Malevolent Creation – The 13th Beast

Il massacro compiuto dalla tredicesima bestia si fa largo, senza che si faccia sentire il peso degli anni nella scena estrema, a colpi di furioso death metal nel quale le velocissime sfuriate thrash sono presenti per rendere l’atmosfera ancora più violenta.

Una costanza ed un’attitudine invidiabili così come il talento del suo leader nel proporre death metal ai massimi livelli, sono le doti principali dei Malevolent Creation, una delle band storiche del metal estremo made in Florida.

Phil Fasciana non si ferma e somatizzata la scomparsa dello storico singer Brett Hoffmann ritorna con una formazione completamente rinnovata rispetto all’ultimo lavoro (Dead Man’s Path uscito nel 2015) che vede all’opera il batterista Philip Cancilla, il bassista Josh Gibbs e il chitarrista/cantante Lee Wollenschlaeger, protagonista di una prova molto convincente in questo mastodontico nuovo lavoro intitolato The 13th Beast.
Lasciato nelle sapienti mani del guru del metal estremo Dan Swanö, che si è occupato di mixaggio e mastering, The 13th Beast è forse un nuovo inizio per i Malevolent Creation, da trent’anni un porto sicuro per i fans del genere.
Il massacro compiuto dalla tredicesima bestia si fa largo, senza che si faccia sentire il peso degli anni nella scena estrema, a colpi di furioso death metal nel quale le velocissime sfuriate thrash sono presenti per rendere l’atmosfera ancora più violenta, con i mid tempo che diventano moloch inesorabilmente travolgenti.
L’album offre un turbinio di musica estrema costituito da brani d’impatto, decisi ed inarrestabili anche quando i Malevolent Creation rallentano trasformando i brani in impietosi pachidermi musicali (Born Of Pain), spezzando solo per poco lo tsunami death/thrash di End Of Torture, Mandatory Butchery o Bleed Us Free.
Le ottime prestazioni dei nuovi arrivati, il gran lavoro di Dan Swanö in consolle, tanta esperienza e mestiere fanno di The 13th Beast un lavoro imperdibile per i fans del death metal classico.

Tracklist
1.End The Torture
2.Mandatory Butchery
3.Agony For The Chosen
4.Canvas Of Flesh
5.Born Of Pain
6.The Beast Awakened
7.Decimated
8.Bleed Us Free
9.Knife At End
10.Trapped Inside
11.Release The Soul

Line-up
Phil Fasciana – Guitars
Josh Gibbs – Bass
Philip Cancilla – Drums
Lee Wollenschlaeger – Vocals, Guitars

MALEVOLENT CREATION – Facebook

Deserted Fear – Drowned by Humanity

Drowned by Humanity è un album molto più melodico rispetto al suo brutale predecessore, anche se la forza immane del gruppo rimane l’alternarsi di ritmiche marziali ad una furia estrema, che si avvale questa volta di un ottimo lavoro delle chitarre alle prese in assoli in cui le melodie sono più importanti che in passato.

Tornano a distanza di un anno i tedeschi Deserted Fear con un nuovo album, il quarto, sempre per il colosso Century Media.

Attivo ormai da una dozzina d’anni, il trio proveniente dalla Turingia dopo i primi due lavori ha visto crescere le proprie aspettative, dopo essere stato preso sotto l’ala della storica label tedesca già dal precedente Dead Shores Rising, album che aveva confermato le buone impressioni suscitate dal gruppo con il suo metal estremo che voltava le spalle alla Scandinavia guardando, sempre in un’ottica old school, al death metal epico e guerresco dei Bolt Thrower.
Il nuovo lavoro continua a percorrere la strada intrapresa da Fabian Hildebrandt, Manuel Glatter e Simon Mengs e vi troviamo ben nascoste mine che al passaggio esplodono in un sound potente, marziale e melodico.
Drowned by Humanity è un album molto più melodico rispetto al suo brutale predecessore, anche se la forza immane del gruppo rimane l’alternarsi di ritmiche marziali ad una furia estrema, che si avvale questa volta di un ottimo lavoro delle chitarre alle prese in assoli in cui le melodie sono più importanti che in passato.
Prodotto da Henrik Udd (At the Gates, Miasmal) nei Friedman Studios, l’album mantiene quell’atmosfera epico/guerresca che ha fatto la fortuna del gruppo in passato, unendola ad una consistente vena melodica; i brani di cui si compone il nuovo album sono sicuramente forieri di giudizi positivi, ma ovviamente si trovano tracce che più sottolineano l’ispirazione del momento del gruppo tedesco, come An Everlasting Dawn, Welcome To Reality e Sins From The Past.
Non mancano possenti monoliti di death metal guerresco e brutale, come Scars Of Wisdom, che rendono Drowned by Humanity un lavoro riuscito ed assolutamente in grado di competere ad alti livelli con le uscite di questa prima metà dell’anno, almeno per quanto riguarda il caro vecchio death metal.

Tracklist
1. Intro
2. All Will Fall
3. An Everlasting Dawn
4. The Final Chapter
5. Reflect The Storm
6. Across The Open Sea
7. Welcome To Reality
8. Stench Of Misery
9. A Breathing Soul
10. Sins From The Past
11. Scars Of Wisdom
12. Die In Vain
13. Tear Of My Throne

Line-up
Fabian Hildebrandt – Guitars
Manuel Glatter – Guitars/ Vocals
Simon Mengs – Drums

DESERTED FEAR – Facebook

Spearhead – Pacifism Is Cowardice

Pacifism Is Cowardice è un’opera estrema di buona qualità ed impatto, pur essendo destinata a rimanere confinata nell’underground metallico a uso e consumo degli amanti del genere.

La guerra diviene fonte inesauribile di ispirazione sia per i testi che per la musica, assolutamente estrema e violentissima, un death metal che alleandosi con il black affronta con crudeltà inaudita la battaglia trasformandola in una carneficina.

Stiamo parlando dei britannici Spearhead, band estrema attiva da più di dieci anni e con tre album all’attivo, prima che Pacifism Is Cowardice torni dopo un lungo silenzio a far parlare del gruppo.
Sono passati sette anni infatti dall’ultimo lavoro (Theomachia) ma la band non ha perso nulla dell’impatto che l’ha sempre contraddistinta, in virtù un sound dalla forza soprannaturale, oscuro e violentissimo, a tratti pregno di una solenne epicità estrema che lo rende un macigno di musica guerresca.
Il death metal del quartetto si ispira alla scuola statunitense, con rallentamenti ed atmosfere tipiche del Bay Area Sound per poi colpire senza pietà con tempeste di black metal che non fanno prigionieri.
La bravura del gruppo sta nel non farsi trascinare troppo dal caos sprigionato dalla battaglia, facendo in modo che le tracce abbiano una loro precisa connotazione e le atmosfere siano ben delineate in un ascolto che si fa feroce ma interessante nel seguire la band nei suoi assalti.
Ottimi i solos che nei momenti di potenza oscura e controllata si rivolgono agli amanti del death floridiano, per poi lasciare spazio ad un massacro di matrice black metal in brani come Of Sun and Steel, Degeneration Genocide e Khan.
Pacifism Is Cowardice risulta quindi un’opera estrema di buona qualità ed impatto, pur essendo destinata a rimanere confinata nell’underground metallico a uso e consumo degli amanti del genere.

Tracklist
1. Duellorum
2. Of Sun and Steel
3. Ajativada
4. Wolves of the Krypteia, We
5. Violence Revolt Ruination
6. Hyperanthropos
7. Degeneration Genocide
8. The Elysian Ideal
9. A Monarch to Rats
10. Khan
11. Aion (Two Keys and a Lion’s Face)
12. Aftermath

Line-up
Barghest – Bass, Vocals
Invictus – Guitars
Typhon – Drums
Praetorian – Lead Guitars

SPEARHEAD – Facebook

Deathrite – Nightmares Reign

Il sound del quintetto di Dresda è uno scarno e primordiale death metal spogliato da inutili orpelli, prodotto ispirandosi alla vecchia scuola e violentato da iniezioni grind e death n’roll.

I tedeschi Deathrite, nome conosciuto dell’underground estremo centroeuropeo, approdano alla corte della Century Media e licenziano il quarto album in carriera dopo un trio di lavori usciti tra il 2011 ed il 2015, tra i quali Revelation of Chaos è sicuramente il più conosciuto.

Il sound del quintetto di Dresda è uno scarno e primordiale death metal spogliato da inutili orpelli, prodotto ispirandosi alla vecchia scuola e violentato da iniezioni grind e death n’roll.
Ne esce un’opera che non scalfisce la reputazione dei Deathrite, rimanendo legata ad un’attitudine underground per nulla ammorbidita dalla firma con la prestigiosa label.
Nightmares Reign quindi è un lavoro non da tutti, o almeno non per chi si aspetta il classico album estremo, prodotto alla perfezione e valorizzato da una vena melodica, in quanto tra le trame cucite dal gruppo si viene colpiti da tremendi uno due death/thrash old school e mandati al tappeto da rallentamenti potenti e distorti, in un clima death/crust n’ roll senza compromessi.
Sono i Darkthrone la band che più si avvicina al modo di comunicare del gruppo tedesco, padri indiscussi dell’anima più rock del metal estremo e fonte di ispirazione primaria di chi si erge a paladino del genere.
Nightmares Reign è un lavoro che risulta indicato ai soli fans di queste sonorità e a chi predilige l’anima più underground ed old school del metal estremo.

Tracklist
1. When Nightmares Reign
2. Appetite For Murder
3. Invoke Nocturnal Light
4. Demon Soul
5. Devils Poison
6. Bloodlust
7. Obscure Shades
8. Temptation Calls

Line-up
Tony Heinrich – Vocals
Andy Heinrich – Guitar
Tom Michalik – Guitar
Anton Hoyer – Bass
Stefan Heinz – Drums

DEATHRITE – Facebook

6th Counted Murder – Individual

Cinquanta minuti in compagnia dei 6th Counted Murder valgono l’acquisto di questo bellissimo secondo lavoro che, agognato, aspettato e voluto dalla band e dai suoi fans, rappresenta una conferma ed un ulteriore passo avanti.

Era l’autunno del 2013 quando una serie di omicidi seriali portarono il terrore nell’underground metallico milanese, terrorizzato da un assassino che con crudele ferocia uccideva le sue vittime a colpi di thrash/death metal dalle trame heavy e da un approccio melodico stupefacente per un debutto.

Dieci brani, dieci capitoli che mettevano in luce l’ottima preparazione tecnica dei musicisti coinvolti, un songwriting assolutamente maturo ed un impatto che non lasciava dubbi sulla voglia di far male dei 6th Counted Murder.
Dopo diciotto mesi di silenzio, dovuti all’abbandono del cantante, e l’arrivo del bravissimo Simone Dalamar Paga dietro al microfono, la band con i quattro pazzi assassini seriali (Gianluca D’andria alla batteria, Alessandro Ferraris al basso e la coppia di chitarre taglienti come lame nel buio composta da Marzio Corona e Andrea P. Moretti) al proprio posto, ha ricominciato a colpire con quell’arma micidiale che è il loro sound.
Dopo la firma con la piovra Sliptrick Records (label che si sta accaparrando il meglio del metal uscito negli ultimi anni a livello underground nel nostro paese) il gruppo milanese licenzia finalmente il secondo album intitolato Individual.
Registrato negli studi della band e poi affidato alle sapienti mani di Simone Mularoni per mix e mastering, avvenuti ai Domination Studios, Individual non deluderà chi in questi anni ha aspettato con pazienza il ritorno del serial killer, una mente malata, deviata e dedita all’uso di droghe che, in un delirio di onnipotenza, compie i più brutali ed assurdi delitti, fino all’induzione al suicidio di massa aiutato da una sua vittima manipolata (la prescelta).
L’album parte con due brani di una potenza devastante, Individual Born e Syncopate, che richiamano i Testament più estremi: schegge impazzite di death metal su strutture ritmiche di matrice thrash investono l’ascoltatore, ma è con il singolo Scent Of Despair che si torna a quel melodic death metal ricco di sfumature heavy che aveva fatto la fortuna dell’esordio.
Il nuovo cantante si muove su toni estremi variando molto la sua performance, passando dal classico growl allo scream, fino ad evocative e sentite parti in clean, mentre i suoi complici fanno capire d’essere tornati ancora più convincenti ed arrabbiati di prima.
Near Death Experience è un saliscendi su spartiti estremi, con urla terrificanti che ccompagnano un sound dalla violenza progressiva, tra solos che sparano melodie classiche con una facilità disarmante.
Ancora grande metal con She, brano che si potrebbe definire un mid tempo non fosse per le ritmiche intricate, che lasciano spazio ad atmosfere melanconiche a metà brano, mentre con Brutal Engaged Abuse si torna al thrash, prima che il trio composto da Cloud Nine, Apocalypse In Human Features e House Of Lies concluda questo mostruoso lavoro.
Cinquanta minuti in compagnia dei 6th Counted Murder valgono l’acquisto di questo bellissimo secondo lavoro che, agognato, aspettato e voluto dalla band e dai suoi fans, rappresenta una conferma ed un ulteriore passo avanti.

Tracklist
1.Individual Born
2.Syncopate
3.Scent Of Despair
4.Near Death Experience
5.Berserk
6.She
7.Brutal Engaged abuse
8.Cloud Nine
9. Apocalypse in Human Features
10.House Of Lies

Line-up
Andrea P.Moretti – Guitars
Marzio Corona – Guitars
Alessandro Ferraris – Bass
Gianluca D’Andria – Drums
Simone Dalamar Paga – Vocals

6TH COUNTED MURDER – Facebook

Symbolical – Allegory Of Death

Allegory Of Death è un album oscuro, opprimente, a tratti maestoso: parlare di Behemoth più death oriented sarebbe fin troppo facile, consigliarne l’ascolto è invece un dovere.

La Polonia tira le fila dell’invasione di gruppi estremi provenienti dall’est europeo, non solo per essere la terra che ha dato i natali agli ormai famosissimi Behemoth, ma per una vena aurifera che non smette di donarci ottime band death e black metal.

I Symbolical sono sicuramente tra le più valide, attivi dal 2013 e formati da un quartetto di musicisti con esperienze importanti alle spalle come il batterista Daray (Dimmu Borgir, Hunter, ex-Vader), il chitarrista e cantante Cymer (Infernal Death), il chitarrista Słoq (The John Doe’s Burial), ed il bassista Lukas (Slain, Doomsayer).
Mystic death metal lo chiamano loro, fatto sta che prima il debutto Collapse In Agony, licenziato tre anni fa ed ora il nuovo Allegory Of Death risultano un notevole esempio di death metal pregno di atmosfere nere come la pece che spezzano il ritmo infernale imposto dalla band, tra potenti mid tempo, passaggi che sanno tanto di epica oscurità e veloci ripartenze classiche del genere nell’interpretazione nelle lande polacche.
Allegory Of Death è un lavoro che tiene inchiodati alla poltrona, con le cuffie brasate sulle orecchie nel seguire le cangianti sfumature di questa raccolta di brani, tendenti ovviamente al nero, ma che si sviluppano tra molti passaggi, con le chitarre che non disdegnano melodie oscure su tappeti di possente e monolitico metal estremo.
I musicisti, di provata esperienza, ci sanno fare, ma sono le sensazioni emotive a farla da padrone, apocalittiche e abissali, foriere di oscuri presagi di morte nelle notevoli Fallen Renegate, The Day Of Wrath, Prometheus Trial e Pseudo Master.
Allegory Of Death è un album oscuro, opprimente, a tratti maestoso: parlare di Behemoth più death oriented sarebbe fin troppo facile, consigliarne l’ascolto è invece un dovere.

Tracklist
1.Inner Struggle
2.Fallen Renegate
3.Let There Be Dark
4.The Day of Wrath
5.Requiem in Igne
6.Prometheus Trial
7.Not on the Cross
8.Beyond the Dogmas
9.Pseudo Master
10.Gore by Horn
11.Crowded the End

Line-up
Cymer – Guitar, Vocals
Sloq – Guitar, Vocals
Daray – Drums
Lukas – Bass

SYMBOLICAL – Facebook

Vistery – Death Is Dead

Il gruppo estremo proveniente da Minsk è autore di un death metal old school, con sua maestà il riff sempre in primo piano su brani che non accelerano mai al massimo ma si sviluppano preferibilmente su potentissimi mid tempo.

Partiti come solo project del chitarrista e cantante Alexey Kizillo, i Vistery nell’arco di tre lavori si sono trasformati in una band a tutti gli effetti, ed ora come quintetto arrivano al terzo lavoro sulla lunga distanza intitolato Death Is Dead.

Il gruppo estremo proveniente da Minsk è autore di un death metal old school, con sua maestà il riff sempre in primo piano su brani che non accelerano mai al massimo ma si sviluppano preferibilmente su potentissimi mid tempo.
Un death metal ordinario e senza grossi picchi, ma che si lascia ascoltare grazie ad un buon impatto e a un lavoro chitarristico sufficiente per non deludere gli appassionati della vecchia scuola.
Il difetto che più salta alle orecchie è la mancanza di una scintilla che faccia di queste tracce qualcosa in più del solito aggressivo attacco frontale, massiccio e pesante quanto si vuole ma alla lunga esattamente uguale ad altre centinai di realtà che si muovono nell’underground estremo.
Death Is Dead è quindi un lavoro che non porterà grosse novità in casa Vistery, band che continua comunque a suonare dignitoso death metal old school rivolto ai fans devoti al genere.

Tracklist
1.Winds of Devastation
2.Tormentor
3.Rotting Earth
4.Picnic Party
5.Omniphobic
6.Swamp
7.Die from Within
8.Black Magic
9.Mortal Fear
10.Butchery
11.Death Is Dead

Line-up
Alexander “Soulless” – Bass
Aleksey “Wicked” – Guitars
Ivan “Paranoid” – Vocals
Sergiy “Def” – Drums

VISTERY – Facebook

One Step Beyond – In The Shadow Of The Beast

In the Shadow of the Beast è composto da nove brani uno diverso dall’altro, ma clamorosamente perfetti nel seguire il discorso compositivo dell’opera, con picchi di musica metal sopra le righe, attraversati da un’insana voglia di abbattere barriere e confini con la forza di un songwriting ispirato.

La Wormholedeath licenzia il quarto album di questa incredibile band australiana chiamata One Step Beyond, una camaleontica creatura musicale che sotto la veste di band death metal sperimentale nasconde una predisposizione nel confondere l’ascoltatore, amalgamando in un unico sound una marea di generi presi dall’immenso oceano della scena metal.

Attivo da più di vent’anni il gruppo, oggi composto da “Mad” Matt Spencer (Basso, Voce e programmazioni) e Justin Wood (voce), dà alla luce un pazzesco lavoro in cui death, grind, melodic death metal, doom, power e thrash si mischiano in un orgiastico sound che strappa applausi ad ogni passaggio, tra anime maligne e progressive in una quarantina di minuti nel corso dei quali stupire e non lasciare punti di riferimento è la parola d’ordine.
In the Shadow of the Beast è composto da nove brani uno diverso dall’altro, ma clamorosamente perfetti nel seguire il discorso compositivo dell’opera, con picchi di musica metal sopra le righe, attraversati da un’insana voglia di abbattere barriere e confini con la forza di un songwriting ispirato.
Si passa dunque dal death metal della title track, al brutal/grind della successiva The Streetcleaner, dal mid tempo power della melodica Enlightenment, dal doom evocativo della superba The Sentinel, al death melodico di Atombender.
Pitch Black Within è un brano thrash/black dall’anima progressiva, mentre la conclusiva Isolde torna su sentieri epico/melodici di stampo death.
Ne sentirete delle belle all’ombra di questa bestia, perché è difficile pure trovare delle similitudini con altre realtà visto che il duo si ispira a molte band senza assomigliare in particolare a qualcuna, risultando una bella sorpresa da non perdere se si è amanti del metal estremo a 360°.

Tracklist
1. In The Shadow of the Beast
2. The Streetcleaner
3. Enlightenment
4. Shadow Warriors
5. The Sentinel
6. Atombender
7. Pitch Black Within
8. Another World
9. Isolde

Line-up
“Mad” Matt Spencer – Bass/Vocals and Drum Programming
Justin Wood – Vocals

ONE STEP BEYOND – Facebook

The Order Of Apollyon – Moriah

Se la base di partenza possono essere i Behemoth dello scorso decennio, il tutto viene pervaso da quell’idea obliqua di metal estremo che è caratteristica delle band francesi: quello che ne scaturisce è un album di grande spessore, forse non particolarmente originale, ma trascinante dalla prima all’ultima nota.

Moriah è il terzo full length per i The Order Of Apollyon, band nata alla fine dello scorso decennio con una configurazione transnazionale ma, oggi, al 100% composta da musicisti francesi guidati dal fondatore BST (Sébastien Tuvi), conosciuto per la sua passata militanza negli Aosoth e quella attuale nei notevoli VI.

Assieme a musicisti gravitanti nell’area di band già abbastanza note nella scena estrema transalpina, come Temple Of Baal, Merrimack e Decline Of The I, BST mette in campo un’interpretazione impeccabile del black death, riuscendo a conferire ad Ogni brano una sua fisionomia melodica pure senza far mai scemare la potenza di fuoco del sound.
Se la base di partenza possono essere i Behemoth dello scorso decennio, il tutto viene pervaso da quell’idea obliqua di metal estremo che è caratteristica delle band francesi: quello che ne scaturisce è un album di grande spessore, forse non particolarmente originale, ma trascinante dalla prima all’ultima nota, in virtù di una fruibilità che sembrerebbe a prima vista cozzare con la ferocia esibita e con l’incessante ringhio del leader.
Moriah trova pace solo a tratti, quando qualche attimo di tregua fa capolino nell’incipit di The Lies Of Moriah e Soldat, ma per la sua totalità i The Order Of Apollyon infliggono all’ascoltatore una gragnuola di colpi mortali che sfiorano il death più tetragono in Rites Of The Immolator, per poi aprirsi alla maggiore penetrazione di un brano magnifico come Grey Father, seguito dall’altrettanto efficace The Cradle, melodicamente irresistibile nella sua seconda parte, e da una The Original Cries Of Jerusalem che richiama i Rotting Christ più corrosivi.
Quello che si perde in varietà stilistica viene riacquistato con gli interessi grazie alla veemenza immessa sul piatto da un gruppo capace di manipolare con naturalezza ed efficacia sonorità che, altrimenti, avrebbero rischiato di trasformarsi un invalicabile muro di riff.
Moriah non ci consegna una band capace di riscrivere la storia del genere ma certo è che l’ascolto di album cosi ben costruiti ed eseguiti non deve mai apparire un qualcosa di scontato e, a tutto questo, va aggiunta una buona capacità di sintesi che spinge il quartetto a perseguire uno stile molto più diretto rispetto a quanto fatto dai singoli musicisti all’interno di alcune delle loro altre band.
Una bella sferzata di ragionata violenza che assunta a intervalli regolari non può che migliorare l’umore.

Tracklist:
1. The Lies Of Moriah
2. Rites Of The Immolator
3. Grey Father
4. The Cradle
5. The Original Cries Of Jerusalem
6. Trident Of Flesh
7. Soldat
8. A Monument

Line-up:
B.S.T. – Vocals, Guitars
S.K. – Drums
S.R. – Guitars, Vocals
A.K. – Bass, Vocals

THE ORDER OF APOLLYON – Facebook

Dewfall – Hermeticus

Hermeticus è un album riuscito ma che, al contempo, è propedeutico ad un ulteriore salto di qualità, specialmente se l’attività della band dovesse svilupparsi con maggiore frequenza e regolarità, considerato che la base di ripartenza è collocata già piuttosto in alto.

Dopo un silenzio piuttosto lungo tornano i baresi Dewfall con il loro black death davvero ricco di spunti di interesse e tutt’altro che appiattito sulle posizioni più confortevoli del genere.

La band pugliese offre un album che ha il grande pregio di non risentire troppo della sua lunghezza, in virtù di un sound cangiante senza scadere nella dispersività; a tale riguardo si rivela giustamente esemplificativo il brano d’apertura The Abomination Throne, nel corso del quale vengono esibite tutte le armi a disposizione, a partire da un approccio tecnico che concede il giusto spazio a passaggi solisti di grande pregio per finire con ampie aperture melodiche, anche con l’utilizzo di ottime clean vocals, passando per qualche dissonanza che riporta all’evoluzione del sound che ha coinvolto protagonisti iniziali della scena black come Ihsahn o gli Enslaved.
Se la successiva canzone Murex Hermetica conferma appieno le doti esibite nella precedente taccia, Monolithic Dome e Apud Portam Ferream sono decisamente validi episodi ma in qualche modo più canonici e meno penetranti, mentre The Eternal Flame of Athanor gode di un magnifico lavoro chitarristico che fa veleggiare il brano verso un coinvolgente finale intriso di robusta epicità.
Moondagger, The Course to Malkuth e Apostasy of Hopes mantengono il lavoro su livelli analoghi, anche grazie agli spunti della chitarra solista che intervengono a spezzare trame che, in questi ultimi brani, perdono un pizzico di incisività e se proprio si vuole fare un appunto ai Dewfall è proprio quello d’aver proposto una scaletta che vede i suoi picchi nella parte iniziale, anche se non si può certo dire che le tracce conclusive non siano l’altezza della situazione.
Del resto mantenere elevata la tensione per oltre cinquanta minuti non è banale, ma la cosa ai Dewfall riesce con buona continuità, anche perché i musicisti coinvolti si rendono protagonisti di una prova notevole, con menzione d’obbligo per il lavoro di Flavio Paterno alla chitarra, capace di ricavare importanti sbocchi melodici ad un sound spesso molto abrasivo con splendide fiammate soliste.
Hermeticus è un album riuscito ma che, al contempo, è propedeutico ad un ulteriore salto di qualità, specialmente se l’attività della band dovesse svilupparsi con maggiore frequenza e regolarità, considerato che la base di ripartenza è collocata già piuttosto in alto.

Tracklist:
1. The Abomination Throne
2. Murex Hermetica
3. Monolithic Dome
4. Apud Portam Ferream
5. The Eternal Flame of Athanor
6. Moondagger
7. The Course to Malkuth
8. Apostasy of Hopes

Line-up:
Flavio Paterno – Guitars (2003-present)
Saverio Fiore – Bass (2011-present)
Vittorio Bilanzuolo – Vocals (2011-present)
Antonio “Eversor” Lacoppola – Drums (2016-present)

DEWFALL – Facebook

Sönambula – Bicéfalo

Bicéfalo è un album che, fin dalla prima nota, si rivela grezzo, asciutto, basato su un riffing sempre incisivo e da un supporto ritmico ben in evidenza: l’andamento mediamente sostenuto viene interrotto da bruschi rallentamenti, così come da ottime sortite metodiche delineate dalla chitarra solista.

Il death doom nella sua forma più asciutta ed essenziale proposto ai giorni nostri è un qualcosa che ha il pregio di lasciarsi ascoltare con piacere ma, al contempo, ha il difetto di risultare ben difficilmente un qualcosa capace di lasciare un segno indelebile.

Tali considerazioni valgono anche per questo secondo full length dei baschi Sönambula, band guidata dall’esperto chitarrista e vocalist Rapha Decline.
Bicéfalo è un album che, fin dalla prima nota, si rivela grezzo, asciutto, basato su un riffing sempre incisivo e da un supporto ritmico ben in evidenza: l’andamento mediamente sostenuto viene interrotto da bruschi rallentamenti, così come da ottime sortite metodiche delineate dalla chitarra solista.
In tali frangenti il musicista di Bilbao dimostra d’essere un buon interprete dello strumento e questo ci fa pensare che, forse, dando un maggiore sfogo a passaggi più ariosi il risultato complessivo avrebbe potuto risentirne positivamente.
I brani sono tutti abrasivi il giusto, il ringhio di Rapha non fa sconti e mentre si ascolta il disco si scapoccia il giusto ma arrivati al termine sorge spontanea una domanda: quante volte lo ascolterò ancora?
L’uniformità stilistica dei Sönambula è un punto di forza, per il suo essere coerente ai dettami del genere, e di debolezza per il fatto che dopo la prima canzone sarà ben chiaro che il canovaccio seguito resterà inevitabilmente quello.
Ciò che ne scaturisce è comunque un lavoro valido e che sicuramente troverà il dovuto apprezzamento da parte di chi predilige questo tipo di sonorità estreme.

Tracklist:
1. Mutación sintética
2. Héroe sangriento
3. Huesos
4. Nostromo
5. Detritus
6. Colección macabra
7. Bicéfalo

Line-up:
Rapha Decline – Guitar/Vocals
Errapel Kepa – Bass
Maider – Drums

SONAMBULA – Facebook

Arsis – Visitant

Un album che ha molte luci ma pure qualche ombra, comunque sicuramente riuscito dal punto di vista di chi apprezza il metal estremo tutto tecnica e velocità.

Attivi fin dall’alba del nuovo millennio gli statunitensi Arsis, tornano con un nuovo lavoro a distanza di cinque anni dal precedente Unwelcome con il sesto album della loro discografia.

Visitant, accompagnato da una copertina che fa tanto vecchia scuola (Mark Riddick), è stato registrato, mixato e masterizzato dal produttore Mark Lewis (Whitechapel, Devildriver, Cannibal Corpse), e licenziato dalla Agonia Records.
Come ormai ci ha abituato la band di Virginia Beach, il sound di questo nuovo lavoro è una death metal tecnico e melodico, molto meno moderno di quello che si potrebbe intuire dal passato del gruppo e più vicino al death metal classico, come già era successo con il precedente album.
La band del funambolico chitarrista James Malone ci regala un album altamente tecnico, improntato su ritmiche thrash/death e sui solos che a tratti sfiorano lo shredding, melodici e spettacolari, di fatto il marchio di fabbrica degli Arsis.
Visitant si specchia in queste caratteristiche, magari anche troppo, ma è indubbio che la tecnica messa in mostra dal gruppo sia di primordine, non solo quella del chitarrista e cantante ma anche dei tre musicisti che compongono il nucleo degli Arsis, Brandon Ellis alla seconda chitarra, Noah Martin al basso e Swan Priest alla batteria.
Tricking The Gods apre l’album e veniamo subito travolti da un turbinio di ritmiche forsennate, da uno scream rabbioso e dalla chitarra del leader che vomita solos indiavolati.
Il seguito segue pedissequamente queste caratteristiche, con brani che risultano ragnatele di note estreme come As Deep As Your Flesh, Funeral Might e Unto the Knife.
Gli Arsis sono una band inattaccabile per quanto riguarda la tecnica esecutiva, ma alla lunga lasciano che la loro principale virtù diventi troppo ingombrante, soffocando leggermente il songwriting.
Un album che ha molte luci ma pure qualche ombra, comunque sicuramente riuscito dal punto di vista di chi apprezza il metal estremo tutto tecnica e velocità.

Tracklist
1. Tricking The Gods
2. Hell Sworn
3. Easy Prey
4. Fathoms
5. As Deep As Your Flesh
6. A Pulse Keeping Time With The Dark
7. Funeral Might
8. Death Vow
9. Dead Is Better
10. Unto The Knife
11. His Eyes (Pseudo Echo Cover)

Line-up
James Malone – Guitar/Vocals
Brandon Ellis – Guitar
Noah Martin – Bass
Shawn Priest – Drums

ARSIS – Facebook

Heterogeneous Andead – Deus Ex Machina

Deus Ex Machina si rivela un gradita sorpresa per gli amanti del genere: a suo modo originale la band si allontana dai soliti cliché gotici per travolgere l’ascoltatore sotto valanghe di note thrash/death, risultando una macchina da guerra metallica

Gli Heterogeneous Andead sono una extreme metal band fondata da Yusuke Kiyama cinque anni fa e arrivata ora all’esordio su lunga distanza per Wormholedeath.

Il sound che poggia le sue fondamenta su un death/thrash veloce e devastante su cui la band inserisce parti sinfoniche ed elettroniche e l’uso della doppia voce (mezzo soprano e growl) ad opera della cantante Haruka.
Deus Ex Machina si rivela un gradita sorpresa per gli amanti del genere: a suo modo originale la band si allontana dai soliti cliché gotici per travolgere l’ascoltatore sotto valanghe di note thrash/death, risultando una macchina da guerra metallica.
Il growl risulta leggermente forzato invero, mentre il tono classico si erge sopra ritmiche indiavolate, solos taglienti come katane e sinfonie progressive a nobilitare un sound che risulta un vero massacro.
Non si lasciano intimorire dal debutto gli Heterogeneous Andead, ma con personalità affrontano il metal estremo con una serie di diavolerie compositive ed un bagaglio tecnico eccellente, così che devastanti ed intricati brani come l’opener Flash Of Calamity, Tentacles o la cavalcata di quasi dieci minuti intitolata Demise Of Reign diventano per l’ascoltatore una sorta di montagne russe metalliche, tra discese a velocità folle e paraboliche musicali spettacolari.
Originale quel tanto che basta per non esibire espliciti punti di riferimento, il gruppo nipponico risulta il solito colpo gobbo di un’etichetta sempre sul pezzo quando si tratta di proporre realtà interessanti reclutate in tutto il mondo.

Tracklist
1.Flash of Calamity
2.Denied
3.Hallucination
4.Tentacles
5.Automaton
6.Unleashed
7.Tyrant
8.Obfuscation
9.Demise of Reign
10.Fleeting Dawn

Line-up
Haruka – Vocals
Yusuke Kiyama – Guitars, Synth, Programming
Masaya Kondoh – Guitars
Takashi Onitake – Bass

HETEROGENEOUS ANDEAD – Facebook

Slugdge – Esoteric Malacology

Cover straniante e titolo misterioso ci fanno scoprire un duo albionico,capace di sfregiare la materia death con mille influenze,per un risultato vibrante e multiforme.

Il circuito underground, lo sappiamo, è infinito e inarrestabile nelle sue uscite e chiaramente è impossibile riuscire a dragarlo sempre con efficacia e piacere; fino a qualche tempo fa non sapevo neanche dell’ esistenza di questo gruppo, ora un duo, che ci propone con il suo quarto album un incendiario death miscelato con sludge, qualcosa di black e mille altre influenze.

Poco più che trentenni, i due musicisti dimostrano una notevole preparazione tecnica e una ispirazione di livello superiore che copre interamente gli abbondanti cinquanta minuti del nuovo Esoteric Malacology dedito alla celebrazione della malacologia (ramo della zoologia che studia la vita dei molluschi); un lato ironico e divertente è presente anche nei titoli del platter, ma la musica che ne fuoriesce dimostra invece una potenza e fluidità invidiabile. L’attacco killer di War Squids è vibrante, dimostra una notevole tecnica sempre al servizio di un suono che fuoriesce fluido ed entusiasmante, per un brano che rappresenta nel suo sviluppo cangiante un perfetto opener per un disco che svelerà nel corso dei brani di essere abbastanza imprevedibile. Un gusto melodico particolare caratterizza ogni brano, mantenendo sempre alta la tensione, gli intrecci chitarristici sono martellanti e complessi, il “core” è sempre death ma circondato e ampliato da molteplici influenze che si amalgamano senza forzature. Le note di basso insinuanti e ipnotiche di Crop Killer ci ricordano a quanto fatto da Les Claypool con i suoi Primus, le vocals in alternanza con il growl danno un fascino misterioso al brano che si dimostra avventuroso e dal grande impatto. Veramente non si sa cosa aspettarsi di brano in brano, gli ingredienti sono noti ma la grande fluidità con cui sono usati è sempre al servizio di songs compatte, inarrestabili e coinvolgenti. Tecnica ai massimi livelli, riff ora cerebrali ora più viscerali costruiscono brani di tech prog death impattanti come The Spectral Burrows. Fiumi in piena come Slave Goo World ci trascinano in gorghi caotici, dove non si riesce a respirare, mentre la ritmica martellante e precisa si conficca nei nostri gangli neuronali fino a sfibrarli. Otto brani lunghi nei quali la band, di origine albionica, non teme cali di ispirazione e riesce con veemenza e precisione a definire il proprio suono; la splendida e misteriosa Salt Thrower con il suo andamento appena più pacato sublima l’essenza del loro suono, immergendosi in territori sognanti prima di esplodere in intricati passaggi strumentali. Opera notevole e meritevole di attenzione anche recuperando The Cosmic Cornucopia, box contenente le tre precedenti opere.

Tracklist
1. War Squids
2. Crop Killer
3. The Spectral Burrows
4. Slave Goo World
5. Transilvanian Fungus
6. Putrid Fairytale
7. Salt Thrower
8. Limo Vincit Omnia

Line-up
Kev Pearson – Guitars
Matt Moss – Vocals

SLUGDGE – Facebook

Grimaze – Planet Grimaze

Planet Grimaze è un debordante e monolitico lavoro che non lascia spazio a scorciatoie per facilitare l’ascolto, ma che come un carro armato avanza senza fermarsi davanti a nulla travolgendo e triturando ogni cosa senza pietà.

Picchiano come se non ci fosse un domani i Grimaze, band proveniente da Sofia ed attiva da una manciata d’anni, con un ep omonimo alle spalle licenziato nel 2016.

Interessante e pesantissima, la proposta dei bulgari unisce impatto groove e attitudine brutal risultando un monolitico esempio di metal estremo moderno ma legato indissolubilmente alla tradizione.
In poche parole la band ci travolge con pesantissime porzioni di groove metal rese ancora più violente ed estreme da iniezioni di death/thrash spaventosamente brutali.
Un suono magmatico ed impastato fa il resto e Planet Grimaze risulta così un lavoro non facile da digerire se non si è in sintonia con queste sonorità.
Atmosfera che rimane di estrema tensione, riff debordanti e ritmiche pregne di groove del più possente, nonché un growl al limite del brutal sono le caratteristiche che allontanano il sound di Planet Grimaze dalle solite band groove metal da classifica, risultando figlio di un’attitudine brutalmente estrema.
Facendo pensare a Pantera e Gojira alle prese in una jam violentissima con Asphyx e Gorguts, Planet Grimaze è un debordante e monolitico lavoro che non lascia spazio a scorciatoie per facilitare l’ascolto, ma che come un carro armato avanza senza fermarsi davanti a nulla travolgendo e triturando ogni cosa senza pietà.

Tracklist
1.Endless Life Force
2.Inner Engineering
3.Survival of the Fittest
4.Scars
5.Disobey the Primitive
6.Face of the North
7.8000 Meters
8.Bleeding Earth
9.My Vow

Line-up
Nedislav Miladinov – Drums
Melina Krumova – Guitar
Pavel Krumov – Vocals
Anton Dimitrov – Bass

GRIMAZE – Facebook

S.R.L. – Hic Sunt Leones

Hic Sunt Leones si rivela un album pesantissimo ma valorizzato da passaggi strumentali che entrano nell’ascoltatore come lame affilatissime: premere nuovamente il tasto play alla fine dell’outro Omne Ignotum Pro Magnifico diventerà una consolidata abitudine.

Dopo la firma con Rockshots Records è giunto il momento per gli ormai storici thrashers S.R.L. di licenziare un nuovo lavoro, intitolato Hic Sunt Leones (motto usato nell’antica Roma e che indicava i luoghi inesplorati e non ancora conquistati).

Il gruppo umbro arriva così al quarto full length di una discografia iniziata nel 1995 con il primo demo e completata da una manciata di ep, sempre nel segno di un roccioso death/thrash cantato in lingua madre.
Anche per questo nuovo lavoro, la Società a Responsabilità Limitata (monicker che si rifà alle grandi prog rock band italiane degli anni ’70) ci va giù pesante con undici nuove scariche adrenaliniche di metal estremo ben prodotto, attraversato da un’attitudine heavy che permette al gruppo di ricamare le proprie cavalcate con grandi melodie che vivono in simbiosi con la parte più violenta del sound.
Ne esce una raccolta di brani interessanti, decifrabili nel loro impatto estremo grazie ad un lavoro chitarristico di prim’ordine, una sezione ritmica rocciosa e un ottimo uso delle linee vocali, dal growl più profondo allo scream.
Il Museo delle Cere, Rimarremo Da Soli, la tempesta thrash di Demoni, il riff del mid tempo Di Luna e Deserto, brano di stampo melodic death e il terremoto creato dalla devastante Vertigine sono i momenti topici di quest’opera che non ha un momento di pausa, investendoci con una serie micidiale di diretti, puntando a fare male pur mantenendo le redini di questo purosangue metallico ben salde.
Hic Sunt Leones si rivela così un album pesantissimo ma valorizzato da passaggi strumentali che entrano nell’ascoltatore come lame affilatissime: premere nuovamente il tasto play alla fine dell’outro Omne Ignotum Pro Magnifico diventerà una consolidata abitudine.

Tracklist
01. Il Culto
02. Il Museo delle Cere
03. Tenebre
04. Rimarremo da Soli
05. Demoni
06. Un Sasso nel Vuoto
07. Di Luna e Deserto
08. Vertigine
09. L’uomo Senza Volto
10. Mezzanotte
11. Omne Ignotum Pro Magnifico

Line-up
Jerico Biagiotti – Bass
Rodolfo “RawDeath” Ridolfi – Drums
Cristiano “Alcio” Alcini – Guitars
Stefano Clementini – Guitars
Francesco “Khaynn” Bacaro – Vocals

S.R.L. – Facebook

Piah Mater – The Wandering Daughter

The Wandering Daughter si specchia nelle marcate influenze del gruppo che però sa come emozionare l’ascoltatore, con cascate di note progressive che passano dal metal estremo di marca death/black a lunghe parti atmosferiche, colorate di quelle oscure sfumature dark che i Piah Mater sanno ricamare.

I progsters brasiliani Piah Mater licenziano il loro secondo lavoro, altro splendido esempio di metal estremo progressivo sulla scia di quanto hanno fatto a suo tempo gli Opeth, specialmente nella prima fase della loro carriera.

Un’influenza scomoda quella della band di Mikael Akerfeldt, anche perché il terzetto verdeoro non fa nulla per nascondere la sua totale devozione per il gruppo svedese, dettaglio che per molti sarà sicuramente un limite, superato comunque dalla bellezza di questi sei brani che compongono The Wandering Daughter.
Il gruppo capitanato dal cantante, bassista e chitarrista Liuz Felipe Netto, con Igor Meira alla chitarra e Kalki Avatara alla batteria, regala un successore a Memories Of Inexistence uscito quattro anni fa, un altro lavoro di death/black metal progressivo e dalle atmosfere post rock, intrise di melanconiche sfumature dark, magari fin troppo dipendente dal sound della storica band scandinava, ma in grado di risvegliare emozioni sopite agli amanti del genere.
L’album nel suo piccolo farà discutere, specialmente chi deciderà di non premiare l’alta qualità delle composizioni a causa di una scarsa originalità che a mio parere non inficia la bellezza dell’opera nel suo insieme.
The Wandering Daughter si specchia nelle marcate influenze del gruppo che però sa come emozionare l’ascoltatore, con cascate di note progressive che passano dal metal estremo di marca death/black a lunghe parti atmosferiche, colorate di quelle oscure sfumature dark che i Piah Mater sanno ricamare.
Sei lunghi brani per quasi un’ora di musica, un ottimo uso della voce pulita (dettaglio non così scontato) e almeno tre brani che risultano delle jam prog/death di assoluto valore (Solace In Oblivion, Earthbound Ruins e la conclusiva The Meek’s Inheritance), fanno di The Wandering Daughter un album imperdibile per i fans degli Opeth e per chi non si ferma davanti al superabilissimo ostacolo della poca originalità.

Tracklist
1.Hyster
2.Solace in Oblivion
3.Sprung From Weakness
4.The Sky is Our Shelter
5.Earthbound Ruins
6.The Meek’s Inheritance

Line-up
Igor Meira – Guitars
Luiz Felipe Netto – Vocals, Guitars, Bass, Programming
Kalki Avatara – Drums

PIAH MATER – Facebook

Ichor – Hadal Ascending

Gli Ichor danno vita ad un lavoro più che sufficiente per solleticare i palati dei deathsters sempre a caccia di mostruose entità nell’underground metallico mondiale.

Nel profondo degli abissi si aggira una creatura mostruosa, terrificante sovrana del buio e del silenzio, temibile e temuta da chi si avventura in un mondo sconosciuto come quello delle profondità marine.

Ichor è la bestia death metal che stazionerà nei vostri incubi, animata da una band attiva da una decina d’anni e arrivata al quarto full length.
Il mare ed il suo lato più misterioso fanno da ispirazione al gruppo tedesco per quello che è un buon esempio di metal estremo, tra sonorità classiche e potenza deathcore confluite in una quarantina di minuti in cui veniamo soffocati da una coltre di lava doom, come se un vulcano sommerso cominciasse ad eruttare l’inferno.
Potentissimo e a tratti monolitico, Hadal Ascending alterna mitragliate velocissime a rallentamenti atmosferici e marziali mid tempo, lasciando comunque che l’ascoltatore mantenga l’attenzione, sballottato come in una burrasca prima che affondi e l’abisso lo inghiotta.
La band dà il meglio di sé quando usa le carte atmosferiche a sua disposizione e i brani si susseguono permeati di un’opprimente aura epica e terrorizzante, ben evidenziata tra le note di In Ecstasy, Black Dragons e le due tracce che concludono l’opera, Children Of The Sea e Conquering The Stars.
Promossi e consigliati agli amanti del metal estremo di stampo death, gli Ichor danno vita ad un lavoro più che sufficiente per solleticare i palati dei deathsters sempre a caccia di mostruose entità nell’underground metallico mondiale.

Tracklist
1.Paradise Or Perdition
2.Tales From The Depths
3.Black Incantation
4.In Ecstasy
5.A Glowing In The dark
6.Black Dragons
7.Architect Of The Pportal
8.The march
9.Children Of The Sea
10.Conquering The Stars

Line-up
Norb – Bass
Dirk – Drums
Daniel – Guitars
Jo – Guitars
Eric – Vocals

ICHOR – Facebook

Give Up The Ghost – Before Heading Home

Un ep convincente, con sei brani che ci presentano un gruppo da tenere d’occhio, visti i margini di miglioramento e le strade non così scontate che potrebbero essere percorse in futuro.

Melodic death o metalcore?’

Per quanto riguarda il primo lavoro dei riminesi Give Up The Ghost la verità sta nel mezzo, nel senso che il loro sound risulta personale e meritevole di attenzione, amalgamando sagacemente death melodico, gothic e metalcore.
Before Heading Home è il loro primo ep, uscito sul finire dello scorso anno e composto da sei brani, con l’apertura lasciata ad Archetype, canzone scelta come singolo e che è il sunto di quello che si ascolterà nel proseguo.
Licenziato dalla Volcano Records, l’album è stato realizzato nell’arco di due anni e si sofferma a livello lirico sul periodo che intercorre tra la fine di un viaggio ed il ritorno a casa.
Una voce femminile duetta con il growl, che conferisce un’anima gothic ai brani, mentre la band passa agevolmente tra ritmiche più tirate e di matrice death a mid tempo che si rifanno al metal più moderno: le orchestrazioni hanno la loro importanza, ma non sono invadenti così come le divagazioni folk delle splendide Zwbriwska e Voluspa, tracce che concludono ottimamente il lavoro.
Un ep convincente, con sei brani che ci presentano un gruppo da tenere d’occhio, visti i margini di miglioramento e le strade non così scontate che potrebbero essere percorse in futuro.

Tracklist
1. Archetype
2. The Longest Dive
3. The Barbaric Way
4. Ding Dong Song
5. Zwbriwska
6. Voluspa

Line-up
Christopher Mondaini – Vocals
Thomas Gualtieri – Keyboards
Michele Vasi – Guitar
William Imola – Guitar
Lodovico Venturelli – Bass
Yann Gualtieri – Drums

Rolando Ferro – Drums

GIVE UP THE GHOST – Facebook/

Ferum – Vergence

Per i Ferum, Vergence rappresenta un primo passo ineccepibile e quindi una base ideale per costruire qualcosa di ancora più interessante e consistente in futuro.

L’esibizione in musica del dolore e del disagio può avvenire in maniere diverse, certo è che che il metal offre in tal senso diverse ed efficaci gamme: quella scelta dagli esordienti Ferum è un death doom corrosivo e decisamente avaro di slanci melodici.

La band ha la sua base a Bologna ed e stata fondata da Samantha, la quale si disimpegna alla voce e alla chitarra, oltre ad essere autrice di tutte le musiche, e da Angelica (batteria), raggiunte in seguito da Matteo al basso.
Il growl è aspro ed efferato più che profondo, come è sovente quello femminile, e si adegua ottimamente ad un sound volto ad esprimere la giusta dose di rabbia e disgusto; la componente death è prevalente nel suo rappresentare la frangia più morbosa e putrida del genere, con i rallentamenti di matrice doom che giungono puntuali a conferire quel pizzico di varietà sotto forma di cambi di tempo.
Così quest’opera prima dei Ferum lascia buone impressioni, in virtù di una convinzione ed una chiarezza d’intenti che non sono sempre facilmente riscontrabili: dei cinque brani offerti, i primi tre si snodano in maniera uniforme, mentre il quarto, decisamente più cadenzato, è l’efficace cover di Funeral, traccia che segnò l’esordio nel 1990 degli storici statunitensi Cianide.
Chiude l’ep Ed È Subito Sera, brano che riprende liricamente la breve poesia di Quasimodo: anche in questo caso il trio brilla per il suo sound essenziale e coinvolgente che si apre a tratti, questa volta. anche melodicamente andando a lambire lidi black metal.
Per i Ferum, Vergence rappresenta un primo passo ineccepibile e quindi una base ideale per costruire qualcosa di ancora più interessante e consistente in futuro.

Tracklist:
1. Siege Of Carnality
2. Perpetual Distrust
3. Subcoscious Annihilation
4. Funeral (Cianide cover)
5. Ed È Subito Sera (Outro)

Line-up:
Angelica: drums
Samantha: guitars, vocals
Matteo: bass

FERUM – Facebook