Nattravnen – Kult Of The Raven

Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Dall’unione di due loschi personaggi dal talento estremo come il vocalist Kam Lee (ex-Death, ex-Massacre, The Grotesquery) e il polistrumentista Jonny Pettersson (Heads For The Dead, Wombbath, Henry Kane) non poteva che uscire grande musica oscura dai rimandi death/black.

Ispirato dalla leggenda del Night Raven, Lee ha scritto il concept che sta dietro a questo bellissimo album, mentre Pettersson, confermando il suo immenso talento, sfoggiato nei mostruosi lavori di Heads For The Dead e Wombbath (usciti in questi ultimi mesi) ha dato vita ad un mostruoso esempio di metallo oscuro e terrificante.
Death metal, atmosfere black e doom, creano un’atmosfera pregna di malevolo metallo estremo, con l’oscurità che si tocca con mano in queste nove tracce che compongono quest’opera maligna e dannata.
Accompagnato dalla splendida copertina creata da Juanjo Castellano e licenziato dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi (anche ideatore del logo del gruppo), Kult Of The Raven è un album in cui l’oscurità e il terrore scorrono sulla pelle dell’ascoltatore, circondato ed avvolto dal maligno incedere di brani nei quali la potenza del death metal viene intrisa di orchestrazioni horror black e i momenti di matrice doom non fanno che aumentare il senso di oppressione che attanaglia capolavori di musica nera come la pece.
Kam Lee regala un’interpretazione spaventosa in tutti i sensi, mostruoso quando il growl prende il sopravvento, da brividi quando i toni si fanno atmosferici e malati.
Dal primo all’ultimo brano si entra in un mondo di malvagia oscurità, i corvi banchettano con le nostre anime al suono debordante delle varie The Night Of The Raven, Upon The Sound Of Her Wings e The Anger Of Despair When Coping With Your Death, picco e sunto compositivo di questo bellissimo lavoro.
Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Tracklist
1.The Night Of The Raven
2.Suicidium, The Seductress Of Death
3.Corvus Corax Crown
4.Upon The Sound Of Her Wings
5.Return To Nevermore
6.From The Haunted Sea
7.The Anger Of Despair When Coping With Your Death
8.Kingdom Of The Nattravnen
9.Kult Av Ravnen

Line-up
Kam Lee – Vocals and lyrics
Jonny Pettersson – All instruments

NATTRAVNEN – Facebook

Taur-Im-Duinath – Del Flusso Eterno

La ricchezza dei mondi tolkeniani si rispecchia in questo splendido disco di black metal cantato in italiano, che parla al cuore dipingendo bellissime e terribili immagini.

Bellissimo progetto solista di F. Oudeis, già coinvolto nell’altrettanto valido progetto black metal partenopeo Scuorn.

Taur-Im-Duinath in lingua Sindarin significa “foresta fra i fiumi”. La lingua Sindarin è uno dei molti linguaggi usati dagli elfi nei mondi inventati dal sommo Tolkien. In particolare il Sindarin è il linguaggio elfico più parlato in una regione di Arda, la Terra di Mezzo, durante la Terza Era, essendo l’idioma degli Elfi Grigi, coloro che rifiutarono di recarsi in Valinor come fecero i Noldor: “essi rimasero dunque nella Terra di Mezzo, e svilupparono una lingua propria” ( dal sito web https://ilrifugiodeglielfi.blogspot.com/2012/04/linguaggio-elfico-secondo-tolkien-il.html). La ricchezza dei mondi tolkeniani si rispecchia in questo splendido disco di black metal cantato in italiano, che parla al cuore dipingendo bellissime e terribili immagini. Il lavoro solista di Oudeis è davvero un qualcosa di straordinario, uno scrigno ricolmo di ricchezze dimenticato in un’ombrosa foresta, dove è stato poi ritrovato e portato fino a noi. Per chi possiede un po’ di amore per il black metal ortodosso molto vicino all’atomospheric, vivrà qui autentici momenti di illuminazione e stupenda bellezza. La voce è in italiano e si capisce tutto ciò che dice, anche grazie ad una produzione molto buona ed adeguata. Per capire ciò che vuole trasmetterci Taur-Im-Duinath bisogna che ognuno lo ascolti, poiché per ogni persona c’è un messaggio diverso contenuto in questo disco che va bene oltre la musica. In questi suono ed in queste parole c’è qualcosa di estremamente atavico che ci parla, uno spirito guida che ritorna dopo eoni a riprenderci, perché non siamo ciò che crediamo, e soprattutto ci sarà un nuovo inizio. La musica è bellissima ed evocativa, uno dei migliori black metal mai fatti in Italia, potente, melodico e affascinante. I testi smuoveranno anche i cuori più duri, non tanto per la tenerezza ma per la loro esoterica sincerità. Un disco da sentire e risentire, un piccolo capolavoro da conservare gelosamente.

Tracklist
1.Symbelmynë
2.Rinascita
3.Così Parlò il Tuono
4.Del Flusso Eterno
5.Hírilorn
6.Il Mare dello Spirito
7.Ceneri e Promesse
8.Mallorn

Line-up
F. Oudeis – All instruments, Vocals,Programming

TAUR IM DUINATH – Facebook

The Black Crown – Entropy

Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.

I The Black Crown sono un progetto nato da un’idea del musicista campano Paolo Navarretta.

Il primo album intitolato Fragments fu licenziato dalla label statunitense Zombie Shark Records un paio di anni fa ed ora i The Black Crown tornano con Entropy, una raccolta di brani dal sound che ripercorre certo metal moderno e progressivo in voga in America negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio.
Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.
L’album entra nel vivo dopo l’intro Venus: la tooliana Path che ci porta al centro delle visioni musicali del gruppo, con un Navarretta convincente nella parti vocali ed un sound che, anche nella successiva Furious, risulta un crescendo di emozionante musica alternative dal piglio dark.
Le ispirazioni che hanno aiutato Navarretta alla creazione di questo lotto di brani sono da rinvenire appunto in Tool, A Perfect Circle e Nine Inch Nails, poi sapientemente miscelate con suoni ed arrangiamenti di matrice dark rock per creare una musica malinconica come nella splendida Seeking, canzone che si poggia su un giro di piano di scuola Katatonia, unica concessione alla scena europea.
Entropy scivola via liquido e duro, drammatico e melodico, con ancora la pacata Consequences e la più nervosa Fade che scrivono la parola fine in un lavoro consigliato senza remore ai fans delle band citate e agli amanti del rock alternativo dalle tinte più oscure.

Tracklist
1.Venus
2.Path
3.Furious
4.Cage
5.Habit
6.Seeking
7.Turnaround
8.Consequences
9.Somewhere
10.Fade

Line-up
Alessandro Pascolo – Drums
Enzo Napoli – Bass
Antonio Vittozzi – Guitar
Paolo Navarretta – Vox & Guitar

THE BLACK CROWN – Facebook

MAYHEM – GRAND DECLARATION OF WAR

I comuni mortali da secoli attendono – costantemente, con trepidazione – un nuovo gesto, un improvviso cenno, un tanto agognato segno dai propri Dei. Così, molti di noi, si stanno ancora internamente arroventando, per l’aspettativa di un nuovo full-length dei mitici Mayhem. Purtroppo, anche questa volta, non sarà così. La nona ristampa su CD del mitico album del 2000 ci coccola, però, nella trepidante attesa di una nuova uscita.

Parlare dei Mayhem oggi, vorrebbe dire raccontare la storia di una delle band più famose al mondo, almeno in ambito estremo, ma soprattutto, significherebbe citare centinaia di aneddoti storici, sociali e culturali, di uno dei gruppi che più di tutti ha influenzato e sconvolto – da tutti i punti di vista – la scena Black Metal.

Di loro si è detto e scritto tantissimo; negli anni – tra finzione e realtà – vi si è creato intorno un alone epico, leggendario – meritatamente aggiungerei – che, oggi, fa dei Nostri non una band semplicemente storica, da cui attingere a piene mani, quale fonte di ispirazione, bensì un vero e proprio mito. Oggi, quasi si nominano i Mayhem sottovoce, per l’enorme rispetto che i fan (non solo blacksters) hanno per questi ragazzi norvegesi che, fin dal 1984, furono capaci di sconvolgere il mondo di allora, e non solo musicalmente! Tra Inner Circle, Helvete (oggi eretto a museo in quel di Oslo), chiese bruciate, show imperniati di lanci di sangue e teste suine, ma soprattutto tristemente diventati famosi per morti violente dei formers (chi può dimenticare lo sconvolgente suicidio di Dead – all’anagrafe Per Yngve Ohlin e l’altrettanto scioccante omicidio di Euronymous – all’anagrafe Øystein Aarseth – , per mano di un giovanissimo Varg Vikernes – alias Count Grishnackh, alias Burzum – oggi all’anagrafe Louis Cachet) e per le tante vicissitudini legali che ne conseguirono.
Spesso, le band che vivono la loro esperienza musicale in un contesto così sconvolgente, passando da un cambio di formazione ad un altro, tra traumatiche dipartite (anche nel senso letterale del termine), lunghe pause, ritorni e pseudo-collaborazioni che durano il tempo di una canzone, tendono – a lungo andare – a sciogliersi. In realtà i Mayhem hanno stoicamente proceduto di gran carriera (soprattutto grazie alla costanza e all’impegno di Hellhammer, oggi anima e cuore della band), giungendo ai giorni nostri , sicuramente con poche effettive produzioni (solo 5 album ufficiali in 34 anni…), ma hanno però contribuito a fomentare quell’alone di sacralità che li circonda, portando con sé fama e gloria, leggenda e miticità che, ancora nel 2018, non trovano eguali.
La ristampa dell’album qui recensito – la nona su CD per essere precisi!- non deve necessariamente aggiungere alcunché, se non semplicemente rendere nuovamente disponibile un masterpiece che, ancora oggi, dona emozioni ai fan. Grand Declaration Of War – uscito originariamente nel 2000 – trova ancora Maniac alla voce (Attila, dopo aver “prestato” le sue doti vocali per De Mysteriis Dom Sathanas, il primo mitico lavoro, si dedicò ad altri progetti quali – tra gli altri – Plasma Pool, Sunn O))), Aborym, e Korog, per poi ritornare in pianta stabile, solo nel 2007, in occasione dell’uscita di Ordo Ad Chaos), Blasphemer alla chitarra, Necrobutcher al basso e ovviamente il mitico Hellhammer.
E’ il primo full-length che vede il cambiamento del logo da Mayhem a The True Mayhem; album fortemente voluto da Hellhammer che, già nel 1995 con una nuova formazione, faceva uscire lo storico The Dawn Of The Black Hearts, il live bootleg semi-ufficiale, registrato in quel di Sarpsborg/Norvegia nel 1990, con in copertina originale, la foto tanto controversa del cadavere di Dead, e appunto il nuovo logo. Piccolo aneddoto su questo bootleg (che è tanto curioso quanto terrificante): la leggenda narra che fu proprio Euronymous a trovare il cadavere; lo stesso Aarseth avrebbe poi prelevato dal cranio del povero suicida, parti di ossa, con cui avrebbe “adornato” collane per i membri del Gruppo. Indignato da tale atto, Necrobutcher avrebbe lasciato la band, sostituito dal celeberrimo Vikernes. Se così fosse, viste le conseguenze di tale cambio di line-up, si potrebbe affermare chiaramente, che mai Fato fu così impietoso per il povero Euronymous…
Ma torniamo a Grand Declaration Of War; qui è palesemente dichiarato il netto distacco con il passato (che suscitò non pochi dubbi e critiche dai fan di allora). Un album sicuramente più maturo, più complesso e – per dirla tutta – molto progressive, sia quasi letteralmente (un album davvero “progressista” per quei tempi) sia nel senso musicale del termine. Già dalla title-track si percepisce il forte cambiamento: orientamenti sonori, oggi accostabili più ad un Avantgarde che al puro vecchio Black. Il sovente utilizzo della “clean voice” (come anche nella successiva In The Lies Where Upon You Lay) fa presupporre che con questo album i Mayhem volessero dare una svolta decisiva al loro sound. Un album molto articolato, con una struttura davvero inusuale per quel tempo (e per i Mayhem stessi). Decisi inserti di elettronica – come in A Bloodsword And A Colder Sun e in Completion In Science Of Agony), rendono ancor più interessante l’opera intera, corroborata dalla tecnica sopraffina di Blasphemer (lontano anni luce dal grezzo, rozzo, sporco – ma non meno favoloso – guitar sound del compianto predecessore). I cambi di tempo sono impressionanti: da cadenzati mid-tempo a feroci up-tempo, da marce militari e rulli di tamburi, a variegate scale Death Prog, un po’ à la Necrophagist, o meglio ancora à la Cynic (come in View From Nihil). Grand Declaration Of War è – in definitiva – un capolavoro di tecnica, novità (per quegli anni) e originalità. Un album mai noioso, che riserva sempre sorprese dietro l’angolo: assaporate To Daimonion che, dopo un intro sci-fi, si libra in un Heavy Funk Prog (vagamente Mordred di Fool’s Game) imperniato da sublimi ritmiche Thrash, ove lo scream Black non imperversa mai, bensì si miscela in un sublime divino coniugio.
Scontentò molti allora, ne incuriosì altrettanti; ma oggi – abituati come siamo, a questo imperversare di generi e sottogeneri, nuove influenze musicali e nuove suggestioni sonore, che spesso impreziosiscono il nostro caro Black Metal – si può affermare con assoluta certezza, che è amato da tutti.

Tracklist
1. A Grand Declaration of War
2. In the Lies Where upon You Lay
3. A Time to Die
4. View from Nihil (Part I of II)
5. View from Nihil (Part II of II)
6. A Bloodsword and a Colder Sun (Part I of II)
7. A Bloodsword and a Colder Sun (Part II of II)
8. Crystalized Pain in Deconstruction
9. Completion in Science of Agony (Part I of II)
10. To Daimonion (Part I of III)
11. To Daimonion (Part II of III)
12. To Daimonion (Part III of III)
13. Completion in Science of Agony (Part II of II)

Line-up
Maniac – Vocals
Blasphemer -Guitars
Necrobutcher -Bass
Hellhammer -Drums

MAYHEM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3yxrje6jNJ0

Sacrificium Carmen – Hermetica

Non sarà nulla di nuovo o di particolarmente impressionante, ma un disco come Hermetica lo si potrebbe ascoltare anche tutti i giorni senza provare alcun senso di stanchezza.

Il secondo full length dei finlandesi Sacrificium Carmen è un lavoro che dimostra come e quanto il black metal sia genere in grado di offrire lavori di grande spessore, pur restando nell’ambito di un’interpretazione piuttosto tradizionale.

Un valore aggiunto riscontrabile in Hermetica è una freschezza compositiva traducibile in un incedere trascinante che non mostra momenti di pausa nel corso di questi cinquanta minuti: un bel progresso, anche a livello qualitativo, per la band di Tampere, visto che il precedente Ikuisen tulen kammiossa superava di poco la mezz’ora di durata.
Ritmiche indiavolate sostengono un lavoro chitarristico spesso rivolto alla creazione di melodie ben fruibili, mentre Hoath Cambion strepita con il suo screaming liriche in lingua madre che, per quanto ci è dato sapere, non esulano dalle consuete tematiche (occultismo, satanismo e quant’altro).
Ciò che impressiona nell’operato dei Sacrificium Carmen è l’impatto prorompente che trova sfogo in maniera mirabile in tracce come la title track e Mysteerion nietoksilla: quello dei finnici è un black metal in linea con la propria provenienza, facendo proprie le pulsioni melodiche del metal estremo e amalgamandole con la misantropica furia del genere nella sua espressione tradizionale.
Non mancano travolgenti derive black’n’roll a rendere ancora più fruibile un lavoro che riesce a far convivere l’asprezza del black primevo con una scorrevolezza che non è affatto cosa scontata. Non sarà nulla di nuovo o di particolarmente impressionante, ma un disco come Hermetica lo si potrebbe ascoltare anche tutti i giorni senza provare alcun senso di stanchezza.

Tracklist:
1. Alttaritaulut
2. Kaitselmuksen tähti
3. Mysteerion nietoksilla
4. Hermetica
5. Valheennäkijä, kuoleva mestari
6. Noidanpolku
7. Valonkantajan adventti
8. Arvet & henki

Line-up:
Hypnos – Bass
Advorsvs – Guitars
Profostus – Guitars
Hoath Cambion – Vocals
Xeth – Drums

SACRIFICIUM CARMEN – Facebook

Rigor Sardonicous – Ridenti Mortuus

Il funeral, nell’interpretazione del duo di Long Island, è quanto mai essenziale e minimale ed è rivolto perciò a chi apprezza il genere nella sua versione più ottundente e meno atmosferica.

I Rigor Sardonicous sono una delle realtà più longeve in ambito funeral doom sul suolo statunitense, considerando che il loro primo demo è datato 1994, anche se il primo dei loro sei full length ha visto la luce (si fa per dire…) solo nel 1999.

Ridenti Mortuus è un ep che rompe un silenzio lungo sei anni e l’occasione, colta peraltro da molte altre band in ambito metal, è stata quella di pubblicare un lavoro collegato alla ricorrenza del centenario della fine della prima guerra mondiale.
Il funeral, nell’interpretazione del duo di Long Island, è quanto mai essenziale e minimale ed è rivolto perciò a chi apprezza il genere nella sua versione più ottundente e meno atmosferica: del resto il genere in questo frangente non assume sembianze consolatorie ma semmai è volto a ribadire come in generale la vita sia quello schifo che molti pensano, con l’inclusione di una (in)sana dose di misantropia ad appesantire il tutto anche a livello concettuale.
Ridenti Mortuus non lascia respiro, schiaccia ed opprime senza soluzione di continuità e a nulla valgono le rare rarefazioni del sound per sfuggire alla morsa; poi, paradossalmente, l’album si chiude con l’incremento ritmico di Intereo Parum Infantia, primo ed unico elemento di discontinuità di un lavoro che offre oltre mezz’ora di growl catacombali e suoni ribassati all’inverosimile.
Chi è pronto a subire tutto questo, troverà anche più di un perché nell’ascolto di questo ritorno dei Rigor Sardonicous che racchiude, in qualche modo, la quintessenza del funeral nella sua forma più primitiva e priva di alleggerimenti di sorta.

Tracklist:
1. The Smiling Dead
2. The Hound
3. The Unsepulchered Dead
4. Intereo Parum Infantia

Line-up:
Glenn Hampton – Bass
Joseph J. Fogarazzo – Vocals, Guitars

RIGOR SARDONICOUS – Facebook

Althea – The Art Of Trees

Una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.

E’ incredibile come la musica sia capace di troncare ogni parola superflua e dare sempre una risposta, zittire tutti e regalare a coloro che la colgono una via di fuga al piattume di una società con poche certezze e tanta stupidità.

Drammi che lasciano posto ad una sequela di frasi senza capo ne coda e che l’uomo saggio dovrebbe ignorare, cercano risposte tra le trame splendide di opere come il secondo lavoro su lunga distanza degli Althea dopo le meraviglie progressive di Memories Have No Name, licenziato un paio di anni fa e tornato lo scorso anno in versione fisica tramite la Sliptrick Records, etichetta che licenzia anche questo bellissimo The Art Of Trees.
Dario Bortot e compagni, da band collaudata, non cambiano di molto il proprio sound rispetto al primo lavoro. gli Althea hanno un loro approccio alla musica progressiva che li fa riconoscere immediatamente, sempre supportati da produzioni ed arrangiamenti di livello superiore e da un’alternanza tra le parti metalliche e quelle più soft che, oltre ad essere assolutamente personali, sono anche il loro maggior pregio.
Una musica delicata, raffinata ed elegante, supportata da un talento melodico straordinario si muove sinuosa tra le partiture progressive dei brani: una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.
Gli Althea sono bravi a non lasciarsi attrarre troppo da soluzioni cervellotiche e, invece di limitarsi ad esibire al mondo le loro capacità tecniche, lasciano che siano le emozioni scaturite dalla voce di Bortot e dalle splendide melodie di brani come One More Time, Evelyn, The Art Of Trees e Away From Me a prendere per mano l’ascoltatore accompagnandolo in questo bellissimo viaggio a ritroso in una vita che potrebbe essere quella di ciascuno di di noi.

Tracklist
01. For Now
02. Deformed to Frame
03. One More Time
04. Today
05. Evelyn
06. Not Me
07. The Shade
08. The Art of Trees
09. Away From Me feat. Michele Guaitoli
10. Burnout

Line-up
Dario Bortot – Guitars, Keys & Synths
Alessio Accardo – Vocals
Sergio Sampietro – Drums
Andrea Trapani – Bass

ALTHEA – Facebook

Silver Dust – House 21

Un mix di Type O Negative, Sisters Of Mercy e Secret Discovery in versione Grand Guignol, con qualche passaggio estremo e modern metal: un buon ascolto per gli amanti dei suoni gothic/dark del nuovo millennio.

Il mondo del rock da Grand Guignol si arricchisce di un altro spettacolo, questa volta offerto da un quartetto di artisti, musicisti ed eleganti anime nere chiamato Silver Dust, capitanato dal chitarrista e cantante Lord Campbell che, tramite la Escudero Records, licenzia la seconda opera della sua carriera intitolata House 21.

Dieci brani (più la cover del classico Bette Davis Eyes portato al successo dalla cantante Kim Carnes e che vede come ospite Mr.Lordi), è quello che ci propongono questi alternative gothic rockers francesi, saliti sul palco di un virtuale teatro nei sobborghi parigini per dar vita al concept di House 21, in un’atmosfera di grigio e nebbioso mondo gotico, animato da accenni al metal moderno, danze tribali ed arrangiamenti magniloquenti che a tratti arricchiscono il sound.
I Silver Dust cercano di variare le atmosfere rimanendo legati ad un mood horror rock convincente, anche se la moltitudine di sfumature che compongono il mondo musicale creato dalla band a tratti porta leggermente fuori tema.
The Unknown Soldier, Forever e The Witches Dance sono i brani migliori di questo mix di Type O Negative, Sisters Of Mercy e Secret Discovery in versione Grand Guignol, con qualche passaggio estremo e modern metal: un buon ascolto per gli amanti dei suoni gothic/dark del nuovo millennio.

Tracklist
1.Libera Me
2.The Unknown Soldier
3.House 21
4.Forever
5.Once Upon A Time
6.La La La La
7.Bette Davis Eyes (feat. Mr.Lordi)
8.This War Is Not Mine
9.The Witches Dance
10.It’s Time
11.The Calling

Line-up
Lord Campbell – Vocals, guitar
Tiny Pistol – Guitars, vocals
Kurghan – Bass
Mr.Killjoy – Drums

SILVER DUST – Facebook

Sabaton – Carolus Rex Platinum Edition

Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, sesto album dei Sabaton uscito nel 2012 e ristampato per l’occasione.

La storia della Svezia ha toccato il suo massimo splendore storico tra il XVII e il XVIII secolo, periodo che vide la nazione scandinava trasformarsi in una potenza imperante nelle coste del mar Baltico, dalla Finlandia fino all’Estonia e alla Livonia.

I Sabaton nel 2012 licenziarono questo bellissimo lavoro, che è stato quello di maggior successo del gruppo, alle prese con una fetta importante della storia del proprio paese.
Carolus Rex, infatti, è un lavoro incentrato sull’intervento della Svezia nella guerra dei trent’anni (1618-1648) e sul regno di re Carlo XII (1697-1718) del quale si commemorano i trecento anni dalla morte.
Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, di fatto il sesto album dei Sabaton ed apice di una discografia che ha regalato altri due full length dopo questo notevole lavoro, Heroes e The Last Stand, licenziati rispettivamente nel 2014 e nel 2016.
Senza entrare troppo dentro alle vicende storiche, c’è un grande album di power heavy metal da godersi con il pugno alzato e lo scudo a proteggere i colpi che i Sabaton senza pietà scaricano sull’ascoltatore, immerso in questa raccolta di racconti storici accompagnati da uno degli esempi più fulgidi di metallo glorioso, epico, orchestrale e potente.
Mid tempo e debordanti orchestrazioni ci avvolgono come in una colonna sonora di una pellicola che sulla parete fa scorrere immagini di battaglie, eroi, vincitori e vinti in un delirio epico davvero entusiasmante, con la chicca della versione svedese ad accentuare l’atmosfera di celebrazione di uno dei personaggi più importanti della storia della nazione.
Questa spettacolare versione Platinum Edition si arricchisce di quattro bonus track e viene licenziata dalla Nuclear Blast in ben cinque versioni: 2cd digi, 2LP, 3cd+2blu-ray-earbook, award edition e digital, a seconda dei gusti tutte imperdibili.

Tracklist
1. Dominium Maris Baltici
2. The Lion From the North
3. Gott Mit Uns
4. A Lifetime of War
5. 1 6 4 8
6. The Carolean’s Prayer
7. Carolus Rex
8. Killing Ground
9. Poltava
10. Long Live the King
11. Ruina Imperii
12. Twilight Of The Thundergod
13. In The Army Now
14. Feuer Frei
15. Harley From Hell

Line-up
Joakim Brodén – Vocals, Keyboard
Pär Sundström – Bass
Chris Rörland – Guitars
Tommy Johansson – Guitars
Hannes Van Dahl – Drums

SABATON – Facebook

Iteru – Ars Moriendi

Ars Moriendi è un lavoro a suo modo sorprendente e che merita di arrivare alle orecchie degli appassionati del doom più oscuro e malevolo.

Notevole ep d esordio per i belgi Iteru, autori di un death doom rituale ed opprimente come di rado capita di ascoltare.

Oltre al fatto che si tratta di un trio, l’unica cosa che è data sapere sulla band è che i musicisti coinvolti appartengono alla scena black metal belga, un aspetto che rende a suo modo ancor più intrigante il tutto, visto che chi è abituato a viaggiare a velocità più elevate di norma tende ad interpretare in maniera differente sonorità dai tempi più diluiti.
Gli Iteru non cercano consenso attraverso una proposta dolente e melodica, ma con Ars Moriendi portano il genere alle sue estreme conseguenze senza spostare la barra verso il death, come fa la maggior parte delle band in casi analoghi: l’album è doom al 100%, con il retaggio black che affiora in alcune sfuriate in doppia cassa e nel tremolo di certi passaggi solisti, per il resto tutti gli ingredienti si trovano al loro posto, a partire da un growl impietoso e il rombo ribassato all’inverosimile sullo sfondo.
I quattro lunghi brani sono litanie che disassano l’ascoltatore in virtù di suoni non particolarmente curati ma veraci il giusto, per rendere ancor più credibile il senso di soffocamento che la band vuole indurre in chi decide si assoggettarsi a questo infame rituale; del resto, chi fa le pulci ai dischi doom o black focalizzandosi sugli aspetti meramente tecnici ha decisamente sbagliato indirizzo.
Ars Moriendi è un lavoro a suo modo sorprendente e che merita di arrivare alle orecchie degli appassionati del doom più oscuro e malevolo: gli Iteru però non si limitano a andare giù pesanti con un riffing monolitico, poiché il loro senso della melodia non è affatto trascurabile, così come la tendenza a creare passaggi emozionanti pur se collocati su uno sfondo per lo più minaccioso.
La conclusiva To the Gravewarden sembrerebbe essere è la traccia più canonica e relativamente più fruibile grazie ad una riconoscile e reiterata linea chitarristica, peccato che a metà dei suoi dieci minuti si trasformi in un devastante episodio all’insegna del più oscuro black metal, mentre l’iniziale Through the Duat rappresenta la vera e propria sintesi sonora dei biechi intenti degli Iteru.
We the Dead e Salvum Me oscillano tra arpeggi, sprazzi melodici e distruttivi e ineluttabile ferocia, andando a completare un quadro che raffigura un doom metal sicuramente non convenzionale e quindi piuttosto originale; le note di presentazione parlano di analogie con The Ruins Of Beverast, Urfaust, Blut Aus Nord ed Evoken ma, a seconda dei punti di vista, si può essere totalmente d’accordo o dissentire del tutto. Giusto così, non resta che lasciare ad ogni singolo ascoltatore la possibilità di farsi un’idea propria su un album davvero meritevole d’essere approfondito.

Tracklist:
1. Through the Duat
2. We the Dead
3. Salvum Me
4. To the Gravewarden

Valkyrja – Throne Ablaze

La peculiarità maggiore rimane sempre capacità di unire melodia e black metal, con un lieve accenno di death.

Tornano dopo cinque anni dal precedente disco i Valkyrja, con un disco di black metal molto potente e nello stile della seconda onda del black metal.

I nostri sono attivi dal 2004, con un suono sempre improntato all’aggressività e alla velocità. Con questo Throne Ablaze sono venuti a riprendersi il posto che spetta loro: infatti sono attualmente in tour con i Marduk e gli Archgoat. Il suono di questi svedesi è molto duro e serrato, al contempo la melodia pervade molto bene le costruzioni sonore e l’ascoltatore rimane sempre attaccato alla loro musica. Avendo imparato alla perfezione la storia di questo genere, i Valkyrja sanno che è necessario costruire un sound che non sia solo derivativo, ma un qualcosa che abbia delle peculiarità ben precise e ci riescono in pieno. Le canzoni sono quasi tutte di lunga durata, dato che il gruppo riesce a concatenare al meglio i vari temi sonori presenti all’interno delle tracce. Il risultato è un muro sonoro che non rivela nessuna crepa, e anzi avanza imperioso verso l’ascoltatore, incalzandolo da vicino. Non è facile di questi tempi, in cui i gruppi sono davvero tanti, tornare dopo diversi anni e riprendersi ciò che ti spetta, ma con questo disco i Valkyrja hanno firmato un rientro più che positivo. Il lavoro è un bel massacro dall’inizio fino alla fine e non c’è un attimo di tregua. La peculiarità maggiore rimane sempre capacità di unire melodia e black metal, con un lieve accenno di death. Ascoltare un disco di black con una forte impronta personale non è per nulla scontato, ma qui lo si può trovare.

Tracklist
1. In Ruins I Set My Throne
2. Crowned Serpent
3. Opposer of Light
4. Tombs Into Flesh
5. Halo of Lies
6. Transcendental Death
7. Paradise Lost
8. Throne Ablaze

Line-up
S.Wizén – lead guitar & vocals
B.Thelberg – rythm guitar
V.Purice – bass & backing vocals
V.Parri – drums

VALKYRJA – Facebook

Thulsa Doom – Realms Of Hatred

Assalti sonori devoti all’old school death presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Dalle catacombe di una capitale sempre più avvolta da sonorità estreme arrivano in superficie i Thulsa Doom, trio di musicisti ed adepti all’underground metallico di matrice death metal.

In generale non ci si schioda dai primi anni novanta tra le trame putrescenti di questi sei brani che vanno a comporre la tracklist di Realms Of Hatred, debutto in uscita digitale e cassetta a ribadire l’assoluta attitudine underground di questa band che riesce a convincere grazie a cavalcate heavy, atmosfere catacombali ed un sound maligno, con una produzione che ben si adatta allo spirito dell’opera, senza inficiare il risultato ma rendendo l’atmosfera malsana, un vero e proprio viaggio nell’inferno dei Thulsa Doom.
Quattro brani e due interludi scaraventano per una ventina di minuti nei meandri in cui l’angelo morboso tortura anime con brani come l’opener The Final Scourge, guardando all’indietro anche al thrash metal più oscuro nato negli anni ottanta.
Assalti sonori devoti all’old school death come The Gates of Niniveh o Demon Conjurer presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Tracklist
1.The Final Scourge
2.The Gates of Niniveh (Woe to You…City of Blood)
3.Realms of Hatred (Instrumental)
4.Demon Conjurer
5.Intro
6.Thulsa Doom

Line-up
V.K. Nail – Vocals, Guitar
F.Phantomlord – Guitar & Bass Guitar
B.G. Triumph – Drums

THULSA DOOM – Facebook

Dungeon Wolf – Slavery Of Steel

Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

I tre Dungeon Wolf, capitanati dal cantante e chitarrista Deryck Heignum, provengono dalla Florida, terra tradizionalmente metallica, specialmente per quanto riguarda la parte estrema della nostra musica preferita, qui invece madre di un gruppo dedito ad un metal tradizionale tra velleità epic, qualche spunto tecnico lodevole, ma tanta approssimazione riguardo al songwriting ed alla voce del leader, che quando si affida al falsetto lascia alquanto a desiderare, un difetto non da poco in un genere nel quale l’interpretazione vocale fa la differenza.

Slavery Of Steel è composto da otto brani per una quarantina di minuti di epico metallo scolpito nella roccia, vario nelle ritmiche, tecnicamente buone, e nei solos che in alcuni casi rasentano lo shred, mettendo in risalto la bravura di Heignum con il proprio strumento, molte volte andando leggermente oltre a quello che richiede il brano.
L’album quindi non è sicuramente esente da difetti, migliorabili con il tempo, ma ad oggi purtroppo causa del poco appeal che brani comunque fortemente epici come l’opener Hidden Dreams o Worker Metal Night riescono ad avere sull’ascoltatore.
Il metal old school dei Dungeon Wolf è pervaso da una forte componente epico guerresca che ricorda Cirith Ungol e Manowar ma si presenta con un gap non indifferente già dalla buffa copertina, con un improbabile cavaliere medievale munito di spadone d’ordinanza e chitarra, ed una sbornia da far passare prima che inizi la battaglia.
Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

Tracklist
1. Hidden Dreams
2. Last Alive
3. Slavery or Steel
4. Borderlands
5. While the Gods Laugh
6. Dark Child
7. Worker Metal Might
8. Lord of Endless Night

Line-up
Deryck Heignum – Vocals/Guitar
Stan Martell – Bass
Austin Lane – Drums

DUNGEON WOLF – Facebook

Eluveitie – Slania 10 Years

Slania è una grande gioia per gli amanti del genere, e 10 Years potrebbe essere considerata la sua versione definitiva, perché le cose aggiunte sono ragguardevoli e vanno ben oltre le solite demo o inediti.

Per festeggiare degnamente la ricorrenza dei dieci anni dell’uscita di Slania, il secondo disco degli Eluveitie, la Nuclear Blast fa uscire una nuova edizione arricchita da demo, una misteriosa intervista alla vera Slania e commenti alle canzoni.

Uscito nel 2008, Slania è il disco che ha fatto conoscere al grande pubblico gli svizzeri e ascoltandolo è impossibile resistergli. Qui gli Eluveitie concentrano tutto il meglio di ciò che sanno fare, regalando un capolavoro davvero potente. Molti considerano il gruppo elvetico uno dei principali interpreti mondiali del folk metal ed in Slania è racchiuso il perché di questo giudizio, dovuto ad una grande potenza sonora che va di pari passo con una robusta composizione in cui il metal si lega in maniera fortissima al folk. Quest’ultimo è sempre stato il vero punto di forza degli Eluveitie, ovvero fondere in maniera credibile e di grande effetto il folk degli strumenti tipici con un metal di ottima fattura, trovando una sintesi molto originale. Slania è un disco più veloce e metal rispetto alle ultime uscite, e possiamo già trovare quelle incredibili melodie che hanno reso tanto amato il gruppo, soprattutto per il bilanciamento perfetto fra cantato femminile e cantato maschile. Più che ascoltare folk metal qui lo si respira all’interno della dimensione creata dalle canzoni di questo disco, che è una delle pietre miliari di un genere che sembra facile da suonare, mentre invece ci vuole un notevole talento insieme ad una visione compositiva inusuale per poterlo fare al meglio. Slania è una grande gioia per gli amanti del genere, e 10 Years potrebbe essere considerata la sua versione definitiva, perché le cose aggiunte sono ragguardevoli e vanno ben oltre le solite demo o inediti. Un disco che ha indicato una via e che continua tuttora a farlo.

Tracklist
01. Samon
02. Primordial Breath
03. Inis Mona
04. Grey Sublime Archon
05. Anagantios
06. Bloodstained Ground
07. The Somber Lay
08. Slania’s Song
09. Giamonios
10. Tarvos
11. Calling The Rain
12. Elembivos

Bonus:
13. Samon (Acoustic Version)
14. Interview With Slania
15. Samon (demo)
16. Primordial Breath (demo)
17. Inis Mona (demo)
18. Bloodstained Ground (demo)
19. Tarvos (demo)

Line-up
Chrigel Glanzmann – vocals, mandola, whistles, pipes, gaita, acoustic guitar, bodhrán, harp
Kay Brem – bass
Rafael Salzmann – lead guitar
Matteo Sisti – bagpipes, tin whistle
Jonas Wolf – rhythm guitar
Alain Ackermann – drums
Michalina Malisz – hurdy-gurdy
Nicole Ansperger – violin, vocals
Fabienne Erni – vocals, celtic harp

ELUVEITIE – Facebook

Voices From Beyond – Black Cathedral

E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal.

Partita come label rock ed alternative, la Volcano ha ampliato i suoi orizzonti entrando di prepotenza nel mondo del metal e supportando ottime realtà nazionali ed internazionali.

Tra hard rock, alternative e rock ‘n’ roll trovano spazio gruppi dalle sonorità più marcatamente metalliche, come per esempio i Voices From Beyond, al loro secondo album dopo The Gates of Madness uscito ormai otto anni fa.
Black Cathedral è il titolo di questo nuovo lavoro che sicuramente non deluderà gli amanti del metal classico anni ottanta, un concentrato potentissimo e senza compromessi di heavy, speed e thrash metal.
Il quintetto proveniente da Rimini, trascinato dall’ottimo cantante Roberto Ferri, ci presenta una raccolta di brani che alternano i tre generi citati, in un turbinio di tempeste metalliche.
Composta da una serie di brani elaborati, la track list non lascia spazio ad incertezze, il gruppo convince fin da subito lasciando alle veloci e dirette Dark Age e The Hideout Of Evil il compito di colpire l’ascoltatore con ritmiche veloci e potenti, solos taglienti e ottimi refrain.
La bellissima power ballad La Valle Della Coscienza (cantata in italiano), chiude la prima parte e l’album riparte con il thrash metal di The Edge Of Time, con i Voices Of Beyond che ci aprono le porte della nera cattedrale con il metal progressivo ed oscuro della title track.
Descending Into The Abyss è il brano più estremo del lotto, una forza della natura di matrice thrash che conduce verso la fine dell’opera rappresentata dalla ballad semiacustica The Family.
E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal, che vanno dai Maiden agli Exodus, dai Metallica ai Testament e ai primi Helloween (quelli arrabbiati di Walls Of Jericho): per gli amanti del genere un ascolto vivamente consigliato.

Tracklist
1. Dark Age
2. The Hideout of evil
3. Guardian of the Laws
4. I am The Presence
5. La Valle della Coscienza
6. The Edge of Time
7. The Black Cathedral
8. Descending into The Abyss
9. Across The Mountains
10. The Family

Line-up
Roberto Ferri – Vocals
Claudio Tirincanti – Drums
Michele Vasi – Guitar
Andrea Ingenito – Guitar
Enrico Ricci – Bass

VOICES FROM BEYOND – Facebook

Painthing – Where Are You Now…?

Where Are You Now…? è un esordio ideale, che consente ai Painthing di piazzare una base già solida per un impianto compositivo che sembra avere i numeri necessari per crescere ulteriormente di livello in futuro.

Nel tirare le somme di una scena importante come quella polacca non si può fare a meno di notare come non abbia tutto sommato prodotto band di grande spessore in ambito funeral death doom, a differenza di quanto accaduto in altri generi.

Forse non riusciranno a modificare questo stato di cose i Painthing, ma il loro esordio su lunga distanza Where Are You Now…? possiede senza dubbio tutti i crismi per essere ricordato con piacere dagli appassionati del genere.
La band di Varsavia infatti fa per gran parte del lavoro quello che alla fine ci si aspetta, ovvero l’offerta di sonorità malinconiche ma non tragiche, contraddistinte da un buon gusto melodico e suonate e prodotte in maniera lineare, il che non vuol dire che siano scolastiche o scontate bensì ben focalizzate sull’obbiettivo di trasmettere emozioni, che è poi il target vero del genere.
I Paithing prendono come possibile riferimento, tra i molti disponibili, i When Nothing Remains, una delle band che in questo decennio ha saputo coniugare al meglio in senso melodico le asprezze del death con il dolente sentire del doom, e da questa base, pescando ovviamente anche altrove, si muovono fin dall’opener Between facendo intendere che il loro obiettivo verrà perseguito senza percorrere improbabili strade alternative.
Certo, anche qui troviamo le spesso famigerate clean vocals (il cui utilizzo da parte di molte band sembra quasi sia una sorta di pegno da pagare non si sa bene a chi, con esiti per lo più scoraggianti), ma per fortuna tutto sommato accettabili nelle loro sfumature e non improbabili come quelle che affossarono l’esordio dei connazionali Oktor, dei quali ritroviamo qui i fratelli Rajkow-Krzywicki, alle prese con la sezione ritmica.
Detto ciò, il growl di Kuba Grobelny è di ottima fattura e buona intelligibilità, cosi come è valido il lavoro chitarristico dello stesso vocalist e di Michał Świdnicki, quanto misurato ed essenziale quello tastieristico di Darek Ojdana; ed è così che, senza reinventare la ruota, i Painthing esibiscono per circa un’ora la loro intrigante idea di melodic death doom, facendosi ascoltare con un certo agio dall’inizio alla fine, con menzione di merito per una traccia coinvolgente come The Shell I Live In.
Where Are You Now…? è un esordio ideale, che consente alla band polacca di piazzare una base già solida per un impianto compositivo che sembra avere i numeri necessari per crescere ulteriormente di livello in futuro.

Tracklist:
1. Between
2. Widow And The King
3. Buzz And Madness
4. The Shell I Live In
5. Psychosis 4:48
6. Only Death Will Divide Us
7. To Live Is To Fight
8. So Be It

Line-up:
Michał Świdnicki – Guitars
Darek Ojdana – Keyboards
Kuba Grobelny – Vocals, Guitars
Jan Rajkow-Krzywicki – Bass
Jerzy Rajkow-Krzywicki – Drums

PAINTHING – Facebook

Manam – Rebirth Of Consciousness

Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Un concept che segue un viaggio spirituale è quello che ci propongono i Manam, giovane band fondata dal chitarrista e cantante Marco Salvador, al debutto con Rebirth Of Consciousness.

Melodic death metal, power ed ispirazioni progressive compongono questa raccolta di brani, molto vari ma legati dal concept e dall’approccio al genere che rimane assolutamente estremo e melodico.
Suonato e composto dalla band con l’ambizione di ottenere un prodotto originale senza snaturarsi troppo, l’album alterna tracce estreme, alcune delle quali potenziate da classiche ritmiche power, ad altre più orientate verso un mood progressivo e melodico che nobilita in modo importante brani come Atman Denied, che arriva subito dopo quello che era un classico episodio melodic death metal come Supernova.
Le parti in clean sono ottime, non così scontate come in altre realtà, il growl è potente mentre ineccepibile è la parte tecnica, che permette al gruppo di regalare brani di spessore come l’evocativa Revelation.
Total War è una traccia heavy metal tradizionale potenziata dall’attitudine estrema dei Manam, A Raw Awakening parte come una power ballad e si sviluppa in un crescendo estremo notevole, mentre la parola fine a questo lavoro la mette la progressiva, melodica e splendida Sahara.
Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Tracklist
1. Fallen Leaves
2. Supernova
3. Atman Denied
4. Innerdemon
5. Revelation
6. Total War
7. A Raw Awakening
8. Anam
9. Sahara

Line-up
Marco Savador – Lead Guitar, Vocals
Fabiola Sheena Bellomo – Rhythm Guitar
Marco Montipò – Bass, Backing Vocals
Nicola Nik De Cesero – Drums

MANAM – Facebook

Obliteration – Cenotaph Obscure

Assoluta conferma del quartetto norvegese che rilascia un’opera veemente ma ricca di spunti lisergici e progressive, come al solito personale e coinvolgente.

Un breve suono di tamburi apre le danze al nuovo disco dei norvegesi Obliteration e libera tutta la forza dirompente del quartetto norvegese; dal 2004 si dipana una carriera impeccabile e totalmente priva di passi falsi, con quattro full length di death “mutante” con le radici ben salde ma libero da vincoli creativi e capace di spaziare in suoni e atmosfere multiformi.

Suoni stimolanti che riempiono ogni brano di variazioni, creando momenti estremamente avvincenti e creativi; a tal proposito e su medesime coordinate ricordo il meraviglioso Trance of Death dei Venenum del 2017, dove grandi capacità si amalgamavano perfettamente con scelte sonore molto “open mind”. Non fa assolutamente eccezione quest’ultimo disco dei norvegesi, provenienti dalla stessa città di origine dei seminali Darkthrone, Kolbotn, nel quale un sound veemente si interfaccia con tentazioni lisergiche e progressive; la band si lascia andare a canzoni dense, riuscendo a riempire ogni momento con idee, senza perdere in alcun modo intensità, ferocia e personalità. La title track incendia l’incipit del disco, colpendo subito i nostri neuroni, scagliandoci contro un chitarrismo torrenziale e incandescente:  atmosfere oscure, malefiche, il taglio progressivo lo si nota soprattutto nella gran voglia di variare e non rimanere ancorato alle “solita atmosfera”; la chitarra di Aryld Myren Torp si lancia in modo viscerale in tutti i brani, instancabile, rivaleggiando, in forza creativa, con la sezione ritmica e lacerando i brani con assoli acidi e psichedelici sempre selvaggi e liberi da schemi prefissati. Il breve, liquido e stralunato strumentale Orb apre i portali per la splendida Eldritch Summoning ,tour de force dalla forza incredibile, un fiume inarrestabile e veloce che travolge ogni argine e si erge minaccioso nei suoi otto minuti di furia devastatrice; è un piacere lasciarsi travolgere e si rimane storditi di fronte alla voglia creativa dei norvegesi, che assaltano i nostri sensi riducendo le nostre difese in brandelli. Ogni brano merita ascolti reiterati e per chi fosse interessato la riscoperta della discografia pregressa (soprattutto Nekropsalm e Black Distant Horizon) sarà fonte di puro piacere.

Tracklist
1. Cenotaph Obscure
2. Tumulus of Ancient Bones
3. Orb
4. Eldritch Summoning
5. Detestation Rite
6. Onto Damnation
7. Charnel Plains

Line-up
Didrik Telle – Bass
Kristian Valbo – Drums
Arild Myren Torp – Guitars
Sindre Solem – Vocals

OBLITERATION – Facebook

Proliferhate – Demigod Of Perfection

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.

Dopo i Brvmak, fuori con il bellissimo In Nomine Patris, ecco che la scena estrema tricolore ci regala un altro gioiellino di death metal, maturo e progressivo: la seconda opera dei Proliferhate, band torinese attiva dal 2012 ed arrivata sul mercato con il debutto In No Man’s Memory, datato 2015.

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.
L’album è dunque un’ottima esibizione di metal estremo, che trova spazio nei tanti e repentini cambi di atmosfera, in un’altalena assolutamente riuscita tra tempeste metalliche di stampo old school e pacati momenti di musica progressiva, rock ma soprattutto jazz.
Questo continuo mutare atmosfere e tensioni musicali porta ad un sound che, pur rifacendosi ai soliti nomi del metal estremo di fine secolo scorso, ha nella personalità la sua massima forza, in virtù di un’espressività che porta la band a confrontarsi con nomi storici senza timori reverenziali.
E facciamoli questi nomi: Opeth e Between the Buried and Me su tutti, anche se, come scritto, il gruppo torinese si districa bene quel tanto che basta per non risultare una band clone, grazie alle tante digressioni jazz/fusion che sull’album abbondano e rendono l’ascolto molto interessante.
La tecnica c’è, si sente ma non è la virtù primaria dei Proliferhate, risultando ben inserita nel sontuoso songwriting di cui si possono vantare brani del calibro di Conjuring the Black Hound, The Frailty of a Tender Soul e Naked Monstrosity.
In conclusione Demigod Of Perfection è un lavoro che conferma i Proliferhate come una delle band da seguire con più attenzione nel suo cammino nel mondo del metal estremo progressivo.

Tracklist
1. Prologue to Damnation
2. Conjuring the Black Hound
3. Auerbach’s Vineyard
4. The Frailty of a Tender Soul
5. Oberon
6. Naked Monstrocity
7. A Shadow from an Ancient Past
8. Euphorion
9. Demigod of Perfection
10. Elegant in Decay

Line-up
Omar Durante – Vocals/Guitar
Andrea Simioni – Bass
Daniele Varlonga – Drums
Lorenzo Moffa – Rhythm Guitar

PROLIFERHATE – Facebook