è un solo brano sotto la media in una track list che da Genesis, passando per Tetragrammaton, Oblivion e la devastante Golgota, arriva in un crescendo di emozioni ed impatto al gran finale.
Echi di Opeth, Amon Amarth e Behemoth sono esattamente quanto serve a valorizzare questo bellissimo lavoro firmato con grande personalità dai Brvmak.

Tracklist
1. Preludio Alla Genesi
2. Genesis
3. Tetragrammaton
4. Preludio All’Oblio
5. Oblivion
6. Vindictae
7. Omnipotence
8. Golgota
9. Toccata In Si Minore
10. Revelations

Line-up
Sergio Rosa – vocals, guitar, viola
Gabriele Nucci – guitars
Emanuele Lombardi – bass
Davide Tomadini – drums

BRVMAK – Facebook

1914 – The Blind Leading The Blind

Una discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

E anche questo 2018 che sta per concludersi ha regalato una serie di album bellissimi a chi segue le sorti del metal estremo, ai quali si aggiunge la seconda, mastodontica opera dei deathsters ucraini 1914, monicker che ricorda l’anno di inizio della grande guerra, il più terribile conflitto che la storia dell’uomo ricordi.

La band di Lviv è composta da cinque musicisti, studiosi appassionati di tutto quello che riguarda la prima guerra mondiale, fondatori del gruppo proprio per onorare tutte le vittime cadute nel conflitto.
Il primo album, licenziato tre anni fa ed intitolato Eschatology of War, mostrava già le potenzialità del quintetto ucraino, qui esplose con forza tra le trame di The Blind Leading The Blind, magnifico lavoro accompagnato da una copertina da brividi, con la morte che si aggira tra i cadaveri e i feriti provati dagli scontri, come un maligno avvoltoio in cerca di carne ed anime.
L’artwork con i suoi colori sbiaditi e d’epoca mette i brividi, così come l’intro, una canzone che arriva dal passato e nel passato ci porta, prima che Arrival. The Meuse Argonne ci travolga e ci scaraventi nell’atmosfera bellicosa, oscura, drammatica e tragica dell’opera.
Il sound dei 1914 è un death metal pregno di atmosfere soffocanti e terrorizzanti, viaggia pulito e potente, e frena mentre il pantano delle trincee raggiunge soglie dove solo il doom può spiegarne il disagio, mentre la morte gira tra le macerie ed il filo spinato, lasciandosi trasportare dalla sua crudele fame di anime con sfuriate black assolutamente devastanti ma perfettamente leggibili per merito di un lavoro perfetto in fase di produzione ed arrangiamento.
I brani sono scanditi da sfumature atmosferiche che gelano l’ascoltatore: marce di soldati, canzonette e grida disperate che sembrano arrivare a noi come un ammonimento inascoltato proveniente da un’altra epoca.
A7V Mephisto, High Wood. 75 Acres of Hell e The Hundred Days Offensive sono le tappe fondamentali di questa discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

Tracklist
1. War in
2. Arrival. The Meuse-Argonne
3. Passchenhell
4. A7V Mephisto
5. High Wood. 75 Acres of Hell
6. Hanging on the Old Barbed Wire
7. Beat the Bastards (The Exploited cover)
8. C’est Mon Dernier Pigeon
9. Stoßtrupp
10. The Hundred Days Offensive
11. War Out

Line-up
Ditmar Kumar – Vocals
Liam Fessen – Guitars
Vitalis Winkelhock – Guitars
Armin von Heinessen – Bass
Rusty Potoplacht – Drums

1914 – Facebook

Bedsore – Bedsore

Se qualcuno può chiedersi se ci sia davvero un buon motivo per parlare di un demo d’esordio fatto di soli due brani la risposta è sì a prescindere, vista la mentalità che ci ha contraddistinto fin dalla nostra nascita come webzine, e lo è maggior ragione per il fatto che i due musicisti che animano questo progetto denominato Bedsore fanno parte dei Seventh Genocide, una delle migliori band italiane oggi in circolazione.

Differentemente dal gruppo di provenienza, Jacopo e Stefano esplorano i contorni più sfumati del death metal anziché quelli del black, ma il risultato è pur sempre un sound ricco, inquieto, per forza di cose a tratti più brutale ma allo stesso tempo colmo di passaggi dal grande potenziale emotivo e soprattutto poco prevedibile.
Nonostante il minaccioso monicker prescelto, che in qualche modo, nel suo rifarsi una patologia come le piaghe da decubito in (inglese bedsore, appunto), omaggia un riferimento importante per i nostri come lo sono stati i Morbus Chron, in realtà il sound offerto in questi due lunghi brani presenta più di un’apertura melodica che riconduce ad un imprinting progressive che è, poi, il vero tratto comune con i Seventh Genocide: la conseguenza sono quei passaggi chitarristici che testimoniano come i Pink Floyd siano una delle influenze più radicate nel background musicale di questo gruppo di musicisti capitolini.
Nei Bedsore tale componente appare per forza di cose più sfumata, tenendo semmai fede a quanto indicato nelle note biografiche che citano quale altra possibile ispirazione una band come gli Edge Of Sanity, in questo caso per la comune capacità di rendere progressiva la materia death metal senza scadere nel puro tecnicismo, lasciando invece sfogare al meglio la componente melodica ed emotiva.
Tenendo anche conto che i due brani sono piuttosto lunghi, i Bedsore offrono questo quarto d’ora abbondante di ottima musica (con una produzione da “demo”, nel bene e nel male) che dovrebbe aprire le porte per una maggiore visibilità di un progetto il cui già elevato valore artistico fa presupporre sviluppi molto importanti per il futuro.

Tracklist:
1. At The Mountain Of Master
2. Brains On The Tarmac

Line-up:
JGP
SA

BEDSORE – Facebook

METEORE: MIASMA

Una grande band che avrebbe potuto aspirare all’Olimpo del Death Metal europeo, e sedere a fianco dei connazionali Disastrous Murmur e Pungent Stench. Grandi capacità tecniche, prefetto connubio tra melodia e brutale assalto sonoro, rendono l’album Changes una perla imperdibile.

I viennesi Miasma si formarono nel lontano 1990 dalla fusione di due band: gli Evil Tale e i Caldera.

Gli Evil Tale realizzarono un solo demo tape di discreto thrash metal, Mountains of Madness, di chiara ispirazione teutonica, mentre i Caldera nascevano dalle ceneri della grindcore band Digested Corpse. La prima apparizione dal vivo dei Miasma fu durante un festival tenutosi la vigilia di Natale del 1990, presso il piccolo locale viennese Graffiti. A marzo del 1991 uscì il loro primo lavoro, Godly Amusement, un demo di 4 tracks di discreto death metal. Iniziò così la loro carriera fatta di pochi alti e molti bassi, e di diversi split-up e successive reunion. Vennero alla ribalta grazie ad alcuni show con alcune band già famose di quel tempo, (aprirono per Unelashed e Pungent Stench, e successivamente – sempre nel 1991 – per Ulcerous Phlegm, Disastrous Murmur e Disharmonic Orchestra). Furono così successivamente contattati dalla Turbo Music tedesca, che però preferì alla fine mettere sotto contratto gli allora emergenti Asphyx. La grande voglia di uscire con un full length fu premiata solo l’anno successivo, grazie all’interesse della concittadina Lethal Records (Acheron, Eminenz, Hellwitch, Belial e Disastrous Murmur, per citare alcune band del roster); il 5 ottobre 1992 usci così Changes, favoloso album death metal di chiara matrice europeo/teutonica che ebbe allora un discreto successo grazie anche a tournée con band del calibro di Evil Dead, Laaz Rockit, At The Gates e Therion (da alcune date ne scaturì anche un live – Liepzig – sempre datato 1992). L’anno successivo usci il loro ep Love Songs, poco prima del loro primo scioglimento. Riunitisi nel 1995, fecero uscire il demo omonimo, per poi sciogliersi immediatamente dopo. Ancora una reunion dieci anni dopo, che vide unicamente alcuni loro show in terra natia, per poi decretare lo split-up definitivo (almeno secondo quanto dichiarato dal bassista Johannes Attems).

Discography:
Godly Amusement – Demo – 1990
Live Leipzig – Live album -1992
Changes – Full-length – 1992
Love Songs – EP – 1993
Miasma 1995 – Demo – 1995

Line-up
Ares Cancer – Guitars
Gerhard “Gorehead” – Vocals
Johannes Attems – Bass

Bloodbath – The Arrow of Satan Is Drawn

La frangia più conservatrice dei fans avrà sicuramente di che godere per questo nuovo lavoro targato Bloodbath, un album grezzo, sporco ed oscuro, in poche parole un esempio della forza di cui ancora dispone il genere.

Quello che agli inizi poteva essere scambiato per l’ennesimo progetto di una manciata di talenti del death metal scandinavo, capitanati dal talento di due guru come Dan Swanö e Mikael Åkerfeldt, è diventato un gruppo a tutti gli effetti, portatore del marcio verbo del death metal old school di matrice nordica, grezzo primordiale e senza compromessi.

Dan Swanö e Mikael Åkerfeldt da anni hanno lasciato il girone infernale dove risiedono i Bloodbath, con Nick Holmes stabilmente dietro al microfono, Martin Axenrot alla batteria ed il nuovo arrivato Joakim Karlsson alla chitarra (Craft) ad accompagnare i due membri originali che di talento ne hanno da vendere e che di nome fanno Jonas Renkse e Anders “Blakkheim” Nyström.
Il quintetto arriva così al quinto full length, questo abominevole ed oscuro lavoro intitolato The Arrow of Satan Is Drawn, a ribadire la salute del metal estremo di stampo death, da una manciata d’anni tornato su livelli eccellenti grazie a gruppi storici e nuove leve.
La frangia più conservatrice dei fans avrà sicuramente di che godere per questo nuovo lavoro targato Bloodbath, un album grezzo, sporco ed oscuro, in poche parole un esempio della forza di cui ancora dispone il genere, duro e puro, malato e sporcato e maledetto da riff scritti dall’anima più malevola che risiede nella casa di Lucifero.
La band gira a mille, Holmes è assolutamente a suo agio, tanto da mettere in discussione la pur buona prova sull’ultimo Paradise Lost, sembrando un angelo caduto che vomita fango brulicante di vermi in brani devastanti come l’opener Fleischmann, Levitator, Only The Dead Survive ed il singolo Chainsaw Lullaby.
Dall’anima death’ n ‘roll e forte di una tracklist possente come un carro armato infernale, The Arrow of Satan Is Drawn è l’ennesimo imperdibile macigno sonoro targato Bloodbath.

Tracklist
01. Fleischmann
02. Bloodicide
03. Wayward Samaritan
04. Levitator
05. Deader
06. March Of The Crucifers
07. Morbid Antichrist
08. Warhead Ritual
09. Only The Dead Survive
10. Chainsaw Lullaby

Line-up
Jonas Renkse – Bass, vocals (backing)
Anders “Blakkheim” Nyström – Guitars, vocals (backing)
Martin Axenrot – Drums
Nick Holmes – Vocals
Joakim Karlsson – Guitars

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Opeth – Garden Of The Titans: Live At Red Rocks Amphitheatre

Gli Opeth hanno ormai raggiunto uno status che li pone tra i grandi della musica moderna di stampo progressivo ed i loro live sono un’esperienza uditiva assolutamente coinvolgente, quindi nessuna sorpresa negativa scaturisce dall’ascolto di questo live.

Gli Opeth sono una delle band più importanti che la scena metallica Scandinava ha sfornato negli ultimi trent’anni, un gruppo capace di fare scuola in quello che, dalla nascita della band del geniale Mikael Åkerfeldt è diventato un genere dei più seguiti nel panorama estremo, amalgamando impulsi death e black con la musica progressiva.

Da almeno tre lavori, però, gli Opeth hanno preso una strada che li ha portati a rivalutare sonorità più classiche trasformandosi in una creatura progressiva più vicina al tradizionale sound settantiano.
Il live in questione ci presenta gli Opeth di oggi, dopo i festeggiamenti per il ventennale con quello che era l’ultima testimonianza del gruppo in concerto, uscita nel 2010 (In Live Concert at the Royal Albert Hall), un lavoro che fotografa la band nel tour di supporto all’ultimo album in studio Sorceress, licenziato un paio di anni fa.
Garden Of The Titans: Live At Red Rocks Amphitheater immortala la band sul palco del Red Rocks Amphiteatre di Denver l’11 maggio 2017 ed esce ni formati DVD, Blu-ray (entrambi corredati di CD audio) e vinile.
Tre brani presi dall’ultimo album e poi una carrellata di tracce a coprire quasi per intero la discografia fanno di questo live un buon riassunto di quello che la band ha prodotto in questi anni, ed avendo l’opportunità del solo ascolto possiamo sicuramente affermare che l’operazione merita l’attenzione degli amanti del gruppo svedese.
Gli Opeth hanno ormai raggiunto uno status che li pone tra i grandi della musica moderna di stampo progressivo ed i loro live sono un’esperienza uditiva assolutamente coinvolgente, quindi nessuna sorpresa negativa scaturisce dall’ascolto di questo live, trattandosi di una performance di altissimo livello con la quale il gruppo emoziona come pochi sanno fare, grazie a vere gemme sonore come Ghost Of Perdition, In My Time Of Need, The Devil’s Orchard e Deliverance.
Ovviamente l’intera la tracklist è di assoluta qualità, e se sicuramente i fans di vecchia data storceranno il naso per la mancanza di brani dai primi cinque magnifici lavori, grazie all’altissimo livello della musica contenuta in questo live tutto questo si riduce ad un semplice dettaglio.

Tracklist
1. Sorceress
2. Ghost Of Perdition
3. Demon Of The Fall
4. The Wilde Flowers
5. In My Time Of Need
6. The Devil’s Orchard
7. Cusp Of Eternity
8. Heir Apparent
9. Era
10. Deliverance

Line-up
Mikael Åkerfeldt – Guitars, Vocals
Martín Méndez – Bass
Martin Axenrot – Drums, Percussion
Fredrik Åkesson – Guitars
Joakim Svalberg – Keyboards, Piano, Mellotron

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R.O.T. – Revolution Of Two

Revolution Of Two risulta quindi uno splendido esempio di metal estremo, melodico e progressivo, meritevole di attenzione anche perché suonato ottimamente da un duo dalle potenzialità enormi.

Nell’underground metallico non mancano certo le soprese, piccole gemme sonore che ci arrivano da ogni parte del mondo e che abbracciano generi e sonorità della più disparate.

I R.O.T. sono un duo di musicisti provenienti da Cassino, unitisi dopo varie esperienze lo scorso anno con lo scopo di suonare death metal melodico e progressivo.
Louis Littlebrain (Luigi Cervellini) e Eddy Scissorshand (Edoardo Merlino) debuttano con il primo full length intitolato Revolution Of Two, autoprodotto e uscito per la per la loro etichetta indipendente EFTM Records.
L’album è composto da otto brani più intro per tre quarti d’ora di death melodico ottimamente suonato dal duo che, con una sviluppata personalità, elabora il genere alla sua maniera unendo nel proprio sound diversi spunti ed ispirazioni e creando un sound deviato da iniezioni di moderne trame progressive.
Ritmiche thrash, un lavoro chitarristico dai rimandi classici, l’uso della doppia voce e qualche accenno di modernità, fanno di Revolution Of Two un ibrido di musica estrema e melodica che racchiude ispirazioni provenienti da Soilwork, Devin Townsend, Voivod, In Flames e valorizzate da notevoli ricami progressivi che non solo mettono in risalto la tecnica esecutiva del duo, ma creano cangianti atmosfere che arricchiscono non poco il songwriting.
La sensazionale partenza, con la diretta e spettacolare Diamond Souls che esplode in tutta la sua forza prorompente dopo l’intro, è solo l’inizio di un viaggio tra la musica creata dai R.O.T. che vede il suo apice tra le note della cangiante The 4th Reactor, The Angel’s Cry e nella conclusiva Aut-Aut.
Revolution Of Two risulta quindi uno splendido esempio di metal estremo, melodico e progressivo, meritevole di attenzione anche perché suonato ottimamente da un duo dalle potenzialità enormi.

Tracklist
1.After All…
2.Diamond Souls
3.Hyper Thymesia
4.The 4th Reactor
5.Rebirth
6.Angel’s Cry
7.Ethereal Dimension
8.Apatite
9.Aut Aut

Line-up
Eddy Scissorshand – Bass, Vocals
Louis LittleBrain – Guitars, Keyboards

Agony Face – CXVI Evolving Discharges

La Sliptrick Records label piglia tutto, si è assicurata le prestazioni di questi cinque maghi del technical death metal mondiale ( si, avete letto bene), confermandosi come una delle etichette più attive nel panorama underground attuale e licenziando uno dei lavori più riusciti dell’anno in assoluto nel genere, imperdibile.

Cinque anni di silenzio dall’ultimo lavoro e a sorpresa il nuovo lavoro dei geniali deathsters nostrani Agony Face irrompe sul mercato.

CXVI Evolving Discharges è il titolo di questa straordinaria opera estrema che conferma l’assoluta qualità delle uscite targate Agony Face, con un souns tecnico e progressivo offerto da una macchina da guerra ben oliata che ci travolge con il suo Surrealistic Death Metal.
L’album risulta una cascata di note che in modo del tutto personale rivisita il concetto di metal estremo, con una serie di brani che inchiodano al muro, devastanti, pregni di cambi di ritmo e di atmosfere, e si elevano verso l’olimpo di un genere che ormai difficilmente riesce a trovare nuove strade e a convincere aldilà della tecnica, a meno che non ci si chiami Agony Face.
Il gruppo accoglie nel proprio spartito diversi generi e miriadi di sfumature, il tutto elaborato tramite un sound assolutamente folle, a tratti schizzato e in cui i rallentamenti e le atmosfere pacate preparano l’ascoltatore a tempeste musicali pervase da rumori campionati, passaggi orchestrali, jazzati e sottoposti ad un massacro thrash/death nei quali la tecnica strumentale non lascia scampo, lasciando l’ascoltatore a bocca aperta per le tante e spettacolari trovate compositive.
La Sliptrick Records, label piglia tutto, si è assicurata le prestazioni di questi cinque maghi del technical death metal mondiale (sì, avete letto bene), confermandosi come una delle etichette più attive nel panorama underground attuale e licenziando uno dei lavori più riusciti dell’anno in assoluto nel genere.

Tracklist
1.XXV The Lonization
2.XXIII Waffle
3.XXIII Connection
4.XXIV Mat(h) Bat(h) 3+3+3
5.XX Marrakesch Prostitute
6.XIX Reality Chack
7.XIX Mantra Of Sulphur
8.XXI Wandering Through Cerebral Paths

Line-up
Davide – Vocals
Riccardo – Guitar
Alessandro – Guitar
Mirko – Bass
Alesandro – Drums

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Master – Vindictive Miscreant

Gli anni per il bassista e cantante statunitense non sembrano passare: la collaborazione con il buon Rogga Johansson, gli altri progetti a cui si è dedicato e i suoi Master riescono nella non facile impresa di mantenere un approccio ed una qualità invidiabile e Vindictive Miscreant conferma questa invidiabile tendenza.

Paul Speckmann non conosce pause: archiviato da non molto l’ultimo abominevole parto in compagnia di Rogga Johansson (From The Mouth Of Madness) uscito nella prima metà dell’anno, lo storico bassista e cantante torna con i suoi Master, leggendaria band attiva da metà anni ottanta e che ha attraversato più di trent’anni di metal estremo con costanza ed attitudine esemplari.

D’altronde il suo carismatico leader non ha mai lasciato la scena estrema, collaborando con gruppi e personaggi che ne hanno fatto la storia, nell’underground e non solo.
Vindictive Miscreant è il nuovo lavoro del trio, che si completa con il chitarrista Alex Nejezchleba ed il batterista Zdenek Pradlovsky, l’ultimo di una lista che vede arrivare la band al quattordicesimo parto sulla lunga distanza.
Una nuova bordata metallica che vede i nostri sempre alle prese con un death metal nutrito da un’attitudine crust/punk, amalgamata con un impatto motorheadiano che ne fa un nuovo violento ed inattaccabile esempio metal estremo senza compromessi e perfettamente in grado di tenere botta anche nel nuovo millennio.
Non sembrano infatti passati così tanti anni da quando i Master esordirono con il primo omonimo album all’alba degli anni novanta, almeno all’ascolto di brani come la title track o Replaced, due bombe sonore veloci e senza fronzoli che la band alterna a tracce più orientate al death metal classico, rallentando i ritmi e trasformandosi in una letale macchina di morte (The Inner Strenght Of The Demon, Engulfed In Paranoia).
Gli anni per il bassista e cantante statunitense non sembrano passare: la collaborazione con il buon Rogga Johansson, gli altri progetti a cui si è dedicato e i suoi Master riescono nella non facile impresa di mantenere un approccio ed una qualità invidiabile e Vindictive Miscreant conferma questa invidiabile tendenza.

Tracklist
1.Vindictive Miscreant
2.Actions Speak Louder than Words
3.Replaced
4.The Inner Strength of the Demon
5.The Book
6.Engulfed in Paranoia
7.The Impossible of Dreams
8.Stand Up and Be Counted

Line-up
Paul Speckmann – Bass and Vocals
Alex Nejezchleba – Lead and Rhythm Guitars
Zdenek Pradlovsky – Drums

MASTER – Facebook