Indivia – Horta

Horta non è mai ovvio e scontato sia perché tale è l’approccio del gruppo, sia perché ad ogni svolta sonora non si sa dove finiremo al prossimo cambio di tempo, e ciò per un disco è davvero importante.

Movimenti di precisione che provocano nella nostra mente sinapsi cariche di suoni tendenti ad un ribassamento, che in alcune persone provocano piacere. Gli Indivia fanno questo e molto altro.

Il loro suono è uno stoner metal molto oscuro, ma in realtà partendo da coordinate conosciute riescono a confezionare un risultato molto originale. La loro musica è una bolla parallela, una dimensione che apriamo mettendo il cd nel lettore e schiacciando play. Gli Indivia hanno quella freschezza, quell’onda di novità che avevano ai tempi, quando non erano ancora come ora, gruppi come i Karma To Burn o i Conan, quando facevano grandi cavalcate in territori strumentali ancora inesplorati. Gli Indivia hanno quel quid in più,e grazie anche all’azzeccata formula del power trio fanno un gran bel disco. Basso, chitarra, batteria, distorsioni e volumi alti sono gli ingredienti per una vita felice, e gli Indivia riescono a darci qualcosa che ci piacerà. Horta non è mai ovvio e scontato sia perché tale è l’approccio del gruppo, sia perché ad ogni svolta sonora non si sa dove finiremo al prossimo cambio di tempo, e ciò per un disco è davvero importante. La produzione asseconda molto bene le intenzioni dei tre padovani, e ogni canzone merita davvero. Senza voler fare retorica da bar, gruppi come questo ce ne sono, bisogna essere sia bravi a trovarli, sia bravi nel proporsi. Era da tempo che in questo genere, che poi non è solo lo stoner, ma ci sono anche molte altre cose dentro, non si ascoltava in gruppo così fresco, potente, calibrato e piacevole. I ragazzi hanno talento, voglia e poi hanno questa batterista, Nathalie che oltre che essere una delle fondatrici del gruppo è una macchina che sale e scende crinali a tutta velocità, o pende da un dirupo durante un tramonto estivo.
Bello, da sentire e da gustare anche con il corpo, perché questa musica ha una dimensione molto fisica, che fa vibrare.

TRACKLIST
1. Dharma
2. The Green Planet
3. Hyperion
4. Shogun
5. Ciò Che Tradisce
6. Re-Growth

LINE-UP
Andrea Missagia – Guitar
Nathalie Antonello – Drums
Diego Loreggian – Bass

INDIVIA – Facebook

Marillion – FEAR [Fuck Everyone And Run]

Forse bisogna essere davvero “alternative” per apprezzarlo e il déjà vu si avverte, ma FEAR richiede ancora una volta di superare il passato e qualsiasi analisi asettica per (ri)trovare il piacere dell’ascolto e delle emozioni che sa destare.

Recensire un album dei Marillion rappresenta un compito arduo per il sottoscritto, questo perché non ascolto la band britannica dai tempi di Fugazi (1984) e Misplaced Childhood (1985).

Ma questa volta mi tocca e così da qualche giorno non faccio altro che ascoltare ripetutamente la nuova fatica dei nostri. Ormai divenuti più un gruppo di Alternative che di Rock Progressivo, aprono con i quasi 17 minuti di El Dorado, suite in cinque parti e, per quanto io cerchi di rifuggire i paragoni di qualsiasi natura, nella mia testa cominciano a girare alcune paroline: l’ho già sentito dai … Pink Floyd? Contemplo le emozioni e la risultante è permeante malinconia, un presentimento che qualcosa di sconvolgente stia per succedere. La voce di Steve Hogarth interpreta le lente progressioni su più registri e altezze (non riesco ad apprezzare il suo utilizzo del falsetto), per un brano comunque molto sentito. L’intensità si allenta con la più ordinaria Living In Fear ma si riparte con i 19 minuti di The Leavers. Intro nella quiete con un seducente giro di tastiere che apre a melodie orecchiabili ed il parlato/cantato di H su base Pop-Wave, il pezzo (anch’esso in cinque parti) evolve piacevolmente, ben strutturato e arrangiato con le onnipresenti e sapienti tastiere che ne sottolineano costantemente la trama. La calma e profondamente melodica White Paper, quasi impalpabile, porta avanti l’umore generale dell’album con lenta pacatezza, elegantemente sostenuta prima dalle tastiere di Mark Kelly e poi dalle vocals di H che finalmente dipana le sue naturali capacità. La toccante e bellissima The New Kings nei suoi 17 minuti, composta di quattro parti, pare voglia farci riflettere sulla crisi socio-politica ed economica in atto e sull’ingiustizia creata dagli esseri umani. We are the new Kings / Here on the corporation’s top floor / If you cross us we’ll buy you and you can retire / Your children set up for life / Think about it… / Greed is good… […] We are the new kings / I’ll tell you a tale / We’re too big to fall / We’re too big to fail. Degno di cotanto nome il finale Progressivo ed elettrico (era ora!) con Trewavas, Mosley e Rothery uniti in un brano riuscito sotto ogni punto di vista.
Forse bisogna essere davvero alternative per apprezzarlo e il déjà vu si avverte, ma FEAR richiede ancora una volta di superare il passato e qualsiasi analisi asettica per (ri)trovare il piacere dell’ascolto e delle emozioni che sa destare.

TRACKLIST
1. El Dorado
2. Living In Fear
3. The Leavers
4. White Paper
5. The New Kings

LINE-UP
Steve Hogarth – Vocals
Steve Rothery – Guitars
Mark Kelly – Keyboards
Pete Trewavas – Bass
Ian Mosley – Drums

MARILLION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Xiwtl-ljUI0

Saturna – Saturna

Un gran bel disco per un gruppo che raramente sbaglia, ma che con questo disco omonimo si supera.

I Saturna sono un gruppo di Barcellona che sono stati toccati dalla mano degli dei del rock pesante.

Formati nel 2010 dal bassista Rod per sviluppare insieme a degli amici delle idee musicali, i Saturna sono presto diventati uno dei migliori gruppi musicali di psichedelia rock pesante sulla piazza. La loro musica è un misto di doom, heavy rock e psichedelia, molto suadente e fisica, si sente la musica che occupa un volume, e come dice il loro nome, qui ci sono i dettami dei riti dionisiaci, ci si volge verso Saturno con tutto ciò che comporta. Questo loro terzo disco è forse quello più completo, il suono è sempre sulle stesse coordinate, ma si sente che il loro modo di comporre è cambiato, migliorando ulteriormente. Ascoltando i Saturna ci si immerge in una modernità che certo deve molto alle cose passate, ma che innova con una sapiente personalizzazione del verbo pesante. Le loro canzono sono riti musicali, costruiti con il sentimento della California anni settanta, anzi i Saturna suonano molto meglio di tante band di quel periodo o dei loro epigoni attuali. Le atmosfere sono molteplici e diverse, dal pezzo duro e lungo alla trasmigrazione psichedelica delle anime, ad un certo retrogusto grunge che fa davvero piacere ascoltare. In certi frangenti le tastiere disegnano figure davvero belle, come in Leave It All, canzone davvero notevole e forse la migliore di tutto il disco.
Un gran bel disco per un gruppo che raramente sbaglia, ma che con questo disco omonimo si supera.

TRACKLIST
1.Tired to fight
2.All has been great
3.Birds in cages
4.Five fools
5.Routine
6.Leave it all
7.Unsolved
8.Disease
9.A place for our soul

LINE-UP
Rod: Bass
Oscar: Guitar
Jimi: Vocals / Guitar.
Enric: Drums

SATURNA – Facebook

Lacrimas Profundere – Hope Is Here

Gli undici brani offerti dai Lacrimas Profundere vanno a comporre tre quarti d’ora di musica eccellente ed impeccabile per esecuzione e produzione

Quelli diversamente giovani, tra i frequentatori di questa webzine, ricorderanno senz’altro i Lacrimas Profundere come una giovane e promettente band che, negli anni novanta, provò con un certo successo a mettersi in scia delle migliori band del settore gothic death doom.

Il tempo è passato e le sonorità espresse efficacemente con album quali La Naissance d’un Rêve e Memorandum sono state via via abbandonate, per approdare ad un più rassicurante ma altrettanto valido alternative rock che mantiene comunque un ben definito dna oscuro.
Quello preso oggi in esame è l’undicesimo full length della band tedesca, capace di muoversi con destrezza tra umori che si dipanano a cavallo tra Antimatter e Katatonia, con una maggiore propensione però ad aperture più ariose.
Hope is Here è una collezione di brani dal buonissimo valore complessivo, in grado di non far rimpiangere i tempi andati ma, semmai, di rivestire di abiti più ricercati una malinconia che rappresenta pur sempre la base sulla quale poggi il sound dei Lacrimas Profundere.
Della line-up originaria è rimasto solo quello che è sempre stato il vero motore dei bavaresi, il chitarrista Oliver Schmid, il quale oggi si circonda di musicisti più giovani come la coppia ritmica formata dai fratelli Clemens e Christop Schepperle e dal vocalist Rob Vitacca, in possesso di una timbrica calda che ben si addice alle soffici atmosfere proposte, oltre che dal più esperto chitarrista Tony Berger.
Gli undici brani offerti dai Lacrimas Profundere vanno a comporre tre quarti d’ora di musica eccellente ed impeccabile per esecuzione e produzione; gli estimatori della prima ora della band forse faticheranno a digerire un evidente alleggerimento del sound, ma brani davvero ottimi come The Worship of Counting Down, Hope Is Here e Timbre, tanto per citarne solo alcuni, possiedono la caratura necessaria per mettere tutti d’accordo.

Tracklist:
1. The Worship of Counting Down
2. My Halo Ground
3. Hope Is Here
4. Aramis
5. A Million Miles
6. No Man’s Land
7. Pageant
8. You, My North
9. Awake
10. The Path of Broken Homes
11. Timbre
12. Black Moon

Line-up:
Oliver Nikolas Schmid – Guitars
Tony Berger – Guitars
Rob Vitacca – Vocals
Clemens Schepperle – Bass
Christop Schepperle – Drums

LACRIMAS PROFUNDERE – Facebook

Circle – Meronia

Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro.

La missione principale della gloriosa Svart Records è di portare alla luce i tesori nascosti dell’underground finlandese, e Meronia dei Circle è uno dei più lucenti.

Questa ristampa del disco del 1994 vede la luce in un doppio vinile con bonus track e in un cd. Originariamente editi da Bad Vugum, un’etichetta finlandese con un interessante catalogo, i Circle sono un gruppo di una piccola città della Finlandia, Pori, origine condivisa con i Deep Turtle, che li proposero all’etichetta. I Circle fanno tutto quello che facevano le vostre band preferite degli anni novanta ed anche di più. Noise, shoegaze, improvvisazione, in una mirabile commistione sonora di America e Gran Bretagna. Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro. Il disco all’epoca fu apprezzato moltissimo sia dal sottobosco che dal mainstream e segnò un’importante evoluzione dell’underground finlandese. Fuori dalla patria ebbe meno eco, e questa è una sfortuna perché è un disco eccezionale, che non è consigliato solo agli amanti del suono anni novanta, ma anche a tutti quelli che cercano cose solide e nuove, perché ancora adesso Meronia è molto avanti rispetto alla media attuale. I Circle ci accompagnano per mano in una lunga escursione sul pianeta Meronia, e ciò provoca dipendenza e voglia di ascoltarlo cambiando l’ordine delle tracce, sentendo in ripetizione una traccia, un rumore, una nota che pare essere l’architrave del tutto. Tutte le canzoni potrebbero essere un singolo e due o tre canzoni prese a caso sarebbero degli ottimi 7”. Ogni pezzo ha dentro almeno uno o due generi diversi. Meronia è certamente figlio di un clima musicale difficilmente ripetibile, dove le commistioni diventavano naturali e si faceva il tutto con molta naturalezza e voglia di divertirsi. Il disco è davvero bello, intenso e fortunatamente lungo. I Circle son ancora in attività e fanno sempre grande musica, ma Meronia è oltre la grande musica, è Meronia.

TRACKLIST
1.Ed-Visio
2.Curwen
3.Wherever Particular People Congregate
4.Meronia
5.DNA
6.Hypto
6.Nude
7. Colere
8.Staalo
9.Kyberia
10.Gravion
11.Ferrous
12.Scoop
13.Merid
14.Espirites

LINE-UP
J. Jääskeläinen – guitar
P. Jääskeläinen – guitar
J. Lehtisalo – bass, vocals
M. Rättö – keyboards, vocals
T. Leppänen – drums
J. Westerlund – guitar, vocals

CIRCLE – Facebook

Atomikylä – Keräily

Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più.

A Tampere, in Finlandia, ci deve essere qualcosa nell’aria o nelle droghe che fa sì che tanti suoi cittadini suonino psichedelia pesante come gli Oranssi Pazuzu o psichedelia rituale come i Dark Buddha Rising.

Gli Atomikylä sono un’unione di alcuni dei membri di questi due grandi gruppi, unione nata dalla divisone di uno spazio prove comune, il Wastement, un nome un programma. Lo scopo di questo gruppo è la liberazione della nostra mente e del nostro corpo attraverso il suono, per mezzo di una psichedelia brutale e sognante allo stesso tempo. I tre pezzi di questo disco sono tre esplorazioni, tre viaggi astrali, dove il nostro corpo arriva a vedere se stesso dall’alto. Le canzoni sono progressive, nel senso che sono serpenti che crescono e vanno a cercare un posto al sole su pietre roventi. La musica qui viene teorizzata ed eseguita come fuga dalla normalità, sia morale che dei sensi, per cercare di liberarsi annientandosi nel suono e nella sua fisicità neuronica. Il disco è una meraviglia continua, un liberi tutti che giova moltissimo alla composizione davvero psichedelica. Non ci sono influenze, non ci sono pressioni, vi è solo il creare. Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più. Qui la ripetizione sonica diventa mantra per accedere ad un piano sonoro superiore, cambiando il proprio stato da materiale ad immateriali, issandoci su forme mentali alterate, oltre la terra la meta. Di questo percorso non abbiamo né la meta né la direzione, ma solo il piacere della scoperta, esplosioni durante la calma, mutazioni sonore. Il nome del gruppo deriva da un campo base abbandonato di operai per la costruzione di una centrale atomica negli anni ottanta. Presto questo luogo chiamato Atomikylä divenne la patria degli sbandati e dei drogati, una repubblica degli emarginati, dove la legge non entrava e nemmeno usciva, per poi essere distrutto pochi anni orsono. Emarginazione mentale, fuga dal normale che porta a una quasi volontaria e comprensibilissima autoesclusione che si sublima in questa musica, bella, tremenda e confusa.

TRACKLIST
1.Katkos
2.Risteily
3.Pakoputki

LINE-UP
V. Ajomo – Guitar, Vocals
T. Hietamäki – Bass
J. Rämänen – Drums
J. Vanhanen – Guitars, Vocals

ATOMIKYLA – Facebook

Bells Of Ramon – Jamie Lee

I Bells Of Ramon rialsciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia ben sperare per il futuro disco.

Dopo un po’ di attesa e vari concerti positivi, ecco uscire il 7″ che precede il debutto dei Bells Of Ramon previsto per l’autunno del 2016.

I Bells Of Ramon sono un gruppo genovese che suona uno stoner molto influenzato dall’hard rock, ma anche viceversa va bene, ovvero hard rock influenzato dallo stoner. Il loro suono è composto molto attentamente e nulla viene lasciato al caso. Il primo pezzo, Jamie Lee, ha un incedere elegante e sinuoso, con un suono molto stelle e strisce, riuscendo ad essere originale e particolare anche in un ambito dove non è facile. Ascoltando questi due pezzi si può sentire anche un forte sapore di grunge, perché a noi di una certa età è rimasto in testa, e non c’è nulla da fare. I Bells Of Ramon rilasciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia sperare il meglio per il futuro disco.

TRACKLIST
Side A – Jamie Lee
Side B – Smoke Stung

LINE-UP
Luca Baldini- Voice, Guitar
Fabio Leonelli – Guitar
Sandro Carraro – Bass
Martino Sarolli – Drums

BELLS OF RAMON – Facebook

A Silent Noise – ZeitMaschine / The Wake

Nuovo singolo, che funge da apripista per il prossimo album, per i A Silent Noise, realtà nostrana che fonde con eleganza new wave ottantiana, musica elettronica di ispirazione tedesca e colonne sonore sci-fi.

La band nasce per volere del tastierista e cantante Libero Volpe, ideata come solo project, poi trasformata in una band a tutti gli effetti con l’entrata in pianta stabile di Lorenzo Ceccarelli al basso e Stefano Esposito alla chitarra.
Il primo lavoro del gruppo, intitolato Kaleidoscope, esce nel 2014 e permette alla band di iniziare un’intensa attività live, mentre a marzo di quest’anno è il video di ZeitMaschine, girato come un cortometraggio, che irrompe sui canali di competenza, con la musica del gruppo diventa la suggestiva colonna sonora per le immagini che scorrono sul video.
La firma con Agoge porta la band al singolo in questione, formato dal brano che dà il titolo al video con in più la bellissima The Wake.
Musica onirica che richiama la new wave più matura, basi elettroniche di suggestivo kraut rock in una struttura di liquido incedere dalle reminiscenze sci-fi, la proposta del terzetto si muove misteriosa e dark su queste coordinate, lasciando intravedere una maturità artistica sorprendente.
La moltitudine di ispirazioni dalle quali la band attinge lascia spazio al talento compositivo che in questi due brani viene espresso galleggiando mellifluo tra i generi di cui si compone il sound, tra una ZeitMaschine, che ricorda un trip alla Odissea nello Spazio ed una The Wake, semplicemente straordinaria nel richiamare diverse realtà oscure del periodo ottantiano (Ultravox, Joy Division e Tangerine Dream).
In sintesi, due brani che esprimono appieno il valore artistico degli A Silent Noise, andando a creare una certa aspettativa per il prossimo album.

TRACKLIST
Side A: ZeitMaschine
Side B: The Wake

LINE-UP
Libero Volpe – voice, synthesizers, bass/baritone guitar
Lorenzo Ceccarelli – Bass guitar
Stefano Esposito – Guitars

A SILENT NOISE – Facebook

VV.AA. – Thirteeen: An Ethereal Sound Works Compilation

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Sono ben 19 i brani contenuti in questa raccolta piuttosto esaustiva con la quale il buon Gonçalo esibisce i suoi gioielli, anche quelli più preziosi ma, purtroppo, non più attivi come i Vertigo Steps.
Così, in questo caleidoscopio di suoni ed umori, troviamo il metal con il death dei Rotem e il power/thrash degli Hourswill, il rock alternativo di Secret Symmetry, Painted Black, Dream Circus e Artic Fire, il punk di The Levities, Chapa Zero e Punk Sinatra, il dark di And The We Fall, Rainy Days Factory e My Deception, l’indie dei The Melancholic Youth Of Jesus, il folk dei Xicara , la sperimentazione pura dei Fadomorse e l’ ambient degli Under The Pipe e dei Soundscapism Inc., quest’ultimo fresco progetto di Bruno A., successivo allo split dei Vertigo Steps, qui rappresentati dalla splendida Silentground.
L’eclettismo è il vero marchio di fabbrica della ESW, grazie alla quale abbiamo la possibilità di constatare come in Portogallo si produca tanta musica di qualità, in più di un caso oggetto delle nostre recensioni (che possono essere lette nella sezione sottostante denominata articoli correlati).
Non ci sono solo i Moospell o il fado, quindi, a rappresentare il fatturato musicale lusitano, e questa compilation offre una ghiotta possibilità di farsi un’idea più precisa di quel movimento, portando alla luce diverse realtà oltremodo stimolanti.

Tracklist:
1.Secret Symmetry – Disarray And Silver Skies
2.Vertigo Steps – Silentground
3.Painted Black – Quarto Vazio
4.Hourswill – Atrocity Throne
5.My Deception – Daylight Deception
6.Dream Circus – Ticking
7.Rotem – The Pain
8.The Levities – Split Lip
9.Chapa Zero – Vai Lá Vai
10.Punk Sinatra – Nunca Há Paciência
11.Under The Pipe – No Need Words
12.Artic Fire – Running
13.The Melancholic Youth Of Jesus – Insensivity
14.And Then We Fall – Ancient Ruins
15.Rainy Days Factory – Deep Dive
16.Fadomorse – Deicídio
17.Xícara – Cantiga (Deixa-te Estar na Minha Vida)
18.Dark Wings Syndrome – In My Crystal Cage (2015)
19.Soundscapism Inc. – Planetary Dirt

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Fall Has Come – Time To Reborn

Il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo

Dovete sapere che il sottoscritto ha un amico ai piedi del Vesuvio che non manca di farlo partecipe delle nuove realtà del panorama rock alternativo nazionale, tutte dall’alta qualità e pronte per il salto verso un mondo dove finalmente la loro musica possa avere i meritati consensi.

Attenzione, non parlo di successo ma di consensi, perché il nostro paese purtroppo è avaro, specialmente quando si parla di rock, della minima attenzione verso band e album come questo notevole Time To Reborn, debutto dei casertani Fall Has Come, appena tornati, in questa prima metà dell’anno da un’esaltante turnè in compagnia dei rockers Hangarvain, freschi di stampa di quel monumento all’hard rock che risulta il loro secondo lavoro Freaks, in territorio spagnolo.
Il trio campano è formato dal bravissimo singer Enrico Bellotta e qui mi fermo un’attimo: il bassista casertano è dotato di una voce dall’appeal stratosferico, la sua performance è quanto di meglio mi sia capitato di sentire nel genere, colma di feeling, radiofonica, e dotata di una personalità che si fatica a trovare anche nelle migliori band statunitensi.
Sì,  perché il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo, ed alle riminiscenze del primo decennio del nuovo millennio, quello passato alla storia come alternative rock e post grunge.
Accompagnato dai due chitarristi Raffaele Giacobbone e Enrico Pascarella che compongono la line up dei Fall has Come, il singer con la sua performance regala emozioni a non finire, ciliegina sulla torta di un lavoro intenso e maturo, melodico ma dall’animo rock, alternativo forse, sicuramente conturbante e colmo di hit pregevoli.
Non credo di essere smentito se dichiaro che l’opener Cover The Sun, la semiballad I Will, l’hard rock oriented Burn Up To River, l’intimista Remember, la graffiante Urban Chaos ( con quegli accordi southern ad inizio brano che ci spingono a forza nell’America sudista dei fratellini Hangarvain) e la favolosa title track, sono bombe rock dall’alto tasso esplosivo e, in un mondo migliore, non solo musicalmente, vere mine vaganti di classifiche radiofoniche lasciate a bombardare le orecchie di migliaia di ragazzi sulle spiaggie assolate, dall’Italia alla California.
Qualcuno vi parlerà di gruppi famosi ed ora persi nel dimenticatoio del music biz, per cercare in qualche maniera di spiegarvi di che pasta è fatto questo bellissimo lavoro, io mi astengo da inutili paragoni e vi lascio alle note di Time To Reborn, debutto di questa fenomenale band tutta italiana.
P.S : fate molta attenzione perché Time To Reborn è come una droga, non potrete più farne a meno.

TRACKLIST
1. Cover the Sun
2. I Will
3. Swallow my Tears
4. Hidden Life of Dreams
5. Burn Up to River
6. Forsaken World
7. Remember
8. Start To Be Free
9. Urban Chaos
10. Time To Reborn
11. Wherever (Bonus Track)

LINE-UP
Enrico Bellotta – ocals, bass
Raffaele Giacobbone – guitars
Enrico Pascarella – guitars

FALL HAS COME – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=O8R1FNgr3WY

Zaibatsu – Zero

Gli Zaibatsu descrivono fini, stritolamenti post industriali e ricatti di metastasi senzienti, il tutto con un magnifico piglio post industrial.

Ci sono rari momenti di illuminazione nei quali, pur guardando un magnifico cielo fatto di bellissimi colori, senti che la fine è vicina, e ti avvolge uno strano senso di pace.

Purtroppo da quel momento alla pace eterna il cammino è ancora duro e pieno di pericoli. Gli Zaibatsu descrivono fini, stritolamenti post industriali e ricatti di metastasi senzienti, il tutto con un magnifico piglio post industrial. Ci sono accelerazioni, momenti chiari e concisi, impastamenti sonori e tante tante cose suonate con il cuore. Riferimenti al loro suono potrebbero oscillare dal grunge all’industrial, ma gli Zaibatsu per fortuna sono un qualcosa di unico e forse irripetibile, poiché fanno generi che non hanno patria, se non nel significato che vogliono attribuirgli chi li suona. Il disco scorre imponente e magnifico, descrivendo un fallimento globale che è solo nostro, poiché ci lasciamo avvelenare in ogni dove, sia fisicamente che spiritualmente, e paghiamo pure per morire di tumori ed essere legati ad un carrello della spesa. Zero è un disco rimarchevole e duro, che potrebbe essere tranquillamente pubblicato dalla Dischord. In Italia abbiamo dimostrato che siamo bravissimi a fare dischi apocalittici, e questo è magnifico. Da sentire e contorcersi, in una danza zero.

TRACKLIST
1. Plastic Machine Head
2. Oppenheimer’s Sister
3. Chemtrails
4. Mantra 3P
5. Pirates
6. Gnomes
7. Technocracy
8. Abac
9. Starless
10. Collateral Language

ZAIBATSU – Facebook

Thenighttimeproject – Thenighttimeproject

Il lavoro omonimo dei Thenighttimeproject è senz’altro apprezzabile ed è vivamente consigliato a chi si nutre di quelle sonorità delicate e soffuse alle quali ci hanno abituato, appunto, i Katatonia.

Probabilmente, qualche anno dopo essere uscito dai Katatonia per dedicarsi quasi a tempo pieno agli October Tide, a Fredrik Norrman cominciano a mancare quelle sonorità più pacate e rarefatte.

Potrebbe essere nata da qui l’esigenza di dar vita ad un progetto come Thenighttimeproject, con il quale il musicista svedese si ritrova a competere sullo stesso terreno della premiata ditta Nyström/Renkse.
Ovviamente, di suo Norrman ci mette un gusto più dark, con qualche spruzzatina di elettronica che avvicina la proposta, in certi frangenti, alla new wave più intimista.
L’operazione riesce abbastanza bene, anche se, così come per tutta la produzione dei Katatonia nel nuovo millennio, non riesce a conquistarmi totalmente; il disco scorre via fluido, con le sue sonorità crepuscolari che disegnano sullo sfondo uno scenario grigio e brumoso, in cui l’apparizione di qualche raggio di sole pare essere un’opzione non prevista, ma la tragedia umana che covava sotto sotto le magnifiche melodie di capolavori come Discouraged Ones e Tonight’s Decision è ben lungi dall’essere rievocata sia dalla band che ne è stata autrice, sia dalle sue varie derivazioni.
Qui, in un contesto dal buon livello medio, alcuni brani colpiscono per la loro dolente eleganza, in particolare l’accoppiata Caustic Reflection, efficace e malinconica pennellata di classe cristallina, e la successiva e più ammiccante Dissolve, che spicca per il suo andamento più sincopato rispetto agli altri episodi.
La voce di Tobias Netzell (In Mourning) si confà al genere anche se il suo registro mostra ben poche variazioni sul tema, mentre Norrman (che per una volta si occupa in prima persona anche del basso rinunciando al contributo del fratello Mattias) si destreggia mostrando la consueta maestria con tutti gli strumenti , ad eccezione della batteria affidata a Nicklas Hjertton.
Il lavoro omonimo dei Thenighttimeproject è senz’altro apprezzabile, pur non facendo gridare al miracolo, ed è vivamente consigliato a chi si nutre di quelle sonorità delicate e soffuse alle quali ci hanno abituato, appunto, i Katatonia o gli stessi Antimatter.

Tracklist:
1. The Annual Loss
2. Oneiros
3. Caustic Reflection
4. Dissolve
5. Among Reptiles
6. Empty Signs
7. Amends
8. Desert Prayers

Line-up:
Tobias Netzell – Vocals
Fredrik Norrman – Guitars, Bass, Keyboards
Nicklas Hjertton – Drums

THENIGHTTIMEPROJECT – Facebook

Zippo – After Us

After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione.

Torna la band pescarese veterana della scena pesante italiana.

Quarto disco per uno dei migliori gruppi stoner sludge dello stivale, in attività dal 2004, quando questi generi di musica non erano ancora popolari come ora.
After Us è un disco di grande qualità, come tutte le opere degli Zippo, con ancora qualcosa in più rispetto agli altri lavori. Ascoltandoli si ha un’impressione di grande solidità, di potenza sempre sotto controllo, con un forte retrogusto grunge, specialmente nei momenti maggiormente melodici.
Otto canzoni per circa quaranta minuti di distorsioni, riverberi psichedelici pesanti e voli heavy.
Questo è anche il primo disco non concept del gruppo, ma è ispirato alla vita di tutti i giorni, cosa assai più complicata di una storia di fantasia. Gli Zippo stupiscono sempre, non sono mai ovvi, e hanno una graniticità davvero notevole.  After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione. Una sicurezza.

TRACKLIST
1. Low Song
2. After Us
3. Comatose
4. Familiar Roads
5. Adrift (Yet Alive)
6. Stage 6
7. Summer Black
8. The Leftovers

LINE-UP
Dave – Vocals
Sergente – Guitar
Stonino – Bass
Ferico – Drums

ZIPPO – Facebook

Ramachandran – Marshmallow

La definizione di power tiro calza a pennello per questro gruppo, che fa della potenza la sua arma preferita, ma non l’unica, dato che sono vari i registri musicali qui padroneggiati.

Esordio per questo gruppo toscano sulla sempre più attiva Taxi Driver Records.

Attitudine decisamente punk per questo trio che cala nei territori stoner con un ascia in mano per fare dei bei macelli. La loro proposta musicale è appunto uno stoner rock suonato con la giusta dose di lo fi e tanta furia. Non sempre i Ramachandran vanno sparati a mille all’ora, ma le cose migliori le offrono quando vanno a tavoletta. L’album è un lavoro sul funzionamento del cervello, e ha dinamiche molto interessanti ed originali. Lo stesso nome del gruppo è un omaggio ad uno dei più influenti neuroscienziati indiani. I testi si abbinano benissimo alla musica che risveglia in maniera adeguata i nostri neuroni assopiti. La definizione di power tiro calza a pennello per questo gruppo, che fa della potenza la sua arma preferita, ma non l’unica, dato che sono vari i registri musicali qui padroneggiati. Un debutto più che positivo per un gruppo capitanato dalla forte voce di Sara Corso che è un gran sentire, ottimamente coadiuvata da Andrea Ricci alla chitarra e da Andrea Torrini alla batteria.

TRACKLIST
1.Bandura
2.Cotard
3.Kraepelin
4.Samo
5.Vilayanur
6.Mischel

LINE-UP
Sara Corso – Voice –
Andrea Ricci – Guitar –
Andrea Torrini – Drums –

RAMACHANDRAN – Facebook

Rinunci A Satana ? – Rinunci A Satana ?

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

E allora tuffiamoci di nascosto nella musica carnale dei Rinunci A Satana dalla fatal Milano. Per non andare lontano dal marchi di fabbrica i Rinunci A Satana ? fanno un originalissimo blues rock stoner da vere ligere. Accordi satanici, musica scorrevole ed irresponsabile ai vizi, per un gruppo tanto semplice quanto bravo. Non sono in realtà tanti, sono solo in due, e sono Damiano Casanova (Il Babau e i maledetti cretini), chitarra, e Marco Mazzoldi (Fuzz Orchestra e Bron y Aur), batteria. I due hanno però le idee chiare, e piace molto loro fermarsi agli incroci tra i generi ad aspettare il nero signore. Se volete qualcosa tipo gli ultimi gruppi fighi che fanno blues rock, siete fuoristrada, qui c’è genuina passione ed il linguaggio musicale scelto è l’ossatura per far risaltare la melodia e la linea sonora, vera regina di questo progetto. Queste canzoni strumentali sono lo sfogo di due grandi musicisti che hanno voglia e musica da vendere, e accasandosi su Wallace Records sanno dove andare. Disco dalle molte curve e fortunatamente quasi senza rettilinei, porta in un inferno blues molto caldo e vivo, da dove non vorrete più uscire.

TRACKLIST
1.Stone
2.Effetto Benny Hill
3.Ostenda
4.Le Notti di Riccardo Neropiù
5.Rinunci a Satana?
6.Gatling

LINE-UP
Damiano Casanova : Chitarra.
Marco Mazzoldi : Batteria.

RINUNCI A SATANA ? – Facebook

Elevators To The Grateful Sky – Cape Yawn

Gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

Elevators To The Grateful Sky, Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep, per molti saranno nomi poco conosciuti, ma per chi segue l’underground e le ‘zine di riferimento come la nostra, sono tasselli musicali che formano un mondo metal/rock, nella regione più a sud della nostra penisola, la Sicilia.

In quel di Palermo vivono e si riproducono questi virus di musica del diavolo, che hanno nel loro dna molti dei generi di cui il nostro mondo è composto, dal più estremo death metal, allo stoner, dal doom all’hard rock settantiano, tutti suonati in modo originale, per niente scontato, miscelandoli a dovere con garage, psichedelia, progressive e tanto rock’n’roll.
Cloud Eye, primo lavoro dei fenomenali Elevators To The Grateful Sky, licenziato nel 2013 e finito inesorabilmente nella mia play list di quell’anno, seguiva il primo ep omonimo e vedeva la band di Sandro Di Girolamo (ex Undead Creep) alle prese con un capolavoro di musica desertica, psichedelica, matura, probabilmente favorita da un caldo territorio che richiama le aride distese che si trovano sul suolo americano e che hanno influenzato quarant’anni di rock.
Al fianco di Di Girolamo troviamo sempre Giuseppe Ferrara alla sei corde, Giulio Scavuzzo alle pelli e Giorgio Trombino, chitarra e basso, per il secondo viaggio nel mondo di questa musica senza barriere, ancora una volta persi in un universo sonoro, colorato come un arcobaleno di generi uniti tra loro e che vivono in perfetta simbiosi nello spartito del gruppo siciliano.
Cape Yawn perde leggermente le sfumature grunge per avvicinarsi molto al garage, specialmente nei primi brani, Ground e Bullet Words, che partono sgommando e l’elettricità è subito altissima, le ritmiche rock’n’roll della prima lasciano il posto a quelle stonerizzate della seconda, pregne di riff estrapolati dal decennio settantiano, mentre garage rock e stoner compongono la inyourface All About Chemistry, in un’improbabile ma affascinante jam fra Miracle Workers e Fu Manchu.
Scaldata l’atmosfera, il gruppo da Dreams Come Through in poi dà letteralmente spettacolo, la sabbia calda brucia i piedi, la bocca si inaridisce e veniamo scaraventati in pieno deserto: A Mal Tiempo Buena Cara accompagnata da un riff sabbatiano, ci inonda di doom psichedelico, Di Girolamo canta come un Morrison intrippato per i Kyuss ed il disco prende il volo per non scendere più dal livello di capolavoro.
Kaiser Quartz e la monolitica I, Wheel, su un altro album sarebbero top songs, ma nel mondo Elevators, queste due perle di doom/stoner, vengono solo prima della title track, il brano perfetto, liquido, ipnotico, tremendamente sensuale, come un serpente sinuoso che disegna il suo corpo sulla sabbia, entra in noi e ci avvelena di psichedelia, con un intervento di sax nel finale che è un colpo di grazia alle nostre menti perse in questo arcobaleno.
Laura è uno strumentale dedicato a Mark Sandman, frontman dei Morphine, altro nome importantissimo per lo sviluppo di Cape Yawn, mentre l’hard rock di Mountain Ship e Unwind , sorta di outro liquida, chiudono questo ennesimo capolavoro del gruppo siciliano.
L’album è stato stampato solo in vinile ed è accompagnato dalla splendida copertina disegnata da Di Girolamo, che si dimostra artista a 360° come la sua splendida musica, mentre gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

TRACKLIST
1. Ground
2. Bullet Words
3. All About Chemistry
4. Dreams Come Through
5. A Mal Tiempo Buena Cara
6. Kaiser Quartz
7. I, Wheel
8. Mongerbino
9. Cape Yawn
10. We’re Nothing at All
11. Laura (one for Mark Sandman)
12. Mountain Ship
13. Unwind

LINE-UP
Sandro Di Girolamo – voce, percussioni
Giorgio Trombino – chitarra, basso, sax contralto, conga, tastiere, voce
Giuseppe Ferrara – chitarra
Giulio Scavuzzo – batteria, darbouka, tamburello, percussioni, voce

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

Kingfisher – The Greyout

Un ottimo esordio per una band più che promettente

I Kingfisher, formazione a cinque dove a farsi notare fin da subito è la presenza di tre bassisti, vengono dalla Lombardia e debuttano, dopo l’ep del 2014 con gli undici brani di The Greyout. Il lavoro, folle punto di incontro fra alternative metal, alternative rock e stoner, esplode nei timpani con la forza di mille granate, grazie anche all’ottimo lavoro di Andrea Cajelli in sala di registrazione e di Giulio Ragno Favero per quanto riguarda il processo di mastering.

La partenza bruciante e fulminante di Red Circle, correndo sui colpi di batteria e basso, scalcia con energia, introducendo l’altrettanto fiammante Sentient (intrigante il cuore leggermente più scuro e pacato) e le influenze stoner, dirottate su terreni estremamente metal, di Worm Tongue (bassi e batterie feroci come mitragliatrici).
L’aggressività iniziale di The Greyout, sviluppandosi poi su melodie più strutturate (ma non rinunciando a scalciare come un cavallo pazzo), lascia che a seguire siano i pugni nello stomaco sferrati da Even In Decay (provate a non essere rasi al suolo dalla forza d’impatto della seconda parte) e la breve strumentale Oneiric (decisamente più pacata, contenuta e delicata).
A ritornare a far ruggire i bassi ci pensa Eleven che, affidandosi ad architetture più complesse e cerebrali, rallenta i tempi e si tuffa in sonorità a metà fra stoner e southern metal.
Bizarre, infine, precipitando in complessi incastri di batteria e bassi, cede il compito di chiudere allo sfrecciare di Scent Of Reckoning, all’assalto sonoro dell’altrettanto distruttiva Relentless e all’ipnotico concludere della più distesa, melodica e matematica Mandala.

Il debutto dei Kingfisher, granitico, compatto e carico di energia, colpisce per la sua forza d’impatto, per il suo suono e per la sua intensità. Gli undici brani presentati, infatti, quasi non lasciando la possibilità di tirare il fiato nemmeno per un secondo, si susseguono, tirati, come ordigni esplosivi sempre pronti a brillare. A rovinare un pochino l’entusiasmo è la troppa omogeneità dei brani, ma, tolto questo difetto, tutto fila decisamente liscio. Un ottimo esordio per una band più che promettente.

TRACKLIST
01. Red Circle
02. Sentient
03. Worm Tongue
04. The Greyout
05. Even In Decay
06. Oneiric
07. Eleven
08. Bizarre
09. Scent Of Reckoning
10. Relentless
11. Mandala

LINE-UP
Davide Scodeggio
Alessandro Croci
Emanuele Nebuloni
Renato Di Bonito
Matteo Barca

KINGFISHER – Facebook

Dead Behind The Scenes – White EP

Con i Dead Behind The Scenes tutto è il contrario di tutto, ma alla fine perfettamente al suo posto, così da regalare rock per chi, ogni tanto, ama vagare per lo spartito senza una guida sicura godendo delle molte sorprese che riserva un album come questo The White ep.

Una ventina di minuti di musica rock fuori dai soliti schemi, pazza e alternativa nel senso più puro del termine, pregna di sonorità che riportano alla mente gruppi che hanno fatto del proprio songwriting, un modo per distinguersi dalle solite rock band, eppure così originale e personale, da sembrare tutt’altro che un combo al debutto.

Bene ha fatto l’Atomic Stuff a prendere nel proprio roster i milanesi Dead Behind The Scenes, rock band di Milano che, con talento, amalgama rock alternativo e punk & roll, licenziando White Ep, primo lavoro di cinque brani che si spera li possa portare verso un potenziale full lenght esplosivo.
Il gruppo, attivo dal 2010 come The Scream, ha in Dave Bosetti (voce e chitarra), Marco Tedeschi (chitarra) e Lorenzo Di Blasi (tastiere) lo zoccolo duro della band, ai quali nel tempo si sono aggiunti il bassista Valerio Romano ed il batterista Chris Lusetti, a formare la line up che firma questo ep in cui il rock non ha barriere né confini, così da inglobare nel proprio sound le pazzie alternative dei Primus, sonorità reggae-folk e rock & roll.
Molta importanza nel sound dei nostri i tasti d’avorio, così come la voce particolare del Bosetti, tra Les Claypool e Maynard James Keenan in versione punk, che segue i binari di musica trasformandosi ad ogni passaggio, così come ogni canzone è diversa dall’altra, ora più rock alternative come in I Love Matt, ora improntata su un reggae-soul come nella successiva Bulletproof Soulmate, per diventare intimista nella semiballad No Name Song.
L’hammond prende per mano il sound di Sex Rock & Rock’N’Roll una traccia hard rock dai rimandi settantiani, con quel tono vocale che tanto sa di punk rock, mentre gli anni sessanta e un’aura surf sono i protagonisti della conclusiva e solare Sometimes You Just Have To…
Con i Dead Behind The Scenes tutto è il contrario di tutto, ma alla fine perfettamente al suo posto, così da regalare rock per chi, ogni tanto, ama vagare per lo spartito senza una guida sicura godendo delle molte sorprese che riserva un album come questo White Ep.
Con tutto questo potenziale li aspettiamo con fiducia alla prova del full length, ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST
1. I Love Matt
2. Bulletproof Soulmate
3. No Name Song
4. Sex Rock & Rock ‘n’ Roll
5. Sometimes You Just Have To…

LINE-UP
Dave Bosetti- lead vocals, guitar
Marco Tedeschi- guitar
Lorenzo Di Blasi, keyboards- piano
Valerio Romano- bass
Chris Lusetti- drums, backing vocals

DEAD BEHIND THE SCENES – Facebook

Fractal Reverb – Songs to Overcome the Ego Mind

Album che va assaporato, avendo la pazienza ed il tempo per farlo propiro, ed una band che assolutamente da supportare e rispettare per la personalità ed il coraggio nel proporre un’opera così ambiziosa al primo colpo.

Premessa: fate molta attenzione quando si parla di rock alternativo o, superficialmente di grunge, perché (lo dico da anni) il grunge a mio parere come genere musicale non esiste, o meglio, quello che fu chiamato così era solo una moda che non riguardava assolutamente la musica scritta dalle band di Seattle, troppo diverse tra loro, troppe anime contrapposte per unirle in un unico calderone musicale.

Così il primo full length dei nostrani Fractal Reverb, band di rockers nati da pochi anni in quel di Milano, con un ep all’attivo licenziato lo scorso anno dal titolo How To Overcome The Ego Mind, alla fine risulta un buon album di rock alternativo, debitore sì del decennio novantiano, ma dall’anima moderna e noise, come se il lato più intimista dei Sonic Youth si fosse appartato con i Pearl Jam e i Tool e facesse l’occhiolino al rock del nuovo millennio.
Voce femminile (Carolina Locatelli) ancora da perfezionare come interpretazione dei brani, ma comunque sufficientemente personale e rock per non sfigurare nel mezzo dei deliri elettrici dei suoi compagni di viaggio( Davide Trombetta alla chitarra e Alessandro Pinotti alle pelli) e un gusto quasi psichedelico per il rock moderno, fatto di brani lunghi, molte volte vicini strutturalmente a delle jam, che perdono in appeal solo per l’eccessiva durata di un album che supera abbondantemente l’ora.
Ecco, questo è l’unico appunto che mi viene da fare al gruppo, ottantadue minuti sono davvero troppi, specialmente in tempi dove, purtroppo anche nel rock, manca il tempo di assimilare lavori di questo genere causa la marea di uscite discografiche e la poca attenzione degli ascoltatori a musica che chiede un minimo d’impegno nell’ascolto.
Sì, perché Songs to Overcome the Ego Mind è un album impegnativo, adulto, poco incline alle facili melodie di band pop rock contrabbandate per il fantomatico post grunge che, se non esisteva l’originale, figuriamoci i facili surrogati.
Se vi avvicinate alla band milanese pensando di ascoltare i nuovi Nickelback ( tanto per intenderci) avete sbagliato indirizzo, qui si fa rock, sporcato di noise e dall’anima punk statunitense, magari nascosta da umori cantautorali, in un’escalation di vibrazioni progressive dove la voce femminile non è il classico specchio per le allodole, ma un modo alquanto personale di raccontare il loro concept, un percorso che parte da una dimensione prettamente estroversa per arrivare ad una introversa, trovando così il perfetto equilibrio … e scusate se è poco.
Album che va assaporato, avendo la pazienza ed il tempo per farlo propiro, ed una band che assolutamente da supportare e rispettare per la personalità ed il coraggio nel proporre un’opera così ambiziosa al primo colpo.

TRACKLIST
1.Introspective
2.I’ll find my way
3.Song of nothing
4.Dystonic wave
5.Spleen
6.Song of something
7.Natural sounds
8.20 January 2013
9.Fall in leaves
10.Test yourself
11.Trees in circles
12.Hidden places
13.Blindfolded
14.Song of everything
15.Outroot

LINE-UP
Carolina Locatelli – basso, voce
Davide Trombetta – chitarra
Denny Cavalloni – batteria

FRACTAL REVERB – Facebook