Pretty Wild – Interstate 13

Il sound di Interstate 13 pulsa di influenze che vanno ricercate tra le band che fecero la storia del genere come i sempre presenti Mötley Crüe oppure Winger, Steelheart e Firehouse, il che tradotto significa zero originalità, tanta attitudine e soprattutto belle canzoni.

Le terre scandinave, da molti considerate a ragione culla del metal estremo e dei suoni power, continuano a sfornare ottime band dai suoni classici in un hard rock ispirato alla scena americana di fine anni ottanta.

Hard rock, sleaze/street e hair metal, sono generi radicati nelle terre del nord da decenni, basti pensare agli Hanoi Rocks, la band di Michael Monroe ed Andy McCoy, fermata sul più bello dal tragico incidente che causò la morte del batterista Razzle una notte di bagordi sul Sunset Boulevard.
Il gruppo svedese dei Pretty Wild, già passato agli onori della cronache rock con il precedente lavoro omonimo uscito nel 2014, torna con un nuovo album a ribadire la bontà delle nuove leve dedite a queste sonorità,.
Il quartetto, come da copertina, lascia la propria terra per avventurarsi nell’assolato deserto americano sulla Interstate 13, viaggiando tra la storia dell’hard rock statunitense, tra hair/sleaze metal ed hard rock classico dando vita ad una raccolta di brani in cui le parole d’ordine sono energia e melodia.
Una tracklist che lascia il segno, composta da un lotto di canzoni dove melodie vocali dall’appeal enorme, riff graffianti e tanta ruffiana attitudine rock riescono a far prigionieri non pochi rockers dal cuore che pulsa di note perse nelle notti di un’America che stava per lasciare le strade illuminate di Los Angeles per quelle bagnate di Seattle.
Le prime sette tracce non lasciano dubbi sulla voglia di Ivan Ivve Höglund e compagni di fare danni, veniamo quindi travolti dall’irresistibile hard classic rock venato di hair metal di Ment For Trouble, Superman, Wild And Free e Stand My Ground, tracce diverse tra loro, tra mid tempo, ritmiche assassine e chorus assassini, con una Shot Me Down che stravince il premio di miglior canzone dell’album.
Il sound di Interstate 13 pulsa di influenze che vanno ricercate tra le band che fecero la storia del genere come i sempre presenti Mötley Crüe oppure Winger, Steelheart e Firehouse, il che tradotto significa zero originalità, tanta attitudine e soprattutto belle canzoni.

Tracklist
01. Let’s Get It Out
02. Meant For Trouble
03. Superman
04. Wild And Free
05. Give It All Tonight
06. Stand My Ground
07. The Way I Am
08. Thanks To You
09. Shot Me Down
10. Walk The Edge
11. I Love It
12. Break Down The Walls

Line-up
Ivan Ivve Höglund – Vocals
Axl Ludwig – Guitars
Kim Chevelle – Bass
Johnny Benson – Drums

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Lyken21 – Cyclical Insight

L’unico difetto che si porta dietro Cyclical Insight potrebbe risultare proprio la sua totale mancanza di coesione compositiva, perché un sound così eterogeneo rischia d’essere un’arma a doppio taglio, specialmente al cospetto degli ascoltatori più conservatori.

Proposta molto interessante quella dei Lyken21, quartetto con molte frecce al proprio arco in un sound crossover che unisce metal moderno ed heavy/thrash tradizionale.

La band del New Jersey ha all’attivo quattro full length, dati alle stampe tra il 2007 ed il 2015, ed ora torna in pista grazie alla Sliptrick Records che licenzia questo buon lavoro intitolato Cyclical Insight.
Prodotto dal chitarrista dei Dillinger Escape Plan Kevin Antreassian con l’aiuto del cantante del gruppo Marton Miklos (Mike Portnoy, The Dillinger Escape Plan, Russell Allen, The Number 12 Looks Like You), l’album regala undici brani che spaziano tra un buon numero di generi ed influenza, con la band aiutata da vari ospiti tra cui Mike Lepond, bassista dei Symphony X.
I Lyken21 quindi non offrono una visione del tutto nitida del loro credo musicale, che rimane legato al metal ma che vive di impulsi e ispirazioni diversi, tra heavy/thrash, prog e modern metal.
A tratti sembra di ascoltare degli Iced Earth dal sound più moderno, altre volte si manifestano sonorità progressive (Symphony X) oppure appaiono passaggi diretti a dall’impatto thrash metal (Metallica/Megadeth).
Ottimi solos classici abbandonano i territori modern metal per poi tornarvi e lasciare il campo ad atmosfere progressive, la buona tecnica di cui si possono vantare il musicisti fa il resto e le varie Assassin, Starlight ed American Zombie risultano brani lontani tra loro, ma convincenti.
L’unico difetto che si porta dietro Cyclical Insight potrebbe risultare proprio la sua totale mancanza di coesione compositiva, perché un sound così eterogeneo rischia d’essere un’arma a doppio taglio, specialmente al cospetto degli ascoltatori più conservatori.

Tracklist
1.Assassin
2.Shadows
3. Sanctified
4. Good Can Be Good
5. Revelation Reality
6. Hell’s 4 Children
7. Starlight
8. Doomsday Deception (German)
9. Lost In My Head
10. American Zombie
11. Ebb Of Humanity

Line-up
Marton Miklos – Vocals/Keyboards
Oleg Lipovchenko – Guitars
Andres Nuiver – Bass
Joe Billy III – Drums

https://www.facebook.com/Lyken21

Local Suicide feat. Nicki Fehr – Leopard Gum

Su Metaleyes tentiamo di approcciare nuove forme musicali che non siano solo metal, e nel farlo vi proponiamo ciò che riteniamo più innovativo e fresco, perché ognuno si faccia la propria idea e questo lavoro uscito per la label di elettronica Lumière Noire rientra proprio in questo caso.

Singolo che contiene originale e remix di una traccia che esplora nuovi orizzonti della techno più sognante e moderna. Su Metaleyes tentiamo di approcciare nuove forme musicali che non siano solo metal, e nel farlo vi proponiamo ciò che riteniamo più innovativo e fresco, perché ognuno si faccia la propria idea.

Questo lavoro uscito per la label di elettronica Lumière Noire rientra proprio in questo caso. Si parte dal singolo Leopard Gum di Local Suicide e Niki Fehr, per andare oltre con remix e libere interpretazioni di altri produttori. Local Suicide sono Brax Moody da Monaco di Baviera e il greco Vamparela, produttori del pezzo originale in collaborazione con Niki Ferh che ci mette la sua voce molto particolare. La traccia originale è un manifesto di quella che può essere considerata una techno diversa, con i bassi rallentati che accompagnano uno sviluppo molto sognante ed etereo, che ci porta in una dimensione molto lontana rispetto al cliché classico della techno. Ascoltando il pezzo si viaggia in terre diverse fra loro, arrivando ad un sentimento più che ad una definizione stilistica. Tutto ciò lo ritroviamo in forma ancora più grande nel seguente pezzo originale Already There, affermazione programmatica di una techno in continua evoluzione, e che cerca commistioni con altri sentieri musicali. Local Suicide è un qualcosa di nuovo e diverso, che usa gli elementi classici della techno per fondere nuove statue musicali, che sono molto interessanti e che ci mostrano nuove vie per un genere che vede nel suo dna l’evoluzione. Molto interessanti le rielaborazioni di diversi produttori dei due pezzi, dove ognuno usa i colori dati dai Local Gum per dipingere quadri diversi che stupiscono come gli originali. La cosa bella dei remix nella techno è proprio questa, ovvero la rielaborazione di un pezzo secondo le proprie concezione musicale.
Un prodotto di grande interesse per chi voglia provare qualcosa di diverso e di onirico in campo techno moderna.

Tracklist
1.Leopard Gum
2.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Already There
3.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Leopard Gum (Smagghe & Cross Instrumental Remix)
4.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Already There (Lauer Remix)
5.Local Suicide feat. Nicki Fehr – Already There (Niv Ast Remix)

https://www.facebook.com/lumierenoirerecord

Havamal – Tales From Yggdrasil

Un buon lavoro che sicuramente troverà spazio nei cuori degli amanti del death metal melodico epico e battagliero e che ha negli Amon Amarth la fonte di ispirazione indiscussa.

Giunge fino a noi la parola di Odino (il monicker Havamal è ispirato proprio dal poema che secondo la tradizione nordica fu composta da Odino in persona) con il primo lavoro sulla lunga distanza degli Havamal intitolato Tales from Yggdrasil.

Niente di nuovo quello portato dai venti gelidi che si rinforzano in terra scandinava, il sound del quintetto poggia su un melodic death metal epico e di matrice viking.
In breve gli Hamaval accentuano la componente melodica in un sound debitore nei confronti degli Amon Amarth et similia, strutturato sulla presenza fissa delle tastiere a fare da tappeto epico ad un melodic death dai solos ispirati all’heavy classico. Nella sua semplicità Tales From Yggdrasil si ascolta che è un piacere, composto da una raccolta di brani, talvolta infiorettati da arrangiamenti orchestrali, mentre la chitarra come un’infallibile ascia squarcia il cielo illuminato dalle saette, come avviene nella potente Berserker, nel mid tempo mid tempo power epico di Death Of Balder e nell’inno Hail Havamal.
Un buon lavoro che sicuramente troverà spazio nei cuori degli amanti del death metal melodico epico e battagliero e che ha negli Amon Amarth la fonte di ispirazione indiscussa.

Tracklist
1.Harken the Shadows
2.Draugers March
3.Berserker
4.Dawn of the Frost Giants
5.Blood Oath
6.Net of Rain
7.Death of Balder
8.Hail Havamal
9.Ginnungagap

Line-up
Björn – Vocals
Lennie – Guitar
Kjell – Guitar
Sandra – Bass
Andreas – Drums

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Royal Republic – Club Majesty

I quattro musicisti di Malmö, look da balera ed attitudine sfrontata come pochi, arrivano al quarto album intitolato Club Majesty continuando con la loro rivisitazione in chiave rock della musica dance di quarant’anni fa, un’irresistibile quanto appagante tuffo nella musica tutta luci e lustrini.

I Royal Republic sono un’entità a sé nel panorama musicale odierno, fanno rock ma lo maltrattano con schiaffoni dance, pop funky e soul in un’orgia di suoni ed umori che passano agevolmente dal glam, al rock’n’roll , per poi finire sulla pista da ballo di locali dove si balla musica che non supera l’anno di grazia 1978.

I quattro musicisti di Malmö, look da balera ed attitudine sfrontata come pochi, arrivano al quarto album intitolato Club Majesty continuando con la loro rivisitazione in chiave rock della musica dance di quarant’anni fa, un’irresistibile quanto appagante tuffo nella musica tutta luci e lustrini.
La Febbre del Sabato Sera è servita, mentre con l’opener Fireman & Dancer scendiamo sulla pista da ballo e ci scateniamo tra rock’n’roll e dance di alto livello; Can’t Fight The Disco non permette ai nostri arti di fermarsi mentre li muoviamo incontrollati al ritmo della spettacolare Blunt ForceTrauma.
Questo revival glam/dance che sta acquisendo sempre più spazio sul mercato discografico, trova nei Royal Republic la band di riferimento: Adam Grahn e compagni sanno come far divertire, mantenendo più di un piede nel rock, (la conclusiva Bulldog è un rock’n’roll micidiale), ma lasciando che l’atmosfera danzereccia non perda mai appeal nei confronti di chi ascolta.
Mezz’ora abbondante da spararsi a volume illegale, magari dopo aver organizzato un party con tanto di girandole di luci colorate, brillantini e tanto rock’n’roll.

Tracklist
1.Fireman & Dancer
2.Can’t Fight the Disco
3.Boomerang
4.Under Cover
5.Like a Lover
6.Blunt Force Trauma
7.Fortune Favors
8.Flower Power Madness
9.Stop Movin’
10.Anna-Leigh
11.Bulldog

Line-up
Adam Grahn – vocals
Hannes Irengård – guitars
Jonas Almén – bass
Per Andreasson – drums

http:www.facebook.com/royalrepublic

Ascend The Hollow – Echoes Of Existence

Un disco che ridarà entusiasmo agli amanti del cyber metal più tecnico, quella cascata di note che ti colpisce e che ha un cuore elettronico e non umano.

Gli Ascend The Hollow sono un gruppo di cyber metal, una botta di metal moderno che nasce dalla congiunzione di silicio ed emozioni umane.

Il loro suono è dominato dalla chitarra a nove corde, dal basso a sei corde, da una potente batteria e da una voce femminile che gioca con quella maschile, per un affresco molto moderno ma che poggia sulle coordinate classiche del metal, ovvero la congiunzione di melodia e potenza, con inclusa una dose di brutalità. Il loro suono è molto poderoso, ed il gruppi attinge dalla tradizione dell’industrial metal con tastiere incluse ed inserti di elettronica, per un lavoro che spinge in una direzione ben precisa e riesce ad essere anche innovativo. Stupisce la grande capacità di coniugare una grande potenza con momenti maggiormente melodici che sono sottolineati dalla splendida voce di M – Noise. Inoltre il gruppo si divide fra Berlino, Dublino ed Amsterdam, e riesce a fare un disco come questo. Uno dei maggiori punti di forza del disco è la sua grande intensità, rafforzata da una grande produzione che fa risaltare tutto al meglio. In alcuni punti si sfiora il death metal e anche il brutal death metal, ma è la melodia a dominare il tutto. Un debutto molto convincente per un gruppo che prende le mosse da una scena molto codificata e derivativa, ma che riesce a fare un discorso musicale e stilistico originale e molto piacevole, anche perché di questo genere spesso l’ascoltatore non ascolta tutte le canzoni, mentre qui ogni traccia possiede un buon livello medio. Gli Ascend The Hollow sono un gruppo che ha anche una levatura tecnica molto al di sopra della media e la mette al servizio del collettivo, per un risultato notevole. Un disco che ridarà entusiasmo agli amanti del cyber metal più tecnico, quella cascata di note che ti colpisce e che ha un cuore elettronico e non umano.

Tracklist:
1. Polaris Calling | 2. Vessels | 3. Mother Of Morality | 4. Sea Of Crises | 5. Into The Black Eye | 6. This Dark Rage | 7. Swarms Within | 8. Prisoners Of The Storm | 9. Repent Rewind Reset | 10. C3lls

Line-up
M-NOISE: Vocals.
RAVEN: Guitars, Programming.
GEF: Guitars, Programming.
DAVEC: Bass.

https://www.facebook.com/ascendthehollow/

Lord Dying – Mysterium Tremendum

Il tema della morte ed il mistero della vita accentuano la sensazione di essere al cospetto di un album particolare, un gioiello che dà la possibilità ai Lord Dying di entrare nelle play list di fine anno a colpi di possente ed imperdibile metallo d’autore.

Bellissimo, affascinante e suggestivo, il terzo album dei Lord Dying incorona la band di Portland come una tre le massime espressioni odierne per quanto riguarda lo sludge/doom metal, anche se alla luce di quanto ascoltato su Mysterium Tremendum imprigionare la musica del combo in un solo genere diventa alquanto difficile.

Metal di non facile classificazione dunque, anche se la matrice è assolutamente sludge, le atmosfere passano in attimi veloci come battiti di ciglia tra sfumature vicine al post rock, sferzate metalliche e lente marce di musica del destino, venate da un’anima progressive ed heavy classiche.
Il gruppo statunitense, attivo dal 2010 e con due full length alle spalle, arriva al suo capolavoro grazie ad un indovinato attingere alle sue ispirazioni, lontano da facili strutture e carico di attitudine ed impatto, tellurico nei passaggi pesanti come macigni, splendido in quelli in cui le armonie rock prendono il sopravvento sulla forza bruta.
La band non sbaglia un passaggio, perfetta in ogni dettaglio a cominciare dall’opener Envy The End e i picchi qualitativi che fanno di questo lavoro un’opera d’arte come Nearing the End of the Curling Worm, la magnifica Severed Forever e Split from a World Within, Devoid of Dreams Death, The Final Loneliness.
Il tema della morte ed il mistero della vita accentuano la sensazione di essere al cospetto di un album particolare, un gioiello che dà la possibilità ai Lord Dying di entrare nelle play list di fine anno a colpi di possente ed imperdibile metallo d’autore.

Tracklist
1. Envy the End
2. Tearing at the Fabric of Consciousness
3. Nearing the End of the Curling Worm
4. The End of Experience
5. Exploring Inward (An Unwelcome Passenger)
6. Severed Forever
7. Even the Darkness Went Away
8. Freed from the Pressures of Time
9. Lacerated Psyche
10. Split from a World Within, Devoid of Dreams Death, The Final Loneliness
11. Saying Goodbye to Physical Form

Line-up

Erik Olson-guitar/vocals
Chris Evans-guitar
Matt Price-bass
Chase Manhattan-drums

https://www.facebook.com/LordDying

Sad Iron – Chapter II: The Deal

Ritmiche scagliate a velocità della luce, solos taglienti come rasoi, e refrain da pogo infernale sotto qualunque palco in giro per locale e festivals, niente di più e niente di meno, una garanzia la track list di questo lavoro per i fans di queste sonorità.

Heavy, speed, thrash metal old school, una corsa a tutta velocità nel sound che ha fatto storia, questo è il terzo album in uscita per Wormholedeath dei Sad Iron, una macchina da guerra metallica fieramente old school.

Il gruppo olandese risulta attivo dai primi anni ottanta, con il primo album, intitolato Total damnatio targato 1983, quindi siamo al cospetto di gente che ha scritto un pezzo di storia l’ha scritta nell’underground metallico europeo.
Un lungo silenzio interrotto tre anni fa con la pubblicazione di The Antichrist ed ora questo nuovo album intitolato Chapter II: The Deal, composto da una decina di canzoni veloci come il vento, dirette e tradizionalmente old school, che ci catapultano in quelle atmosfere ottantiane mai dimenticate, soprattutto se si hanno un bel po’ di capelli bianchi sulla ormai rada chioma.
Ritmiche scagliate a velocità della luce, solos taglienti come rasoi, e refrain da pogo infernale sotto qualunque palco in giro per locale e festivals, niente di più e niente di meno, una garanzia la tracklist di questo lavoro per i fans di queste sonorità.
Suonate dai Sad Iron, le varie The Deal (The Story Of Miss Betty), Revolution e la magnifica Fighting For Revenge si rivelano esplosioni di metal adrenalinico vecchia scuola e Chapter II: The Deal, nella sua interezza, un lavoro heavy/speed/thrash metal convincente su tutta la linea.

Tracklist
1.The Deal (The Story of Miss Betty)
2.Revolution
3.Raise Hell
4.Warmonger
5.Now It’s Dark
6.Fighting for Revenge
7.F.O.B
8.Murder of Crows
9.Weaponized
10.We Play to Kill

Line-up
Marc van den Bos – Guitar, vocals
Bernard Rive – Guitar
Bjorn Hylkema – Bass, backing vocals
Marco Prij – Drums

https://www.facebook.com/sadironmetal/

Gaahls Wyrd – GastiR – Ghosts Invited

Un grande ritorno per un cantante che è andato molto oltre il ruolo che gli era stato ritagliato e che sa creare bellissime atmosfere.

Arriva il primo disco sulla lunga distanza dei Gaahls Wyrd, il nuovo gruppo di Gaahl, cantante dei Gorgoroth dal 1998 a 2007.

Praticamente questo gruppo è la continuazione del precedente gruppo di Gaahl e del suo fido Kristian Espedal, i God Speed, ma qui ci spinge molto altro. GastiR – Ghosts Invited è un tributo alla musica oscura, un qualcosa che Gaahl, un lavoro a cui vanno molto strette tutte le categorie, perché parte dal black metal per andate molto oltre qualsiasi genere, trattando della nostra e di altre dimensioni. I norvegesi creano qui, dopo un buon esordio con la registrazione di un concerto a Bergen, uno dei possibili futuri del black metal, che sta diventando sempre più un qualcosa di simile ad un codice sorgente che un vero e proprio genere musicale. I Gaahls Wyrd dipingono otto canzoni che sono porte per altre luoghi che stanno dento e fuori di noi. La voce di Gaahl ha compiuto la definitiva trasformazione da voce black metal a lettrice di anime, scava dentro come un brano shoegaze eseguito con la chitarra a mille. Il missaggio del disco è stato eseguito con grande intelligenza, riuscendo a bilanciare il tutto, senza che nulla predomini in maniera tediosa o inutile. Il disco, oltre che un grande lavoro, è anche qualcosa di trasversale, nel senso che piacerà a chi vuole qualcosa in più dal black metal, ma anche chi si aggira nelle lande del post metal lo apprezzerà molto. Qui la musica prende il sopravvento sui generi, entra nel sangue e nel cervello di chi la ascolta e genera una dolcissima dispersione, e se ne vuole ancora. Un grande ritorno per un cantante che è andato molto oltre il ruolo che gli era stato ritagliato e che sa creare bellissime atmosfere.

Tracklist
1.Ek Erilar
2.From The Spear
3.Ghosts Invited
4.Carving The Voices
5.Veiztu Hve
6.The Speech And The Self
7.Through And Past And Past
8.Within The Voice Of Existence

Line-up
Gaahl
Lust Kilman
Eld
Spektre

https://www.facebook.com/gaahlswyrd/

Ares Kingdom – By the Light of Their Destruction

Grezzi, indiavolati e cattivissimi gli Ares Kingdom non tradiscono, continuano il loro discendere negli abissi paludosi del death metal fregandosene altamente di quello che la tecnologia ha regalato in tutti questi anni, confezionando un album malvagio, brutale e rivolto agli appassionati più incalliti.

Il sound degli Ares Kingdom è un death/thrash metal old school, devastante e senza compromessi, legato a doppia mandata alla scuola estrema a cavallo tra gli anni ottanta (thrash) ed il decennio successivo (death).

La band nasce a metà anni novanta, la sua discografia vanta tre full length e numerosi ep, arrivando a questo nuovo quarto lavoro su lunga distanza dopo che tra il 2018 e quest’anno ha rilasciato la bellezza di quattro ep.
Death/thrash old school, dove anche la produzione segue il sound nel ricordare i pionieri del metal estremo, tra Slayer, Possessed e primi Obituary.
By the Light of Their Destruction è composto da otto brani che non trovano sbocchi se non nei gusti degli affezionati, di quei fans duri e puri che disprezzano tutto quello che viene prodotto oggigiorno, a meno che non risultino tributi alla scena metallica estrema di trent’anni fa, tra Slayer, Possessed e primi Obituary.
Grezzi, indiavolati e cattivissimi gli Ares Kingdom non tradiscono, continuano il loro discendere negli abissi paludosi del death metal fregandosene altamente di quello che la tecnologia ha regalato in tutti questi anni, confezionando un album malvagio, brutale e rivolto agli appassionati più incalliti.
Tracklist
01. The Hydra Void
02. Burn, Antares (Scorpius Diadem)
03. Dark Waters Eridanus
04. Eighteen Degrees Beneath
05. Allegory
06. The Bones Of All Men
07. Iconologia
08. Talis Chimera Est

Line-up
Alex Blume – Vocals/Bass
Chuck Keller – Lead Guitar
Mike Miller – Drums

https://www.facebook.com/Ares-Kingdom-97935152280/

https://youtu.be/NBbT6LJtwhs

Trench Warfare – Hatred Prayer

Il suono grezzo e senza compromessi pone i Trench Warfare come realtà di matrice old school e senza ombra di dubbio imprigionata nella melma infernale dell’underground più estremo e violento. L’attitudine evil fa il resto e l’album, composto da una dozzina di esplosioni metalliche si carica di atmosfere di morte, guerra e perversione.

La Transcending Obscurity è ormai da anni un punto di riferimento per gli amanti del metal estremo in tutte le sue oscure anime.

Dall’Asia agli stati Uniti, passando per l’Europa, i suoi tentacoli sono arrivati fino ai più neri abissi dell’underground mondiale con sempre più band ed artisti a valorizzare un roster impressionante.
I Trench Warfare per esempio sono un gruppo texano che licenzia il primo album su lunga distanza intitolato Hatred Prayer, una mezz’ora circa di violentissimo death metal pregno di attitudine black.
Il suono grezzo e senza compromessi pone i Trench Warfare come realtà di matrice old school e senza ombra di dubbio imprigionata nella melma infernale dell’underground più estremo e violento.
L’attitudine fa il resto e l’album, composto da una dozzina di esplosioni metalliche, si carica di atmosfere di morte, guerra e perversione.
Rallentamenti doom/death creano un alone morboso vecchia scuola, così che brani pachidermici come Astral Projection o New Lord risultano vere e proprie colate di lava proveniente dall’inferno.
Accelerazioni al limite del brutal, attitudine black metal e potenza death sono il mortale mix proposto dai Trench Warfare, consigliato agli amanti dei vari Morbid Angel, Deicide e Sarcofago.

Tracklist
1. Decimate Legions
2. Spare No Wrath
3. Axioms of Prevarication
4. Barbarous Temperment
5. Astral Projection into the Shapeless Abysmal Void
6. Evil Shall Triumph
7. Behead Muhammad
8. Young Lord (Poison Idea cover)
9. The New Lord
10. Blood Cleaning
11. Sate Thy Lust
12. Hatred Prayer

Line-up
Tony Goyang Jr – Guitars, Bass
Jay Gorania – Vocals
Lee Fisher – Drums

https://www.facebook.com/trenchwarfaretexas/

Dude York – Falling

I Dude York sono un gruppo americano, e non potrebbe essere altrimenti, provengono da Seattle e offrono uno stile musicale che contiene al suo interno qualcosa dei Ramones, qualcosa dei Dinosaur Jr., e qualcosa del migliore indie rock, oltre ad un’immensa carica pop, che è poi il genere finale.

Indie punk pop di alta qualità con voce femminile, molta melodia e una capacità di far sembrare semplice ciò che in realtà è difficilissimo, ovvero fare un disco orecchiabile e profondo al contempo.

I Dude York sono un gruppo americano, e non potrebbe essere altrimenti, provengono da Seattle e offrono uno stile musicale che contiene al suo interno qualcosa dei Ramones, qualcosa dei Dinosaur Jr., e qualcosa del migliore indie rock, oltre ad un’immensa carica pop, che è poi il genere finale. Il trio non è composto da musicisti alle prime armi e lo si sente chiaramente in Falling, tutte le canzoni hanno motivi di interesse, non c’è nulla di noioso o di artefatto e il lavoro non è affatto monocorde. In sostanza Falling è un qualcosa che racchiude dentro di sé molto di ciò che è successo nella parte alternativa del rock negli ultimi venti anni, ma che va anche a pescare in ciò che si nasconde più in profondità nel pop rock americano, con le sue solide radici anni ottanta. I Dude York sanno fare molto bene delle melodie per nulla ovvie, con delle aperture che ricordando molto quelle delle college band degli anni ottanta e novanta, con quella freschezza contagiosa che è radiosa ma che, per essere tale, ha bisogno anche della malinconia quale suo contraltare. Questi tredici brani hanno come minimo comune denominatore qualcosa che si è rotto, possa essere un filo, un rapporto di amicizia o di amore. L’intensità della rottura è determinata da vari fattori, ma è comunque una rottura, e questi avvenimenti li viviamo ogni giorno: la fine di qualcosa fa parte della vita, anzi forse è la maggior parte del nostro vissuto. I Dude York raccontano molte cose in maniera intelligente, con il continuo gioco fra voce femminile e voce maschile, ci sono momenti in cui sembrano gli Weezer prima che si perdessero in dischi inutili, ascoltare How It Goes per credere.
Un disco molto piacevole che parla di cose non facili e della nostra inadeguatezza di fronte a noi stessi, ma Falling è un buon motivo per non buttarci giù dalla torre.

Tracklist
1.Longest Time
2.Box
3.I’m the 1 4 U
4.Should’ve
5.Only Wish
6.Unexpected
7.How It Goes
8.Falling
9.Doesn’t Matter
10.Let Down
11.:15
12.Making Sense
13.DGAFAF (I Know What’s Real)

Line-up
Andrew
Claire
Peter

https://www.facebook.com/dudeyorkamerica/

Birdflesh – Extreme Graveyard Tornado

Mezzora passata con i Birdflesh è sinonimo di ottima musica metal, il genere non offre grossi spunti innovativi ma il divertimento è assicurato da un impatto ed un’attitudine che fanno di Extreme Graveyard Tornado uno degli album più convincenti ascoltati ultimamente nel genere.

Come una tempesta improvvisa e devastante arriva, tramite la Everlasting Spew, la nuova fatica del trio svedese chiamato Birdflesh, da venticinque anni nella scena underground estrema.

Era il 1994, infatti, quando la band diede alle stampe il primo demo e oggi siamo arrivati al quarto full length di una discografia che, come da tradizione nel genere, è ricca di split, ep e compilation.
L’ultimo lavoro, intitolato Extreme Graveyard Tornado, vede il trio composto da Smattro Ansjovis (batteria e voce), Count Crocodelis (chitarra e voce) e Willy Whiplash alle prese con ventiquattro brani di cui ben pochi superano a malapena il minuto di durata, ma che formano un muro sonoro thrash/grind potentissimo.
Ed il sound di questi ormai veterani della scena estrema di stampo grindcore riesce a coinvolgere grazie ad un songwriting ispirato e ad una raccolta di brani brevi, distruttivi ma assolutamente coinvolgenti.
Il gruppo alterna feroce grind core a spettacolari sferzate thrash metal, oppure li mixa creando tempeste e tsunami estremi senza soluzione di continuità.
Mezzora passata con i Birdflesh è sinonimo di ottima musica metal, il genere non offre grossi spunti innovativi ma il divertimento è assicurato da un impatto ed un’attitudine che fanno di Extreme Graveyard Tornado uno degli album più convincenti ascoltati ultimamente nel genere.

Tracklist
1.Towards Insanity
2.Are We Great Again?
3.Crazy Train Decapitation
4.Grind Band
5.Home of the Grave
6.Milkshake is Nice
7.Another Pig
8.Guacamolestation of the Tacorpse
9.Crazyful Face
10.Thank You for the Hostility
11.Crazy Nights
12.Botox Buttocks
13.House Guest
14.Accused of Suicide
15.Black Hole Jaw
16.Amish Girl
17.The Rise of Stupidity
18.Pub Night
19.Pyromaniacs
20.Bite the Mullet
21.Almost Aggression
22.Garlic Man
23.Mouth for Gore
24.Land of the Forgotten Riffs

Line-up
Smattro Ansjovis – Drums & vocals
Count Crocodelis – Guitars & vocals
Willy Whiplash – Bass & vocals

https://www.facebook.com/birdfleshgrind

Cipher – Réminiscences

Réminiscences è una raccolta di brani tratti dai tre album del gruppo e che ne evidenziano la compattezza, l’impatto devastante ed il buon approccio melodico.

I Cipher riassumono i primi vent’anni di carriera nella scena estrema transalpina con questa raccolta di brani intitolata Réminiscences.

La band è nata a Limoges nel 1998 e il suo death metal feroce e violento si è sviluppato nel corso di tre full length, con l’ultimo Deviance datato 2017.
Non molto a dire il vero, e in effetti da un album all’altro sono passati molti anni, ma è indubbio che la qualità delle composizioni fa sì che la raccolta in questione diventi un nuovo punto di partenza perfetto per il quartetto.
Dieci brani più una cover degli A-Ha, racchiusi nello scrigno ben in mostra sull’artwork, pescati dai tre album del gruppo, evidenziano una band compatta, dall’impatto devastante e dalle buone trame melodiche.
Il sound è quello classico statunitense di fine anni novanta, il growl efferato supporta una tempesta di note metalliche estreme valorizzate da una connotazione melodica più accentuata nei brani recenti.
L’opener Corps Et Ame ed In Flames, dal primo full lenght Epidemia, la violentissima Nomad dal secondo Chaos Sign e La Porte Des Larmes, song di matrice scandinava estratta dall’ultimo lavoro intitolato Deviance, sono perfette nel sottolineare l’evoluzione dei Cipher in questi vent’anni, facendone una realtà da scoprire nel panorama estremo transalpino.

Tracklist
1. Corps et Ame
2. Quest
3. Invidia
4. In Flames
5. The Lethargic Demon
6. Nomad
7. Anonymous
8. Miscellaneous Grievances
9. Le Point Emergent
10. La Porte Des Larmes
11. Land of Fire

Line-up
Vince – lead Guitar / Vocals
François – Rythm Guitar
Flo – Drum
David – Bass / Vocals

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Winterwolf – Lycanthropic Metal of Death

I Winterwolf danno vita ad un lavoro che tiene incollati alle cuffie, legati ad esse da questa raccolta di brani perfetti nelle loro atmosfere horror, estremi e vari nell’alternare scudisciate death metal e frenate doom/death, spettacolari e godibili, pur rimanendo confinati in un genere estremo.

Tornano più famelici che mai i licantropi finlandesi Winterwolf, dieci anni dopo la pubblicazione di Cycle of the Werewolf, primo pasto sanguinolento uscito nel 2009.

La banda di uomini lupo capitanata da Corpse (Jess and the Ancient Ones e Deathchain) e Abomanitor (frontman dei Demilich), continua a uccidere nelle notti di luna piena con questo nuovo massacro sonoro intitolato Lycanthropic Metal of Death, licenziato dalla Svart Records.
I Winterwolf danno vita ad un lavoro che tiene incollati alle cuffie, legati ad esse da questa raccolta di brani perfetti nelle loro atmosfere horror, estremi e vari nell’alternare scudisciate death metal e frenate doom/death, spettacolari e godibili, pur rimanendo confinati in un genere estremo.
Non ci sono brani che si stringano al collo come le fauci di un lupo mannaro, non c’è una sola nota o un’atmosfera che non sia al posto giusto: Lycanthropic Metal of Death risulta un’opera oscura e terrorizzante che va ascoltata nella sua interezza, senza interruzione prima che il massacro ricominci davanti ai nostri occhi.
Difficile trovare un brano più bello degli altri, anche se la devastante Brujo, i riff doom/death di Devouring Entities Devour e Kadathian Doom e I Am The Beast Of Death vi porteranno nella foresta immersa nel silenzio e nel suo raggelante terrore.

Tracklist
1. The Crypt of the Werewolves
2. At Dawn They Eat
3. Brujo
4. Devouring Entities Devour
5. Wolf Finder General
6. Kadathian Doom
7. Thisishispit
8. I Am The Beasts Of Death
9. Primal Life Code

Line-up
Corpse
M÷rbidus
Abomanitor
Abductor

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Haram – Questo è Solo Chaos

Un disco che spezza schemi come se fossero steccati sotto un’onda tsunamica, una salutare scarica di adrenalina e di ottima musica fatta caos, un lavoro che ha radici solide e lontane nel tempo ma che è una delle cose più moderne e sincere degli ultimi nell’alternativo italiano.

Gli Haram sono di Torino e hanno un progetto di decostruzione della musica metal e pesante in genere per arrivare sempre più vicini al caos, e ci riescono benissimo.

Questo è il loro debutto, prodotto da una cospirazione diy di ottime e nervose etichette. Dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora, qui regna la pesantezza, la velocità quando è necessaria e tutto punta verso il fare male. Gli Haram sono un gruppo maturo che firma un disco notevole, mai ovvio o comune, che attinge alla tradizione italiana per quanto riguarda l’hardcore e lo sludge, ma qui tutti i generi sono meri punti di partenza per esplorare territori ignoti. Il gruppo torinese distilla un groove metallico e caotico, un flusso sonoro senza soluzione di continuità che serve per staccarsi dalla matrice nella quale viviamo. Questo è Solo Chaos è la sublimazione del detto “caos non musica” che imperava nell’hardcore italiano anni ottanta, ma è anche un’importante operazione per provare a scollegarsi dalle gabbie che sono state costruite anche nel genere che in teoria dovrebbe essere più libero, quello alternativo. C’è il post metal, un potentissimo sludge, tracce di grindcore, droni che volano incessantemente sopra le nostre teste, il tutto messo assieme in maniera inedita. Come afferma lo stesso gruppo, qui non c’è nulla di famigliare, e questo è una delle cose più importanti del disco. Troppo spesso, per non dire sempre, ci affidiamo alle comode e conosciute strutture musicali, catalogando il tutto come death, grind, etc.
Qui tutti i parametri vengono sgretolati dalla forza più importante in natura e che ci spaventa maggiormente: il caos. Nulla intimorisce maggiormente l’uomo del non sapere cosa possa succedere nel minuto successivo a quello che stiamo vivendo. E in questo disco è proprio così, l’onda ci travolge e non si può far nulla se non provare a nuotare, o lasciarsi condurre che è la cosa migliore. Canzoni come Post Odio sono semplicemente sublimi pugni in faccia, calci nella tempia… e guardalo un cazzo di tramonto…guardalo !!!
Un disco che spezza schemi come se fossero steccati sotto un’onda tsunamica, una salutare scarica di adrenalina e di ottima musica fatta caos, un lavoro che ha radici solide e lontane nel tempo ma che è una delle cose più moderne e sincere degli ultimi nell’alternativo italiano.
Ma alla fine è un immenso vaffanculo, a tutto.

Tracklist
1. Questo è solo chaos
2. Terra
3. No Boat!
4. Asti
5. Solo
6. Ansia
7. Post odio
8. Hoppressione
9. Hoppressione (presa diretta)

Line-up
Nicola Ambrosino – Basso, Voce
Davide Donvito – Chitarra
Utku Tavil – Batteria

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Port Noir – The New Routine

Il sound proposto è un rock alternativo appena sfiorato da venti metal, farcito di soluzioni elettroniche e ritmiche che sfruttano le ispirazioni alternative statunitensi in materia di rap/rock

L’alternative rock/metal di questi primi anni del nuovo millennio è sicuramente uno dei generi più seguiti e popolari tra i giovani.

Le scene pullulano di band con un livello qualitativo soddisfacente e le sorprese sono sempre dietro l’angolo, iniziando dalla tanto bistrattata (in campo rock) Italia, senza dimenticare gli Stati Uniti, padri di queste sonorità e la sempre presente Scandinavia.
I Port Noir infatti sono svedesi, licenziano questo nuovo lavoro per Inside Out, label famosa in ambito progressivo, questa volta alle prese con un sound lontano dalle solite produzioni.
The New Routine è il terzo lavoro su lunga distanza per il trio composto dal chitarrista e cantante Love Andersson, dal batterista Andreas Wiberg e dal chitarrista Andreas Hollstrand.
Il sound proposto è un rock alternativo appena sfiorato da venti metal, farcito di soluzioni elettroniche e ritmiche che sfruttano le ispirazioni alternative statunitensi in materia di rap/rock (Rage Against The Machine).
La particolarità del sound di cui si fregiano i Port Noir sta nell’amalgamare l’approccio del gruppo di Tom Morello con il rock sofisticato dei Muse, perdendo inevitabilmente in impatto.
Proviamo ad immaginare i Rage Against The Machine, senza la chitarra di Morello ed infarciti di atmosfere elettroniche: la cosa può funzionare a tratti, quando il basso pulsa di palpitante energia e Andersson canta con un tono più consono al genere (Old Fashioned, 13).
Il resto di The New Routine rischia di risultare però ne carne ne pesce, perché troppo morbide sono le linee elettroniche sulle quali sono strutturati gran parte dei brani, e troppo orientato verso la ricerca di una melodia vincente il mood generale di un album che rimane ad uso e consumo di un pubblico giovane e avulso dalla tradizione rock e metal.

Tracklist
01. Old Fashioned
02. Flawless
03. Blow
04. Champagne
05. Low Lights
06. 13
07. Young Bloods
08. Define Us
09. Drive
10. Down For Delight
11. Out Of Line

Line-up
Andreas Wiberg – drums
Love Andersson – vocals, guitar
Andreas Hollstrand – guitar, backing vocals

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Veil Of Deception – Dissident Voices

I Veil Of Deception, sono autori di sound tellurico e melodico, esempio di metal che ingloba elementi heavy, thrash e groove, confezionando una ricetta a suo modo vincente.

Arrivano da Vienna, attivi dal 2013 e con un paio di album alle spalle, hanno firmato per Roxx Records/ No Life ‘til Metal Records che licenzia il loro nuovo album, questo ottimo incontro tra tradizione metal e groove intitolato Dissident Voices.

Si tratta dei Veil Of Deception, band austriaca ma che più americana di così non si può, almeno per quanto riguarda il sound, tellurico e melodico esempio di metal che ingloba elementi heavy, thrash e groove, confezionando una ricetta a suo modo vincente.
Grandi melodie vocali, con il cantante Daniel Gallar, vero mattatore dell’album, ritmiche heavy/thrash rafforzate da tonnellate di groove, fanno di Dissident Voices una mazzata metallica di notevole impatto, un album che in tutta la sua durata non teme frenate e viaggia spedito come un carro armato con il motore di una formula uno.
Il gruppo viennese aveva già dimostrato il suo valore con i primi due lavori, Deception Unveiled, uscito nel 2013, ed il precedente Tearing Up The Roots, licenziato quattro anni fa, ma con il nuovo album fa un ulteriore passo avanti, attraversando definitivamente l’Atlantico ed abbracciando in toto il metal statunitense che passa inevitabilmente da band come gli Anthrax era Bush, i Black Sabbath ed il metal alternativo di questo primo scorcio di secolo.
La voce dall’attitudine classica del singer fa la differenza, così come una serie di brani convincenti, dai refrain orecchiabili e dalla potenza metal debordante.
Il singolo Crooked Lines costituisce un ottimo esempio dell’impatto che la band ha sui padiglioni auricolari dei fans, con ritmiche thrash/groove (a cura di Thomas Hava al basso e Chris Schober alla batteria) e chitarre (ad opera di Dejan Jorgovanovic) che vomitano watt in solos divisi tra la tradizione hard & heavy e un impatto moderno.
In conclusione, si rivela una vera sorpresa questo terzo album del gruppo austriaco, band in grado di modellare il metal degli ultimi tre decenni a proprio piacimento.

Tracklist
1.Tragedy Brings Clarity
2.Missing Heartbeats
3.Crooked Lines
4.Wrong End of the Stick
5.Dissident Voices
6.End Coming to an End
7.The Tyranny of Hope
8.Forgotten Rain
9.Bonds of Disaffection
10.Would’ve Beens and Could’ve Beens
11.Memories In the Attic

Line-up
Daniel Gallar – Vocals
Dejan Jorgovanovic – Guitar
Thomas Hava – Bass
Chris Schober – Drums

https://www.facebook.com/VeilOfDeception

Metalian – Vortex

Vortex è devastante, melodico ed irresistibile, come il pogo a cui vi esporrete sotto il palco calcato da questi quattro canadesi.

Un sound che corre veloce come il vento sulle ali di un heavy/speed metal di matrice old school: questo è Vortex, ultimo album dei Metalian, quartetto di Montreal arrivato al terzo lavoro in oltre quindici anni di carriera.

Con i Judas Priest a fare da padrini all’heavy metal suonato dal gruppo, Vortex si lascia ascoltare che è un piacere, colmo di cavalcate tali da far saltare gli autovelox e solos che sono temporali metallici scatenanti lampi e tuoni.
Trenta minuti in balia del metal classico dei Metalian, otto brani che non trovano ostacoli, di genere, assolutamente derivativi ma spettacolari, almeno per chi è cresciuto a pane ed heavy metal.
The Sirens Wail, Land Of The Brave, la title track non escono di un millimetro dai canoni dell’heavy metal anni ottanta, new wave of British heavy metal e speed si alleano nel sound dei Metalian per portare il verbo del true metal old school nel nuovo millennio: Vortex è devastante, melodico ed irresistibile, come il pogo a cui vi esporrete sotto il palco calcato da questi quattro canadesi.

Tracklist
1. Prologue
2. The Sirens Wail
3. Full Throttle
4. Vortex
5. Land of the Brave
6. Liquid Fire
7. Broke Down
8. No Home

Line-up
Ian – vocals / guitar
Simon – guitar
Andres – bass
Tony – drums

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Flub – Flub 2019

I Flub non inventano nulla, ma dimostrano grande perizia e attenzione per una forma canzone molte volte dimenticata dagli artisti dediti al versante più tecnico dell genere.

Ennesimo progetto di death metal tecnico e sperimentale, i Flub nascono nel 2013 ed in sei anni rilasciano un paio di lavori, Purpose ed Advent usciti nei primi due anni di attività.

Cinque anni dunque separano questo nuovo album omonimo dai suoi predecessori, composto da sette brani in cui il trio di Sacramento dà sfoggio di tecnica sopraffina e buon songwriting, anche se ormai il death metal contaminato da soluzioni progressive, jazz e fusion non è certo una novità.
La band, composta dal cantante Michael Alvarez (Alterbeast), dal chitarrista e addetto al programming Eloy Montes (ex-Vale of Pnath) e dal bassista Matthew Mudd (ex-The User Lives), in meno di mezzora dà vita ad un uragano di metal estremo progressivo, sul quale regna l’abilità strumentale dei protagonisti, davvero bravi nelle tante parti intricate in cui la chitarra si erge ad assoluta regina dell’intero lavoro.
Growl e scream accompagnano questo viaggio nel classico technical death metal targato 2019, con Flub che si fa onore tra le uscite del genere con una serie di composizioni che mantengono una buona fruibilità.
I Flub non inventano nulla, ma dimostrano grande perizia e attenzione per una forma canzone molte volte dimenticata dagli artisti dediti al versante più tecnico dell genere.

Tracklist
1. Last Breath
2. Blossom
3. Umbra Mortis
4. Dream
5. Rise From Your Grave
6. Rebirth
7. Wild Smoke

Line-up
Flub – Flub Line-up
Michael Alvarez – Vocals
Eloy Montes – Guitars/Programming
Matthew Mudd – Bass

https://www.facebook.com/flubmetal/