Un lavoro strepitoso, di straordinaria fattura e di impressionante innovazione, ma non di immediata lettura. Lungi dall’album quindi, fugaci spettatori da un ascolto e via e dall’udito poco sensibile.
Risplende nuovamente la mitologia norrena, attraverso gli oltre 54 minuti di Rignir.
E come la tradizione spesso impone, ci viene trasmessa oralmente, attraverso i testi (rigorosamente in norvegese) del nuovo album degli Helheim. L’Edda del quartetto di Bergen, si dipana su 8 tracce, di puro ottimo Black Viking che non tradisce i fan, ma (mai come in quest’album) trova sinergie musicali con sonorità Gothic Rock (a modello di Joy Division e Bauhaus, per intenderci) e a tratti anche psichedeliche.
In Rignir, album decisamente più maturo rispetto ai precedenti (e sicuramente meno energico e violento se paragonato a Kaoskult, ad esempio), i nostri hanno maggiormente dedicato attenzione a dinamiche musicali più proprie di altri generi; brani più lenti, più doom, spesso costruiti su mid-tempo cadenzati, alternati a melodie melanconiche che sfiorano la tragicità, vengono qui spesso preferiti alle velocità tipiche del Black Metal.
Un album sicuramente più ricercato rispetto a tutta la produzione precedente. Sonorità che ballano tra l’Epic, il Viking, il Gothic Rock britannico e, a tratti, cupe psichedelie, vengono qui ben amalgamati – metaforicamente – in una lega musicale, dove il Black Metal rappresenta il metallo e, il resto, ne costituisce il mercurio.
V’gandr basso e voce (famoso anche per aver collaborato con Hoest nei Taake e con Infernus nei Gorgoroth), H’grimnir, chitarra e voce (ed autore anche della cover dell’album…), Hrymr alla batteria, costituiscono, oramai da 27 anni, il cuore degli Helheim. Con Reichborn alla prima chitarra, oggi giungono al loro decimo full-lenght.
Il primo brano, onestamente, può inizialmente portare un po’ fuori strada, spiazzando l’ascoltatore; la title-track di Viking ha davvero poco, e nulla di Black. E’ il vero pezzo Gothic Rock, suonato alla perfezione intendiamoci, ma, concedetemelo, più un brano accostabile ai Bauhaus, cantato dal Bowie più psichedelico. Il clean (come del resto per tutto l’album) la fa da padrone, pertanto non aspettatevi – se non per brevi tratti – l’imperversare dello scream o di un graffiante growl, sgorganti dall’ugola di un truce energumeno nordico armato d’ascia, nel nostro immaginario vichingo.
Ma è già con il secondo brano (Kaldr) che l’epicità maestosa dell’Helheim sound emerge prepotentemente. Il brano più Viking/Black di tutto l’album: brevi accelerazioni che danzano con i mid-tempo tipici del Black, e un H’grimnir in gran forma, con uno scream che forse avrà perso un po’ di potenza rispetto al passato, ma sempre e comunque di deciso impatto.
Un oscuro lentissimo psicotico arpeggio introduce Hagl. Un brano che a tratti pare un vero tributo ai Pink Floyd per il suo cadenzare psichedelico ed allucinogeno, e al primo post-punk dei Cure; corroborato da un’estrema oscura goticità che pervade i primi tre lentissimi e lamentosi minuti del brano (circa 10 in tutto), che fungono poi da preambolo al Viking dei successivi, introdotto dal rumorismo dell’insert di una cupa grigia pioggia nordica.
Con Snjova e Isud, l’imponenza della struttura Viking è davvero emblematica (come a dire sperimentiamo quanto si vuole, ma ricordatevi che i veri re del Viking Metal siamo noi); un canto che ci proietta all’epopea di Erik il Rosso o del terribile Ragnarr Loðbrók. Se nel primo brano lo scream Black è del tutto assente, in Isud appare e scompare fugacemente, con lo scopo – molto probabilmente – unicamente di “graffiare” l’udito dell’ascoltatore, e fargli percepire un tocco di malignità, piuttosto che permettergli di sublimare il fascino di uno degli elementi più tipici del genere in quanto tale.
Dà eco alle precedenti, Vindarblastr, che con il suo ottimo sostenuto blast beat Black, fa da sfondo ad una voce clean adornata dal tipico sottofondo di cupi cori, quasi liturgici, oramai radicata caratteristica dei Nostri.
Stormvidri è cupa e fredda come una giornata tipo, in quel di Bergen. Un affresco, a tinte Black, che esprime tutta la malinconica “meteorologia” della città norvegese, immersa nella fredda poggia dei fiordi (non a caso Rignir – rain).
Chiude il lavoro Vetrarmegin, il pezzo assolutamente più Black dell’album che, sopra un ossessivo tempo da marcia quasi militaresca, uno scream che sostituisce il clean delle precedenti tracce in toto, ed il classico sottofondo di cori Helheimiani, ci conduce per mano verso la fine di un viaggio epico, cupo e freddo, tra le desolate lande della contea di Hordaland.
Tracklist
1. Rignir
2. Kaldr
3. Hagl
4. Snjóva
5. Ísuð
6. Vindarblástr
7. Stormviðri
8. Vetrarmegin
Line-up
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)
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