Ghost Season – Like Stars In The Neon Sky

Debutto per i greci Ghost Season, band alternative sulla scia degli dei americani Alter Bridge, con Like Stars In The Neon Sky che risulta un buon ascolto in grado di ritagliarsi uno spazio nei cuori dei fans dell’hard rock moderno.

I Ghost Season sono un quartetto greco nato solo tre anni fa, autore del classico ep di rodaggio che ha portato il gruppo alla firma con Pavement Entertainment ed alla realizzazione di Like Stars In The Neon Sky, full length che darà sicuramente ottimi riscontri al gruppo ateniese, vista l’ottimo amalgama tra alternative metal e rock, un buon uso di groove nelle ritmiche e tanta ispirazione presa dagli dei del genere, gli Alter Bridge.

Da qui si parte con la consapevolezza che la band non ha nulla di originale, il loro rock/metal americano è figlio del post grunge con le chitarre che tagliano l’aria intorno a noi a colpi di solos metallici, le voci che non si spostano di un millimetro dallo stile di Myles Kennedy e, in generale, l’atmosfera che rimane melanconicamente ribelle, triste ed intimista come il grunge ha insegnato per tutti gli anni novanta.
Detto questo, l’album ha dalla sua una serie di buone canzoni, che poi è quello che a noi interessa, e la band sa dove andare a parare per piacere, facendolo con una buona dose di furbizia.
Il singolo Fade Away, Break My Chains e Vampire, brano che sembra uscito dalla colonna sonora di Twilight (la famosa trilogia sui vampiri adolescenti tratta dai romanzi di Stephenie Meyer) entrano nella testa al primo passaggio, tutto è perfettamente studiato per provare a mettere un piede più avanti rispetto alla scena underground e non è detto che il gruppo di Atene non ci riesca, con queste premesse.

TRACKLIST
1. The Reckoning
2. Sons Of Yesterday
3. Fade Away
4. Break My Chains
5. War Of Voices
6. The Highway Part I
7. The Highway Part II
8. Just A Lie
9. The Vampire
10. The Mirror
11. Of Hearts And Shadows
12. Break Me Shake Me (Bonus Track)

LINE-UP
Hercules Zotos – Vocals
Nick Christolis – Guitars/vocals
Dorian Gates – Bass/vocals
Helen Nota – Drums

GHOST SEASON – Facebook

Methane – The Devil’s Own

Southern metal ad alto volume, alcool e perdizione, cosa volere di più ?

Esordio sulla lunga distanza al fulmicotone per questo gruppo svedese devoto al southern metal e al metallo pulsante in generale.

Devil’s Own è un trionfo di chitarre distorte alla Pantera, incedere metallico e gran divertimento. Non parlo di Black Label Society ma di cose molto più divertenti e coinvolgenti. Nulla è statico in questo disco e tutto gira intorno al suono del diavolo. La voce è abrasiva e ci introduce in un girone infernale di sbronze cattive e sonno discinte che ci portano ancora più in basso nella scala della nostra perdizione. Il metal dei Methane è davvero notevole, con un groove dall’uncino notevole e il disco resiste molto bene ad ascolti ripetuti, anzi più lo si ascolta e maggiore è il piacere. Era da tempo che non usciva un disco così bello e ben prodotto di southern metal. Questo sottogenere del metal è una bestia che è sempre più difficile da gustare selvatica, ci sono alcuni esemplari in cattività ma non valgono nulla. Invece i Methane sono selvatici e vanno ad alta velocità senza risparmiare nulla, e la loro intensità e passione metallica è di gran livello. Gli svedesi riescono a creare un disco potente e mai ripetitivo, giocando molto bene con i codici e gli stilemi del southern metal. Alto volume, alcool e perdizione, cosa volere di più ?

TRACKLIST
1. The Devil’s Own
2. Scars and Bars
3. Blood Sweat and Beer
4. Pray for Death
5. Stone Garden
6. Spit on Your Grave
7. 72
8. Peel Off the Skin
9. Hang Me High

LINE-UP
Tim Scott – Bass, Vocals
Jimi Masterbo – Lead Guitar
Dylan Campbell – Guitar
Andreas Strom – Drums

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Skallbank – The Singles

Una band con un sound che potenzialmente può fare danni e vedremo gli sviluppi futuri: un full length di qualità simile c’è solo da augurarselo.

Rock ‘n’ Roll made in Sweden, devastante, veloce ed irresistibile e per renderlo ancora più arrembante e arrabbiato, scream e growl si danno il cambio per vomitarci addosso una sequela di belligeranti inni del rock’ n’ roll style.

Il gruppo in questione si chiama Skallbank, è nato a Karlstad nel 2014 e questo ep è la raccolta dei singoli usciti in questi anni.
Quasi tutti i testi sono in lingua madre, il rumore è assicurato a colpi di hard rock, street, melodic death metal e il tutto funziona alla grandissima, sotto cascate di birra e watts.
Basta immaginarsi i Backyard Babies e gli Hardcore Superstar che se la fanno con i Sentenced di Down, e si avrà un’idea del massacro sonoro di cui sono capaci questi cinque svedesi dalla lattina facile ma dai riff impetuosi, nella più pura tradizione scandinava.
I brani, in effetti, sono cinque potenziali hit, dall’opener Falsarium, al riff che sa tanto di primi 69 Eyes e su cui è strutturata Halvmånar och träpinnar, mentre Dödens ord accenna un arpeggio acustico per esplodere in un refrain dall’appeal irresistibile.
Gli ultimi due brani (Sagor är för barn e Lättstöttare kan ingen vara) continuano a dispensare death ‘n’ roll dalla presa immediata, tracce costruite per far male e non lasciare di certo indifferenti i rockers dai gusti selvaggi e distruttivi .
Una band con un sound che potenzialmente può fare danni e vedremo gli sviluppi futuri: un full length di qualità simile c’è solo da augurarselo.

TRACKLIST
01 – Falsarium
02 – Halvmånar och träpinnar
03 – Dödens ord
04 – Sagor är för barn
05 – Lättstöttare kan ingen vara

LINE-UP
Tömte – Vocals
Rickard – Lead guitar
Mats – Guitar
Jonzon – Bass
Jocke – Drums

SKALLBANK – Facebook

Dead & Breakfast – Rebirth

Una versione più hard rock oriented dei classici Misfits con qualche spunto più moderno alla Murderdolls, per gli amanti del genere una vera ed insana goduria.

I Dead & Breakfast sono un trio di Lodi e suonano hard rock/ horror punk, sono arrivati al quarto album e quest’anno festeggiano il decimo anniversario della nascita (o della morte, fate voi).

Il loro sound si sviluppa lungo un hard rock dall’urgenza punk, di fatto ispirato dalle band horror punk americane, dunque maltrattato da uno spirito rock’n’roll che non manca certo al gruppo nostrano.
Pachu (basso e voce), Gigio (chitarra e voce) e Piffy (batteria) formano questo gruppo di cacciatori di zombie e anime della notte, in un continuo e potente Helloween party che accompagna le atmosfere di questo ultimo lavoro intitolato Rebirth.
Non si arriva alla mezz’ora, ma il tutto viene sintetizzato con una grinta ed una carica notevoli, e già dall’iniziale The Devil Inside la tensione comincia a salire, mentre brani più orientati all’hard rock come Nightmare si danno il cambio con sferzate punk rock, come Dead & Breakfast.
Timmy è il brano più ispirato di Rebirth, un mid tempo solcato dal groove, atmosfericamente dark rock e con un solo che spezza in due tombe e lapidi con forza metallica.
Il finale è lasciato alla coppia di brani ispirati al rock più moderno, il groove diventa protagonista nelle ritmiche di Inch By Inch e della title track, concludendo l’album con una passeggiata nell’hard rock più sanguigno.
Una botta di adrenalina niente male questo Dead & Breakfast, con il gruppo che risulta una versione più hard rock oriented dei classici Misfits con qualche spunto più moderno alla Murderdolls: per gli amanti del genere una vera ed insana goduria.

TRACKLIST
1. The Devil Inside
2. Nightmare
3. Tarantula
4. Timmy
5. Dead & Breakfast
6. Inch By Inch
7. Rebirth

LINE-UP
Pachu – Vocals / Bass
Gigio – Guitar / Vocals
Piffy – Drums

DEAD AND BREAKFAST – Facebook

Full Leather Jackets – Forgiveness Sould Out

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.

Una bomba questo Forgiveness Sold Out, debutto dei veneti Full Leather Jackets, che colpiscono il bersaglio con un concentrato di hard & heavy tripallico irrobustito da veloci ripartenze thrash metal, il tutto eseguito con ottima perizia tecnica e un impatto roccioso venato da atmosfere che a tratti si fanno gloriosamente epiche.

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Ed in effetti Forgiveness Sold Out è composto da nove schiaffi metallici, tra mid tempo potentissimi come la spettacolare Steel Pirates, brani che bombardano con una serie infinita di riff scolpiti nelle tavole della legge del metal e valorizzate da un cantante, Giovanni Svaluto, con la personalità di un veterano, potente, teatrale ed epico, in poche parole un guerriero metallico.
Lo accompagnano in questa avventura targata Full Leather Jackets, Ivan Tabacchi (chitarra), Giovanni Stefani (basso) e Matteo Panciera (batteria), formando un quartetto di devastatori di padiglioni auricolari a colpi di hard rock, heavy metal e thrash.
Il bello del sound forgiato dal quartetto sta nel mantenere i piedi ben saldi nel metal classico con i riferimenti che vanno dai Judas Priest agli Iron Maiden, dai Metallica (specialmente nella ballad No Way Out), senza rinunciare ad un tocco moderno, tradotto in groove da parte di una sezione ritmica solida come l’acciaio, che dà all’album quel pizzico di originalità che ne fa un gioiellino.
Russian Roulette, Murder In The First e White Robes concludono l’album con una ventina di minuti esaltanti che hanno nel thrash alla Testament della seconda l’apice distruttivo di Forgiveness Sould Out.
Se volete della musica che vi carichi prima di andare a procurar battaglia, quest’album dei Full Leather Jackets è sicuramente una potentissima botta d’adrenalina, provare per credere.

TRACKLIST
1.Purple Mud
2.Son of Morning Star
3.The Outcast
4.Steel Pirates
5.Mr Revenge
6.No Way Out
7.Russian Roulette
8.Murder in the First
9.White Robes

LINE-UP
Giovanni Svaluto – Guitar, Vocal
Ivan Tabacchi – Guitars
Giovanni Stefani – Bass
Matteo Panciera – Drums

FULL LEATHER JACKETS – Facebook

15 Freaks – Stuntman

Le intenzioni del gruppo sono quella di divertirsi e far divertire e con questi cinque brani che compongono Stuntman, la missione è compiuta.

Torna a proporci interessante musica hard rock la label portoghese Ethereal Sound Works con il quintetto dei 15 Freaks, autori di un hard & heavy sufficientemente trascinante per non passare inosservato se amate il rock dal taglio metallico.

Il vocione alla Blaze Bayley nel sound proposto ci sta che è un piacere, le ritmiche non disdegnano dosi di corroborante groove, tanto per rendere la proposta in linea con le nuove tendenze, il tutto al servizio di una manciata di canzoni che si fanno apprezzare, oneste, ben prodotte e con quell’animo stradaiolo che ne fanno un ascolto perfetto quando si accende il cuore pulsante del vostro bolide e vi volete scrollare di dosso le menate della noiosa vita di tutti i giorni.
La band di Sintra apre le danze con il brano che porta il nome del gruppo: uno, due e tre e veniamo sparati nel mondo dei 15 Freaks, con il rock’n’roll che fa da Caronte alla musica del gruppo che, quando dà gas viaggia a mille tra solos metallici e tanta attitudine, con Crazy Randy e Stallion a ribadire le intenzioni del gruppo, divertirsi e far divertire, mentre in un attimo le curve cominciano a farsi difficoltose, l’attenzione cresce e Stuntman irrompe, adrenalinica, assolutamente rock ‘n ‘ roll, tra Motorhead, Aerosmith ed irriverenti sfumature punk rock.
La conclusiva Time Flies è un hard rock discretamente trascinante, con una serie di buoni interventi chitarristici ed un chorus che riporta il sound sulle coordinate stilistiche del genere, mettendo la parola fine a questo primo sussulto del gruppo portoghese, che non si rivelerà l’ultima frontiera del rock, ma che sa come farci muovere i muscoli.

TRACKLIST
1.15 Freaks
2.Crazy Randy
3.Stallion
4.Stuntman
5.Time Flies

LINE-UP
Rui Abrantes – Bass
Carlos Matos – Drums
Alex Duarte – Vocals
Mário Figueira – Guitars
João Abrantes – Guitars

15 FREAKS – Facebook

Rainforce – Lion’s Den

Lion’s Den è il debutto per i Rainforce, quindi perdoniamo qualche passaggio a vuoto e promuoviamo il gruppo, che in futuro potrà solo migliorare partendo dalle cose buone che, fortunatamente, non sono poche.

Arrivano al debutto i rockers svizzeri Rainforce e lo fanno con un concentrato di nitroglicerina hard rock dal titolo Lion’s Den.

La band fondata dal chitarrista Andy La Morte vede Matt Brand al basso, Benjamin Mann alle pelli, il singer Jordan Cutajar più vari ospiti, tra cui Kevin Wright ex Jacob’s Dream.
La proposta del gruppo è un hard rock di matrice centro europea, del resto i Rainforce appartengono a tale area geografica e non fanno niente per nasconderlo, neppure nel sound che richiama lo stile degli storici Krokus, un ‘icona dell’hard rock aldilà delle Alpi.
Dunque, Lion’s Den mantiene quello che promette un album di genere: ritmiche hard & heavy, voce al vetriolo, chorus da cantare come se non ci fosse un domani sotto ad un palco (anche se a tratti risultano leggermente forzati) e solos di estrazione heavy ottantiana che può portare al gruppo qualche fan dai gusti metallici in più.
Niente di più classico che farsi sballottare dalle grintose My Rock e Feed Me (I’m Hungry), mentre la title track lascia qualche dubbio con il suo refrain ripetuto all’infinito.
L’album scorre così tra alti (la bluesy New Jerusalem) e bassi (lo strumentale Speechless), mentre Desert Sand è il classico brano anni ottanta tra Ac/Dc, Krokus ed arena rock, e The Gods Have Failed ha un andamento riscontrabile nel rock di fine anni settanta; proprio l’alternarsi tra brani riusciti ed altri meno convincenti porta ad usare il tasto numerico del vostro lettore più volte.
Lion’s Den è comunque il debutto per i Rainforce, quindi perdoniamo qualche passaggio a vuoto e promuoviamo il gruppo, che in futuro potrà solo migliorare partendo dalle cose buone che, fortunatamente, non sono poche.

TRACKLIST
01. Lion’s Den (with Philipp Rölli)
02. My Rock (with Rex D. Scott)
03. Feed Me (I’m Hungry)
04. I Am Yours (with Rex Carroll)
05. Speechless (with Philipp Rölli)
06. New Jerusalem (with Hämu Plüss)
07. Desert Sand (with Jim LaVerde)
08. The Gods Have Failed (with Philippe “The Greis” Kreis)
09. He Came To Set The Captives Free (with Oliver Schneider & Philipp Rölli)
10. Shine A Light (with Kevin Wright & Philipp Rölli)

LINE-UP
Jordan Cutajar – lead vocals
Andy La Morte – guitars
Matt Brand – bass
Benjamin Mann – drums

RAINFORCE – Facebook

Duel – Witchbanger

Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili.

Tornano i texani Duel, uno dei migliori gruppi di rock doom occulto che ci siano in circolazione.

Il loro suono è un affascinante rielaborazione di quel suono anni settanta tra hard rock e doom, aggiungendoci molto di personale. I Duel catturano l’ascoltatore con un impasto sonoro ben composto, con la giusta miscela di durezza e melodia. Nella composizione del disco i texani non fanno giustamente eccedere nessuna componente, anzi lasciano il giusto spazio a tutto, lavorando come un vero collettivo sonoro, ed il risultato è eccellente. Il gruppo può annoverare un fedele e numeroso seguito, coltivato sia grazie ai dischi che con i loro concerti. Certamente gli anni settanta fanno la parte del leone in questo suono, ma vi sono anche apprezzabili elementi moderni. I Duel vi avvicinano con il loro suono sinuoso e sensuale, per portarvi in una dimensione magica e occulta, perché qui si parla anche di questo, e siamo in un universo ben diverso dal nostro. Qui il piacere scorre benigno, attraverso riff di chitarra ed accelerazioni sinceramente seventies che sembravano essere ormai perdute nell’orgia musicale odierna. Ascoltando Witchbanger si potrà tornare integralmente tornare indietro nel tempo, o anche solo vivere una grande esperienza sonora, degustando un hard rock puro, con melodie incredibili. Rimane notevole il fatto che questo sia solo il secondo disco del gruppo, anche se non si tratta certo di musicisti esordienti, dato che due membri erano negli Scorpion Child. Occultismo, sangue, e tanto hard rock puro e senza compromessi. Gran disco.

TRACKLIST
1.Devil
2.Witchbanger
3.The Snake Queen
4.Astro Gypsy
5.Heart Of The Sun
6.Bed Of Nails
7.Cat’s Eye
8.Tigers And Rainbows

LINE-UP
Tom Frank – guitar,vocals
Shaun Avants – bass, vocals
JD Shadowz – drums
Jeff Henson – guitar

DUEL – Facebook

Viana – Viana

Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico.

Lo scorso anno la mia passione per l’hard rock melodico aveva trovato il suo sfogo nel bellissimo album omonimo degli Shining Line: un album che risplendeva di quelle melodie figlie degli anni ottanta e di quel modo di suonare rock che, tra tutti i generi di cui si occupa una webzine rock/metal è di solito il meno curato, specialmente se non si è una realtà dedicata.

Il 2017 non è ancora arrivato alla metà che la Street Symphonies ci regala un altro gioiello melodico, un album che è pura eleganza hard rock tra giochi di tastiere e chorus da arena rock, chitarre finemente metalliche e tanto talento.
Stefano Viana è un chitarrista nostrano, appassionato di hard rock ed heavy metal classico e con un amore smisurato per Randy Rhodes, il che lo porta a dedicarsi anche al lavoro in studio.
L’incontro con Alessandro Del Vecchio, guru del genere nel nostro paese e non solo, lo spinge a comporre il suo primo album solista nel 2009, aiutato da una manciata di musicisti della scena; motivi personali fermano purtroppo il musicista che può riprendere i lavori solo lo scorso anno, così che Viana può finalmente vedere la luce.
Sempre con l’aiuto di Del Vecchio in veste di cantante e co-produttore, Francesco Marras alla chitarra, Anna Portalupi al basso, Alessandro Mori alla batteria, Gabriele Gozzi alle backing vocals e Pasquale India alle tastiere, il chitarrista corona dunque il sogno di pubblicare il disco autontitolato, sicuramente sofferto, ma bellissimo esempio di AOR composto da un lotto di brani che, in altri tempi, sarebbero volati nelle classifiche di settore o cantati dal pubblico nelle serate live, in arene luccicanti di quel rock che fa ancora rabbrividire di emozioni.
Un confetto questo album, ricco di solos luccicanti, di una performance di Del Vecchio da brividi, di chitarre che nelle ritmiche non si fanno pregare e graffiano da par loro, e di sontuose tastiere che aprono arcobaleni su cui passeggiare ascoltando una serie di melodie vincenti: si parte dall’opener Straight Between Our Hearts, passando per Feel Your Love Tonight, l’aggressiva Night Of Fire dai rimandi dell’epoca americana di un Coverdale ringiovanito dalla cura losangelina, fino alle bellissima Living in A Lie e dai ritmi Open Road.
Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico, fatelo vostro e scioglietevi.

TRACKLIST
1. Straight Between Our Hearts
2. Bad Signs
3. Feel Your Love Tonight
4. Night Of Fire
5. Follow The Dawn
6. A New Love
7. Living A Lie
8. Just To Sing
9. Open Road
10. That Place Is You

LINE-UP
Stefano Viana – Guitars
Alessandro Del Vecchio – Vocals
Francesco Marras – Guitars
Anna Portalupi – Bass
Alessandro Mori – Drums
Gabriele Gozzi – B. Vocals
Pasquale India – Keyboards

VIANA – Facebook

Groupie High School – …Ladies & Gentlemen

…Ladies & Gentlemen ci presenta gli sleazy glam rockers Groupie High School, una band pronta per l’importante passo del full length che sicuramente non tarderà, sotto l’ala della Atomic Stuff.

La Scandinavia non è solo terra di metal estremo ma in essa prospera anche una radicata scena hard rock.

Da un po’ di anni pure i suoni sleazy e street vi hanno trovato la tana per leccarsi le ferite dopo gli anni di autodistruzione del periodo ottantiano, con la Finlandia che è entrata prepotentemente in gioco con una serie di band tra le quali questi Groupie High School sono uno dei più esplosivi esempi.
La Atomic Stuff, label nostrana dal gran fiuto quando si parla di queste sonorità, non se li è fatta scappare ed ora …Ladies & Gentlemen, secondo ep autoprodotto, ci viene proposto in tutta la sua esplosiva carica rock ‘n’ roll, o come lo volete chiamare, un’irresistibile scarica elettrica di sleazy, street, glam metal irriverente, a suo modo ignorantissimo e dalla carica sessuale di un toro da monta.
Sei brani più un’intro recitata, una ventina di minuti abbondanti in balia delle note infuocate sul Sunset Boulevard, un missile sparato tra le chiappe dei benpensanti al ritmo indiavolato di un party losangelino.
E mentre gentili donzelle godono lascive sotto i colpi dell’ ambigua Chick With The Flips, il metal sporcato dalla polvere della strada di Liquid Lunch ci porta sotto un palco di un qualsiasi locale, perso nella notte, mentre i gruppi storici che hanno fatto la storia della scena vengono passati in rassegna con le note ruffiane della ballad Hard To Breathe, scontata quanto si vuole ma perfetta per sciogliere le ultime resistenze della signorina bionda inquadrata a lato palco.
L’attitudine c’è, la voglia di sfondare pure, il talento tutto scandinavo per queste sonorità non manca di certo, confermato dall’irresistibile This Is How We Say Goodbye, brano che si prende lo scettro di top song dell’ep, dal piglio punk, robusta ed aggressiva il giusto per sfondare crani in sede live, mentre un piano indiavolato in sottofondo tiene il brano ancorato al rock’n’roll.
Navy Blue ha un approccio molto vicino all’hard rock melodico e conclude con un tocco raffinato: …Ladies & Gentlemen, album che ci presenta una band pronta per l’importante passo del full length che sicuramente non tarderà.

TRACKLIST
01. Ladies & Gentlemen (Intro By Bruce Buffer)
02. Chicks With The Flips
03. Liquid Lunch
04. My Medicine Woman
05. Hard To Breathe
06. This Is How We Say Goodbye
07. Navy Blue (Bonus Track)

LINE-UP
Vinny Olavi – Vocals
Matt Nitro – Guitars
Smippe Youngblood – Guitars
Jay Mickey – Drums
Wegster – Bass

GROUPIE HIGH SCHOOL – Facebook

Spitefuel – Sleeping With Wolves

Primo singolo per i tedeschi Spitfuel: le premesse ci sono tutte, le potenzialità pure, non ci resta che aspettare fiduciosi consigliando l’ascolto agli amanti del rock duro vecchia scuola.

Una nuova band si affaccia sul panorama hard rock europeo, in particolare quello tedesco da sempre sensibile ai suoni rock ipervitaminizzati.

Gli Spitefuel, quintetto formato per tre quinti da ex componenti degli Strangelet, debuttano per la MDD con questo singolo composto dal brano Sleeping With The Wolf, un agguerrito hard rock che pesca tanto dalla tradizione europea quanto da quella statunitense, con tanto di teschio e cilindro alla Slash che fa da mascotte al gruppo di
Heilbronn, ed altre due tracce, la massiccia e ruvida Never Surrender e la versione orchestrale di Sleeping With The Wolf arrangiata da Arkadius Antonik (SuidAkra, Realms Of Odoric).
Che dire se non benvenuti a questi rockers tedeschi? I due brani intrigano parecchio, l’ approccio è diretto, e lasciando al loro destino le orchestrazioni del terzo brano che tanto sa di riempitivo, ci consegnano una nuova band che sa il fatto suo e che potrebbe riservare delle gradite sorprese al prossimo eventuale debutto sulla lunga distanza.
Le premesse ci sono tutte, le potenzialità pure, non ci resta che aspettare fiduciosi, e consigliare l’ascolto agli amanti del rock duro vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Sleeping With Wolves
2. Never Surrender (Re-recorded)
3. Sleeping With Wolves (Orchestral)

LINE-UP
Stefan Zörner – Vocals
Tobias Eurich – Guitar
Timo Pflüger – Guitar
Finn Janetzky – Bass
Björn-Philipp Hessemüller – Drums

SPITEFUEL – Facebook

Captain Crimson – Remind

La scuola hard rock scandinava dona ai suoi ammiratori un altro gruppo da venerare: Remind, uscito nel 2016, si può certamente considerare come uno dei lavori più riusciti arrivati alla base negli ultimi mesi.

Per molti il ritorno in auge dei suoni vintage è quanto di più obsoleto e privo di originalità possa esistere nel mondo del metal e del rock, ma per una grossa fetta di consumatori abituali di musica le varie scene, oggi, godono di una tradizione old school che mantiene vivo il legame tra la musica del vecchio millennio e le nuove sonorità (che poi tanto nuove non sono) degli anni duemila.

Nell’hard rock classico non è una novità, il genere è tra tutti quello più legato ai suoni dei mostri che incendiarono gli anni settanta e la Scandinavia da questo lato fa la voce grossa, prendendosi a spallate con la scena statunitense e molte volte avendo la meglio, con band e album che entusiasmano non poco.
I Captain Crimson provengono da Örebro, città dalla forte tradizione hard blues, arrivano con Remind al terzo lavoro e in barba ai detrattori sparano una decina di colpi ad altezza uomo di hard rock blueseggiante e legato ben stretto al periodo settantiano.
Niente di nuovo direte voi, i Rival Sons, i The Answer e i Blues Pills, tanto per fare alcuni esempi, lo fanno già da un po’ e sono riusciti, insieme ad altri gruppi, ad uscire dall’underground per impregnare di rock blues le classifiche del settore, ma è indubbio che il gruppo svedese sia una bomba pronta ad esplodere facendo scivolare nell’ombra i più famosi (per ora) rivali.
Remind è un tripudio di musica settantiana dove il blues di Zeppelin e Bad Company incontra atmosfere sabbathiane come la moda di oggi impone, così da rendere il tutto rituale e stonerizzato il giusto per sciogliere i cuori dei rockers degli anni 2000.
Tocca vette altissime questo lavoro (l’opener Ghost Town, il blues della splendida Money, Drifting), mentre la patina laccata di certe produzioni lascia spazio ad una carica selvaggia , ereditata dai primi Led Zeppelin e nascosta tra richiami ora ai Black Crowes ora ai Blue Cheer.
La scuola hard rock scandinava dona ai suoi ammiratori un altro gruppo da venerare: Remind, uscito nel 2016, si può certamente considerare come uno dei lavori più riusciti arrivati alla base negli ultimi mesi

TRACKLIST
01. Ghost Town
02. Bells From the Underground
03. Love Street
04. Black Rose
05. Money
06. Drifting
07. Remind
08. Let Her Go
09. Alone
10. Senseless Mind

LINE-UP
Stefan Lillhager – Vocals
Andreas Eriksson – Guitars
Mikael Lath – Drums
Chris David – Bass

CAPTAIN CRIMSON – Facebook

Bastian – Back To The Roots

Torna il chitarrista Sebastiano Conti con il suo progetto Bastian, arrivato al terzo bellissimo lavoro: un album di hard rock classico suonato e cantato a meraviglia, che conferma il musicista e compositore italiano come uno dei migliori interpreti del genere negli ultimi anni.

Si torna a parlare del chitarrista nostrano Sebastiano Conti e del suo progetto Bastian, questa volta sulle pagine di MetalEyes, anche se il sottoscritto segue le avventure musicali di Conti da quando di metal e hard rock si parlava sul sito madre (InYourEyes).

Among My Giants, debutto licenziato nel 2014, vedeva il musicista e compositore siciliano cimentarsi con la musica che ha sempre amato, aiutato da una manciata di musicisti storici della scena metal rock mondiale, nonché idoli di Conti.
Gente del calibro di Vinny Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso, facevano da contorno prelibato al succulento piatto confezionato dal chitarrista, assolutamente a suo agio tra i suoi giganti e perfetta macchina hard rock con la sua sei corde.
Lo scorso anno Rock On Daedalus confermava quello che poteva non essere così scontato ed i Bastian tornavano ad incendiare lettori cd con un altro pezzo di granito hard & heavy, sempre con le partecipazioni di Macaluso e Vescera dietro al microfono.
Un anno esatto separa questa volta i due lavori, con Back To The Roots che porta un paio di novità importanti in seno alla band capitanata da Conti.
Al microfono, questa volta, troviamo nientemeno che Apollo Papathanasio, ex Firewind e, insieme al fido Corrado Giardina al basso, le bacchette di sua maestà Vinny Appice.
Il nuovo lavoro, licenziato dalla Sliptrick Records, porta una nuova ventata di hard rock, classicamente fresco e dannatamente bluesy, andando a colpire e spaccare il cuore dei rockers con una serie di brani sanguigni in cui il vocalist greco dimostra il suo talento per le atmosfere classiche e da crocicchi sperduti e presieduti dal diavolo in persona; la chitarra imperversa tra riff pesanti di rock duro, solos che sputano sangue, facendo l’occhiolino ad una sezione ritmica ora funkizzata, ora hard blues come si faceva nel regno unito dominato dal serpente bianco, ora appesantita dal groove che fa capolino tra lo spartito di meraviglie sonore come Rock Age, canzone capolavoro dell’album, un hard blues tra Whitesnake e Led Zeppelin con un finale in cui la chitarra ci scava dentro e arrivata al cuore lo sollecita con sfumature blues da applausi.
Papathanasio dà spettacolo, perfetto nel giocare con il Coverdale d’annata ma con piglio da vocalist metal e già dall’opener Goodbye To My Room si capisce che la sterzata è stata naturale, sentita e che non poteva essere altrimenti, anche perché Writing My Rock And Roll, il funky blues di Moth Woman, il riff di Spirit With The Hatchet ed il ritmo irresistibile di Poor Town, aiutano l’album a raggiungere una qualità strumentale ed espressiva straordinariamente alta.
Altro da aggiungere non c’è, a parte l’invito a non ignorare questo bellissimo e terzo centro del musicista siciliano, nel genere uno dei migliori interpreti degli ultimi anni.

TRACKLIST
1.Goodbye to My Room
2.Midsummer Night’s Dream
3.Writing My Rock and Roll
4.The Kite
5.Jasmine & Sebastien
6.Moth Woman
7.Warrior Friend
8.Dreamer
9.Rock Age
10.Little Angel
11.Spirit With the Hatchet
12.Poor Town
13.The Demon Behind Me
14.Jasmine & Sebastien

LINE-UP
Apollo Papathanasio – Vocals
Sebastiano Conti – Guitars
Vinny Appice – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

Athlantis – Chapter IV

Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore

La scena metal ligure di stampo classico gira attorno ad una manciata di musicisti dal gran talento che, a distanza di poco tempo uno dall’altro, creano grande musica con progetti nuovi o ritorni di un certo spessore come gli Athlantis di Steve Vawamas, bassista di Mastercastle, Ruxt, Bellathrix, ed ex Shadows Of Steel.

Il gruppo nacque per volere del bassista nell’ormai lontano 2003, aiutato da un paio di nomi storici della scena come Roberto Tiranti e Pier Gonella con un debutto licenziato dalla Underground Symphony.
Nel corso degli anni il progetto si è avvalso delle performance di Trevor e Tommy Talamanca dei Sadist, oltre ad altri musicisti che hanno dato il loro contributo, arrivando così ai giorni nostri e alla realizzazione di un nuovo album, questo gioiellino power / hard dal titolo Chapter IV.
Insieme allo storico bassista e mente del progetto troviamo quella macchina da guerra che corrisponde al nome di Pier Gonella, infaticabile ed insostituibile guitar hero, il batterista degli Extrema Francesco La Rosa, Gianfranco Puggioni alla chitarra ed il bravissimo singer dei Lucid Dream Alessio Calandriello.
Ma le sorprese non finiscono qui, ed in qualità di ospiti Chapter IV si avvale delle performance di Roberto Tiranti, Dave (Drakkar) e Francesco Ciapica.
Registrato ai Music Art Studio di Pier Gonella e pubblicato dalla Diamonds Prod, l’album nulla aggiunge e nulla toglie alla qualità delle opere che questo gruppo di musicisti ha creato nel corso del tempo, aggiungendo un altro affresco di musica metallica raffinata e nobile, straordinariamente melodica ed assolutamente sopra la media.
La musica degli Athlantis a mio parere è quella che si avvicina di più a quella che porta la firma dei Labirynth, anche se sapientemente i musicisti la modellano con atmosfere hard rock e qualche spunto riconducibile al power metal melodico scandinavo di metà anni novanta.
Su Pier Gonella abbiamo sprecato inchiostro per tesserne le lodi relativamente ai numerosi progetti a cui ha partecipato, ma questa volta mi piace sottolineare, oltre all’ottimo songwriting, la prova di Calandriello, splendido interprete sugli album dei Lucid Dream e qui ancora una volta ispiratissimo, tanto da non sfigurare vicino a colleghi più famosi come per esempio Roberto Tiranti.
Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco  di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore, ancora una volta messo all’angolo dalla bravura di questi musicisti della riviera ligure.
Il singolo Master Of Fate, la successiva e trascinante Ronin, l’heavy metal classico che accompagna la cavalcata power The Endless Road, le chitarre hard rock di Reset sono gli attimi più avvincenti di un album bello e trascinante, un altro gioiello nato in riva al Mar Ligure.

TRACKLIST
01 – The Terror Begins
02 – Master Of My Fate
03 – Ronin
04 – Our Life
05 – The Endless Road
06 – Crock Of Moud
07 – Face Your Destiny
08 – Just Fantasy
09 – Reset
10 – The Final Scream

LINE-UP
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Francesco La Rosa – Drums
Ginfranco Puggioni – Guitars
Alessio Calandriello – Vocals

ATHLANTIS – Facebook

Lung Flower – Effigy

Gruppo di culto, musica per pochi, ma esperienza da vivere chiudendo gli occhi e ritrovandoci legati ad un totem con stregoni che agitano feticci davanti ai nostri occhi prima di darci la morte.

Si sa poco di questo quartetto canadese, quanto basta però per farvi conoscere la sua musica, di ottima qualità e che raccoglie in se un po’ di quel metal rock americano che ha imperversato negli ultimi venticinque anni.

Loro sono i Lung Flower, si destreggiano da qualche anno nei locali di Vancouver con una musica che, personalmente, mi ricorda non poco quella della piovosa Seattle.
Attenzione però, non si parla di facili melodie post grunge o alternative rock, i Lung Flower sono una creatura psichedelica che attinge tanto dal grunge più nervoso e metallico dei primi Soundgarden e Alice in Chains, quanto dallo stoner/doom, facendolo rimbalzare come una pallina magica tra gli anni novanta e indietro fino al periodo settantiano.
I ritmi sono a tratti lentissimi e claustrofobici, le chitarre sature, ed il canto richiama lo spirito di Layne Staley, tornato per raccontarci la propria disperazione nell’affrontare l’aldilà.
I Black Sabbath aleggiano con il loro sound che rallenta gli energici strappi alternative metal, mentre la sensazione di viaggio lisergico e jam session fa di questo lavoro una chicca per gli amanti dell’alternative doom metal.
Il gruppo canadese arriva così al secondo album, successore di Under A Dying Sun, debutto sulla lunga distanza del 2012, seguito dall’ep Death On The Crowsnest, uscito tre anni fa, continuando imperterrito a stordire con questo notevole esempio di musica del destino drogata di hard rock ed alternative metal, tutto made in U.S.A.
Gruppo di culto, musica per pochi, ma esperienza da vivere chiudendo gli occhi e ritrovandoci legati ad un totem con stregoni che agitano feticci davanti ai nostri occhi prima di darci la morte.

TRACKLIST
1. Ascend
2. Death On The Crowsnest (Hwy 3)
3. Beyond Burnt Out
4. Stoned & Alone
5. Bottomfeeders
6. Effigy (…of Man)
7. (Bonus Track) Everything I Burn

LINE-UP
Marcus Salem – Rhythm Guitar
Kyle Arellano – Bass
Tyler Mayfield – Vocals
Jimmy Lanz- Drums

LUNG FLOWER – Facebook

Downtown Association – City Guide

Una bella sorpresa questo quartetto greco, con un album che sprigiona rock, blues ed atmosfere settantiane senza rinunciare alla modernità, insomma tutto quello che serve ad un lavoro del genere.

Avari di informazioni ma non di buona musica, arrivano dalla penisola ellenica gli hard rockers Downtown Association presentando il loro album d’esordio, City Guide.

Uscito negli ultimi giorni del 2016, l’album, licenziato dalla New Dream, convince non poco, specialmente se siete amanti dell’hard rock americano che come unisce tradizione a soluzioni moderne, tradotte in ritmiche ricche di groove, solos zeppeliniani ed una marcata predisposizione metallica.
Blues elettrico, sporco e violentato da ritmiche potenti, chitarre che passano da riff settantiani e solos che si vestono di pelle e borchie, ma come d’incanto in City Guide si torna tornano a fare rock, con il blues che accompagna ogni passo affrontato da Dean Mess, cantante con gli attributi al posto giusto e capitano di questa squadra che si compone di George Matikas (chitarra), Tasos D. (batteria) e Nick Danielos (basso).
City Guide di fatto ci fa da Caronte nella città degli angeli, ma lascia fuori dalla gita lustrini e pailettes del Sunset Boulevard per inoltrarsi nei vicoli, sporchi di urina e vomito, dei locali dove i perdenti sono più di quelli hanno trovato un posto al sole.
E chi meglio del blues può accompagnare sconfitte e delusioni?
Se poi, come fanno i Downtown Association, si aggiunge un tocco di post grunge ad alternare il metallo fuso che si sprigiona dalla sei corde, allora davanti a noi abbiamo un album vario, duro, poco incline alle facili melodie, aggressivo e vero.
Molto belle King Of The Hole, dall’assolo metallico che strizza l’occhio al classic metal, l’hard blues ricco di groove di Media Dope, il crescendo atmosferico di Dynamo ed il rock dalle ritmiche funkizzate della trascinante Braindead.
Una bella sorpresa questo quartetto greco, con un album che sprigiona rock, blues ed atmosfere settantiane senza rinunciare alla modernità, insomma tutto quello che serve ad un lavoro del genere.

TRACKLIST
01. Obedient Girl
02. King of the Hole
03. Media Dope
04. Dynamo
05. Deep Cut
06. Braindead
07. Lover’s Shadow
08. Downfall
09. Predictable Chaos

LINE-UP
Dean Mess – Vocals
George Matikas – Guitars
Tasos D. – Drums
Nik Danielos – Bass

DOWNTOWN ASSOCIATION – Facebook

Ironbite – Blood & Thunder

Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

Un’altra proposta interessante da parte della label tedesca STF, con il terzo album degli Ironbite, metal band attiva da quasi dieci anni e con due lavori autoprodotti alle spalle, No Fate (2009) e Rise And Fall” (2012).

Blood & Thunder segue l’ormai consolidato sound del gruppo, un hard & heavy classico, irrobustito da potenza power, old school nell’approccio e senza compromessi per piacere ai metallers duri e puri, sopravvissuti agli ultimi tre decenni di musica metal, con i piedi ben saldi negli anni ottanta.
Musica da motociclisti, metal on the road ed inni da raduni, Blood & Thunder è ricco di atmosfere che riconducono a questo stile di vita, ed il sound ripercorre le strade mangiate a ritmo di Accept, Saxon e qualche accenno maideniano, nei solos e in qualche riff, sparso per questo piccolo altare eretto per glorificare l’hard & heavy ignorante e diretto.
Il quintetto tedesco non si risparmia, e i brani colmi di attitudine da rockers navigati, sono l’emblema di un certo tipo di fare hard rock, tra metal e rock ‘n’ roll, meno punk di quello dei Motorhead e più vicino alla new wave of british heavy metal.
Tra le tracce, spiccano la cavalcata The Doomsayer, la seguente Moonshine Dynamite che ricorda i Thin Lizzy, il mid tempo su cui è strutturata la potente Hellride e la conclusiva Hammer Of Justice, dal riff sassone e orgogliosamente epica.
Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

TRACKLIST
1.A Glorious Mess
2.Keep the Rage
3.Unleashed
4.D.E.A.D.B.E.A.T
5.The Doomsayer
6.Moonshine Dynamite
7.When Blood Runs Cold
8.Behind the Mask of a Faceless Man
9.Hellride
10.Black Death
11.Hammer of Justice

LINE-UP
Lucas Schmidt – Guitar
Danilo Licht – Guitar
Niklas Litzrodt – Bass
Samuel Sachse – Drums
Sebastian Sachse – Vocals

IRONBITE – Facebook

DSW – Tales From The Cosmonaut

Ogni canzone è molto bella e vive di vita propria, con un suono che è filo conduttore, un rumoroso tema che si dispiega per la durata di tutto il disco, ora declinato in forma stoner, ora in momenti che farebbero invidia a molti gruppi degli anni settanta.

I DSW sono un gruppo di Lecce, e l’acronimo significa Dust Storm Warning, ma questa tempesta di sabbia è piacevolissima.

Secondo disco dopo quattro anni dal debutto discografico e siamo su livelli molto alti. Lo stile dei DSW attinge da varie fonti e dentro Tales From The Cosmonaut si può trovare l’amore per il suono desertico, un grande stoner e su tutto un incredibile groove molto anni settanta. Negli ultimi anni si è andata a formare una scena dedita alla musica pesante molto interessante, basti pensare al sito doomcharts.com, vero e proprio collettore di questi suoni, ed infatti i DSW sono passati in quella grande classifica mensile del sito. Ascoltando il disco si può capire il perché. Ogni canzone è molto bella e vive di vita propria, con un suono che è filo conduttore, un rumoroso tema che si dispiega per la durata di tutto il disco, ora declinato in forma stoner, ora in momenti che farebbero invidia a molti gruppi degli anni settanta. I DSW non sono certo i primi a coniugare stoner e anni settanta, anzi il primo deriva pesantemente dai secondi, ma amalgamarli con tale stile non è affatto facile, e ancora più difficile è farlo così. Le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e danno modo di apprezzare anche le ottime capacità compositive del gruppo, perché mantenere l’attenzione dell’ascoltatore oltre i quattro minuti al giorno di oggi non è facile, ma con i DSW non ti puoi proprio staccare. Un disco davvero bello, continuo e davvero stonerico,che lascia molto soddisfatti e anzi ne fa venire ancora voglia, come solo pochi gruppi sanno fare.

TRACKLIST
1.Vermillion Witch
2.The Well
3.Mother In Black
4.El Chola
5.Classified
6.Crash Site
7.Acid Cosmonaut

LINE-UP
Stefano – Bass Guitar
Marco – Guitar
Luca – Drums
“Wolf” – Vocals

DSW – Facebook

Inire – Cauchemar

Un album che piace e che ha in un songwriting frizzante la sua maggiore virtù, mettendo da parte le ovvie similitudini con band già note, concentrato solo sull’impatto e l’ottima carica sprigionata dagli Inire.

Gli Inire sono una band proveniente dal Quebec e licenziano il secondo album, dopo aver dato alle stampe il debutto Born the Wicked, the Fallen, the Damned ormai sette anni.

Cauchemar risulta un buon lavoro, senza picchi elevatissimi ci viene proposto un hard rock moderno con le più svariate influenze che passano dal groove metal, al nu metal per passare ad atmosfere southern.
L’album così lascia che le varie tracce ci prendano per mano e ci accompagnino negli ultimi decenni in cui l’hard rock americano ha flirtato con il metal, dando alla luce suoni ibridi colmi sia di tradizione che sfumature alla moda, tenuti assieme da tonnellate di groove.
Quindi se apprezzate ritmiche pesanti e sincopate, chorus che flirtano con il nu metal, ripartenze in stile Pantera e pesantezza southern (dove i Black Label Society sono i maestri), gli Inire sono il gruppo che fa per voi, tra brani ispiratissimi come la devastante hard rock Crash, la nu metal Wide Awake, la panteriana Hell Is Us e la fiammeggiante (in tutti i sensi) Burn.
I primi Soil (quelli dell’irripetibile Scars) sono forse il termine di paragone più calzante e definitivo per il sound del gruppo di Dre Versailles, cantante che non si risparmia e fa correre la sua abrasiva ugola tra le strade impervie che l’album prende a sorpresa ad ogni incrocio, ora con lunghi rettilinei verso l’hard rock, ora con salite e discese ritmiche che portano al metal moderno di matrice, ovviamente, americana.
Un album che piace e che ha in un songwriting frizzante la sua maggiore virtù, mettendo da parte le ovvie similitudini con band già note, concentrato solo sull’impatto e l’ottima carica sprigionata dagli Inire.

TRACKLIST
1.Avidya
2.Wide Awake
3.Next of Kin
4.Endless
5.Crash
6.Hell Is Us
7.Far from Anything
8.Let It Die
9.Lord of the Flies
10.Burn
11.Into the Labyrinth
12.Cauchemar
13.Just a Halo Away

LINE-UP
Wrench – Bass
Memphis – Drums
Action – Guitars
Brody – Guitars, Vocals
Dre – Vocals

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Scarved – Lodestone

Album che cresce con gli ascolti, leggermente monocorde nelle ritmiche ma ottimo nella prova della cantante e in qualche fuga strumentale, Lodestone risulta senz’altro un buon inizio per il gruppo belga.

Da una nazione come il Belgio, avara di tradizione hard rock, arrivano questi ottimi Scarved, pescati dalla Sleaszy Ride, label greca attivissima in questo ultimo paio d’anni con proposte che vanno dall’hard rock al metal estremo.

Il quartetto di Schilde può contare sulla notevole interpretazione della singer Caro, una vera pantera al microfono, dotata di un tono caldo e sensuale, una buona estensione e talento per il genere suonato dai suoi compari che, se si perde nell’ hard rock tradizionale, non manca di valorizzarlo con richiami più o meno espliciti al rock tecnico e dai rimandi progressivi, anche per la bravura dimostrata da Luc Vandessel alla sei corde e dalla sezione ritmica composta da Wim Wuters al basso e Geert Marien alle pelli.
Lodestone dunque risulta una monolitica e potentissima opera tra hard rock, progressive e classic metal: le influenze rimangono ben fissate nel periodo a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, con una serie di mid tempo dove la sezione ritmica detta legge, quadrata e potente, mentre l’ugola della vocalist non fa mancare potenza e drammatica interpretazione.
Notevoli i passaggi strumentali dove la chitarra abbandona le sicure vie del sound proposto, per svariare con solos che tanto sanno di jam tra blues e prog.
Black Sabbath, Rainbow, Led Zeppelin convogliati nello stesso monolitico sound, questo è Lodestone ,che mantiene una buona qualità per tutta l’ora di durata con un paio di picchi, la title track e Fight For Justice.
Album che cresce con gli ascolti, leggermente monocorde nelle ritmiche ma ottimo nella prova della cantante e in qualche fuga strumentale, Lodestone rappresenta senz’altro un buon inizio per gli Scarved.

TRACKLIST
1. Naughty Reflexes
2.Sweet Surrender
3. Battlefield
4. Toxic Rat Race
5. Lodestone
6. Garden Of Eden
7. Heavy Foot Hero
8. Heart Of Rock ‘N’ Roll
9. Fight For Justice
10. Convicted Woman
11. Maiden Voyage

LINE-UP
Caro – Vocals
Luc Vandessel – Guitar and backing vocals
Wim Wouters – Bass and backing vocals
Geert Marien – Drums

SCARVED – Facebook