Blind Justice – In the Name of Justice

I musicisti, tutti di provata esperienza rendono, il lavoro perfetto sotto l’aspetto formale e tecnico, mentre l’epicità che sprigiona dalle canzoni rende speciale l’atmosfera melodic heavy metal del disco.

I primi passi dei Blind Justice si perdono addirittura alla fine degli anni ottanta, quando diedero alle stampe due demo nel 1989 e nel 1990, per poi scomparire e tornare nel 2012 con il terzo demo.

Capitanata dall’ex Nightfall Mike G., la band di fatto debutta sulla lunga distanza quest’anno e lo fa con un buon lavoro che solca la strada tracciata dai Firewind e dai gruppi della scena metal ellenica.
In The Name Of Justice, infatti, risulta il perfetto esempio della scuola metallica classica del loro paese, con quel pizzico di neoclassicismo scandinavo ad impreziosire canzoni heavy power melodiche, potenti e dal piglio teatrale e drammatico.
I musicisti, tutti di provata esperienza rendono, il lavoro perfetto sotto l’aspetto formale e tecnico, mentre l’epicità che sprigiona dalle canzoni rende speciale l’atmosfera melodic heavy metal del disco.
Con la cover di Master Of The Wind dei Manowar a chiudere l’album e dieci tracce di metal potente ed elegante, il gruppo ateniese riesce in poco tempo a fare breccia nei cuori del metal fans; le tracce, che si trasformano in cavalcate ritmiche, son valorizzate da stacchi melodici e ripartenze power metal al fulmicotone, ed i titoli fanno capire da subito l’indirizzo stilistico (Heavy Metal Revolution, Kingdom Of The Gods, il brano top dell’album, ed Hell Of The War).
Dopo tanti anni, il primo traguardo è stato raggiunto da parte del gruppo greco, ora ci si attende da loro solo una maggiore costanza nelle uscite.

TRACKLIST
1.You Ain’t Got the Guts
2.Cursed by the Angels
3.Heavy Metal Revolution
4.Eternal Skies
5.Greek Warrior
6.World’s Destruction
7.Kingdom of the Gods
8.Hell of the War
9.A Night with an Angel
10.Born for the Underground
11.Master of the Wind (Manowar cover)

LINE-UP
Mike G. – guitars
Dimitris Aggelopoulos – guitars
Tassos Krokodeilos-vocals
Nikos Michalakakos – bass
Takis “Animal” Sotiropoulos – drums

BLIND JUSTICE – Facebook

Firewind – Immortals

Un album travolgente, una prova di forza per una delle migliori band europee nel genere, perfetta macchina da guerra tra power metal teutonico ed heavy prog.

Più che recensirlo (termine alquanto antipatico e che sinceramente non rappresenta il mio spirito di semplice narratore della musica che vado ad ascoltare) l’ennesimo album di una band importante come i Firewind di Gus G. va appunto descritto, o meglio raccontato, tanto lo sappiamo tutti che al suo interno troveremo nobile metallo epico, tra power e prog, drammatico, intenso, suonato e prodotto in modo impeccabile.

Apollo Papathanasio è uscito dal gruppo, il suo microfono è stato messo nelle mani del bravissimo Henning Basse che il suo mestiere lo sa fare alla grande, specialmente quando l’atmosfera si fa infuocata e, senza mezzi termini, si fa power heavy metal con gli attributi all’ennesima potenza, d’altronde si parla del tipo che fece fuoco e fiamme sugli album dei Brainstorm e Metalium.
I Firewind per questo lavoro hanno scelto di affrontare l’avventura monotematica del concept album per la prima volta in carriera, ed ovviamente la scelta non poteva che cadere sulla storia del loro paese, culla culturale del Mediterraneo e ricca, nella sua millenaria storia, di battaglie epiche e leggendarie come in questo caso quelle delle Termopili e di Salamina, durante la seconda invasione persiana del 480 a.C.
Immortals è poi stato messo nelle mani di Dennis Ward, che ha produtto, mixato e masterizzato l’abum (prima volta che il gruppo collabora con un produttore esterno), aiutando pure Gus G. nella sua stesura.
Insomma, Immortals per il gruppo assomiglia tanto ad un nuovo inizio, anche se le avvisaglie di un spostamento del sound verso un più diretto power metal dai rimandi tedeschi si era già intravisto nel precedente lavoro (Few Against Many), qui accentuato dall’epicità del concept, dal notevole lavoro di una sezione ritmica devastante e da un Gus G. che, se i fans me lo permettono, descriverei più diretto nelle sue scorribande chitarristiche da guitar hero (e se attualmente è l’uomo di fiducia di Ozzy, un motivo ci sarà).
Poi su tutti e tutto emerge l’enorme talento del singer tedesco che, senza fare inutili paragoni con il suo storico (per la band ed i suoi fan) predecessore conquista, annienta, stravolge e mette l’ombrellino su questo cocktail da consumare con parsimonia, altrimenti si rischia di uscirne ubriacati dalla pienezza della musica dei Firewind.
Un album travolgente, una prova di forza per una delle migliori band europee nel genere, perfetta macchina da guerra tra power metal teutonico ed heavy prog, tragico ed oscuro come gli attimi più estremi della musica di Michael Romeo ed i suoi Symphony X.
Fin dall’opener Hands Of Time verrete travolti dalla potenza delle battaglie: sangue, orgoglio, epicità, coraggio che la sei corde di Gus G. riesce a rendere reali, mentre Basse sfiora la perfezione, con una prova rabbiosa e colma di fierezza su spettacolari episodi veloci come il vento caldo che spazza i territori dell’antica Grecia, teatro di queste leggendarie imprese.
Ode To Leonidas, la successiva Back To The Throne, il mid tempo di Live And Die Bye The Sword sono il cuore pulsante, tenuto in mano e alzato al cielo dal guerriero Basse, di questo notevole lavoro, anche se troverete di che godere per tutta la sua intera durata.
Inutile dire che Immortals è uno dei primi top album di questo inizio 2017, obbligatorio per chiunque ami il genere e in senso lato per chi ama la musica metal in una delle sue più nobili forme.

TRACKLIST
01. Hands Of Time
02. We Defy
03. Ode To Leonidas
04. Back On The Throne
05. Live And Die By The Sword
06. Wars Of Ages
07. Lady Of 1000 Sorrows
08. Immortals
09. Warriors And Saints
10. Rise From The Ashes

LINE-UP
Gus G. – Guitars
Petros Christo – Bass
Bob Katsionis – Keyboards
Johan Nunez – Drums
Henning Basse – Vocals

FIREWIND – Facebook

Cromo – Hereafter

Hereafter è un disco intenso e perfettamente suonato e cantato: per i Cromo un esordio da non perdere.

I Cromo suonano heavy metal classico forgiato nell’acciaio, con fuoco e fiamme che modellano e domano la lega che dalla notte dei tempi accompagna l’arma degli eroi e delle leggende.

La band festeggia i dieci anni di attività con il debutto sulla lunga distanza che segue il primo demo uscito nel 2010 (Heavy Metal Lover) ed il primo mini cd (Unchained), licenziato quattro anni fa.
Hereafter è stato affidato per la produzione a Salvatore Addeo negli Aemme Recording Studios di Lecco, mentre per il mastering ci si è spinti fino ai Metropolis Studios di Londra (The Clash, The Cure, Led Zeppelin, Iron Maiden, The Who, Slipknot, Garbage).
Tanta gavetta live e palchi divisi con glorie metalliche come Girlschool ed Angel Witch hanno forgiato il sound ed i suoi creatori, ed ora le note metalliche di Hereafter possono conquistare la scena metallica underground a colpi di musica dura, a tratti epica come solo il metal classico sa essere, conquistando grazie ad  intrecci chitarristici che nascono negli anni ottanta per esplodere in tutta la loro magnifica potenza nel nuovo millennio: quale valore aggiunto ecco poi un vocalist (Matteo “Blade” Musolino) che a tratti commuove nel suo saper dosare quello che la storia del genere gli ha messo a disposizione, non un semplice emulo ma un animale di razza, tra Dickinson, Halford e … sé stesso .
I primi cinque brani dell’album sono da scolpire sulle tavole della legge dell’heavy metal: ritmiche serrate, solos potenti e melodici, chorus da urlare a squarciagola prima di tuffarsi nella mischia di uno scontro o semplicemente sotto il palco, cominciando dall’opener Unchained, dalla priestiana Supersonic e dall’inno Pedal To The Metal, a livello di sound una perfetta via di mezzo tra Primal Fear e Manowar.
Non mancano piacevoli riferimenti al Bruce Dickinson solista di The Chemical Wedding su questo lavoro, specialmente nelle ottime Heart Of The Brave e Waiting For The Death To Come, mentre si arriva in un attimo alla fine delle ostilità, passando per Desperate Cry e Desert Tales, fino all’epic folk heavy metal di Iron Call, altro brano su cui il gruppo comasco potrà costruire i prossimi fiammeggianti live.
Hereafter è un disco intenso e perfettamente suonato e cantato: per i Cromo un esordio da non perdere.

TRACKLIST
01. Unchained
02. Supersonic
03. Heart Of The Brave
04. Pedal To The Metal
05. Waiting For The Death To Come
06. Dreams Still Remain
07. Desperate Cry
08. Format
09. Desert Tales
10. You Are Not Alone
11. Iron Call
12. Silver Shade

LINE-UP
Marco “Edge” Musolino – basso, voce
Matteo “Blade” Musolino – voce, synth, chitarra
Davide “Iron” Zamboni – batteria, voce
Claudio “Clod” Conci – chitarra, voce

CROMO – Facebook

Enemy Of Reality – Arakhne

La musica sontuosamente sinfonica trova negli stilemi del genere la sua linfa, per poi arricchirsi di suggestioni emozionanti ed atmosfere che passano dal sinfonico al metal, oppure che fondono all’unisono i due generi ancora una volta in modo del tutto naturale.

Senza starci a girare troppo intorno, gli Enemy Of Reality hanno creato un’opera bellissima e colma di pathos, ma non crediate di trovarvi al cospetto di un album originale, Arakhne è infatti il classico lavoro di metal sinfonico con molti pregi e sinceramente nessun difetto, inciso con l’aiuto di diversi importanti ospiti della scena metallica: un concept epico che si nutre della tradizione letteraria greca e di quel quid teatrale/cinematografico fondamentale nell’economia dell’opera.

Questo ottimo gruppo ellenico si è formato solo tre anni fa ed ha un full length alle spalle, Rejected Gods del 2014, passato quasi inosservato, mentre venivano preparati i cannoni per sparare quest’anno una serie di bordate sinfoniche devastanti con Arakhne, magnifico lavoro che vede la partecipazione di Christos Antoniou (Septicflesh, Chaostar), Giménez Ailyn (Sirenia), Mike LePond (Symphony X), Androniki Skoula (Chaostar), Maxi Nil (Jaded Stella, ex Visions of Atlantis), Jeff Waters (Annihilator), Fabio Lione (Rhapsody Of Fire, Angra) e Chiara Malvestiti (Therion / Crysalys).
L’album è stato registrato da George Emmanuel (Rotting Christ) e narra del mito di Arakhne, giovane tessitrice invidiata da tutte le Muse per i suoi splendidi lavori, ma soprattutto dalla dea Atena gelosissima della giovane della Lidia, la cui sorte non è difficile da immaginare anche per chi non ha familiarità con la mitologia.
La prima cosa che salta all’orecchio è la magnifica voce della singer Iliana, operistica, interpretativa e teatrale, suggestiva nei vocalizzi classici come solo migliore Turunen, mentre l’impianto sonoro è dei più epici e sinfonici sentiti ultimamente.
Rispetto per esempio all’ultimo disco degli Epica, massima espressione del genere ma moderno nell’approccio, gli Enemy Of Reality confezionano un’opera d’altri tempi, dando vita alle storie che si svolgono nella culla della cultura mediterranea con un’emozionante serie di atmosfere specchio delle antiche vicende trattate.
La musica sontuosamente sinfonica trova negli stilemi del genere la sua linfa, per poi arricchirsi di suggestioni emozionanti ed atmosfere che passano dal sinfonico al metal, oppure che fondono all’unisono i due generi ancora una volta in modo del tutto naturale.
Nouthetisis, Showdown e In Hiding sono i brani migliori di un’opera che si rivela un’autentica sorpresa e riesce a dare ossigeno ad un genere che era sul punto di venire soffocato da album e gruppi troppo di maniera.

TRACKLIST
1.Martyr
2.Reflected
3.Weakness Lies Within
4.Time Immemorial
5.Nouthetisis
6.Afraid No More
7.Showdown
8.The Taste of Defeat
9.In Hiding
10.I Spare You
11.A Gift of Curse

LINE-UP
Thanos – Bass
Philip Stone – Drums
Steelianos Amoiridis – Guitars
Iliana Tsakiraki – Vocals
Leonidas Diamantopoulos – Keyboards

ENEMY OF REALITY – Facebook

Beyond The Black – Lost In Forever

Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.

Questi cinque ragazzi che con i loro strumenti accompagnano la giovanissima sirena Jennifer Haben, ex artista pop con la precedente band (Saphir), senza avere ancora un album all’attivo nel 2014 salivano, per la prima delle tre volte, sul palco del Wacken Open Air, forti di un contratto firmato con la Airforce1 Records, costola della major Universal.

Lo scorso anno nientemeno che Sascha Paeth (Heaven’s Gate, Avantasia) produsse il debutto, Songs of Love and Death, ed ora siamo già al secondo album, sempre con la poderosa spinta della Universal, intitolato Lost In Forever.
E ammettiamolo, perdersi per sempre tra le trame sinfoniche dei Beyond The Black è un attimo: anche questo secondo album, infatti, ha tutto per portare il nome del gruppo negli ambienti altolocati del metal patinato e da classifica.
La giovane età della singer, dal tono vocale da teenager che attira inevitabilmente le attenzioni delle sue emuli coetanee, abbinata ad un sound sinfonico in bilico tra il metal power dei Rhapsody meno pomposi e le melodie pop gotiche degli Evanescence, accentuano la sensazione di un gruppo dal successo pianificato, anche se, al netto di qualche difetto nel songwriting che sa molto di già sentito, la produzione cristallina e gli arrangiamenti orchestrali sono un bel sentire anche per gli appassionati più attempati.
Tutto funziona in questo lavoro, un album composto da hit metal melodici, sinfonici, pacatamente gotici, drammatici il giusto ed epici quel tanto che basta per far alzare più di un pugno al cielo ai ragazzi del centro Europa e non solo, visto che, a parte il nostro paese, la band ha ovviamente trovato una buona posizione nelle varie classifiche rock.
Dall’opener Lost In Forever, alla splendida Beautiful Lies per passare direttamente all’ epicità rhapsodiana della fenomenale Dies Irae, Lost In Forever è un riuscito esempio di metal sinfonico composto con lo scopo ben preciso di piacere a più persone possibili, dimostrandosi ruffiano, potente e, diciamolo pure, cantato molto bene.
Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.

TRACKLIST
01. Lost In Forever
02. Beautiful Lies
03. Written In Blood
04. Against The World
05. Beyond The Mirror
06. Halo Of The Dark
07. Dies Irae
08. Forget My Name
09. Burning In Flames
10. Nevermore
11. Shine And Shade
12. Heaven In Hell
13. Love’s A Burden

LINE-UP
Jennifer Haben – lead vocals
Nils Lesser – lead guitar
Christopher Hummels – rhythm guitar & backing vocals
Erwin Schmidt – bass
Tobias Derer – drums
Michael Hauser – keyboards

BEYOND THE BLACK – Facebook

Perc3ption – Once And For All

Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro.

Aldilà dell’oceano non si vive di solo mainstream e la tradizione metallica classica è ben consolidata nelle terre del nuovo continente, se poi si guarda verso sud, tra le nazioni in cui il metal è ben radicato non manca certo il Brasile.

A San Paolo, per esempio, nascono nel 2007 i Perc3ption, quintetto dedito ad un power prog metal che alterna con sagacia ritmiche potenti e aggressività heavy metal supportata da una marcata vena progressiva.
Once And For All è il secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un primo ep ed un full length uscito nel 2013 (Reason and Faith), un lavoro ambizioso, un’ora di metal progressivo prodotto e suonato molto bene.
Sezione ritmica ben presente, dita che danzano sui manici delle chitarre ed un cantante sontuoso mettono a dura prova i nostri padiglioni auricolari, martoriati da un sound drammatico, orchestrato a dovere e dove finalmente spicca l’heavy metal, duro e puro.
E qui sta il bello, Once And For All è un album pregno di durezza metallica, in cui le melodie (bellissime) ricamano una serie di brani dall’aura tragica, mentre il gruppo senza degenerare sfoggia tecnica sopraffina.
Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro, ovviamente non mancano parti più atmosferiche, dove la band concede armonie che fungono da quiete prima della tempesta di suoni che investono l’ascoltatore, tuoni e fulmini metallici, prima che la pioggia di note scenda copiosa e si trasformi in una inondazione power metal.
Accompagnato da una suggestiva copertina alla Savatage, con un maestro di pianoforte che suona il suo strumento nel mezzo di un paesaggio ghiacciato, l’album vive di un feeling drammatico ed emozionale altissimo, con la splendida ed orchestrale Welcome To The End quale picco di un opera da far vostra senza riserve.

TRACKLIST
1.Persistence Makes the Difference
2.Oblivion’s Gate
3.Rise
4.Immortality
5.Braving the Beast
6.Magnitude 666
7.Welcome to the End
8.Extinction Level Event
9.Through the Invisible Horizons

LINE-UP
Glauco Barros – Guitars, Vocals (backing)
Rick Leite – Guitars, Vocals (backing)
Wellington Consoli – Bass
Peferson Mendes – Drums
Dan Figueiredo – Vocals

PERC3PTION – Facebook

PERC3PTION – Web Page

Sail Away – Welcome Aboard

I Sail Away propongono un hard’n’heavy dalle sonorità old school, ovviamente pervaso di quell’hard rock che faceva capolino nelle opere dei primi anni ottanta e con una buona e personale rilettura dei suoni cari ad Iron Maiden, Running Wild e con più di un riferimento ai Riot di Mark Reale.

Le nuove band che si affacciano sulla scena nostrana aumentano ogni giorno di più, fortunatamente mantenendo alta la qualità di un metal italiano mai così protagonista come in questi ultimi anni.

I torinesi Sail Away presentano il loro debutto, anche se si tratta di musicisti con una già buona esperienza alle spalle: infatti i due fondatori, Francesco Benevento (chitarra) e Federico Albano (voce), sono delle vecchie conoscenze della scena underground torinese e coppia collaudata in Savage Souls e Assedio.
Raggiunti da Luca Guglielminotti al basso e Alessio Piedinovi alle pelli, danno vita a questo progetto hard’n’heavy dalle sonorità old school, ovviamente pervaso di quell’hard rock che faceva capolino nelle opere dei primi anni ottanta e con una buona e personale rilettura dello stile caro ad Iron Maiden, Running Wild e con più di un riferimento ai Riot di Mark Reale: ne esce un album migliorabile a livello di suoni ma molto affascinante, con una serie di inni dal mood piratesco e volontà ribelle in puro stile heavy metal.
Heavy metal e hard’n’roll si danno il cambio nel comandare l’arrembaggio ai padiglioni auricolari degli ascoltatori, mentre la chitarra di Benevento spara assoli che sono cannonate da colpito ed affondato e Albano ci suggerisce cori epici e guerreschi che si stampano in testa al primo ascolto.
Tra i brani, The Artificial Impostor, l’irriverente hard rock di Sweet Dried Rose, la pesante e metallica Engraved In The Stone ed il tributo a Mark Reale ed i suoi Riot posto in chiusura (Immortals Hymns Shine One), brano dalle molte citazioni alla musica del grande chitarrista scomparso, sono vento tempestoso sopra il mare metallico su cui viaggia la nave Sail Away, e i mid tempo di cui è ricco Welcome Aboard non mancheranno di soddisfare gli equipaggi delle navi battenti bandiera heavy metal.

TRACKLIST
1.Welcome Aboard
2.Another Sunday
3.The Artificial Impostor
4.Petals Of Blood
5.Sweet Dried Rose
6.Engraved In The Stone
7.Giants Of The Dawn
8.Wine In My Glass
9.Immortal Hymns Shine On

LINE-UP
Federico Albano – vocals
Francesco Benevento – Guitars
Luca Guglielminotti – bass
Alessio Piedinovi – Drums

SAIL AWAY – Facebook

Red Cain – Red Cain

Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo.

Grazie all’ottimo lavoro di promozione dell’attivo Jon Asher, ci viene offerta ultimamente la possibilità di ascoltare molta buona musica proveniente dal Canada, nazione che, sovente, viene oscurata da quanto prodotto più a sud negli Stases, ma che è terra natia di diverse band che hanno fatto a loro modo la storia (Rush, Annihilator, Voivod, ma ho citato le prime tre che mi sono venute in mente, dimenticandone sicuramente altre).

I Red Cain devono ancora mangiarne di polvere prima di arrivare a quei livelli, ma il loro ep omonimo è il viatico migliore per iniziare questo impervio percorso: i cinque ragazzi provenienti dall’olimpica Calgary si sono cimentati in un’operazione non priva di rischi ma perfettamente riuscita , con il loro tentativo di fondere il power/prog metal con sonorità dark.
Era da tempo, infatti, che non mi capitava di ascoltare qualcosa di così fresco e dirompente in campo heavy metal: i Red Cain sono delle vere e proprie spugne che, dopo aver assorbito tutto quanto di buono è stato prodotto negli ultimi vent’anni, ne hanno filtrato il meglio salvandone sfumature che, se maneggiate con poca cura, avrebbero rischiato di rivelarsi antitetiche.
La voce dell’eccellente Evgeniy Zayarny è il valore aggiunto decisivo, grazie ad una timbrica profonda ma dalla notevole estensione, capace di rendere al meglio i passaggi più oscuri così come quelli più ariosi, ma non è affatto trascurabile il lavoro d’insieme di una band giovane e dall’enorme talento, che non perde mai la bussola di fronte ai frequenti cambi di scenario e, conseguentemente, di umore e di ritmica.
Il sound dei Red Cain guarda indubbiamente verso est, a quell’Europa che alle stesse latitudini è stata culla del power metal più melodico e del gothic più romantico, ma la forte radice americana non viene meno, specie nei momenti maggiormente robusti in cui si stagliano sullo sfondo i migliori Iced Earth e Nevermore.
Guillotine è un autentico gioello, disturbato ad arte da screziature elettroniche, un brano trascinante come non se ne sentivano da tempo nel genere, ma non è che le altre canzoni siano da meno, facendo eccezione, paradossalmente, per il singolo prescelto Hiraeth, forse perché viene privilegiata la melodia a discapito dell’impatto drammatico che accomuna il resto della tracklist.
Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo: sarà il primo full length in uscita nel 2017 a dirimere gli eventuali dubbi residui sul valore effettivo di questi promettentissimi Red Cain.

Tracklist:
1.Guillotine (feat. Wolf of Transylvania)
2.Dead Aeon Requiem
3.Hiraeth
4.Unborn

Line-up:
Evgeniy Zayarny – vocals
Brendan Doll – guitar
Allan Chuley – guitar
Rogan McAndrews – bass
Samuel Royce – drums

https://www.facebook.com/redcainofficial/?fref=ts

No Remorse – Wolves

Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

Quando il branco di Lupi accerchia la donna, gli ululati si fanno intensi, rituali e con famelica aggressione comincia lo scempio del corpo tra le grida dell’incolpevole vittima, le prime note metalliche di Wolves sprigionano scintille di puro acciaio, ed ancora una volta l’heavy metal trova una delle sue più convincenti espressioni.

Si continua a produrre grande musica metal su e giù per lo stivale, questa volta assolutamente classico, puro e caldo come il sangue che sgorga dalla giugulare dilaniata dalle fauci dei temibili fratelli della notte.
No Remorse, musicisti con qualche pelo in più sullo stomaco e neanche pochi capelli bianchi, provengono dalla fusione di due band toscane avvenuta nel 1999 e hanno dato alle stampe un album omonimo nel 2004 ed il full length Sons Of Rock ormai sei anni fa.
Era tempo di tornare e il gruppo lo ha fatto con questo mini cd di cinque brani intitolato Wolves, un concentrato di heavy metal perfettamente in linea con la tradizione, che si traduce in ritmiche potenti (Franco Birelli al basso e Massimiliano Becagli alla batteria), assoli affilati come gli artigli di un lupo affamato (Sandro Paoli e Aldo Tesi alle chitarre) e i suoi ululati alla luna, grazie alla voce del portentoso Maurizio Muratori.
Dimenticatevi qualsiasi sound che non sia puro acciaio metallico, il gruppo quello suona e lo sa fare al meglio, con un riff maideniano che mette in fuga le bestie e presenta la folgorante title track.
Un chorus da cantare ai bordi di un palco incendiato dalla carica del quintetto e via con Titanium, devastante metal song che ricorda non poco i Primal Fear, prima che Metal Queen lasci spazio all’anima hard rock dei No Remorse e ci spiazzi con un assolo meno aggressivo ma molto più elegante, in poche parole un brano sopra la media.
La ballad d’ordinanza ha le note di The Time To Say Goodbye, mentre con la conclusiva Steelage si fanno quattro passi nella new wave of british heavy metal, grazie al brano più maideniano di quella piccola raccolta di perle che è Wolves.
Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

TRACKLIST

1. Wolves
2. Titanium
3. Metal Queen
4. The Time to Say Goodbye
5. SteelAge

LINE-UP
Maurizio Muratori – Vocals
Sandro Paoli – Guitars
Aldo Tesi – Guitars
Franco Birelli – Bass
Massimiliano Becagli – Drums

http://www.facebook.com/NOREMORSEsince1999/?fref=ts

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Un bellissimo lavoro, certo che se la band voleva sondare il terreno per un eventuale full lenght, la missione è compiuta alla grande, il sottoscritto si è già messo in attesa e dopo l’ascolto di Wolves lo farete anche voi.

Attractha – No Fear to Face What’s Buried Inside You

Questo è heavy metal con i piedi ben piantati nel nuovo millennio che, senza spingersi troppo verso orizzonti moderni, riesce a risultare al passo coi tempi.

Heavy metal che amalgama una manciata di generi in un unico sound potente e a tratti diretto, mantenendo le caratteristiche peculiari delle migliori metal band nate in Brasile.

Debuttano sulla lunga distanza gli AttracthA e lo fanno con un lavoro estremamente metallico, dalle ottime intuizioni hard rock moderne e con  qualche soluzione progressive che valorizza il sound di cui è composto No Fear to Face What’s Buried Inside You.
Nato ormai da quasi una decina d’anni e con un ep all’attivo, il gruppo di San Paolo ha fatto le cose in grande per questo suo primo, importante lavoro, con Edu Falaschi (Angra, Almah) alla produzione e successivamente il mix e il mastering eseguiti a Los Angels da Damien Rainaud (Fear Factory, DragonForce and Babymetal).
Ne esce un buon lavoro, potente e metallico, tra soluzioni moderne ed ottime parti dove il metal tradizionale e l’hard rock fanno capolino tra il solchi dei nove brani in scaletta.
Un sound d’assalto, come già scritto, che non fa mancare ritmiche che alternano groove e parti più intricate, con la voce maschia del buon Cleber Krichinak che comanda le operazioni con piglio e tanta grinta.
I rimandi sono tutti al metal statunitense, con accelerazioni al limite del thrash Bay Area e chorus che mantengono un buon appeal anche nelle parti più aggressive.
Questo è heavy metal con i piedi ben piantati nel nuovo millennio che, senza spingersi troppo verso orizzonti moderni, riesce a risultare al passo coi tempi, basta soffermarsi sulla splendida No More Lies, mid tempo drammatico e progressivo dove convivono in armonia le varie ispirazioni del gruppo.
Più diretta la prima parte (Bleeding in Silence, Move On), dall’approccio diretto, più ragionata ed intimista la seconda, con i brani migliori del lavoro ad alzare il valore dell’album (oltre No More Lies si distinguono Holy Journey, altro mid tempo da applausi, e la progressiva Victorius).
In conclusione, No Fear to Face What’s Buried Inside You è un buon lavoro, se siete amanti del metal made in U.S.A. un ascolto è consigliato.

TRACKLIST
1.Bleeding in Silence
2.Unmasked Files (Revisited)
3.231
4.Move On
5.Mistakes and Scars
6.No More Lies
7.Holy Journey
8.Victorious
9.Payback Time

LINE-UP
Cleber Krichinak – Vocals
Humberto Zambrin – Drums
Ricardo Oliveira – Guitars
Guilherme Momesso – Bass

ATTRACTHA – Facebook

Lurking Fear – Grim Tales in the Dead of Night

Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard’n’heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear.

Inutile ribadire come negli ultimi tempi le sonorità old school stiano imperversando nella scena hard rock/metal, passati gli anni del crossover e dell’originalità spicciola a tutti i cost.

Non sembra affatto anacronistico, quindi, un album come l’esordio dei Lurking Fear, trio toscano di musicisti esperti e competenti quanto basta per confezionare un piccolo gioiellino hard’n’heavy come Grim Tales In Dead Of Night, caratterizzato da un  sound che più vintage di così non si può, ma che sa essere molto affascinante, pescando tanto dall’hard rock settantiano quanto dalla new wave of british heavy metal, forte di un’attitudine quasi commovente da parte dei tre musicisti e di un songwriting maturo.
Quelli che furono i primi passi della scena heavy metal che si affacciava sul mercato mondiale in quegli anni, prendendo la parte più oscura dell’hard rock e portandolo verso strade estreme che poi verranno in seguito sviluppate dalle prime orde thrash/death, sono valorizzate dai Luking Fear con questa raccolta di brani che alternano ritmiche sassoni, lenti passaggi sabbathiani, un’atmosfera horror che ricorda King Diamond con qualche passaggio in linea con le primissime gemme firmate dagli Iroin Maiden, il tutto reso sufficientemente macabro dai testi ispirati alla letteratura horror dei primi del ‘900 (The Lurking Fear, infatti, è un racconto di H. P. Lovecraft).
Dal primo riff dell’opener Watching Eye si viaggia dunque tra racconti macabri e grotteschi con la colonna sonora del gruppo, puro metallo ottantiano, ancora legato con il cordone ombelicale all’hard rock, ma già pregno di soluzioni che diventeranno in seguito la Bibbia (o se preferite, il Necronomicon) della nostra musica preferita.
Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard & heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear 

TRACKLIST
1.Watching Eye
2.Lady of Usher
3.The Strain
4.I Am
5.Flesh and Soul

LINE-UP
Stefano Pizzichi – Drums
Mirko “Coscia” Pancrazzi – Guitars, Vocals (backing)
Fabiano Fabbrucci – Vocals, Bass

LURKING FEAR – Facebook

Barrow Wight – Kings in Saurons Service

Un buon lavoro che, se lascia molto sul campo a livello di suoni e produzione, non manca di incendiare i fans del genere grazie a brani diretti, con tanto heavy speed oscuro e malefico.

I canadesi Barrow Wight festeggiano i dieci anni di attività con l’uscita del loro primo lavoro sulla lunga distanza.

Attivi infatti dal 2006, iniziarono a calcare i palchi come cover band dei seminali Venom, per poi cominciare a scrivere brani inediti dal 2010, anno in cui uscì il primo demo.
Nel corso di questo ultimo periodo il trio di Ottawa ha licenziato una manciata di lavori minori, per arrivare in piena forma a Kings in Saurons Service, licenziato dalla Heavy Chains Records in cd e musicassette a ribadire la forte attitudine old school.
Sorvoliamo sulla produzione, in linea con l’attitudine di cui sopra e concentriamoci sul sound di questo primo album, una buona via di mezzo tra l’heavy metal ed il black di scuola Venom/Bathory.
Le liriche riprendono gli scritti epico/fantasy di Tolkien, ma invece del solito power metal i tra canadesi ci investono con sonorità black speed, dal taglio old school, amalgamandole con atmosfere che richiamano l’ epico incedere dei Bathory.
Ne esce un buon lavoro che, se lascia molto sul campo a livello di suoni e produzione, non manca di incendiare i fans del genere grazie a brani diretti, con tanto heavy speed oscuro e malefico.
Mezz’ora abbondante al cospetto della parte più cruda e diretta delle atmosfere che hanno fatto diventare le opere di Tolkien un fenomeno di massa (grazie anche alle trilogie cinematografiche), dunque con No Sleep till Gondor, la progressiva In League with Sauron e la conclusiva ed atmosferica The Palantir vi troverete immersi nel mondo della terra di mezzo, schivando asce di nani, trucchi di maghi e frecce di agguerriti elfi.
Non male, un lavoro old school (sia a livello di suoni che di produzione) che non manca di momenti ispirati, dategli un ascolto, specialmente se siete true defenders vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Intro
2. No Sleep Till Gondor
3. Osgiliath
4. The Cult
5. Grond
6. Knights in Saurons Service
7. In League With Sauron
8. Dwimmerlaik
9. Harrower Of The Dark
10. The Palantir

LINE-UP
Antero: Vocals, Bass
Akiva: Guitars
Ace: Drums

BARROW WIGHT – Facebook

Vis – Vis Et Deus

Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

Per suonare hard & heavy ci vuole anche forza (in latino Vis) e il gruppo nostrano di forza hard rock ne sprigionava molta, anche se Vis Et Deus, demo autoprodotto valse alla band un contratto con la Promosound che non portò successivamente altri frutti.

Fondata nel lontano 1984 dal batterista Mario Rusconi e dal chitarrrista Marco Becchetti, con il basso di Gino Ammaddio e la voce di Johnny Salani (con un passato nella Strana Officina), la band torna a far parlare di sé grazie al prezioso lavoro della nostrana Jolly Roger, che si è premurata di rimasterizzare l’album.
Vis Et Deus è un buon esempio dell’hard & heavy che si suonava all’epoca, con uno sguardo all’heavy metal britannico, all’hard rock che arrivava dalla terra dei canguri con qualche riff ispirato dai fratelli Angus e chiaramente debitore della band leggenda di quegli anni nel nostro paese, la Strana Officina.
L’album parte benissimo con Maria Stuarda, heavy rock dal retrogusto epico, ma la ballad Lacrime nella Pioggia riporta la band sulle strade dell’hard blues.
Inno Al Rock (dal titolo scontato) è forse il brano più puramente metallico di tutto il disco, dalle ritmiche che ricordano i primi Saxon, mentre Caronte è un mid tempo dove torna quel leggero tocco epico, già evidenziato sull’opener.
Il resto dei brani sono puro ottanta Style, perciò tanto entusiasmo da parte del gruppo (all’epoca non era così facile lasciare il segno per i gruppi metal) espresso tramnite inni hard & heavy che ora possono rivelarsi scontati, ma che all’epoca inorgoglivano i fans del genere.
Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

TRACKLIST

1.Maria Stuarda
2.Lacrime Nella Pioggia
3.Inno Al Rock
4.La Ballerina Nera
5.Nanà La Gatta
6.Caronte
7.Rocker Batti Il Tuo Pugno
8.Vis Et Deus

LINE-UP

Johnny Salani – Vocals
Marco Becchetti – Lead Guitar
Gino Ammaddio – Bass
Mario Rusconi – Drums

VOTO
7.50

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Ancestral – Master Of Fate

Master Of Fate sprizza furia metallica genuina, magari per molti già sentita e risentita, ma ottimamente suonata e prodotta, epica nel suo glorificare il metal classico in tutti i suoi aspetti più conosciuti che non smetteremo comunque di amare, in barba ai detrattori e ai fautori dell’originalità a tutti i costi.

Una mazzata tremenda di power speed metal è in arrivo via Iron Shields, nuova label degli Ancestral, band proveniente da Trapani di ritorno sul mercato dopo un silenzio lungo dieci anni.

Il gruppo infatti, attivo dall’alba del nuovo millennio, dopo due demo aveva esordito con il full length The Ancient Curse nel 2007, per poi sparire e tornare più forte di prima con il nuovo Master Of Fate.
Dieci anni di silenzio e grosse novità nelle line up, con i fratelli Mendolia a formare la devastante sezione ritmica, Alessandro Olivo alla sei corde e poi i due nuovi innesti, l’axeman Carmelo Scozzari (al posto di Giovan Battista Ferrantello) e Jo Lombardo che prende il posto di Mirko Olivo dietro al microfono.
Master Of Fate sarà sicuramente una grossa sorpresa per gli amanti del power metal classicamente tedesco, senza ghirigori orchestrali tanto di moda negli ultimi tempi, con l’ acceleratore sempre premuto a tavoletta, una prova di sezione ritmica e chitarre convincente e con un Lombardo sontuoso al microfono; l’album a tratti risulta travolgente, una botta di vita power/speed come non se ne sentono poi così tante in giro, neanche dalla germanica terra natia.
La band non fa sconti e parte alal meglio, Back To Life è subito grande metal classico, ritmiche serrate, grandi chorus, sei corde che si rincorrono tra ritmiche veloci come il vento e mid tempo rocciosi, un’apoteosi di suoni metallici impreziositi dalla prova incandescente del singer e di un songwriting che fino alla conclusiva cover degli Helloween (Savage) non lascia respiro.
Master Of Fate sprizza furia metallica genuina, magari per molti già sentita e risentita, ma ottimamente suonata e prodotta, epica nel suo glorificare il metal classico in tutti i suoi aspetti più conosciuti che non smetteremo comunque di amare, in barba ai detrattori e ai fautori dell’originalità a tutti i costi.
Il power metal tedesco è la base del lavoro, poi si rinviene qualche accenno all’heavy classico, tanta epica melodia e sfuriate ritmiche che sfiorano il thrash, con chitarre  le sei corde che sputano lingue di fuoco come i molti vulcani della Sicilia: Master Of Fate è questo, con due o tre brani entusiasmanti (la title track, lo strumentale Refuge Of Souls ed il massacro intitolato On The Route Of Death) che trainano una tracklist priva di cedimenti di sorta.
Un pezzo di granito power speed consigliato a tutti i true defenders, del resto gli Ancestral non potevano rientrare sulle scene in modo migliore.

TRACKLIST
1. Back To Life
2. Wind Of Egadi
3. Seven Months Of Siege
4. Master Of Fate
5. Refuge Of Souls (instr.)
6. Lust For Supremacy
7. No More Regrets
8. On The Route Of Death
9. From Beyond
10. Savage (Helloween cover)

LINE-UP
Jo Lombardo – Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Alessandro Olivo – Guitars
Massimiliano Mendolia – Drums
Domiziano Mendolia – Bass

ANCESTRAL – Facebook

Skiltron – Legacy of Blood

Gli Skiltron si confermano un gruppo che, in un genere piuttosto inflazionato come il folk metal, riesce a mantenere una sua precisa identità, sfornando lavori che, senza far gridare al miracolo, sicuramente non tradiscono gli amanti di queste sonorità

Folk metal d’assalto, potenziato da aggressive ritmiche power, brani che trascinano in highlands dove scorre il sangue come torrenti dal color rosso porpora, mentre la cornamusa guida l’assalto dei fratelli in armi sulle pianure spazzate dal vento.

Benvenuti all’interno del nuovo lavoro degli argentini Skiltron, folk power metal band, conosciuta anche dalle nostre parti per via degli ottimi quattro lavori usciti tra il 2006 ed il 2013.
Sudamericana, ma devoti musicalmente e concettualmente alla tradizione scozzese, la band di Buenos Aires ci consegna un altro ottimo lavoro che segue fedelmente la strada intrapresa da ormai una decina d’anni.
Si entra così nel mondo epico e guerresco del folk metal, il gruppo mantiene però intatta la sua verve metallica e ne escono nove tracce robuste, con la cornamusa sempre in primo piano a dettare i tempi della battaglia.
Il genere è questo, prendere o lasciare, nessuna novità ma tanta buona musica per una quarantina di minuti fuori dal tempo: le atmosfere create dal gruppo, i chorus epici e le ottime cavalcate metalliche formano una raccolta di brani dal buon appeal e non si fatica a memorizzare le melodie tradizionali create dallo storico strumento a fiato, vero protagonista di brani che sprizzano orgoglio e fierezza come l’opener Highland Blood, il mid tempo Commited To The Call e l’epica The Taste Of Victory.
Un album che, pur nella sua semplice lettura, troverà sicuramente estimatori sia nei fans del folk metal che in quelli del power, perché non si rilevano forzature o cedimenti e la band riesce a mantenere interessante ed affascinate l’ascolto per tutta la sua durata.
Gli Skiltron si confermano un gruppo che, in un genere piuttosto inflazionato come il folk metal, riesce a mantenere una sua precisa identità, sfornando lavori che, senza far gridare al miracolo, sicuramente non tradiscono gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Highland Blood
2. Hate Of My Life
3. Committed To The Call
4. Sailing Under False Flags
5. The Taste Of Victory
6. Rise From Any Grave
7. Sawney Bean Clan
8. All Men Die
9. I’m Coming Home (Bonus-Song)

LINE-UP
Martin McManus – Vocals
Emilio Souto – Guitars, Mandolin, Bouzouki, Vocals
Ignacio López- Bass
Matías Pena – Drums
Pereg Ar Bagol – Bagpipes, Tin whistle

SKILTRON – Facebook

Aenigma – The Awakening

Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.

Un altro gruppo si affaccia sulla scena symphonic gothic metal tricolore, si tratta dei toscani Aenigma.

La band licenzia il suo primo lavoro, questo ep dal titolo The Awakening, sette brani compresi di intro e cover (Song Of Durin della cantante Eurielle) per un mezz’oretta di symphonic gothic metal ben strutturato, dal piglio cinematografico, che alterna potenza power, atmosfere epic/folk ed una buona ma mai invadente parte orchestrale.
Nata tre anni fa ed arrivata al debutto dopo qualche assestamento nella line up, la band lascia sicuramente un’ottima impressione sull’ascoltatore, le sue carte sono tutte al posto giusto e The Awakening si presenta come un album professionale sotto tutti gli aspetti.
Chiaro che il genere, ormai, non lascia particolare spazio all’originalità, e le influenze dichiarate dal gruppo sono più o meno quelle che si riscontrano all’ascolto dei brani ma, complici la buona prova della singer (Caterina Bianchi) ed un impatto heavy sostenuto dal tappeto orchestrale prodotto dalle tastiere, The Awakening funziona e risulta sicuramente un’ottima partenza per gli Aenigma.
Subito dopo l’intro la band si gioca il jolly con il suo brano migliore, Your Ghost: un symphonic power metal dai tratti gothic, pregno di melodia, potente nelle ritmiche e dall’ottimo appeal.
Silence lascia ai tasti d’avorio il compito di aprire le danze, il chorus è ancora una volta azzeccato, mentre il brano in generale segue le coordinate del suo predecessore.
Unleash The Storm lascia spazio alla bellissima e già citata Song Of Durin, canzone dalle atmosfere epic/folk interpretata con delicata maestria dalla Bianchi, qui in versione elfica, mentre il power metal di Weakness e le ottime orchestrazioni della conclusiva The Darkest Side ci accompagnano al finale di questo buon lavoro.
Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.

TRACKLIST
1. Intro
2. Your ghost
3. Silence
4. Unleash the storm
5. Song of Durin(Eurielle Cover)
6. Weakness
7. The darkest side

LINE-UP
Caterina Bianchi – Vocals
Matteo Pasquini – Drums
Lorenzo Ciurli – Guitars, Vocals
Denis Hajolli – Keyboards
Valerio Mainardi – Bass

AENIGMA – Facebook

Windshades – Crucified Dreams

Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

Accompagnato da una splendida copertina che ha ricordato al sottoscritto le atmosfere del romanzo I Pilastri Della Terra di Ken Follett, arriva sul mercato Crucified Dreams, ep di tre brani con cui gli Windshades debuttano per la nostrana Atomic Stuff che ha messo a disposizione della band i suoi studi di registrazione ed il talento di Oscar Burato, che si è occupato di registrazione, mixaggio e masterizzazione.

Il gruppo proveniente dalla provincia di Mantova e fondato lo scorso anno dalla cantate Chiara Manzoli e dal batterista Carlo Bergamaschi, ci propone un buon metal dalle trame gotiche, dove le ritmiche serrate fanno da contrasto alla voce dai rimandi classici ed operistici della singer, mantenendo in primo piano un ottimo impatto heavy.
Si potrebbe parlare di un mix ben assortito di heavy metal (nel buon lavoro delle due chitarre si riscontrano rimandi agli Iron Maiden) e sonorità dark/gothic, con la parte sinfonica inesistente se non per l’uso della voce operistica.
Non male, Crucified Dreams si ritaglia un suo spazio nel genere, l’impatto terremotante della sezione ritmica, i solos taglienti ed un ottimo impatto si placano solo nella parte iniziale di Resurrection, mentre in generale il gruppo imprime la giusta dose di potenza al proprio sound, non facendo mancare una buona dose di velocità, sempre in contrasto con la sublime voce della cantante.
Metafora è attraversata da sali e scendi maideniani, Resurrection parte delicata e prepara l’ascoltatore alla danza metallica, con la cantate che ispirata, fa volare la sua voce sulle scariche elettriche ed oscure degli strumenti, mentre la conclusiva title track risulta il brano più estremo del gruppo, su cui il gruppo alterna potenti mid tempo a veloci fughe al confine tra heavy e thrash.
Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

TRACKLIST
01. Metafora
02. Resurrection
03. Crucified Dreams

LINE-UP
Chiara Manzoli – Voice
Matteo Usberti – Guitar
Riccardo Soresina – Guitar
Andrea Bissolati – Bass
Carlo Bergamaschi – Drums

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Siaskel – Haruwen Airen

Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco

Secondo disco per i cileni Siaskel, un combo black metal che tratta nei suoi lavori della cultura Selk’nam.

Questi ultimi erano gli abitanti indigeni del lembo più estremo della Patagonia. L’origine dei Selk’am si perdono in ere davvero lontane da noi, e quel che poco che si sa di loro lo si deve ai pochi sopravvissuti e a racconti perlopiù orali. Il black death di ottima fattura dei Siaskel ci riporta vivide immagini della vita, della mitologia e della forza di questa popolazione. Come altre volte il linguaggio del black metal serve a riscoprire le proprie origini e le vere tradizioni, ed un genere musicale che si vuole nichilista per antonomasia riesce a compiere un salvataggio storico culturale molto importante. Musicalmente Haruwen Airen è un disco molto maturo, potente e ben suonato con una forza ben definita, e fa parte di un percorso che se compiuto porterà i Siaskel molto lontano. Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco. I Siaskel sono un gruppo dalla forte personalità, e con questo lavoro vanno ben oltre la nomea di gruppo interessante.

TRACKLIST
1.Hechuknhaiyin Yecna Shuaken Chima
2.Só`ón Hás-Kan
3.Haruwen Airen
4.Hais
5.Hain
6.Mai-ich
7.Han K´win Sa

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Skullwinx – The Relic

Un buon album di genere, derivativo ma ottimamente suonato e prodotto per esaltare le atmosfere di brani dall’alto tasso epico.

Tornano con un nuovo lavoro i giovani Skullwinx, band tedesca attiva da tre soli anni, ma già sul mercato con due full length e i primi due mini cd usciti tra il 2013 ed il 2014.

Il quintetto bavarese, con questo nuovo album, The Relic, non mancherà di far breccia nei cuori dei defenders, con il suo speed metal che al power metal di scuola Blind Guardian aggiunge elementi provenienti dalla NWOBHM e di epico metallo ottantiano.
Senza orchestrazioni, siamo lontani dai lavori di genere a cui ci hanno abituato i gruppi odierni, The Relic parte all’attacco con ritmiche che alternano fughe power speed e mid tempo epici, con chorus ben piantati nella tradizione del metal classico di scuola tedesca e solos che sanno tanto di Iron Maiden e taglienti rasoiate alla maniera dei più devastanti Judas Priest.
Ne esce un buon album di genere, derivativo ma ottimamente suonato e prodotto per esaltare le atmosfere guerriere di brani dall’alto tasso epico/storico come Sigfried e Attila The Hun, partenza al fulmicotone dell’album come nella migliore tradizione power/speed.
Col passare dei minuti le atmosfere si fanno sempre più epiche fino alla conclusiva e monumentale Relic Of The Angel, dieci minuti di -incedere tra Warlord, Iron Maiden, Manilla Road e Blind Guardian, l’ascolto ideale per un defender incallito.

TRACKLIST
1.Siegfried
2.Attila the Hun
3.A Tale of Unity (Arminius)
4.Carolus Magnus (Pater Europae)
5.For Heorot (Beowulf)
6.Carved in Stone (Princes in the Tower)
7.Tryst of Destiny
8.The Relic of an Angel

LINE-UP
Kilian Osenstätter- -Drums
Lennart Hammerer – Guitars (lead)
Severin Steger – Guitars (rhythm)
Konstantin Kárpáty – Bass
Johannes Haller – Vocals

SKULLWINX – Facebook