Double Experience – Unsaved Progress

Un album che cresce con gli ascolti e ci presenta una band potenzialmente da botto commerciale, tanto è il talento melodico unito alla durezza del metal/rock

Dopo alcuni passaggi in più mi sono convinto che questi tre canadesi non sono affatto male.

Trattasi della rock band dei Double Experience formata dal cantante Ian Nichols, il bassista e chitarrista Brock Tinsley e alle pelli Dafydd Cartwright, un trio niente male che ha dato i natali a questo lavoro, intitolato Unsaved Progress, illuminato da un appeal da primi posti nella classifiche di tutto il mondo, unito alla potenza del groove ed una passione per il metal rock che ne fa un piccolo spettacolo pirotecnico di suoni rock che non mancano di stupire.
Dicevo che mi ci sono voluti alcuni passaggi in più per inquadrare la proposta del trio di Ottawa, proprio perché ad un primo ascolto non si capisce se questi ci sono o ci fanno.
Melodie alternative, un cantato ruffiano che rimane tale anche nei brani più tirati, e tanto hard & heavy che arriva piano ma che, quando esplode, diventa il genere preponderante nel sound dei Double Experience, sempre sostenuto da ritmiche da groove metal band, solos metallici o all’occorrenza solcati da un’attitudine modern hard rock e la voce del singer che, nel suo essere apparentemente dai toni commerciali, smuove montagne ricco com’è di talento melodico.
Una raccolta di hit che vi farà balzare dalla sedia sempre più in alto ad ogni passaggio, anche grazie alla performance chitarristica del buon Tinsley, una macchina da guerra melodica negli assoli e una potenza nei riff di scuola hard rock.
Un album che cresce con gli ascolti e ci presenta una band potenzialmente da botto commerciale, tanto è il talento melodico unito alla durezza del metal/rock: fatevi rapire dal sound dei Double Experience che ipnotizza e colpisce quando meno ve lo aspettate come un serpente di not; la miccia si accende, ci mette quel tanto che basta e quando esplode non c’è scampo.

TRACKLIST
1.So Fine
2.AAA
3.The Glimmer Shot
4.See You Soon
5.Impasse
6.Exposure Exposure
7.Death of Lucidity
8.Godzilla” (Blue Oyster Cult cover)
9.Weakened Warriors

LINE-UP
Ian Nichols – vocals, lyrics
Brock Tinsley – guitars, bass, lyrics
Dafydd Cartwright – drums

DOUBLE EXPERIENCE – Facebook

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook

AFI – The Blood Album

Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk odierno, loro che hanno scritto grandi pagine di musica.

Decimo disco in studio per i veterani AFI, ed è subito un gran successo commerciale, se oggi si può ancora parlare di successo commerciale per un disco.

The Blood Album arriva quattro anni dopo Burials, ed è un album di cui francamente non se ne sentiva il bisogno. Gli AFI in passato sono stati un grande gruppo di punk hardcore melodico con molte influenze esterne, dal gothic al dark in stile The Cure, ed erano riusciti ad essere uno dei gruppi più interessanti nel panorama del boom del punk negli anni novanta e duemila. In tanti si sono emozionati ascoltando gli AFI, e tanti lo faranno ancora adesso. Ma c’è una grande differenza fra il prima ed il dopo degli AFI, poiché i dischi precedenti erano di buona qualità, mentre questo disco è pieno di commercialità, piattezza e ritornelli tutti uguali, per un prodotto davvero medio basso. Le canzoni sembrano tutte uguali e quando non lo sono è perché, per brevi istanti, riecheggiano i vecchi fasti, ma sono davvero pochi momenti. Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk, loro che hanno scritto grandi pagine di musica. E’ un gran peccato ascoltarli così, ma ora sono anche più famosi rispetto a prima e ciò la dice lunga sui tempi musicali (e non) che stiamo vivendo.

TRACKLIST
1. Dark Snow
2. Still a Stranger
3. Aurelia
4. Hidden Knives
5. Get Hurt
6. Above the Bridge
7. So Beneath You
8. Snow Cats
9. Dumb Kids
10. Pink Eyes
11. Feed from the Floor
12. White Offerings
13. She Speaks the Language
14. The Wind That Carries Me Away

LINE-UP
Davey Havok – vocals
Jade Puget – guitars
Hunter Burgan – bass
Adam Carson – drums

AFI – Facebook

40 Watt Sun – Wider Than The Sky

Musica che risulta di difficile metabolizzazione nel suo dilatarsi all’infinito, perdendo non pochi punti per quanto riguarda la fruibilità e l’ interesse da parte dell’ascoltatore.

I 40 Watt Sun sono un trio londinese che con il primo album, uscito ormai più di cinque anni fa, aveva fatto gridare al miracolo gli addetti ai lavori ed i fans del doom.

Ma il metal, oggi, non fa più parte del sound del gruppo, ed in questo nuovo album vengono abbandonate la lentezza e la potenza del doom a favore di un alternative rock intimista, ipnotizzante e minimale.
Il ripetersi di accordi e melodie all’infinito porta inevitabilmente ad uno stato comatoso: Wider Than The Sky accentua l’ossessività dei nostri nel voler trascinare l’ascoltatore in un mondo parallelo, fermo al primo minuto ed alle prime note per poi continuare a proporre imperterrito la stessa atmosfera per oltre un’ora.
La voce di Patrick Walker accompagna la musica con quel tono che ricorda non poco Michael Stipe dei R.E.M, mentre Beyond You cambia di poco i propri parametri rispetto ai sedici minuti dell’opener Stages.
Una musica che non lascia indifferenti, perché la si ama per quello che sa regalare in termini di rilassatezza e pace interiore, o la si odia per gli stessi motivi, anche perché il cambiamento rispetto al primo album (The Inside Room) è notevole, tanto che dal confronto paiono scaturire lavori prodotti da due band diverse.
Fuori i fans del doom e dentro gli alternative rockers, forse ancora più provati dei primi, però, nel dover digerire tracce plumbee e dilatate come Another Room e Craven Road, mentre gli accordi continuano a ripetersi senza all’apparenza trovare la via per una conclusione che arriva inaspettata, così come il brano era iniziato.
Quella dei 40 Watt Sun è oggi musica che risulta di difficile metabolizzazione nel suo dilatarsi all’infinito, perdendo non pochi punti per quanto riguarda la fruibilità e l’ interesse da parte dell’ascoltatore.

TRACKLIST
1.Stages
2.Beyond You
3.Another Room
4.Pictures
5.Craven Road
6.Marazion

LINE-UP
William Spong – Bass
Christian Leitch – Drums
Patrick Walker – Guitars, Vocals

40 WATT SUN – Facebook

Hydronika – Alberi Dai Muri

Un disco che potrebbe essere tranquillamente tra i migliori dell’anno in campo rock, per chi ama fare classifiche, ma il consiglio è quello di ascoltare Alberi Dai Muri, perché ne vale davvero la pena e vi farà stare bene.

Gruppo campano fautore di un buon rock incentrato sulla tradizione italiana e sulla sua buona capacita compositiva.

La particolarità degli Hydronika è sapere coniugare molto bene testi affatto comuni con un rock felicemente imbastardito con altri generi, per arrivare ad un risultato molto accattivante e piacevole. La loro padronanza tecnica certamente porta qualità e si distaccano, per questo, da molti altri gruppi sia nostrani che non. Gli Hydronika nascono nel 2004 con una formazione molto diversa da quella attuale; nel 2006, dopo una grande attività dal vivo, arrivano a pubblicare il primo disco omonimo. Nel 2009 arriva Attraverso, completamente autoprodotto e disponibile in free download dal loro sito, il che li porta a a totalizzare più di 10.000 downlaod, confermando la felicità di tale scelta. Dopo sette anni e vari problemi di formazione, i ragazzi campani sono tornati con un gran bel disco che ripaga il loro entusiasmo e che è davvero notevole. Sentire gli Hydronika potrebbe cambiare la concezione che molti hanno erroneamente del rock italiano, soprattutto per colpa di band qualitativamente scarse, sebbene di successo. Gli Hydronika fanno canzoni molto belle e piacevoli, ci si diverte a sentire questo album, ma ci si emoziona pure, e poi in più c’è una musicalità davvero notevole che lo pervade. Un disco che potrebbe essere tranquillamente tra i migliori dell’anno in campo rock, per chi ama fare classifiche, ma il consiglio è quello di ascoltare Alberi Dai Muri, perché ne vale davvero la pena e vi farà stare bene.

TRACKLIST
1.La caduta
2.Contro tempo
3.Campione
4.Essenza
5.Radio Caroline
6.Ti sento
7.Sparito
8.Occhi chiusi

LINE-UP
Filippo De Luca – basso
Vins Provvido – batteria
Mario Fava – chitarra
Umberto Lume – voce e synth

HYDRONIKA – Facebook

Into My Plastic Bones – A Symbolic Tennis Pot

Un tuffo freschissimo nelle acque del miglior indie noise rock degli anni novanta, tanto per intenderci Touch & Go et similia.

Un tuffo freschissimo nelle acque del miglior indie noise rock degli anni novanta, tanto per intenderci Touch & Go et similia.

Nati a Torino nel 2006 come trio strumentale, questi ragazzi si sono poi trasformati in una macchina di noise math e dintorni. Il loro suono è scarno, minimalista ed estremamente affascinante e tocca corde a cui non si può rimanete indifferenti. La qualità del disco è davvero alta, si sarebbe voluto ascoltare un disco così anche in anni nel quale questo genere furoreggiava nelle orecchie alternative. Gli Into My Plastic Bones esprimono una forza ed un’energia incredibili, supportate da una forza compositiva che lascia stupefatti. Tutto sembra molto semplice e nervoso, con chitarre che sgusciano creando inusitate linee melodiche con la parte ritmica. Il disco è stato registrato in presa diretta all’Oxygen Recording Studio di Verzuolo in provincia di Cuneo e poi rimasterizzato da un certo Bob Weston a Chicago, e si sente. Il disco non contiene sovraincisioni o correzioni, e la sua vera imperfezione è ulteriore motivo di bellezza.
Un disco molto bello, che risente di una certa atmosfera che sembrava ormai dimenticata, ma che può ancora regalare molte gioie se fatta nella giusta maniera.

TRACKLIST
1.Sumizome / 666
2.Overstepping bounds
3.Cheap canvas
4.Sawn
5.This endless conversation
6.Supermarket macarena
7.Flyby
8.Ngunza

INTO MY PLASTIC BONES – Facebook

Alma Irata – Deliverance

Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.

Disco assai folgorante, con un suono anni novanta davvero speciale.

Nella mia ignoranza mi ricordano i Ritmo Tribale, più grunge e con il cantato in inglese, ma con la stessa forza di impatto. Si torna positivamente indietro di venti anni con gli Alma Irata, un gruppo italiano che spicca per originalità in un momento di tanti buoni cloni. Questi romani hanno una forza ed un’impronta davvero unica. Il loro suono è potente eppure ha la capacità di sgusciare via come il migliore grunge, andando a scavarsi un proprio corso dove scorrere impetuosamente. Alle spalle hanno solamente un ep, Errore Di Sistema, coprodotto dall’italoamericano Ray Sperlonga, per poi approdare a questo disco davvero intenso e suggestivo. Gli Alma Irata ci riportano a quella dimensione di rock pesante con le canzoni composte in maniera intelligente, con vari livelli sia sonori che lirici, e con testi che parlano del nostro quotidiano inferno. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un ottimo disco e ad un gruppo che se continuerà la sua maturazione diventerà qualcosa di davvero speciale. Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.
Un disco davvero affascinante.

TRACKLIST
1.Colac
2.Minimum Wage
3.Crushed Bones
4.Between Two Lines
5.Three Steps to Evil
6.Perfect Lips
7.Viper Tongue
8.The Ship

LINE-UP
Sander – voce, chitarra
Mau – chitarra
Massi – voce, basso
Santos . batteria

ALMA IRATA – Facebook

Captain Quentin – We’re Turning Again

I Captain Quentin fanno musica con la manopola del flusso di coscienza totalmente aperta, note che fluttuano nel nostro cervello in un’inebriante doccia sonora piena di forza e di originalità.

Perché dovreste sentire un disco, o peggio, perché sprecare parte del vostro prezioso e sempre più esile tempo per ascoltare un disco ?

Dovreste proprio essere convinti e fortemente motivati. Nel disco dei Captain Quentin non vi dovreste più preoccupare del tempo, perché qui il tempo perde materialità per diventare assoluto, ovvero slegato dal tutto. I Captain Quentin fanno musica con la manopola del flusso di coscienza totalmente aperta, note che fluttuano nel nostro cervello in un’inebriante doccia sonora piena di forza e di originalità. Come nume tutelare ovviamente abbiamo il buon caro vecchio Mr. Zappa, ma qui c’è di più, c’è più melodia e naturalezza rispetto ad una nouvelle totalmente vague. In questo disco il gruppo ha fatto tutto il processo di registrazione da solo e si sente il risultato. Il mix è stato poi fatto da due membri degli Appaloosa nel loro studio di Pisa. L’album è davvero piacevole e stupisce sempre con sorprese, come il maggior uso dei sintetizzatori rispetto agli altri lavori. Gioia, passione, originalità e divertimento.
E comunque, Yoko no, sempre no.

TRACKLIST
1. Dieci minuti lunghi trenta
2. Caffè connection
3. Zewoman
4. Malmo
5. Avevo un cuore che ti amava
Franco
6. Say no no to the lady
7. Aghosto
8. Yoko, o no?

CAPTAIN QUENTIN – Facebook

Dead Behind The Scenes – Black EP

Come già scritto in occasione del primo lavoro, i Dead Behind The Scenes sono una band da seguire con molta attenzione, oltre che rappresentare uno degli esempi più fulgidi della bontà della scena alternative dello stivale.

A distanza di un anno tornano i Dead Behind The Scenes con il Black ep che segue il precedente White, uscito sempre con il supporto della Atomic Stuff.

Per chi non conoscesse la band milanese, il quintetto è dedito ad un rock alternativo ispirato da una vena progressiva (specialmente in questo capitolo) ed un impatto da punk rock band, con il singer Dave Bosetti dal particolare cantato che si avvicina a quella di Les Claypool dei Primus, ed una personalità spiccata che riesce a far risultare il gruppo sempre convincente in ognuna delle sfumature musicali che compogono il suo sound.
Il Black ep è molto più ragionato ed intimista rispetto al primo lavoro, anche il concept che si basa sulle paure ed il rifiuto di esse da parte dell’individuo, è perfettamente inserito in questo ottimo esempio di rock alternativo tragico ed oscuro, che accompagna il viaggio nei meandri dell’io.
Il risultato è convincente e la parte tooliana del sound del gruppo è chiaramente più in luce rispetto al passato, apportando una velo di sperimentazione che preclude un facile ascolto ma non per questo ne abbassa la qualit, tutt’altro.
Living On My Own cambia subito le carte in tavola rispetto all’opener Empty Skies, più progressiva rispetto all’approccio alternative /punk della seconda, ma è un attimo perché Etius e Valentine, dal tappeto di synth in stile dark wave, portano a Mr.Paranoia, capolavoro non solo di questo album ma di tutta la discografia finora prodotta dal gruppo, in un crescendo di emozioni tra Tool e Smashing Pumpkins.
Si ritorna all’alternative rock progressivo dell’opener, con la conclusiva A.T.M. (All These Memories) sunto del mood oscuro e tragico di questo lavoro, un dischetto che ipoteticamente accompagnato dal primo (lasciandoli comunque separati) formerebbe un’unica opera assolutamente interessante e fuori dagli schemi.
Come già scritto in occasione del primo lavoro, i Dead Behind The Scenes sono una band da seguire con molta attenzione, oltre che rappresentare uno degli esempi più fulgidi della bontà della scena alternative dello stivale.

TRACKLIST
1. Empty Skies
2. Living On My Own
3. Etius
4. Another Valentine
5. Mr. Paranoia
6. A.T.M. (All These Memories)

LINE-UP
Dave Bosetti – lead vocals, guitar
Marco Tedeschi – guitar
Lorenzo Di Blasi – keyboards, piano
Valerio Roman – bass
Chris Lusetti – drums, backing vocals

DEAD BEHIND THE SCENES – Facebook

Helushka – Signora Libertà

Gli Helushka sanno dove vogliono andare e rispolverano una tradizione rock che è viva nell’underground ma che non riesce a venire a galla, e proprio loro potrebbero riuscire a colmare questa lacuna.

Gli Helushka sono un gruppo di Cagliari formatosi nel 2014 e Signora Libertà è il loro esordio discografico, un singolo che precede la prossima uscita del full length Giromondo.

Gli Helushka fanno rock and roll all’italiana, con molta melodia e buone composizioni sonore. Questo singolo ci fa conoscere un gruppo che ha un suono composito e personale, un rock and roll vitaminico e con un gran lavoro di tastiere, alla ricerca di una melodia che eleva il tutto ad un buon livello. Gli Helushka sanno dove vogliono andare e rispolverano una tradizione rock che è viva nell’underground ma che non riesce a venire a galla, e proprio loro potrebbero riuscire a colmare questa lacuna. Un antipasto corposo e che promette bene.

TRACKLIST
1. Signora Llibertà

LINE-UP
Alessio Mereu – Guitars
Michele Inconi – Drums
Stefano Matta – Guitars
Annalisa Di Giacomo – Bass
Samuele Zara – Voice

HELUSHKA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=2QRq_Szdq64

The Sinatra’s – Nerves

I The Sinatra’s sono in giro dal 2005 a macinare chilometri, dischi e canzoni, e ci sono sempre, come quelle macchine che non ti abbandonano mai, e questo disco lo testimonia.

I The Sinatra’s sono un gruppo che fa musica rumorosa ed emozionante, con molte influenze dalla scena dell’alternative modern metal a stelle e strisce.

Come dice già il titolo del disco, il suono che troverete è dominato dai nervi, ma c’è anche tantissima melodia, anzi la melodia qui regna su tutto. Il suono è molto radiofonico e piacevole, i The Sinatra’s ci mettono del loro, creando atmosfere molto interessanti, facendo rumore e pesanti melodie, tenendo in primo piano l’impatto dal vivo che è notevole. I The Sinatras’s sono un gruppo che fa musica per emozionare il loro pubblico, con un’azzeccata formula in bilico fra emo, metal e la melodia italiana; sono in giro dl 2005 e sono un gruppo che macina chilometri, dischi e canzoni, e ci sono sempre, come quelle macchine che non ti abbandonano mai, e questo disco lo testimonia. Note come dolce lava, una voce che ti culla e ti sculaccia quando è il caso, ed un rifacimento in pieno stile Sinatra’s di Helter Skelter dei Beatles, con tante emozioni e divertimento da parte un gruppo che si impegna e porta sempre a casa il risultato.

TRACKLIST
01. Landscapes
02. It Came From The Sand
03. Useless Perspectives
04. Nightdrive
05. Shelter
06. Black Feeder
07. Helter Skelter
08. Mare Magnum
09. Sleeping Giant
10. For The Lost

LINE-UP
Nicola Sant’Agata – Vocals
Nelson Picone – Guitar
Gennaro “Johnny” Caserta – Drums
Orazio Costello – Bass

THE SINATRA’S – Facebook

Godzilla In The Kitchen – Godzilla In The Kitchen

I tre giovani ragazzi tedeschi si lanciano senza particolari remore in un impresa dagli esiti incerti ma dalla quale escono alla fine piuttosto bene, pur non restando immuni da qualche pecca.

I Godzilla In The Kitchen, trio proveniente dall’ex Germania Est (Jena), si propongono sulla scena con un’interessante progressive strumentale, adottando una formula connotata, di norma, da diverse controindicazioni alle quali questo album d’esordio non si sottrae.

Prendendo come spunto primario una band come i Tool (e, quindi, per proprietà transitiva, i King Crimson) i tre giovani ragazzi tedeschi si lanciano senza particolari remore in un impresa dagli esiti incerti ma dalla quale escono alla fine piuttosto bene, pur non restando immuni da qualche pecca.
La mancanza della voce come sempre presenta il conto dopo qualche decina di minuti, nel corso dei quali si ha la possibilità di apprezzare le apprezzabili intuizioni dei nostri ma che, alla lunga, creano una certa assuefazione; in aggiunta, va anche segnalata una produzione non impeccabile per quanto riguarda i suoni della batteria, a mio avviso troppo secchi ed eccessivamente in primo piano rispetto a chitarra e basso.
Cercato (e trovato) il pelo nell’uovo, la prova dei Godzilla In The Kitchen (monicker strambo ma di una certa efficacia) si rivela tutt’altro che riprovevole, tra brani brevi e quindi maggiormente concisi (Broken Dance, The Fridge, Provoking As Teenage Sex), alcuni più lunghi nei quali prendono corpo pulsioni psichedeliche (Stick To Your Daily Routine) ed altri in cui emerge in maniera ben definita una vena più robusta e dinamica (Up The River) che potrebbe essere sfruttata meglio, costituendo un discreto elemento di discontinuità rispetto a buona parte del lavoro.
La sensazione è che il terzetto abbia buone potenzialità ma sia ancora leggermente acerbo sia dal punto di vista compositivo, sia da quello esecutivo, cosicché, alla lunga, certe soluzioni tendono a ripetersi, ma evidentemente si parla di imperfezioni comprensibili in un gruppo all’esordio: buona la prima, in definitiva, per i Godzilla In The Kitchen, tenendo ben presente che si può certamente fare meglio.

Tracklist:
1.Up The River
2.Broken Dance
3.The Turn
4.Elis Speech
5.Propagation Of Violence
6.Dr.Moth
7.Stick To Your Daily Routine
8.Provoking As Teenage Sex
9.The Universe Is Yours
10.The Fridge

Line-up:
Eric Patzschke – Guitars
Felix Rambach – Drums
Simon Ulm – Bass

GODZILLA IN THE KITCHEN – Facebook

Deceit Machine – Resilience

Finalmente un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, che nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista.

Ecco ci risiamo, mi ritrovo con un’altra bomba pronta ad esplodere nei vostri padiglioni auricolari, una deflagrazione di hard rock metal, moderno e coinvolgente, cantato, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e che non presenta la minima pecca … a parte forse il fatto che il gruppo, essendo italiano, rischia sempre di non essere presentato e supportato a dovere.

Il quartetto in questione si chiama Deceit Machine, arriva da Milano ed il suo debutta si intitola Resilience.
L’album è stato registrato da Larsen Premoli presso i Rec Lab Studios e vede la partecipazione dietro alle pelli di Federico Paulovich dei Destrage.
Il gruppo viene presentato come un’alternative metal band e se, si pensa al metal classico, l ‘accostamento ci può stare, ma a sentir bene è forse più giusto descrivere il sound del gruppo nostrano come un hard rock moderno che alterna aggressione metallica e vincenti melodie rock, grazie soprattutto all’enorme potenziale della voce di Michela Di Mauro, così come deii vari brani che compongono Resilience.
Si diceva hard rock, pregno di groove, metallizzato da un lavoro chitarristico eccellente (Gabriele Ghezzi), con assoli che a tratti richiamano la scuola classica, per poi seviziarci con riff che sputano sangue americano, alternando feeling hard rock e potenti muri di suono alternative.
La sezione ritmica concede poche ma significative tregue (nell’elegante e raffinata Here Now), per poi bombardarci senza pietà e, mentre il cd gira nel lettore, siamo arrivati alla sesta traccia (la devastante Watchdog) e la qualità continua a rimanere altissima.
Resilience è, finalmente, un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, mentre nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista, virtù che piacerà non poco anche agli amanti dei suoni più classicheggianti ma con l’orecchio attento ai suoni del nuovo millennio.
Un album che raccoglie una serie di hit e li spara a cannone, mentre la Di Mauro fa scintille nella splendida Absence che, con la devastante Wonderland, fa da preludio al brano più bello di Resilience, Flow ispirata a mio avviso ai primi Soundgarden, quelli ancora selvaggi e veraci del capolavoro Louder The Love.
Dunque, che vi piaccia alternative metal o modern hard rock , poco importa, l’album è davvero bello e merita la vostra attenzione: band da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Shinigami
2. Garden
3. K.A.R.M.A.
4. Here Now
5. My Raven
6. Watchdog
7. Absence
8. Wonderland
9. Flow
10. Awakening

LINE-UP
Michela Di Mauro – Vocals
Gabriele Ghezzi – Guitar
Stefano Paolillo – Bass
Davide Ferrario – Drums

DECEIT MACHINE – Facebook

Søndag – Bright Things

I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto.

Band di Piacenza che fa un rock metal di gran lunga migliore di molti analoghi e decantati gruppi di oltreoceano.

La loro prima apparizione musicale è di quest’anno, con un omonimo ep di tre tracce, promosso dal videoclip No. Il gruppo non è debuttante, poiché è stato fondato sulle ceneri degli Edema, che avevano già una discreta esperienza. Il loro suono è molto americano, attingendo alla fonte sempre viva del metal rock, ma i Søndag dalla loro hanno una composizione superiore ed molto talento, e tutto ciò fa in maniera che il disco scorra molto bene, veloce e preciso, gustoso e pulsante. Certamente a tutto ciò ha giovato la registrazione ed il missaggio di Riccardo Demarosi, valorizzato dalla masterizzazione di Alan Douches negli States, uno che ha avuto fra le mani gruppi del calibro di Converge, Swans, Mastodon ed altri. I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto. Questo accorgimento riesce a dare un tocco decisivo, perché i Søndag portano il rock metal ad un livello più alto, ascoltare per credere.
Il gruppo piacentino mette in musica la cronaca dei giorni difficili e la voglia di vederne di più luminosi, con forza e con talento.

TRACKLIST
1. Sweet
2. Back In Town
3. Polite Rebel
4. Viper
5. Wax
6. Bright Things
7. Leftover
8. Spitfire
9. Time Has Come

LINE-UP
Marcello Lega – Guitars
Riccardo Lovati – Drums
Marco Benedetti – Guitars
Riccardo Demarosi – Voice, Bass

SONDAG – Facebook

Peak – Into Your Veins

Un album da assaporare con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

Tra la foschia notturna di una Torino grigia e malinconica nascono nel 2015 i Peak, quartetto alternative rock composto da quattro musicisti provenienti da diverse esperienze e generi musicali.

Riprendendo il titolo del loro debutto (Into Your Veins), nelle vene del gruppo scorre sangue infettato dal sound di Seattle, facendo assumere al corpo una posizione fetale, travolto da un mare di emozioni intimiste, tragiche e drammatiche.
Le scariche elettriche, a tratti rabbiose, non fanno che aumentare il senso di disagio interiore che si respira nei vari brani, facendone scaturire un’opera matura e molto personale.
Grunge e post grunge, troppo facile direte voi, ma non così scontato: il sound del gruppo si piazza perfettamente nel mezzo tra la prima ondata di gruppi partiti dalla piovosa Seattle e quella del post Kurt Cobain, con i mai troppo osannati Staind come ispirazione.
Into Your Veins vive di quelle atmosfere drammatiche e d’autore insite nella musica dei primi album di Mark Lanegan (Screaming Trees), mentre la potenza aumenta col in passare dei minuti prima del capitolo finale.
Non ci sono cali di tensione tra lo spartito dell’album e l’ alternanza tra parti intimiste e rabbiosi sfoghi alternative rock riempie di umori e colori sfocati la musica dei Peak.
Un disco molto sentito ed emozionale, con un paio di brani che il rock aggressivo rende  più agevoli all’ascolto (Fox 2: Anthem for a Doomed Youth e The Mole), ma che trova nel filone poetico e malinconico di matrice statunitense la sua massima ispirazione (A Life in a Breath e la title track).
Into Your Veins va assaporato con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

TRACKLIST
1.Siren’s Silly Prayer
2.Into Your Veins
3.Dark Hour
4.A Life in a Breath
5.Fox 2: Anthem for a Doomed Youth
6.Waiting Over
7.White Stone
8.The Mole
9.Siren’s Silly Prayer (Acoustic)

LINE-UP
Simone Careglio – Vox & Guitar
Enrico Inri Lo Brutto – Guitar
Emanuel Tschopp – Bass
Roberto Cadoni – Drums

PEAK – Facebook
URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Joe Robazza – Stellarly

Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente.

Primo passo solista per Joe Robazza, chitarrista degli SpiritRow, alle prese con quello che egli stesso definisce “rock filosofico”.

Appiccicare certe etichette, invero un po’ pretenziose, alle proprie opere può rivelarsi un boomerang, e questo è un rischio che il buon Joe corre seriamente, visto che, al di là del condivisibile intento di affrontare tematiche decisamente impegnative, il risultato finale non è del tutto convincente.
Stellarly è un breve Ep nel quale il musicista veneto prova a riversare tutte le influenze musicali di cui si è abbeverato nel corso della sua carriera e, fondamentalmente, uno dei problemi è proprio questa sua voglia di volerle condensare in poco più di un quarto d’ora.
Se Perfect Evolution si dimostra un brano piuttosto riuscito e sufficientemente lineare, pur nella sua variabilità, nelle tracce successive il sound sembra progressivamente sfilacciarsi, con l’aggravante di una prestazione vocale che lascia diverse perplessità nelle parti che vorrebbero essere più evocative (molto meglio, invece, quando la timbrica di Robazza si fa più aggressiva).
Il rock/metal alternativo contenuto in Stellarly si dirama verso molteplici direzioni ma senza dare mai la sensazione di essere frutto di un “caos organizzato”: il lavoro così vive di buoni spunti, rinvenibili in certi passaggi dal sapore orientaleggiante (che andrebbero maggiormente sfruttati vista l’abilità esecutiva del chitarrista) capaci di rendere efficaci anche alcuni momenti della conclusiva Cold Disaster. Anche la title track si avvale una buona linea melodica nel suo finale ma, come detto, l’ep si muove a strappi, mostrando momenti piuttosto opachi come il nu metal simil-Korn di And Believe, che risulta particolarmente indigesto.
Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente: per il futuro sarebbero auspicabili scelte differenti per le parti vocali ed uno sviluppo più organico dal punto di vista compositivo, perché sull’aspetto prettamente strumentale c’è poco o nulla da eccepire.
Il giudizio è pertanto interlocutorio, in attesa di future evoluzioni.

Tracklist:
1.Perfect Evolution
2.Stellarly
3.And Believe
4.Cold Disaster

JOE ROBAZZA – Facebook

Whores. – Gold.

Una botta spaventosa da parte una band che potrebbe ritagliarsi fin d’ora uno spazio davvero importante.

Se non hai nelle tue corde l’ispirazione per produrre qualcosa di veramente innovativo (cosa che capita comunque di rado), hai perlomeno l’obbligo morale di mettere tutta l’intensità possibile nella musica che proponi.

Quanto sopra è ciò che accade ad una band come gli statunitensi Whores., i quali si lanciano con un approccio rabbioso e in maniera spasmodica in una corsa che rade al suolo tutto ciò che incontra.
La band di Atlanta è al proprio full length d’esordio, che arriva dopo alcuni ep, senza aver omesso di mettere in cascina il fieno rappresentato da una consistente attività live, con la possibilità di condividere il palco con i migliori gruppi della scena rock/noise a stelle e strisce.
Il risultato è tangibile: Gold. è un album che deflagra senza perdersi in troppi preamboli e, anche se supera di poco la mezz’ora di durata, il suo minutaggio ridotto basta ed avanza, visto che una tale intensità sarebbe persino difficile da sostenere più a lungo.
Punk, rock, noise e, in misura inferiore, sludge, confluiscono in un unico condotto sotto forma di rumore fragoroso che, quando fuoriesce, si trasforma assumendo una sembianza musicale ugualmente godibile e sempre contraddistinta da un filo conduttore ben delineato.
Proprio qui sta il bello: anche se i georgiani sembrerebbero farsi trascinare, a prima vista, da un istinto animalesco, in realtà il frutto del loro impegno è una decina di brani ben ponderati e costruiti con sagacia, tra i quali la noia non fa capolino neppure per un attimo. Ghost Trash, Of Course You Do e I See You Also Wearing A Black Shirt sono alcuni tra gli ordigni più efficaci scagliati sulla folla dalle “puttane” di Atlanta.
Una botta spaventosa da parte una band che potrebbe ritagliarsi fin d’ora uno spazio davvero importante.

Tracklist:
1.Playing Poor
2.Baby Teeth
3.Participation Trophy
4.Mental Illness As Mating Ritual
5.Ghost Trash
6.Charlie Chaplin Routine
7.Of Course You Do
8.I See You Also Wearing A Black Shirt
9.Bloody Like The Day You Were Born
10.I Have A Prepared Statement

Line-up:
Christian Lembach – Vocals, guitar
Casey Maxwell – Bass
Donnie Adkinson – Drums

WHORES. – Facebook

Dool – Oweynagat

Non resta che attendere i Dool alla prima prova su lunga distanza: le premesse fanno presagire qualcosa di speciale.

A forza di parlare bene di tutto quanto viene sfornato con il marchio Prophecy, qualcuno potrà pensare persino che io sia al soldo del mio quasi omonimo Stefan.

In realtà, l’unico beneficio non da poco che ne traggo (e con me tutti gli appassionati di musica) è quello di imbattermi in album eccellenti da parte di realtà consolidate, oppure avere la possibilità di scoprire novità fresche e sfolgoranti come questi Dool.
Trattasi di un quintetto proveniente da Rotterdam, nel quale sono confluiti diversi musicisti già discretamente noti nella scena rock/metal dei Paesi Bassi, come la cantante Ryanne Van Dorst (Elle Bandita), il batterista Micha Haring ed il bassista Jacob Van De Zande (The Devil’s Blood) ed i chitarristi Reinier Vermeulen (The New Media) e Nick Polak (Gold).
Oweynagat è un singolo che prepara il terreno al full length programmato per l’inizio del 2017, ma basta ed avanza per far drizzare le antenne agli ascoltatori più attenti: infatti il brano, che spazia dal punk rock di cui la vocalist è portatrice, fino alla darkwave e all’alternative metal, si rivela davvero brillante per intensità e melodia, e l’interpretazione convincente della Van Dorst è supportata da un gran lavoro della band, che trova finalizzazione nello splendido crescendo chitarristico finale. Ma non finisce qui: la canzone viene riproposta subito dopo in una versione acustica (con il sottotitolo Inside The Cave Of The Cat), riuscendo ad apparire persino superiore a quella originale: le atmosfere rarefatte, un’altra prova vocale vocale magnifica ed un arrangiamento di rara eleganza spiazzano, meravigliano ed inquietano allo stesso tempo.
Non resta che attendere i Dool alla prima prova su lunga distanza: le premesse fanno presagire qualcosa di speciale.

Tracklist:
1. Oweynagat
2. Oweynagat – Inside The Cave Of The Cat

Line-up:
Ryanne van Dorst – vocals
Micha Haring – drums
Job van de Zande – bass
Reinier Vermeulen – guitar
Nick Polak – guitar

DOOL – Facebook

Blind Marmots – Spore

Una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno.

Ritroviamo i padovani Blind Marmots due anni dopo l‘ep d’esordio autointitolato: questo nuovo Spore è di poco più lungo ed arriva dopo diversi cambi di formazione che, alla fine, paiono aver dato dei buoni risultati.

La band fagocita, rumina e restituisce (meglio non sapere attraverso quale orifizio) svariate influenze che fanno capo al rock e al metal alternativo, lasciando sul terreno un melting pot di stoner, sludge, grunge, funky, psichedelia, che si rivela piuttosto organizzato nonostante l’ approccio scanzonato alla materia possa far temere, in prima battuta, il contrario.
Ne deriva così una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno: i Blind Marmots manifestano apertamente il proprio atteggiamento ironico e pungente (in questo vedo una certa similitudine con gli alassini Carcharodon), a partire da testi che ci portano a spasso tra maniaci incendiari, marmotte, topolini, sbronze e conseguenti minzioni, ma ciò non impedisce loro di fare molto sul serio a livello musicale, visto che la mezz’oretta scarsa che ci vene offerta riesce a lasciare il segno specialmente nei primi tre brani, davvero eccellenti nella loro spontanea robustezza e molto più diretti rispetto a restanti, pervasi invece da un più accentuato mood psichedelico
Il potenziale per emergere c’è tutto, ma è chiaro quanto non sia semplice in un settore piuttosto frequentato e nel quale, al di là dello spingere in una direzione musicale piuttosto che in un’altra, il rischio è quello di restare confinati allo status di band divertente (e non c’è dubbio alcuno che il quartetto padovano lo sia), specie dal vivo.
Ma, immaginando che quest’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, sia una delle priorità per i Blind Marmots, in attesa di risentirli all’opera magari su lunga distanza, non resta che unirci alla loro invocazione: Dio salvi la marmotta!

Tracklist:
1. Pyromaniac
2. God Save The Marmot
3. Mice In The Attic
4. The Hangover
5. Pissing
6. Storm

Line-up:
Carlo Titti – Lead Guitar
Ale “Teuvo” – Voice
Luca Cammariere – Drums
Pietro Gori – Bass

BLIND MARMOTS – Facebook

Killin’ Baudelaire – It Tastes Like Sugar

Ora sta a voi lasciarvi ammaliare musicalmente dalle Killin’ Baudelaire, aspettando nuovi sviluppi e godendovi questo ottimo It Tastes Like Sugar.

Quattro brani bastano per entrare nei cuori dei giovani ascoltatori cresciuti ad alternative rock ?
Ascoltando questo primo ep delle Killin’ Baudelaire direi di si.

Le quattro bellissime (ma non solo) musiciste, debuttano con addosso gli occhi puntati degli addetti ai lavori: il loro It Tastes Like Sugar sta creando molte aspettative, assolutamente ben riposte visto il potenziale altissimo dei brani racchiusi nell’ep.
Prodotta da Titta Morganti, la band si destreggia tra la materia alternative con ottima padronanza del sound ed un buon uso dei ferri del mestiere: è un rock che non manca di graffiare, partendo da lontano e assumendo l’indole stradaiola infarcita di soluzione metalliche, ma nel suo viaggio lungo il nuovo millennio si riveste di soluzioni alternative, rendendosi appetibile a più palati, ed esaltandosi con melodie catchy, refrain ruffiani e tanto appeal.
In verità le tracce inedite sono tre (Summertime Sadness è la cover di un brano di Lana Del Rey) e letteralmente fanno faville con chorus perfettamente incastonati nel rock che si incendia di liquido metallico, ritmi che lasciano al groove il comando delle operazioni e chitarre che non lasciano dubbi sulla voglia di lasciare il segno del quartetto.
Aggiungete un monicker originale, un titolo che lascia alla fantasia di ognuno di noi la giusta interpretazione su un argomento delicato come l’amore (“è‘ un gioco di parole che lega immediatamente all’immagine, ma che secondariamente vuole riferirsi al concetto dell’Amore. Un Amore che si supponga sappia di zucchero, ma che come ogni umana manifestazione, possiede anche un lato oscuro…”), ed il gioco è fatto.
Ora sta a voi lasciarvi ammaliare (musicalmente) dalle Killin’ Baudelaire, aspettando nuovi sviluppi e godendovi questo ottimo It Tastes Like Sugar.

TRACKLIST
1. Wasted
2. The Way She Wants
3. Summertime Sadness (Lana Del Rey Cover)
4. Riddle

LINE-UP
Gloria Signoria – Vocals and Bass
Martina Nixe Riva – Guitar
Francesca Bernasconi – Guitar
Martina Cleo Ungarelli – Drums and Vocals

KILLIN’ BAUDELAIRE – Facebook