Headcrasher – Nothing Will Remain

Ristampa a lungo attesa dello storico esordio, targato 1989, di una band fondamentale nel panorama thrash-core italiano di fine anni Ottanta.

La Punishment 18, da oltre dieci anni, porta avanti un serio e professionale lavoro di valorizzazione del patrimonio underground, tanto italiano, quanto estero, specie in ambito thrash-death-black.

Ne è l’ulteriore ed eccellente riprova la realizzazione di questo Nothing Will Remain, ristampa – a lungo attesa, davvero – di un disco realmente storico del panorama nostrano, pubblicato nel 1989, e subito diventato oggetto di autentico culto. Il quartetto italiano proponeva, infatti, uno speed-thrash metal, ottimamente elaborato e notevolissimo sotto il profilo tecnico, che da un lato guardava al messaggio tradizionale (ed inevitabile) dei primi giorni della Bay Area, soprattutto ai Metallica di Kill ‘Em All, dall’altro lo contaminava con intelligenti e sempre molto costruite aperture di stampo hardcore (sia quello inglese dei Discharge, sia quello americano, di area newyorkese, il che rende gli Headcrasher apprezzabili anche da parte di quanti adorano Anthrax e Nuclear Assault). Come si diceva, i dodici brani di Nothing Will Remain sono assai strutturati e vari, ancorché rocciosi e granitici. Né mancano variazioni sul tema, come l’opener fantascientifico Blood From the Sky, il grind aspro e inatteso (di scuola Napalm Death) di F.F.W., il rap-core screziato di funk metal di Bath Man, a metà strada fra i Death Angel di Act III e i Faith No More della pietra miliare The Real Thing. Il gruppo riusciva nel non facile intento, alternando sfuriate veloci ed opportuni rallentamenti, di aggiungere qua e là una vaga attitudine fun e skate-punk ad una proposta complessiva, altrimenti, legata al miglior thrash e all’allora nascente metal-core. Un disco veramente pionieristico e personale, oltretutto si se pensa al fatto che esso risale alla fine degli Eighties, per di più in Italia. I quattro possedevano, senza dubbio, doti compositivo-esecutive superiori alla norma ed erano artefici di un sound possente e quasi epico nella sua insopprimibile rabbia di fondo. La riedizione della Punishment è resa ancor più succulenta dalla presenza di un secondo CD, che contiene i sei pezzi dell’inedito promo registrato nel 1991 e in più, come bonus-track, In Our Times, appositamente incisa, nel 2017, da tre quarti della formazione originale degli Headcrasher. Mai banali, ancora oggi, aggressivi ed articolati come i Megadeth. Ora, il pubblico ha finalmente la possibilità di riscoprire questo seminale gruppo calabrese, che, sorto nel 1984, ha fatto la storia ed ha saputo anche anche emozionare, come nella toccante e indimenticabile Good Morning Amazzonia o nell’inno Dead in the USA.

Tracklist
1. Blood From the Sky
2. Live Or Die
3. Waiting 4 an Answer
4. FFW
5. Bath Man
6. The Cemetery of the Lost Cross
7. Overlook Hotel
8. SK8 Life
9. Good Morning Amazzonia
10. Dead in the USA
11. The Final Attack
12. Flebo’s Country
13. In Our Times
14. Lost Money
15. HIV
16. Selling Happiness
17. Childhood Stairs
18. Subliminal Pain
19. Within the Mirror

Line-up
Gianpaolo Brunetti – Guitars
Claudio Gentile – Vocals
Roby Vitari – Drums
Italo Le Fosse – Bass

HEADCRASHER – Facebook

Funeral Nation – Molded From Sin

Molded From Sin soddisferà gli amanti del genere, in attesa che dopo il ritorno i Funeral Nation decidano di dare un seguito allo storico debutto.

La Vic Records licenzia questa compilation di un gruppo storico dell’underground estremo statunitense, i Funeral Nation da Chicago.

Il trio di thrashers iniziò a diffondere il verbo di Satana fin dal lontano 1989 a colpi di death/thrash metal vecchia scuola, e questa esaustiva raccolta tocca le varie fasi del gruppo in quasi trent’anni dalla fondazione.
In verità la band ha avuto dal 1995 al 2012 un lungo periodo di stop e solo in questi ultimi anni ha dato un seguito al primo full length (After The Battle) e al paio di lavori minori che caratterizzarono i primi passi del bassista e cantante Mike Pahl e compagni.
Molded From Sin è la quarta compilation in pochi anni, ma i Funeral Nation risultano attivi e l’ep omonimo uscito quest’anno fa ben sperare un secondo album che gli appassionati del genere aspettano ormai da molti anni.
La proposta è assolutamente underground, il thrash metal satanista e dalle ovvie tematiche anticristiane del gruppo sposa la storia del genere, quindi si parte in quarta e veloci, rabbiosi e sadici e si corre tra le buie strade dell’inferno con un occhio allo speed/thrash europeo del decennio ottantiano (Venom e Slayer su tutti) con qualche sfumatura vicino al death.
La raccolta alterna brani diretti e senza soluzione di continuità ad altri leggermente più elaborati (Encased In Glass) e dal taglio classicamente heavy metal, ma in gran parte dell’album si continua a correre con una mano sull’acceleratore e l’altra che impugna una croce rovesciata.
Molded From Sin soddisferà gli amanti del genere, in attesa che dopo il ritorno i Funeral Nation decidano di dare un seguito allo storico debutto.

Tracklist
1.Your Time Has Come
2.State of Insanity
3.Reign of Death
4.Midnight Hour
5.Sign of Baphomet
6.Visions of Hypocrisy
7.Encased in Glass
8.Benediction of Faith
9.The Apocalypse
10.Maniac
11.Laceration
12.Before the Dawn
13.Funeral Nation

Line-up
Mike Pahl – Bass, Vocals
Chaz Baker – Guitars, Vocals
Dean Olson – Drums

FUNERAL NATION – Facebook

Rapture – Paroxysm Of Hatred

Giovani, ma con una personalità da vecchi demoni, i Rapture ci consegnano un lavoro che non mancherà di soddisfare i thrashers old school di tendenza slayerana e con più di un orecchio alle opere di Possessed, Venom e della parte più estrema del genere nel periodo ottantiano.

Death/thrash che sputa puro odio e violenza, con un sound che partendo da una base thrash old school si potenzia di cattiveria death per un risultato annichilente: questo è Paroxysm Of Hatred, nuovo lavoro dei greci Rapture, secondo full length dopo Crimes Against Humanity, uscito nel 2015, ed una manciata di ep.

Il quartetto proveniente dalla capitale ellenica non si risparmia e parte veloce e cattivo come pochi, rifilando una serie di mitragliate per una quarantina di minuti senza soluzione di continuità: questo è un death/thrash vecchia scuola che  molto deve ai primi Slayer, ma che si ricopre di una discreta gloria con questi otto brani spietati e assassini.
Odio, misantropia, orrore, guerra e morte, descritte con l’aiuto di un metal feroce ed aggressivo, suonato bene e prodotto quel tanto che basta per arrivare in fondo all’ascolto senza problemi (una virtù non da poco per il genere).
I Rapture ci sanno fare, interpretano la musica estrema con attitudine e quell’impatto necessario per convincere lungo tutto l’ascolto dell’album che forma, nella sua interezza, un assalto sonoro devastante.
Giovani, ma con una personalità da vecchi demoni, i Rapture ci consegnano un lavoro che non mancherà di soddisfare i thrashers old school appunto di tendenza slayerana e con più di un orecchio alle opere di Possessed, Venom e della parte più estrema del genere nel periodo ottantiano.

Tracklist
1.Thriving on Atrocity
2.Vanishing Innocence
3.Redemption Through Isolation
4.Paroxysm of Hatred: Procreation
5.Misanthropic Outburst
6.Taken by Apathy
7.Quintessence of Lunacy
8.Paroxysm of Hatred: Revelation

Line-up
Stamatis Petrou – Bass
Nikitas Melios – Guitars
Apostolos Papadimitriou – Guitars, Vocals
Giorgos Melios – Drums

RAPTURE – Facebook

Thrash 1991: l’inizio di un decennio di crisi

Come cambiano in fretta ed improvvisamente, a volte, le cose. Anche per la musica.

Il 1990 fu per il thrash un anno formidabile, con le uscite di Souls of Black dei Testament, Persistence of Time degli Anthrax, Seasons in the Abyss degli Slayer, The American Way dei Sacred Reich, When the Storm Comes Down dei Flotsam and Jetsam, Can’t Live Without It dei Gang Green, Live Scars dei Dark Angel, In The Red dei CIA (progetto di Glenn Evans, dei Nuclear Assault), The Edge of Sanity degli Hexenhaus, Rust in Peace dei Megadeth, Violent by Nature degli Atrophy, Speak Your Peace dei Cryptic Slaughter, Faded Glory degli Acrophet, Beg to Differ dei Prong, Lights Camera Revolution dei Suicidal Tendencies, Twisted Into Form dei Forbidden, Idolatry dei Devastation, Best of Wishes dei Cro-Mags, Act III dei Death Angel, Vanity/Nemesis dei Celtic Frost, Condemned to Eternity dei Re-Animator, Psychomorphia dei Messiah, For Those Advantage degli Xentrix.

In Germania videro la luce Coma of Souls dei Kreator, Cracked Brain dei Destruction, Better Off Dead dei Sodom, The Meaning of Life dei Tankard, Dances of Death dei Mekong Delta, World Chaos degli Holy Moses, Urm the Mad dei Protector e Parody of Life degli Headhunter. In Canada, gli Annihilator bissarono il già straordinario esordio con Never Neverland.
Il mega-tour mondiale Clash of the Tytans, inoltre, incendiò molti palchi e nulla pareva poter fare presagire una qualunque crisi di sorta. Il genere – per dirla altrimenti – pareva più vitale ed in forma che mai. Oltretutto, diverse band – sia di prima sia di seconda fascia – avevano sensibilmente migliorato le proprie qualità tecniche ed erano maturate non poco, il che lasciava ben sperare in vista del futuro. Eppure, riflusso ed oblio erano dietro l’angolo, come un triste destino e un malaugurato esito ultimo.

Nel 1991 due autentici boom discografici, almeno sul piano delle vendite, furono il black album dei Metallica e Nevermind dei Nirvana. Il primo, pur buono, tradì un genere, una carriera fino ad allora a dir poco ineccepibile e un’intera scena musicale. Il secondo lanciò la nefasta moda dell’alternative e del grunge. Le case discografiche più importanti iniziarono ad interessarsi, quasi solo, di camicie a scacchi e finti depressi.
I gruppi cosiddetti ‘minori’ (ma non sempre per valore artistico) si sciolsero uno dopo l’altro in un clima di crescente e ingiusta indifferenza musicale. I maggiori, come vedremo nel corso di questa inchiesta, dovettero sovente reinventarsi. L’estremo sopravvisse altrove: il black rinacque in Norvegia e terre scandinave, assumendo caratteristiche e tratti peculiari tutto sommato a sé stanti; l’hardcore si trasformò spesso in crossover (altro trend), mentre il grind (che, storicamente, veniva dal crust punk britannico) si uniformò quasi ovunque al death: quest’ultimo, a sua volta, non smise di vivere i suoi anni grandi in Florida ed in generale oltreoceano, ma nel vecchio continente o smussò gli spigoli (pensiamo agli svedesi Entombed, dopo i primi due favolosi LP) o si ammorbidì, con innesti gotici, prog e sinfonici (tre grandi nomi, su tutti: Therion e Dark Tranquillity, per stare sempre in Svezia; Atrocity, se vogliamo spostarci più a sud in terra tedesca).

In effetti, la svolta impressa dai Metallica del 1991, perlomeno nell’immediato, pareva essere senza ritorno (e non solo per i Four Horsemen, che unicamente da Death Magnetic sarebbero ritornati al thrash). Per gli altri loro colleghi, la scelta fu triplice: o sciogliersi (come accadde a tante apprezzate seconde leve statunitensi), o rivolgersi a soluzioni più commerciali, o indurire la proposta.
Dopo il 1991, nulla fu più come prima e si aprì una decade di delusioni ed incertezze. Intendiamoci: l’heavy classico andò anche lui in crisi (solo parzialmente riscattato, da metà anni Novanta in poi, dal power melodico e dal prog-metal). Idem dicasi per il glam, l’epic, il pomp rock e l’AOR, ma per il thrash le cose assunsero una piega forse ancora peggiore e più drammatica.
I Death Angel abbandonarono la partita, così come i Dark Angel di Gene Hoglan, il cui capolavoro, l’indimenticabile Time Does Not Heal, ebbe la sfortuna di uscire proprio nel 1991. I Megadeth, dal canto loro, realizzarono il loro black album con Youthanasia (nel 1995) e chiusero il decennio con il pessimo Risk. Gli Anthrax, con John Bush degli Armored Saint, alla voce, tennero ancora botta con l’ottimo Sound of White Noise (peraltro, molto più industrial), quindi si smarrirono in modo del tutto inatteso (Stomp 442 è tra le autentiche oscenità dei Nineties ed a dirlo non è di certo un purista).

Gli Annihilator modificarono il loro stile, con inflessioni dapprima di ascendenza Dream Theater (Set the World on Fire, 1993) ed in seguito industriali (Remains, 1997). Celtic Frost, Sabbat, Sanctuary e Nasty Savage si separarono, chi temporaneamente e chi per sempre. I Pantera si diedero al groove metal. I Corrosion of Conformity presero la via del southern e dello sludge sperimentale. I Flotsam and Jetsam, tra l’ancora buono Cuatro (1992) e Unnatural Selection (1999), realizzarono due dischi davvero anonimi di piatto e scialbo HM. I Sacred Reich portarono inizialmente avanti il discorso da loro avviato nel 1990, incidendo l’interessante ed originale Independent (1993), che, tuttavia, quasi nessuno allora notò più. E pure per loro la parola fine venne scritta presto.
Con coerenza ed integrità, rimasero in pista Overkill e Metal Church, entrambi dediti nei Novanta a un fecondo e nobile intreccio di retaggio speed-thrash ed elementi di derivazione US metal. Sia gli Overkill, sia i Metal Church, peraltro, furono seguiti quasi soltanto dai fedelissimi e dai defenders di provata intransigenza alle nuove mode. Il techno-thrash mutante non morì (pensiamo ai Voivod e ai Coroner) ma per alcuni esordienti – in Finlandia gli ARG, in Austria i Ravenous – debuttare proprio nel fatidico ’91 fu quanto mai deleterio (ancora oggi infatti sono rimasti nomi di nicchia e di culto, per pochi estimatori).

Esemplare, al riguardo, la parabola dei tedeschi Sieges Even: un fenomenale esordio nel 1988, con il techno-thrash iperconcettuale e cinematico di Lifecycle, quindi il passaggio, guarda caso appunto dal 1991, a un prog metal assai melodico e blandamente jazzato.
Visto che, con i Sieges Even, siamo arrivati a parlare di Germania, vediamo un poco più in dettaglio che cosa accadde nel paese che, dopo gli Stati Uniti, aveva dato di più alla causa del thrash. Dopo il 1991, la scena tedesca subì veramente il colpo. Se da un lato i Kreator cominciarono a sperimentare con intelligenza e coraggio nuovi approcci sonori, di matrice industrial e dark-wave elettronica, ed i Sodom riuscirono a stare sulla breccia sporcando ulteriormente il loro stile, con ruvidi innesti, prima death e poi hardcore punk, moltissimi gruppi – in vero, quasi tutti – che avevano gravitato, attorno a loro, nel ricco panorama thrash germanico scomparvero oppure cambiarono genere, virando verso il power melodico (gli Angel Dust, ad esempio).
I Destruction, da parte loro, rimasero in silenzio per quasi quattro anni, il che già la diceva lunga, circa la loro crisi, e tra il 1994 ed il 1995 pubblicarono due sconcertanti EP, lontanissimi dal genere che li aveva visti tra i grandi protagonisti, convertiti ora ad un groove metal modaiolo e di scarsa qualità. Pessimo fu pure il disco edito nel 1996, dalla Brain Butcher, The Least Successful Human Cannonball: un tradimento bello e buono della antica causa, giustamente e coerentemente rinnegato in seguito dall’act tedesco, tornato a nuova vita a partire dal 1999-2000. Durante i Nineties, in Germania, si persero le tracce di Asgard, Assassin, Brainfever, Darkness, Assorted Heap, Vectom, Deathrow, Despair, Exumer, Grinder, Iron Angel, Living Death, Risk, Vendetta e Violent Force. L’underground speed-thrash pareva scomparso. La rinascita giunse solo, nel 2001, con il ritorno al thrash da parte dei Kreator: il combo di Mille Petrozza, con Violent Revolution, aggiornava, con classe, stile e potenza, l’universo sonoro e anche l’iconografia di Coma of Souls, dando vigore e slancio nuovi a una scena da quel momento in via di resurrezione artistico-musicale.

Il peggio era, ora, alle spalle. Ma ritorniamo al 1991, vero e proprio annus horribilis per il movimento thrash, in particolare per quello della Bay Area di San Francisco.
A conti fatti, i grandi che seppero resistere e ripartire furono coloro che accettarono la sfida, per un verso ammettendo (sia pure a malincuore) che una stagione – durata poi solo otto anni, da Kill ‘Em All e da Show No Mercy all’anno del black album – s’era comunque ormai conclusa e che solamente incattivendo in maniera ulteriore il suono era possibile dar nuova vita e almeno in parte nuovo volto al thrash tradizionale, alzando l’asticella in direzione death e stando così al passo con i tempi, senza però rinnegarsi. E’ quanto fecero i Sadus di Steve Di Giorgio (forse il più grande bassista metal del mondo dopo la scomparsa di Cliff Burton), i Sepultura (non senza flirtare, qua e là, col nu metal più creativo), i Testament (i cui album incisi per la Spitfire non saranno all’altezza dei classici degli anni ’80, ma tuttavia tengono il passo e preparano alla rinascita, anche dell’intero movimento), gli Slayer (i quali, nel 1991, pubblicarono il granitico doppio live A Decade of Aggression, seguito da tutta una serie di album seri, professionali e assolutamente inappuntabili sino ad oggi) e volendo i Demolition Hammer di New York.
Oggi, si sa, il thrash è letteralmente risorto, fra ritorni di vecchi eroi e nuovi promettenti gruppi. Gli Slayer, i Metallica, i Megadeth e gli Anthrax (i così detti Big Four) sono di nuovo in gran spolvero e lo stesso può dirsi di Testament, Death Angel e Annihilator (a dicembre del 2017 apprezzati al Live Club di Trezzo sull’Adda), di Exodus ed Hexx, Laaz Rockit, Prong, Whiplash, Flotsam and Jetsam e dei tedeschi Kreator, Destruction, Sodom, Tankard, Accuser, Protector, Holy Moses, Necronomicon e Paradox. Tutti nuovamente sulle ali della meritata ribalta, non senza una maturità, sia compositiva, sia esecutiva, che è inevitabilmente figlia degli anni e del tempo frattanto trascorso.
Oggi abbondano finalmente le ristampe. La scena italiana è nutritissima e di vivo spessore. Il black-thrash è tornato in auge con Inquisition, Akroterion, Condor, Evil Spirit, Ulvedharr e Bunker 66 (e a breve dovrebbe arrivare l’atteso come-back dei Possessed). Gruppi di culto del passato, oltre a veder finalmente riediti su CD i propri dischi, si sono inoltre ricostituiti, pubblicando nuovi lavori, come nel caso dei californiani Dream Death (non senza consistenti componenti doom) e Detente.

Vi è poi una rinnovata e prolifica scena di nomi nuovi, da seguirsi con la dovuta attenzione: Skeletonwitch, Bonded by Blood, Warbringer, Gama Bomb, Havok, Vektor, Power Trip, Enforcer, Evil Invaders e Ranger in primis. Ma occhio, altresì, a Resistance, Lair of the Minotaur, Without Waves, Black Fast, Revocation e Municipal Waste in America, a Dew-Scented, Disbelief, Grantig, Ravager, Reflection, Repent, Running Death, Septagon, Stormhammer, Valborg, Vulture e Zombie Lake in Germania, ai neozelandesi Stalker, ai russi Hell’s Thrash Horsemen, agli indiani Kryptos, ai finlandesi Ranger, ai polacchi Raging Death, ai brasiliani Woslom, agli ungheresi Ektomorf, agli ellenici Sacral Rage e Chronosphere, agli svizzeri Excruciation (con influenze Killing Joke e post-punk), agli australiani Destroyer 666, Envenomed, Hidden Hintent, Harlott, In Malice’s Wake e soprattutto Meshiaak, agli svedesi Armory e Night Viper, ai danesi Battery ed ai canadesi Droid, Warsenal, Untimely Demise e Arckaic Revolt, senza dimenticare i sempreverdi e inossidabili Onslaught in Inghilterra, sovente in tour e dal catalogo adesso quasi tutto disponibile.
Insomma, la crisi innescatasi nel lontano 1991 è stata positivamente superata. E’ divenuta un ricordo, che sa comunque di storia. Vera e vissuta.

Souldrinker – War Is Coming

War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza.

Se per voi il metal è grinta, energia, chitarre sature ed un buon mix tra tradizione e modernità, allora War is Coming, debutto dei tedeschi Souldrinker, è l’album che vi è mancato per arrivare in fondo al 2017 più cattivi che mai.

Il gruppo, che vede tra le sue fila due musicisti dal lungo passato nella scena metal tedesca come Markus Pohl  e Steffen Theurer, hanno trovato nella leonessa Iris Boanta la singer perfetta per ruggire a suo modo su questa decina di brani dal tiro micidiale.
Ne escono dieci esplosioni metalliche tutta grinta e appeal, con chorus che entrano in testa aprendola come un cocomero, ritmiche grasse e solos graffianti in un delirio metallico davvero niente male.
Immaginate un mix letale tra Pantera e Black Label Society che, con in corpo una bottiglia di scotch di troppo, cominciano a suonare power metal, ed avrete un’idea di quello che vi aspetta nei quaranta minuti abbondanti di War Is Coming.
Album che esprime tutta l’energia del metal, War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza, facensoci per di più conoscere un’altra eroina (Iris Boanta) dalla grande voce.

Tracklist
1.Let the King Bleed
2.Souldrinker
3.Promised Land
4.To the Tick
5.Take my Pain
6.Like Rain…
7.Raise the Flag
8.Fire Raiser
9.Voices
10.Final Stand

Line-up
Iris Boanta – Vocals
Markus Pohl – Guitar
Chris Rodens – Bass
Steffen Theurer – Drums

SOULDRINKER – Facebook

Death On Fire – Witch Hunter

Con parti vocali più consone, Witch Hunter avrebbe meritato un voto in più, per ora il buon Kenefic si deve accontentare di un’ampia sufficienza.

Nuova band che si affaccia sul panorama estremo mondiale, i Death On Fire debuttano sulla lunga distanza con Witch Hunter, esordio composto da otto tracce di thrash moderno, rabbioso e a tratti progressivo, tecnicamente ineccepibile ma che perde qualcosina in fruibilità.

Nato nel 2016 dalla mente di Tim Kenefic, polistrumentista e unico membro dei LazerWulf, raggiunto in seguito da altri tre musicisti in sede live, questo solo project ha nel thrash metal di scuola americana il suo muro portante, poi raggiunto da una serie di sfumature progressive che vanno dal jazz alla fusion, pur rimanendo in un contesto estremo.
Il musicista di Chicago si dimostra tecnicamente impeccabile, gli otto brani presenti riflettono una bravura strumentale notevole e a tratti buone idee in fase di songwriting, peccato che il tutto sia offuscato da una prova canora non all’altezza, con uno screaming forzato e fuori a mio parere dalle coordinate stilistiche del sound di Witch Hunter.
Difetto non trascurabile, visto l’ottimo metal estremo prodotto che passa agevolmente da un thrash moderno e tempestoso a parti progressive in cui il talento musicale di Kenefic si valorizza, con partiture musicali perfettamente incastonate tra il muro metallico alzato da brani come la title track, la varia Betrayal e la devastante Never See You Again.
Con parti vocali più consone, Witch Hunter avrebbe meritato un voto in più, per ora il buon Kenefic si deve accontentare di un’ampia sufficienza.

Tracklist
1.Your Lies
2.Witch Hunter
3.Requiem
4.Make The Old Ways New Again
5.Metrayal
6.Meth Dentistry
7.Never See You Again
8.American Scum

Line-up
Tim Kenefic – All Instruments

DEATH ON FIRE – Facebook

Wrath Sins – The Awakening

The Awakening stupisce ed esalta, dalla produzione al songwriting, dalla tecnica con cui è suonato fino all’atmosfera che rimane di tensione estrema dalla prima all’ultima nota.

I Wrath Sins sono una band portoghese attiva dall’inizio del decennio e messasi già in luce con il full length d’esordio Contempt over the Stormfall del 2015.

Il quartetto lusitano torna a deliziare gli ascoltatori con The Awakening, un album di nobile heavy metal che non rinuncia a mitragliate devastanti di thrash classico e di chiara ispirazione statunitense, valorizzato da aperture progressive ed atmosfere drammatiche in una tempesta di metallo incandescente.
Siamo nel mondo dei mostri sacri del genere, Testament, Exodus e primi Metallica, lasciati a familiarizzare con i Dream Theater quel tanto che basta per dar vita ad una sequela di brani di una potenza imbarazzante.
Se volete potete chiamarlo prog metal, ma di quello cattivissimo e ruvido come la schiena di un caimano affamato tanto da divorare tutto quello che incontra, lasciando pochi brandelli di carne ed ossa.
The Awakening stupisce ed esalta, dalla produzione al songwriting, dalla tecnica con cui è suonato fino all’atmosfera che rimane di tensione estrema dalla prima all’ultima nota e che fa di brani come Collision, Shadows Kingdom e la title track delle autentiche bombe sonore dall’impatto di un’atomica.
Il quartetto si avvale di una padronanza strumentale di altissimo livello, ma che non va ad intaccare una forma canzone che, nella sua estrema natura, ha quasi del miracoloso; un album di una bellezza ed una forza che impressionano e quindi da custodire gelosamente tra i gioielli metallici di questi ultimi tempi.

Tracklist
1.Beneath Black Clouds
2.Unquiet Heart
3.Shadow’s Kingdom
4.Collision
5.The Sun Wields Mercy
6.Fear of the Unseen
7.Strepidant Mist
8.Between Deaths Line
9.The Awakening
10.Silence from Above

Line-up
Mike Silva – Vocals & Guitars
Rui Coutinho – Guitars
Ricardo Nora – Bass & Back Vocals
Diego Mascarenhas – Drums

WRATH SINS – Facebook

Expain – Pinching Nerves

Lungo appena ventidue minuti ma parecchio intenso, Pinching Nerves è un buon lavoro che dà la misura delle potenzialità del gruppo, anche se mancano almeno una decina di minuti in più per un giudizio approfondito.

Gli Expain sono un’altra realtà metallica proveniente dal Canada (Vancouver) giunta al secondo lavoro autoprodotto.

Fondati cinque anni fa e con un primo album alle spalle dal titolo Just The Tip, gli Expain propongono la loro versione del thrash metal e lo nobilitano con parti progressive creando un sound molto interessante.
Lungo appena ventidue minuti ma parecchio intenso, Pinching Nerves è un buon lavoro che dà la misura delle potenzialità del gruppo, anche se mancano almeno una decina di minuti in più per un giudizio approfondito.
Il quintetto canadese ci svela le carte in suo possesso ma non le lascia cadere tutte sul tavolo, quindi possiamo affermare che Pinching Nerves è un ottimo esempio di progressive thrash metal dove la tecnica è al servizio di un metal old school di ispirazione Bay Area, senza diventare a tutti i costi troppo cervellotico, mantenendo ben salde le briglie sia del sound tradizionale sia delle divagazioni progressive.
Le influenze sono riconducibili alla scena statunitense e al metal estremo di scuola Cynic, quindi le varie They Live, Corridors Of The Mind (con la partecipazione di Dan Mongrain dei Voivod), la title track e Pathways risultano brani che vedono la band ben bilanciata nella propria proposta di metal estremo.
Un lavoro più lungo avrebbe potuto regalare al gruppo ancora più elogi, per ora ci accontentiamo ed aspettiamo ulteriori sviluppi.

Tracklist
1.They Live
2.The Witch Is Dead
3.Corridors of the Mind
4.Pathways
5.Pinching Nerves
6.Torch Formula

Line-up
Pat Peeve – Guitar
Eli Slamang – Guitar
Nikko Whitworth – Bass
Ryan Idris – Drums
Sean Ip – Vocals

EXPAIN – Facebook

Arisen From Nothing – Broken

Nuovo ep per gli Arisen From Nothing, gruppo stunitense che nulla aggiunge alle miriadi di realtà metalliche dai rimandi thrash/core che arrivano dagli States.

Dalla piovosa Seattle, città con un passato musicale importante e non solo per il movimento grunge, arrivano gli Arisen From Nothing ,band che del metal moderno e statunitense porta alta la bandiera con tutti i suoi pregi e difetti.

Metal da MTV, quindi grinta e melodia che si alternano sia nel sound che nella doppia voce, ritmiche che passano da veloci cavalcate new thrash a cadenzate esplosioni core, synth che accompagnano (dando un ruffiano tocco elettronico) gran parte dei brani che si presentano come buoni esempi di college metal.
Questa è musica che non avendo grossi sbocchi artistici deve obbligatoriamente far male, altrimenti il rischio è di non incidere più di tanto e piacere solo ai ragazzini, fruitori più orientati a musica usa e getta.
La band aggiunge un po’ di tutto nel suo cocktail, le influenze passano veloci e nell’ascoltatore attento si fa largo quella sensazione di già sentito che non se ne va più, dall’opener Chaos, passando per American Patriot e Falling From Grace, tre delle cinque tracce che compongono questo ep.
Gli Arisen From Nothing tirano fuori gli artigli solo nella conclusiva Born Hatred, brano thrash metal con sfumature melodic death con un bell’assolo centrale, ma è troppo poco per andare oltre ad un’abbondante sufficienza.
Là fuori ci sarà chi adora questo tipo di sound, noi ci limitiamo a consigliarne l’ascolto a loro e a chi ama il metal moderno dai rimandi thrash/core.

Tracklist
1.Chaos
2.American Patriot
3.Better Off Dead
4.Falling from Grace
5.Born Hated

Line-up
Jessie Brigham, Vocals
Troy Elmore, Guitar
Steven Pontius, Guitar
Eric Hanson, Bass
Brandon Fuller, Drums

ARISEN FROM NOTHING – Facebook

Desecrated Grounds – Lord Of Insects

Lord Of Insects è un album per gli amanti del death/thrash senza compromessi ed è a loro che va consigliato, con tutte le perplessità del caso.

Una nuova band si affaccia sul panorama estremo underground, i finlandesi Desecrated Grounds, quintetto proveniente dalla capitale attivo da tre anni e di questi tempi fuori con il primo album Lord Of Insects.

Death thrash metal con un taglio hardcore è quello che ci propongono i cinque guerrieri, una tempesta senza soluzione di continuità che unisce la potenza del death metal old school e la velocità e violenza del thrash metal suonati con un’attitudine hardcore che ne accentua la pericolosa indole estrema.
Lord Of Insects è un lavoro devastante, ma anche una prova solo a tratti convincente, così che la proposta non può che essere consigliata ai soli fans della violenza in musica.
I difetti non mancano, perché alla lunga l’album soffre di una leggera ripetitività, tipica di quando il sound è un mostro musicale estremo e senza compromessi: manca infatti nei brani quel quid che faccia in modo di ricordarsi di loro, mentre l’album si presenta come un muro sonoro invalicabile.
Il groove fa capolino solo  a tratti (Stabwound Addict) rendendo ancora più profondo il suono, mentre il growl rabbioso risulta monocorde.
Un album che per gli amanti del genere risulterà sicuramente una randellata notevole ed è solo a loro che va consigliato, con tutte le perplessità del caso.

Tracklist
1.The Story Untold
2.Awaken
3.Lord of Insects
4.Stabwound Addict
5.Sewing the Head Back
6.Filth
7.The Death in Me
8.The Manifest
9.Valve

Line-up
Keijo Loisa – Guitars
Erno Hulkkonen – Guitars
Jere Sjöblom – Bass
Jussi Salminen – Vocals
Tapio Christiansen – Drums

DESECRATED GROUNDS – Facebook

Mason – Impervious

A livello di sound poco è cambiato, il gruppo di Melbourne spara nove bordate metalliche veloci e potenti, lasciando da parte qualche sfumatura europea per avvicinarsi sempre più al thrash metal della Bay Area, scelta azzeccata visto il buon risultato.

Ci eravamo occupati dei Mason quattro anni fa sulle pagina riservata ai suoni metallici di In Your Eyes, è giunta l’ora di riparlarne su MetalEyes in occasione dell’uscita del nuovo album, questo devastante esempio di thrash metal tripallico intitolato Impervious.

La line up vede James Benson (voce e chitarra), Steve Montalto (basso) e Nonda Tsatsoulis (batteria) ancora in sella, raggiunti da Grant Burns a formare un quartetto pronto al massacro dall’alto dell’ottimo album che conferma la bontà della proposta dei Mason, una delle migliori realtà del genere a livello underground in arrivo dall’Australia.
A livello di sound poco è cambiato, il gruppo di Melbourne spara nove bordate metalliche veloci e potenti, lascia indietro qualche sfumatura europea per avvicinarsi sempre più al thrash metal Bay Area, scelta azzeccata visto il buon risultato.
Impervious così risulta un thrash metal album con i fiocchi, le influenze di Exodus, Testament e primi Metallica sono ben visibili, ma il genere è questo, prendere o lasciare.
E noi prendiamo con piacere, anche perché i Mason sanno come soddisfare i thrashers dai gusti old school, quindi si viaggia a cento all’ora o si rallenta, ma si rimane nel thrash metal classico tra solos al fulmicotone, ripartenze e frenate e chorus come da copione del genere.
Benson modula la sua voce come si faceva negli States molti anni fa e ne escono brani che sono esplosioni di watti; dopo l’intro Elios è un susseguirsi di saliscendi sulle montagne russe in compagnia del quartetto di Melbourne, che ci spacca le ossa con Burn, Tears Of Tragedy, la title track e Created To Kill.
Niente di nuovo sotto il sole australiano, ma tanta buona musica metal in arrivo a percuoterci senza pietà: i Mason sono tornati più forti che e devastanti che mai

Tracklist
1.Eligos
2.Burn
3.Tears of Tradegy
4.The Afterlife
5.Impervious
6.Cross This Path
7.Sacrificed
8.Hellbent on Chaos
9.Created to Kill

Line-up
Nonda Tsatsoulis – Drums
Jimmy Benson – Vocals, Guitars
Steve Montalto – Bass
Grant Burns – Guitars (lead)

MASON – Facebook

Inner Hate – Reborn Through Hate

Se gli Inner Hate dovessero mantenere questo livello per un intero full length sarebbe davvero un colpo notevole, quindi il consiglio è quello di non perdersi questo ep attendendo al più presto altre buone nuove da parte di questa ennesima notevole realtà nazionale.

La Sicilia è terra di rock e di metal: i gruppi delle varie scene sparse sul territorio sono stati ampiamente trattati da MetalEyes, che da anni ha dedicato la giusta attenzione alle più meritevoli realtà nate a sud dello stretto.

E’ quindi con piacere che vi presentiamo i thrashers Inner Hate, trio proveniente da Caltanissetta composto da Daniel Ferrara (voce, chitarra), Matt Amodeo (basso) e l’ex Thrash Bombz Vincenzo Lombardi (batteria).
La band si è formata nel 2013 ed ha già dato alle stampe un primo ep, First Hate To The World: Reborn Through Hate, anche per l’entrata in formazione di Lombardi, è un nuovo inizio per gli Inner Hate che, quattro anni dopo, tornano a mietere vittime con il loro metal estremo che si nutre di thrash come di death metal di matrice scandinava, costruendosi un sound personale ed assolutamente coinvolgente.
I quattro brani risultano altrettante esplosioni di adrenalinico metal estremo, old school nell’attitudine, violentissimo nell’impatto e valorizzato da un ottimo lavoro strumentale: nei riff di scuola scandinava troviamo la perfetta commistione con le ritmiche thrash, a formare una sacra alleanza che affianca i Kreator agli Entombed e ai primi Edge Of Sanity.
Funziona alla grande questa fusione di note nata sulle rive del mediterraneo, un patto mortale tra generi “nordici” nel caldo delle terre siciliane, mentre la devastante Time To Kill lascia spazio alla conclusiva title track, un brano perfetto per attendere l’armageddon.
Se gli Inner Hate dovessero mantenere questo livello per un intero full length sarebbe davvero un colpo notevole, quindi il consiglio è quello di non perdersi questo ep attendendo al più presto altre buone nuove da parte di questa ennesima notevole realtà nazionale.

Tracklist
1.Sentenced to Damnation
2.Unholy Cross of Death
3.Time to Kill
4.Reborn Through Hate

Line-up
Mattia Amodeo – Bass
Daniel Ferrara – Guitars, Vocals
Vincenzo Lombardi – Drums

INNER HATE – Facebook

Disorder / Distruptor – Underworld

Uno split album che mostra una band dal buon potenziale ma decisamente ancora da sgrezzare (Distruptor) ed un’altra (Disorder) che sembra già pronta a far breccia negli appassionati sia del nuovo che del vecchio continente.

Pur ammettendo che tra i generi estremi il thrash è quello che è sempre stato meno nelle mie corde, devo dire che mi intriga non poco scoprire come venga interpretato in nazioni nelle quali la tradizione per certe sonorità è quanto mai recente, anche per motivi prettamente geografici.

Per esempio questo split album, con il quale la Witches Brew ci propone i nepalesi Disorder ed i peruviani Distruptor, finisce per riconciliarmi non poco con il genere perché, in assenza di qualsiasi parvenza di novità o di variazione sul tema, si viene abbondantemente ripagati dal punto di vista dell intensità e della genuinità dell’approccio.
I Disorder, i quali condividono il monicker con circa un’altra quindicina di band, più o meno aventi lo stesso raggio d’azione stilistico, non sono certo delle mosche bianche in una scena metal nepalese che abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi anni, ma fa sempre un certo effetto associare l’immagine degli altipiani e delle vette montuose del pese himalayano per eccellenza con questi quattro assatanati che, nei sei brani a loro disposizione, partono cosi come arrivano, ovvero sparati senza risentire della rarefazione dell’aria.
Il thrash dei Disorder è, manco a dirlo, old school, ma ciò deve essere visto nell’accezione più positiva del termine, perché mi riesce difficile pensare ad una band europea o nordamericana capace di restituire questo sound con la stessa freschezza ed urgenza; non manca comunque qualche digressione, perché se Underworld, il brano che dà il titolo allo split, è un ottima fotografia di quanto appena descritto, troviamo una Aslil Manav Sabhyata che si spinge a lambire in maniera convincente territori hardcore. Detto ciò vale senz’altro la pena di riscoprire il loro unico full length Corrupted Influence, datato 2016.
I Distruptor sono invece praticamente all’esordio, visto che i quattro brani contenuti in Underworld corrispondono alla tracklist del loro demo Social Disorder, uscito all’inizio del 2017. Forse anche per questo il sound risulta un po’ meno pulito ma senza inficiare più di tanto il risultato per questi ragazzi provenienti da Lima, i quali restano ben ancorati a sonorità del secolo scorso ma imbastardiscono il loro thrash con abbondanti iniezioni di death, eleggendo quali propri numi tutelari band come gli Slayer piuttosto che i Testament, tanto per fornire qualche coordinata più chiara. Il tutto sembra decisamente più perfettibile rispetto a quanto offerto dai Disorder, ma le caratteristiche di base (convinzione, genuinità e giusta cattiveria) sono esattamente le stesse e non si può fare a meno di applaudirle.
In definitiva, Underworld è uno split album che mostra una band dal buon potenziale ma decisamente ancora da sgrezzare (Distruptor) ed un’altra (Disorder) che sembra già pronta a far breccia negli appassionati sia del nuovo che del vecchio continente.

Tracklist:
1. DISORDER – Corrupted Influence
2. DISORDER – Devastation
3. DISORDER – Underworld
4. DISORDER – Disorder Unleashed
5. DISORDER – Junga Bahadur Rana
6. DISORDER – Aslil Manav Sabhyata
7. DISTRUPTOR – Social Disorder
8. DISTRUPTOR – Tragedy
9. DISTRUPTOR – Annihilation
10. DISTRUPTOR – Traumatic Death

Line-up:
DISORDER:
Romeo – Bass, Vocals
San Jv – Drums
Pramod – Guitars
Den – Guitars

DISTRUPTOR:
Joel N. – Bass
Frank D. – Drums
Charly War – Guitars (lead)
Abel R. – Vocals, Guitars

DISORDER – Facebook

DISTRUPTOR – Facebook

Riksha – Five Stages Of Numb

Se amate i suoni moderni nati aldilà dell’oceano in questi ultimi anni e figli del nu metal e dei suoni mainstream, Five Stages Of Numb merita un ascolto.

Nascosto dietro all’etichetta di groove progressivo si muove il sound degli statunitensi Riksha, modern metal band proveniente dallo Utah, attiva dal 2010 e con altri due lavori alle spalle, prima dell’arrivo di Five Stages of Numb fe dei suoi esplosivi ventitré minuti di assalto sonoro.

L’esempio di come l’etichettare troppo frettolosamente il sound porti molte volte fuori tema è ben evidenziato da questo nuovo lavoro targato Riksha, un album di metal moderno, estremo ed attraversato da parti atmosferiche oscure e fortemente dark, ma che con il progressive non hanno nulla a che fare.
Il quartetto si muove con buona disinvoltura tra il groove metal e la potenza del thrash odierno, alimentando la vena dark con qualche accordo pianistico o acustico ma niente di più.
Non fraintendetemi, Five Staged Of Numb non è un brutto album e la sua breve durata aiuta non poco ad assimilarlo tutto d’un fiato, ma le parti atmosferiche smorzano un po’ troppo sonorità che si muovono in un contesto moderno: siamo di fronte quindi al classico album senza grossi picchi e che viaggi sulla sufficienza abbondante, lasciando alla title track la palma del brano più diretto e riuscito del lotto.
Se amate i suoni moderni nati aldilà dell’oceano in questi ultimi anni e figli del nu metal e dei suoni mainstream, Five Stages Of Numb merita un ascolto.

Tracklist
1.Departure Eminent
2.Five Stages of Numb
3.Shovel It
4.Skeleton Rain Dance
5.Banging Danger
6.Repo Man
7.Save Me

Line-up
Palmer – Vox
Kevin Bronson – Bass
Max Dail – Drums
Ian Law – Guitar

RIKSHA – Facebook

Cruentator – Ain’t War In Hell?

Qui si fa metal estremo tripallico, lo si allontana da qualsiasi tipo di contaminazione e lo si lascia libero di portare terrore e distruzione a colpi di feroci ripartenze, sfuriate tempestose e tanta fottuta attitudine.

Un’altra realtà estrema fa la sua devastante apparizione sulla scena thrash metal nostrana ed europea: sono i lombardi Cruentator, nati nel 2015 dalle menti di un paio di membri dei brutal deathsters Bowel Stew.

Riccardo (batteria) ed Omar (chitarra) sono infatti i maggiori responsabili di questa tempesta thrash old school, raggiunti in seguito dal vocalist Ambro (compagno della coppia nel gruppo lombardo), dal chitarrista Massi FD e dal bassista Vanni.
Il loro esordio, intitolato Ain’t War In Hell, esce in questo inizio d’anno per l’attivissima label iberica Xtreem Music, un sodalizio niente male, visto la qualità delle proposte offerte dall’etichetta di Dave Rotten.
E i cinque musicisti ci vanno giù pesante con una mezzora di thrash metal vecchia scuola che non lascia spazio a dubbi sulle loro intenzioni: portare il più alto possibile la bandiera del genere.
Qui si fa metal estremo tripallico, lo si allontana da qualsiasi tipo di contaminazione e lo si lascia libero di portare terrore e distruzione a colpi di feroci ripartenze, sfuriate tempestose e tanta fottuta attitudine.
Gli strumenti seguono l’ugola al vetriolo del vocalist e, come armi, colpiscono con mitragliate devastanti: l’atmosfera si fa sempre più estrema tra i solchi di brani che seguono la via tracciata a suo tempo dagli eserciti di Sodom, Kreator e compagnia di antieroi metallici.
Una devastazione sonora da spararsi senza indugi dall’inizio alla fine, seguendo il rigagnolo di sangue che vi porterà, tramite l’opener Merciless Extermination, Barbaric Violence, The Nightstalker e Cluster Terror, verso il cumulo di corpi lasciato dai Cruentator.

Tracklist
1.Merciless Extermination
2.Tyrants of the Wasteland
3.Barbaric Violence
4.Evil is Prowling Around
5.The Nightstalker
6.Marching Into a Minefield
7.The Shining Hate
8.Cluster Terror

Line-up
Ambro – Vocals
Omar – Guitars
Massi FD – Guitars
Vanni – Bass
Riccardo – Drums

CRUENTATOR – Facebook

Imperialist – Cipher

Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Gli Imperialist sono una band californiana a trazione integralmente ispanica.

Un aspetto, questo, che a mio avviso influisce sulla forma di black offerto dalla band, visto che il dna di una band seminale come i Terrorizer, formata in gran parte da musicisti centroamericani per origini o nazionalità, non può non aver influito sulla crescita musicale di questi ragazzi.
E, infatti, seppure di black metal si possa parlare a pieno titolo., il sound contenuto in Cipher non riporta immediatamente alle lande scandinave ma si contamina sovente con il death e con il thrash, trovando una sua strada, sicuramente già battuta da molti altri, ma tutto sommato neppure così scontata.
L’album, che è il full length d’esordio per gli Imperialist dopo l’ep del 2015 Quantum Annexation, conserva a livello concettuale l’immaginario fantascientifico degli esordi e si rivela senza dubbio un lavoro privo di sbavature e sufficientemente coinvolgente, anche se gli manca il colpo decisivo sotto forma di quei due o tre brani capaci di agganciare con decisione i potenziali ascoltatori.
Tutto scorre molto linearmente, senza annoiare ma neppure provocando sobbalzi, con qualche episodio sopra la media della tracklist (Umbra Tempest), ma nel complesso è una certa uniformità che nel bene e nel male caratterizza l’incedere di Cipher.
Il meglio gli Imperialist lo riservano con la traccia conclusiva Mercurian Dusk, dove si evidenzia appunto quell’intensità capace di catturare l’attenzione, grazie a linee melodiche più incisive ed il ricorso a buone variazioni ritmiche senza ricorrere a passaggi interlocutori,
Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Tracklist:
1. Continuum
2. The Singularity
3. Advent Anathema
4. Splendor Beneath an Ancient Permafrost
5. Umbra Tempest
6. Chronochasm
7. Binary Coalescenc
8. The Dark Below
9. Mercurian Dusk

Line-up:
Sergio Soto – Guitar and Vocals
Rod Quinones – Drums
Bryant Quinones – Guitar
Adrian Castaneda – Bass

IMPERIAL – Facebook

F.K.Ü. – 1981

Un album consigliato ai soli fans del thrash metal suonato nel decennio ottantiano, che troveranno pane per i loro denti ed un altro gruppo da annotare tra le realtà di sicuro interesse del genere.

Nel più puro spirito old school tornano i devastanti thrashers svedesi F.K.Ü. con il loro thrash/speed metal tutto horror e metal sparato alla velocità della luce a tratti irresistibile.

La band di Uppsala è attiva da trent’anni (mica due giorni) e si sente che l’esperienza e la materia conosciuta a menadito hanno valorizzato questo missile composto da quattordici brani per quasi un’ora di scale metalliche e sonorità tipiche che compongono il mondo del thrash metal.
1981 è il quinto album di una discografia partita dieci anni dopo la nascita del gruppo, ora accasatosi alla Despotz e pronto a conquistare i fans del metal old school.
Ci sanno davvero fare i F.K.Ü. (Freddy Krueger’s Underwear), monicker che è un tributo al cattivone della saga Nightmare, tutto artigli e notti insonni delle povere vittime, uccise nei sogni a tinte horror dove il buon Freddy vive e si rifocilla di anime, mentre il gruppo cala la sua colonna sonora risvegliando pruriti anni ottanta.
Vecchia scuola fin dalla copertina, dove da un mucchio di videocassette spunta una lapide ed una lama assassina impugnata da un famelico zombie che, prima di mangiare affetta e tagliuzza, ascoltando la devastante title track e le altre  cattivissime, acide e tremende tracce suonate come se non ci fosse un domani ed all’insegna del thrash metal vecchia scuola.
Non fatevi spaventare dalla durata, che per il genere è davvero tanta, i brani si susseguono inarrestabili, lasciando forse qualcosa per strada verso la fine a livello di intensità, ma è un dettaglio dovuto probabilmente al genere che non si smuove dalla stessa inesorabile formula.
Un album consigliato ai soli fans del thrash metal suonato nel decennio ottantiano, che troveranno pane per i loro denti ed un altro gruppo da annotare tra le realtà di sicuro interesse del genere.

Tracklist
1.1981
2.Nightmares in a Damaged Brain
3.Hell Night
4.Corpse Mania
5.Friday the 13th Part 2
6.The Burning
7.The Funhouse
8.The House by the Cemetery
9.Burial Ground
10.The Prowler
11.The Beyond
12.Halloween II
13.Night School
14.Ms .45

Line-up
Pat Splat – Bass, Vocals (backing)
Pete Stooaahl – Guitars, Vocals (backing)
Larry Lethal – Vocals (lead)
Unspeakable Emp – Drums

F.K.Ü. – Facebook

Toxik – Breaking Glass

Tornano gli storici speed/thrashers statunitensi Toxik, con tre brani che fungono da antipasto per quello che, dopo l’ascolto di questo ep, potrebbe rivelarsi uno degli album più attesi del 2018 nel genere.

A dispetto di live sempre meno frequentati dagli ascoltatori, il metal classico vive un periodo di sufficiente popolarità, in tutti i suoi generi e sottogeneri, con nuove realtà che si affacciano sul mercato dal sound rigorosamente old school e vecchie glorie che tornano con nuovi lavori o reunion tour.

Sembra giunto il momento anche per i leggendari statunitensi Toxik di tornare sul mercato, una grande notizia per i reduci del decennio ottantiano nel quale il gruppo, capitanato dal leader e fondatore Josh Christian, lasciò ai posteri due splendide prove: lo storico debutto del 1987 World Circus e Think This, licenziato un paio d’anni dopo.
Il ritorno in sordina con un demo tre anni fa, il tentativo di reunion provato ma fallito, ed ora un’altra possibilità, cercata e voluta da Christian che ha trovato nel magnifico vocalist Charlie Sabin (protagonista sul secondo album) il compagno ideale per un ritorno con i fiocchi.
Con la sezione ritmica nuova di zecca composta dal batterista Jim Demaria e dal bassista Shane Boulos, i due vecchi thrashers danno vita a questi tre brani racchiusi in Breaking Glass, antipasto di quello che sarà il nuovo album che si prospetta come un’autentica esplosione di speed/thrash arrembante, suonato benissimo e devastante come l’esplosione di una diga e l’onda che ne consegue.
Tre brani di metal old school che toccano lidi progressivi, valorizzati da una prova vocale entusiasmante ed altamente melodica, il tutto nel contesto di un songwriting che non perde un grammo in impatto: se le premesse sono queste, il prossimo album diviene d’obbligo uno dei più attesi del 2018 nel genere.

Tracklist
1. Stand Up
2. Breaking Class
3. Psyop

Line-up
Charlie Sabin – Vocals
Josh Christian – Guitars
Shane Boulos – Bass
James DeMaria – Drums

TOXIK – Facebook

Mystifier – Profanus

Il lavoro va via che è un piacere, magari non lasciando ricordi indimenticabili, ma mostrando un efficace spaccato di quello che era la scena estrema brasiliana nell’ultimo decennio del secolo scorso.

La Vic Records, etichetta olandese specializzata in ristampe, continua la sua meritoria opera di “archeologia metallica”.

Ad essere riportato alla luce è in quest’occasione il quarto e ultimo full length dei brasiliani Mystifier, una delle band seminali della scena estrema della nazione che ha dato i natali ai Sepultura.
In particolare, la band guidata da Armando da Silva Conceição, in arte Beelzeebubth, è stata tra le prime in quel continente a far proprie le pulsioni black provenienti dal Nord Europa, anche se il tutto è sempre stato incanalato in una forma di thrash dai tratti molto oscuri e, ovviamente, al 100% intriso di tematiche occulte e sataniste.
Rispetti ai primi tre lavori, Profanus mostrava una maggiore propensione alla forma canzone, riducendo il minutaggio dei vari brani e risultando molto più diretto ed essenziale, privo quindi di quegli elementi distintivi in grado di rendere affascinante o grottesco (a seconda dei punti di vista) l’operato del gruppo brasiliano.
Il lavoro va via che è un piacere, magari non lasciando ricordi indimenticabili, ma mostrando un efficace spaccato di quello che era la scena estrema da quelle parti nell’ultimo decennio del secolo scorso: infatti, pur essendo datato 2001, Profanus sembra in tutto e per tutto un lavoro più datato (detto in senso buono), non tanto per la produzione, che anzi è decisamente apprezzabile se rapportata a lavori della stessa epoca, ma piuttosto per l’approccio naif alla materia da parte dei Mystifier.
La differenza tra i brani contenuti in Profanus e quelli dei primi anni novanta si può cogliere facilmente grazie alle tre bous track registrate live a Recife nel 2015 che mostrano, invece, una maggiore enfasi dal punto di vista vocale e lirico ed una struttura molto più diluita e sfaccettata.
Questo suggerisce anche, a chi se lo fosse chiesto, che i Mystifier sono tuttora attivi, nonostante non pubblichino un disco di inediti da oltre sedici anni; a quanto pare il buon Beelzeebubth, uno dei non pochi che nella loro carriera hanno speso più tempo ad inseguire musicisti per completare la band che a scrivere musica , sta lavorando all’uscita di un atteso nuovo full length e, francamente, sono molto curioso di vedere cosa sarà in grado di offrire questo benemerito veterano della scena metal sudamericana.

Tracklist:
1. Unspeakable Dementia (Utter Nonsense)
2. Dare to Face the Beast
3. Supreme Power of Suffering
4. Born from Mens’ Dreams
5. Superstitious Predictions of Misfortune
6. Je$$us Immolation
7. Beyond the Rivers of Hade
8. Thus Demystifier Spoke
9. Free Spirit Flight
10. Celebrate the Antichristian Millenium
11. Sowing the Evil in Our Hearts
12. Hangman’s Noose (Ending Mortal Existence)
13. Atheistic Prelude to Immortality
14. An Elizabethan Devil Worshipper’s Prayer Book (Live)
15. Alesteir Crowley (Live)
16. Osculum Obscenum (Live)

Line-up:
Beelzeebubth – Guitars, Bass, Lyrics
Brunno Rheys – Bass, Vocals (backing)
Asmoodeeus – Vocals
Leandros – Keyboards, Vocals (backing)
Louis Bear – Drums

MYSTIFIER – Facebook

Satanic – Architecture Of Chaos

I Satanic sono la classica band di genere, prendere o lasciare, eroi di un certo modo di fare metal per alcuni, troppo ancorati a vecchi ed ormai obsoleti cliché per altri, ma come sempre la verità sta nel mezzo.

Questo gruppo proveniente dal Quebec licenzia l’esordio tramite Brutal Records intitolato Architecture Of Chaos, incentrato su un thrash metal old school che non disdegna di bersi una birra con il death e finire per le strade a far casino.

Dall’attitudine anni ottanta, così come il proprio sound, i Satanic ci propongono dunque la loro versione di metal estremo: i cliché utilizzabili ci sono tutti, le soluzioni a livello di songwriting risultano poco fantasiose e il sound procede spedito con il pilota automatico verso il muro dove si schianterà producendo un boato metallico assordante.
Sodom/Kreator/Destruction si danno il cambio con Possessed e Venom tra lo spartito di questa raccolta di brani fatti di ritmiche velocissime, batteria a mitraglia e solos taglienti come rasoi.
Architecture Of Chaos è tutto qui, i brani si susseguono senza soluzione di continuità, ignoranti e d’impatto e sono la perfetta colonna sonora di una serata alcolica a base di metallo pesante, con un paio di tracce che permettono al lavoro di alzare la testa come Armageddon e la conclusiva Tchernobyl86, più lunghe e varie delle restanti della tracklist.
I Satanic sono la classica band di genere, prendere o lasciare, eroi di un certo modo di fare metal per alcuni, troppo ancorati a vecchi ed ormai obsoleti clichè per altri, ma come sempre la verità sta nel mezzo.

Tracklist
1.Mephistophelian
2.World Of Chaos
3.Procesing The Undead
4.Architecture Of Apocalypse
5.Armageddon
6.Systematic Fear
7.Biotech Warfare
8.Tchernobyl86

Line-up
Martin Carle – Drums
Guillaume Petit – Guitars, Vocals
Izaac Baaudoin – Bass, Vocals

SATANIC – Facebook