Flayed – XI Million

La Kaotoxin, etichetta di norma orientata verso sonorità estreme, immette sul mercato il nuovo ep dei francesi Flayed, un combo che, alle sonorità hard rock settantiane, aggiunge una verve moderna per un risultato assolutamente travolgente.

La Kaotoxin, etichetta di norma orientata verso sonorità estreme, immette sul mercato il nuovo ep dei francesi Flayed, un combo che, alle sonorità hard rock settantiane, aggiunge una verve moderna per un risultato assolutamente travolgente.

XI Million è il terzo lavoro per il gruppo, dopo essersi lasciato alle spalle Symphony for the Flayed, esordio del 2014, e Monster Man dello scorso anno, un mini cd di cinque tracce che conferma la bravura della band nel saper miscelare attitudine old school con un suono al passo coi tempi.
Si potrebbe pensare all’ ennesima rivisitazione dei suoni vintage alla moda in questi anni, ed in parte è vero, non fosse per il talento del gruppo nel saper creare brani dall’appeal mostruoso, con l’ hammond a comandare le operazioni, un taglio americano nei chorus e nel guardare al blues come una delle fonti d’ispirazione, ma non dimenticando la scuola hard rock europea.
Deep Purple, The Black Crowes, i nuovi dei dell’hard rock come gli Inglorious, un pizzico di rock americano alla Foo Fighters e Eleven Million, Trend Is Over, e soprattutto la bluesy Fortunate Son, prendono il volo verso lidi dove l’hard rock è il re incontrastato, complice un taglio american style da far invidia al corvo nero dell’ ormai immortale Remedy (da quel capolavoro che è The Southern Harmony And Musical Companion).
La bio parla di Ac/Dc, personalmente ci trovo poco, non fosse per l’ importantissimo lavoro dell’organo e qualche accenno al soul che porta il gruppo attraverso l’oceano verso il punto esatto dove sfocia il Mississippi: ascoltatelo e fateci sapere.

TRACKLIST
1. XI Million
2. Eleven Million
3. Trend Is Over
4. Fortunate Son
5. Shoot the Trail
6. Rollin’ Monkey

LINE-UP
Renato Di Folco – vocals
Eric Pinto – guitars
Julien Gadiolet – guitars
Charly Curtaud – bass
Raphaël Cartellier – Hammond organ
Jean-Paul Afanassief – drums

FLAYED – Facebook

https://soundcloud.com/kaotoxin/flayed-eleven-million

VV.AA. – We Still Rock – The Compilation

Questa eccellente iniziativa non va assolutamente trascurata, il livello dei protagonisti e la bellezza delle canzoni contenute ne fanno un cd da custodire gelosamente

L’hard rock melodico ha sempre avuto scarsa fortuna nel nostro paese, sempre poco ricettivo nei confronti del metal/rock e confinato nell’underground in compagnia di tutti i generi che compongono la nostra musica preferita.

Eppure anche l’ Italia può contare su numerosi talenti che dell’anima melodica dell’hard rock fanno il loro credo, supportati dalle webzine di riferimento tra le quali i nostri colleghi di MelodicRock.it sono sicuramente i più accreditati.
Lo scorso anno, proprio in collaborazione con la famosa ‘zine, la label Tanzan Music ha prodotto il brano We Still Rock, creato e suonato da un gruppo di musicisti della scena nazionale sotto il monicker di I.F.O.R. (Italian Forces of Rock) proprio per omaggiare la webzine e tutti i fans della scena melodica mondiale.
A distanza di un anno questa splendida iniziativa è diventata qualcosa di più, grazie ad un concerto/evento il 1 Ottobre al Grindhouse di Padova, con i britannici Vega come headliners della serata.
Ora We Still Rock trova la chiusura del cerchio con questa compilation, che vede, oltre al brano degli I.F.O.R., una serie di inediti e versione rivisitate suonate da una buona fetta del meglio che la nostra scena può vantare in fatto di hard rock melodico, con i Vega a fare da padrini con la versione acustica di Every Little Monster.
Questa bellissima raccolta non poteva che partire con We Still Rock, stupendo brano da arena rock che vede come detto la partecipazione di musicisti dallo smisurato talento, ma il bello non finisce qui e farsi cullare dalle sontuose note di Together As One dei Laneslide o dalle trame dei tasti d’avorio di Love Nest dei Wheels Of Fire è un attimo.
Non mancano gruppi che per i lettori di MetalEyes (magari più indirizzati a sonorità estreme o metalliche ma che seguono i deliri del sottoscritto, amante della buona musica a prescindere dai generi) dovrebbero essere famigliari, come i clamorosi Soul Seller e la versione alternativa di Memories, tratta da quello scrigno di emozioni che risulta il loro ultimo Matter Of Faith, gli Alchemy con la grintosa Revolution e per concludere gli Highway Dream con Runaway.
Nel mezzo un apoteosi di classic hard rock, aor, arena rock e tanto talento che sprigiona da canzoni di rara bellezza come Gotta Get Away dei Charming Grace e Walk Away, emozionante tripudio di melodie dai grandiosi Danger Zone.
Questa eccellente iniziativa non va assolutamente trascurata, il livello dei protagonisti e la bellezza delle canzoni contenute ne fanno un cd da custodire gelosamente e imperdibile per gli amanti del genere, ma anche per quelli che hanno a cuore le sorti della scena underground.

TRACKLIST
01. I.F.O.R. – We Still Rock
02. Vega – Every Little Monster (Acoustic Version)
03. Laneslide – Together As One
04. Wheels Of Fire – Love Nest (Acoustic Version)
05. Alessandro Del Vecchio – Strange World
06. Charming Grace (feat. Nick Workman) – Gotta Get Away
07. Danger Zone – Walk Away (2016 Version)
08. Room Experience – No Time Yet For Lullaby (Alternative Vocals Version)
09. Soul Seller – Memories (Alternative Mix)
10. Hungryheart – Nothing But You (Acoustic Version)
11. Alchemy – Revolution
12. Highway Dream – Run Away

TANZAN MUSIC – Facebook

Rock Wolves – Rock Wolves

Un progetto che gli amanti dell’hard rock non possono lasciarsi sfuggire, pregno di quella classe ad uso e consumo dei grandi, tra un talento innato per le melodie ed una grinta ancora perfettamente intatta nei tre protagonisti.

Da tre lupi dell’hard rock europeo che riuniscono le proprie forze sotto il monicker di Rock Wolves, tre musicisti che da quasi quarant’anni portano il loro talentuoso contributo alla causa dell’hard & heavy, cosa ne può scaturire se non ottima musica?

Per la Steamhammer/Spv esce il debutto omonimo dei Rock Wolves, trio che vede la collaborazione di Michael Voss, vocalist degli hard rockers Mad Max ed ex Casanova, con Gudze, bassista degli H-Blockx e lo storico batterista Herman Rarebell , dal 1977 al 1996 dietro alle pelli degli Scorpions (Lovedrive, Blackout e Love At First Sting non vi dicono niente?).
Rock Wolves è una raccolta di canzoni, improntate (e non potrebbe essere altrimenti) su un hard rock melodico, che bilancia perfettamente grinta e melodia, rock che sprigiona grinta, ma che sa essere elegante nelle sue numerose tracce dedicate alla parte più raffinata e melodica della musica dura.
Con un Voss in forma smagliante ed un songwriting che conferma il talento dei suoi creatori, l’album spazia tra le due anime del genere, mantenendo un approccio insito nella storia musicale del vecchio continente, tra accenni ai gruppi di cui i tre musicisti sono stati protagonisti ed una comunque profonda personalità.
E qui sta la differenza: dalla prima nota dell’opener Rock For The Nations l’opera sprigiona carisma, un’anima rock classica che apre il suo cuore alle melodie, mentre la sei corde affila gli artigli per ricordarci che qui si fa hard rock, nobile e sopraffino; Surrounded By Fool ci delizia con un refrain colmo di appeal ed un ritmo moderato ma scritto sulle tavole della legge del genere.
Out Of Time è un brano diretto, un pugno nel petto, prima che What About Love ci scaldi il cuore con le sue trame semi acustiche e The Blame Game offra alla sei corde un momento di gloria solista.
Si continua su livelli qualitativi molto alti, con un susseguirsi di tracce che da I Need You Love (Mad Max vs Gotthard) in poi regalano emozioni con il capolavoro Lay With Me, ariosa e varia tra parti acustiche ed irruenza elettrica, non prima di averci ipnotizzato con la ballad Nothings Gonna Bring Me Down.
Un progetto che gli amanti dell’hard rock non possono lasciarsi sfuggire, pregno di quella classe ad uso e consumo dei grandi, tra un talento innato per le melodie ed una grinta ancora perfettamente intatta nei tre protagonisti.

TRACKLIST
1. Rock For The Nations
2. Surrounded By Fools
3. Out Of Time
4. What About Love
5. The Blame Game
6. Riding Shotgun
7. Nothings Gonna Bring Me Down
8. The Lion Is Loose
9. I need Your Love
10. Lay With Me

LINE-UP
Michael Voss-guitar, vocals
Herman Rarebell-drums
Gudze-bass

ROCK WOLVES – Facebook

Sixty Miles Ahead – Insanity

Il nuovo lavoro risulta energico e melodico, metallico e rockeggiante, dal feeling che scuote i nostri corpi, in un’ alternanza roboante di sfumature e generi diversi

I milanesi Sixty Miles Ahead confermano con questo secondo lavoro sulla lunga distanza, quanto di buono avevano fatto con i precedenti lavori (Million Of Burning Flames e L’ep Blank Slate) con questo riuscito pezzo di hard rock targato 2016 dal titolo Insanity, una ricetta da masterchef musicali che vede tra gli ingredienti, perfettamente dosati, modern metal, hard rock classico, spunti alternative e melodie dall’ottimo appeal per un gustoso piatto, presentato con talento e classe.

Insanity dimostra ancora una volta l’alta qualità ormai raggiunta dalla scena nazionale, tanto che non fosse per la bio, prendere una cantonata e presentarvi il gruppo come la nuova sensazione proveniente dagli States sarebbe un attimo.
Capitanati dalla sei corde di Fulvio Carlini e dalla voce calda e passionale di Sandro Casali, sostenuto da una sezione ritmica che non manca di farci saltare impazziti sul trampolino costruito sul sacrosanto groove (Luca Caserini alle pelli e Francesco Li Donni al basso), il sound del nuovo lavoro risulta energico e melodico, metallico e rockeggiante, dal feeling che scuote i nostri corpi, in un’ alternanza roboante di sfumature e generi diversi, tutti nati aldilà dell’oceano in quell’America che, se di rock si parla, è molto più vicina di quanto si possa pensare (almeno qualitativamente parlando).
Così, tra i brani che compongono l’album si trovano echi di rock americano, metal moderno, un pizzico di post grunge e hard rock: l’opener Lost In My Mind, Every Time I Try, la title track, Let Go e la rabbiosa Absence Of Light, saranno per voi un sunto, non solo della musica del gruppo e delle sue ispirazioni, ma di quello che il rock ha regalato negli ultimi quarant’anni, suonato con un approccio moderno e con lo sguardo su un futuro che, con band come i Sixty Miles Ahead, non può che essere roseo.

TRACKLIST
1. Lost In My Mind
2. Every Time I Try
3. Sign for Tomorrow
4. Insanity
5. Dirt and Lust
6. Let Go
7. Dead Space
8. Neverending Fight
9. All My Fears
10. No One Else
11. Absence of Light
12. Used to Believe

LINE-UP
Sandro Casali – Vocals
Fulvio Carlini – Guitars
Luca Caserini – Drums
Francesco Li Donni – Basso

SIXTY MILES AHEAD – Facebook

Hardbone – Tailor-Made

Un album che certamente farà saltare come pazzi i fans di Rose Tattoo e Krokus e ovviamente Ac/Dc: certamente derivativo, ma questo è il genere e da qui non si scappa.

Il rock’n’roll nella sua forma più ruvida e hard trovò molti anni fa negli Ac/Dc l’espressione più fulgida e di maggior successo, ancora oggi osannata negli stadi dove almeno tre generazioni si radunano ogni estate per il consueto e diciamolo, ormai stantio, rito con i fratelli Young come sacerdoti.

Per gli amanti dei suoni hard rock’n’roll la storia ha donato almeno una manciata di altre band che, sulla scia dei canguri australiani, ha reso immortale un genere magari ripetitivo, ma assolutamente adrenalinico.
Rose Tattoo, Krokus, ZZ Top ed ultimamente Airbourne, sono i gruppi più conosciuti e che hanno provato in epoche diverse a contrastare l’assoluto dominio della band dello scolaretto diabolico, ma la scena conta centinaia di gruppi che si cimentano nelle note nate dalla sua Gibson.
Una di queste sono i tedeschi Hardbone, gruppo di Amburgo attivo da una decina d’anni e con tre album alle spalle che, in questo tipo di musica dal divertimento assicurato, si specchia.
Ad iniziare dal timbro vocale del vocalist Tim Dammann, simile a Brian Johnson e a tutti i suoi figli d’ispirazione, alle ritmiche che viaggiano sulla Highway To Hell più famosa del rock e quell’irresistibile spruzzata di blues, la band torna con Tailor-Made, un ennesimo esempio di hard rock, sanguigno, ruvido, ignorante e senza fronzoli.
Jack che entra nelle chitarre, il ronzio dell’energia elettrica che tenta di liberarsi, ed alla prima nota siamo ancora una volta travolti da una serie di brani dedicati al dio del rock, che ai suoi fedeli chiede sudore, energia, chorus liberatori a lui dedicati in un’orgia di puro divertimento tra seni sudati, whiskey versato in boccali da litro di schiumosa birra tedesca e palchi incendiati al suono dell’opener No Man’s Land, della trascinante Blood From Hell, di Cannon Ball e When It Come Down To It.
In conclusione, un album che certamente farà saltare come pazzi i fans dei gruppi nominati, con in testa la storica band australiana: certamente derivativo, ma questo è il genere e da qui non si scappa, it’s only rock’n’roll.

TRACKLIST
1. No Man’s Land
2. It’s A Man Thing
3. Tailor-Made Woman
4. Blood From Hell
5. What’s Going On
6. Cannonball
7. When It Comes Down To It
8. We’re All Gonna Die
9. Barfly
10. Tear It Up

LINE-UP
Tim Dammann – Vocals
Sebastian Kranke – Lead Guitar
Tommy Lindemann – Rhythm Guitar
Tim Schwarz – Bass
Benjamin Ulrich – Drums

HARDBONE – Facebook

Teodasia – Metamorphosis

Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti

Puntuale come promesso e di cui vi avevamo parlato nella recensione di Reloaded, arriva sul finire di questo sountuoso anno per il metal nazionale, il nuovo lavoro di inediti targato Teodasia.

La band, dopo averci presentato la nuova line up sul lavoro precedente, che vedeva i nostri riprendere vecchi brani e darli in pasto alla splendida voce di Giacomo Voli, torna con Metamorphosis, album ambizioso, vario e perfettamente in bilico tra il metal sinfonico e l’ hard rock, sia classico che moderno, con una vena progressiva sottolineata da molti cambi di ritmo ed un quid elettronico che rende il lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Metamorphosis conquista, e non poteva essere altrimenti, d’altronde l’arrivo di Voli e del chitarrista Alberto Melinato ha portato nuova linfa ed entusiasmo, percettibili già su Reloaded, ma qui evidenziati da un lavoro di inediti che è pura arte metallica.
Quella musica dura, così bistrattata nel mondo delle sette note, trova nel talentuoso gruppo veneto quella nobiltà molte volte negata anche da chi invece dovrebbe supportarla, nonché splendidi interpreti di emozionanti e sognanti viaggi che l’ugola del cantante rende reali, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro.
Partendo da tutto ciò, Metamorphosis conferma che l’attesa per l’ascolto di nuovi brani non è stata delusa,  e i Teodasia riescono nell’intento (non facile) di far emergere tutte le loro ispirazioni ed influenze, passando da un genere all’altro come un ape sui fiori: l’album si trasforma in un caleidoscopio di sonorità che vanno dall’hard rock di Release Yourself al power prog della potente Rise, per spostarsi su mirabolanti sinfonie nella bellissima #34 , far sognare di castelli medievali persi nel tempo con Crossroads To Nowhere, od emozionarci con dolci ballate come Two Worlds Apart, in cui Voli duetta con Chiara Tricarico dei Temperance.
Un album bellissimo per il quale la parola d’ordine è emozione, per una band che entra di diritto nelle eccellenze musicali dello stivale metallico, sempre più protagonista nella scena europea con una serie di talenti sopra le righe. Imperdibile.

TRACKLIST
1. Intro
2. Stronger Than You
3. Release Yourself
4. Rise
5. Just Old Memories
6. Idols
7. #34
8. Two Worlds Apart
9. Diva Get Out
10. Gift Or Curse?
11. Redemption
12. Crossroads To Nowhere
13. Metamorphosis

LINE-UP
Francesco Gozzo – drums, piano
Giacomo Voli – lead vocals
Alberto ‘Al’ Melinato – guitar
Nicola ‘Fox’ Falsone – bass

TEODASIA – Facebook

Tygers Of Pan Tang – Tygers Of Pan Tang

Una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale

Sono passati trentasei anni da Wild Cat, debutto dei Tygers Of Pan Tang, una delle band più importanti uscite dalla new wave of british heavy metal e da un po’ di anni rinati sotto il segno del cantante Jacopo Meille, italiano di nascita ma dal sangue britannico, almeno a giudicare dalle prestazioni con lo storico gruppo dall’attitudine felina.

Doppia cifra raggiunta e superata con questo lavoro, almeno per quanto riguarda gli album di inediti, una carriera all’ombra dei nomi che occuparono le classifiche del vecchio continente (Def Leppard in primis), ma un livello qualitativo che non ha mai visto passi falsi clamorosi e si rinvigorisce con questo ennesimo album omonimo, davvero ispirato e travolgente nel saper sfruttare al meglio i cliché del vecchio hard & heavy britannico.
I Tygers Of Pan Tang del nuovo millennio sono nelle ottime mani del vocalist e del solo superstite Robb Weir, axeman di un’altra categoria, splendido nel rendere fresco ed attuale un genere che, nel 2016, vive in bilico tra capolavori ed opere stantie, ma che sa regalare musica metal di alto rango se a suonarlo sono gruppi come le tigri anglosassoni.
Si parte a razzo, con hard rock ed heavy metal che si rincorrono tra lo spartito con una serie di brani dall’impatto di un treno in corsa, perfettamente bilanciati tra grinta e melodia e radiofonici , se solo le radio non fossero invase dalla non musica di questi brutti tempi in cui viviamo e che si riflettono pure sulle sublime arte.
Si perché cosa sono, se non arte metallica, i quattro morsi con cui la band ci aggredisce (Only The Brave, Dust, Glad Rags e Never Give In), per poi farci rabbrividire con la semi ballad The Reason Why e ripartire con ancora più foga con la spettacolare Do It Again?
Detto di una prova clamorosa del “nostro” Jacopo e del sontuoso songwriting con cui è rivestito questo undicesimo album, vi lascio con le ultime quattro canzoni, la perfezione metallica data in pasto a noi, poveri cultori del bello aldilà di trend, mode ed altre amenità: una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale. Bentornate tigri.

TRACKLIST
01. Only The Brave
02. Dust
03. Glad Rags
04. The Reason Why
05. Never Give In
06. Do It Again
07. I Got The Music In Me
08. Praying For A Miracle
09. Blood Red Sky
10. Angel In Disguise
11. The Devil You Know

LINE-UP
Robb Weir – guitars
Jacopo Meille – vocals
Micky Crystal – guitars
Gav Gray – bass
Craig Ellis – drums & percussion

TYGERS OF PAN TANG – Facebook

Tytus – Rises

Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

Boom!: il botto che sentirete al primo accordo di questo bellissimo debutto, è l’esplosione metallica della Terra al letale avvicinamento del Sole, una deflagrazione tremenda a colpi di heavy hard rock dei Tytus e del loro Rises.

Ma prima di perdervi tra le macerie, risultato dell’ armageddon sonoro creato dal gruppo, presentiamo per bene questo quartetto friulano, risultato dell’alleanza di un manipolo di musicisti provenienti da varie band già attive nella scena underground come Gonzales, La Piovra, Eu’s Arse e Upset Noise, e che, dopo la recente firma con la Sliptrick Records ci bombardano con una pioggia di meteore hard rock e di spumeggiante heavy metal, per una cinquantina di minuti dall’alto tasso adrenalinico.
Chitarre che vomitano acciaio fuso, ritmiche potenti che, pur guardando alla tradizione, mantengono un approccio fresco, una produzione che valorizza il sound senza risultare troppo patinata e un singer di razza, fanno di Rises un album imperdibile per gli hard rockers dalle mire metalliche.
Le influenze del gruppo sono da ricercare nella storia dell’hard & heavy, anche se l’album ha una sua anima, prepotente, diretta, dannatamente coinvolgente, per cui spogliatevi di inutili riverenze all’originalità e fatevi capovolgere da questi dieci martelli sparati da Asgard, caduti sul sole e colpevoli di spingere la nostra fonte naturale di luce verso il nostro pianeta.
Enorme la forza di queste tracce, un continuo susseguirsi di inni che nel metal classico sono stati plasmati e che nell’hard rock hanno trovato il perfetto alleato.
La tempesta di suoni che travolge ogni cosa, trova la sua forza nel suo insieme ed è difficile ascoltare un brano che non sia eccellente per potenza, con solos di stampo maideniano e grandi linee melodiche.
La tensione non scende, almeno fino alla conclusiva Blues on the Verge of Apocalypse, strumentale che vede i quattro rockers camminare nella desolazione lasciata dal disastroso impatto con un tappeto di suoni tastieristici di scuola Uriah Heep (quelli leggendari di Very ‘Eavy Very ‘Umble e Salisbury).
Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza, un lavoro consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

TRACKLIST
1.Ode to the Migthy Sun
2.New Frontier
3.Haunted
4.325 A.D.
5.White Lines 04:48
6.Omnia Sunt Communia
7.Inland View
8.Desperate Hopes
9.New Dawn’s Eve
10.Blues on the Verge of Apocalypse

LINE-UP
Bardy – Drums
Mark Simon Hell – Guitars
Markey Moon – Vocals, Bass
Ilija Riffmeister – Vocals, Guitars

TYTUS – Facebook

Easy Trigger – Ways Of Perseverance

Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

Diciamolo: nel nostro paese una buona fetta delle produzioni hard rock di un certo livello passano dalla famiglia Atomic Stuff / Street Symphonies.

E’ un fatto che, nelle sonorità care al vecchio hard rock con tutte le sue varianti, i ragazzi che lavorano alle label di riferimento hanno una marcia in più e, a confermare il tutto, arriva il secondo lavoro dei rockers Easy Trigger capitanati dal chitarrista Caste, un bella botta di vita street hard rock con tutti i crismi per divertire gli amanti di queste sonorità.
Dopo quattro anni dal debutto Bullshit e con una line up rinnovata, il gruppo torna con Ways Of Perseverance, aggiunge al talentuoso chitarrista un cantante che definire spettacolare è poco (Nico) e, con una sezione ritmica che brucia bassi e spacca pelli (Vale e Pane), conquistano un posto d’onore nei migliori album del genere in questo anno che si appresta a finire.
Grezzi, metallici nel miglior senso del termine, grintosi e con impatto e attitudine da vendere, gli Easy Trigger suonano l’hard rock come se non ci fosse un domani, perfettamente a metà strada tra le nuove generazioni dello street metal/rock scandinavo e la tradizione losangelina,  facendolo bene.
A tratti l’album esplode in fuochi d’artificio elettrici che sinceramente fatico a ricordare nell’ultimo periodo, meno belli dei bravissimi Hell In The Club (tanto per fare un paragone illustre) ma più smaccatamente cattivi, potenti e diretti.
Solo Blind (la ballad di ordinanza) lascia un attimo di respiro (ma siamo arrivati alla traccia numero sette) il resto, dall’opener My Darkness è un devastante bombardamento rock’n’roll, dinamitardo, irriverente e sfacciato, con un diavoletto punk sulla spalla dei musicisti che li istiga ad essere il più cattivi possibile, con l’anima del vocalist già prenotata e un sorriso beffardo sul volto.
Nico è dannato, non potrebbe essere altrimenti, la sua prestazione urla rabbiosa il ritorno al posto che meritano queste sonorità, che se suonate come nelle varie God Is Dead, Turn To Stone, Tell Me A Story e Sold Out, non ce n’è per nessuno.
Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

TRACKLIST
1. My Darkness
2. Land Of Light
3. The Watchmaker
4. God Is Dead
5. Turn To Stone
6. One Way Out
7. Blind (piano by Andrea Moserle)
8. Tell Me A Story
9. Sold Out
10. The Sand

LINE-UP
Nico – vocals
Caste – guitar
Vale – bass
Pane – drums

EASY TRIGGER – Facebook

Mastribes – Blast

Che vi piaccia o meno questo è il rock che alcuni danno stupidamente per morto ma che vive, tra sigarette e tequila, in un aura di immortalità.

Lo avevano promesso lo scorso anno con Shake Boom Tequila, ep che fungeva da presentazione per il gruppo napoletano e che non mancava di farci sbattere le natiche su e giù a colpi di hard rock ‘n’ roll.

L’album sulla lunga distanza che andavano a registrare non poteva che essere una deflagrazione di sleazy rock a stelle e strisce, ed infatti puntuale Blast conferma le ottime impressioni suscitate dalle tre tracce (tutte presenti sul nuovo album) che formavano Shake Boom Tequila.
E di tequila nella gola ne è scivolata tanta, visto la copertina scelta dal gruppo per questo primo lavoro che più rock’n’roll style di così non si può, decadente, alcolica, fumosa, perfetta.
Perfetta come lo stile dei Mastribes che, come ormai il genere impone, scelgono di valorizzare il loro hard street rock, debitore della Los Angels del sogno americano degli anni ottanta (o dei fallimenti persi in cantine sporche e siringhe arrugginite, fate voi), con quel mood moderno che prende a braccetto un intero genere e lo accompagna con un ritrovato splendore nel nuovo millennio.
Una parentesi è dovuta per elogiare la nostra scena, ormai fucina di band che descrivere come entusiasmanti è un eufemismo e che, senza esagerazioni, può tranquillamente guardare dall’alto verso il basso le realtà straniere, almeno nella vecchia Europa, dove i Mastribes con Blast si riservano un posto al sole.
One, two, three, e via di rock ‘n ‘ roll sporcato dallo sleazy/street metal anni ottanta, dunque irriverente, sfacciato, con un Michael Flame che tira fuori una prestazione deliziata da un taglio punk, la chitarra di Cristian Iorio che scivola su pozze di sostanze alcoliche e la sezione ritmica (Cosimo Castorini al basso e Umberto Viro) che, con la potenza del groove, alza un muro su cui si rompono colli di bottiglie ormai vuote.
It’s only rock ‘n’ roll, che vi piaccia o no questo è il rock che alcuni danno stupidamente per morto ma che vive, tra sigarette e tequila in un aura di immortalità a colpi delle irresistibili Rock’ n’roll, Bitin’ The Dust, Wasted Youth e tutti gli altri inni alla vita da rocker che compongono Blast ... imperdibile!

TRACKLIST
1. Rock N’ Roll
2. Shake Boom Tequila
3. Bitin’ The Dust
4. She’s Got The Look
5. Forget Me
6. Everything
7. Wasted Youth
8. Pussy Crusher
9. Another Chance
10. My Game

LINE-UP
Michael Flame – Lead Vocals
Cristian Iorio – Guitars, Vocals
Cosimo Castorini – Bass Guitar
Umberto Viro – Drums

MASTRIBES – Facebook

Soul Seller – Matter Of Faith

Uno scrigno delle meraviglie hard rock, che se ricorda non poche icone della nostra musica preferita, possiede comunque marchiato in bella mostra il monicker Soul Seller.

Finiti i tempi del successo commerciale, l’hard rock melodico di stampo classico ha continuato il suo percorso musicale all’ombra dei vari generi che si sono succeduti nel cuore dei fans negli ultimi venticinque anni.

Gli amanti della musica dura dal taglio raffinato hanno comunque avuto il supporto dei paesi scandinavi e delle terre d’oltreoceano, per saziarsi di melodic rock, con nel mezzo l’Europa centrale (Germania) da sempre culla di questi suoni.
In Italia la scena è comunque ricca di talenti e nell’underground valide etichette lavorano costantemente per dare spazio ai gruppi di genere meritevoli d’attenzione da parte dei fans.
Aspettando tempi migliori per un minimo di attenzione in più, soprattutto (carta stampata in primis) da chi detta regole di mercato non scritte, noi,  che dei trend (purtroppo fastidiosi anche nell’hard & heavy) ce ne freghiamo,  godiamo delle note eleganti e splendidamente melodiche di quegli eroi poco conosciuti che di melodic rock ci fanno innamorare.
I Soul Seller, per esempio, sono una band piemontese, attiva da un po’ di anni e con una già discreta discografia alle spalle composta da un primo album autoprodotto uscito all’alba del nuovo millennio, due ep e l’ultimo parto licenziato cinque anni fa (Back To Life).
Il sestetto nostrano torna con questo nuovo e bellissimo album dal titolo Matter Of Faith, un’opera di rock melodico colma di splendide tracce, dove l’hard rock tradizionale incontra l’AOR e con l’aiuto di sfumature progressive ci delizia con una serie di canzoni che, in un’altra epoca, suonerebbero nell’autoradio di molti rocker dal cuore tenero e dai gusti raffinati.
Matter Of Faith ha l’indubbia virtù di pescare tanto dalla tradizione europea quanto da quella statunitense, i richiami all’hard rock britannico infatti si riflettono in attimi dove un’energia stradaiola ci ricorda di notti infuocate nei locali della West Coast o ci portano ad inorgoglirci di epicità in quelle lande raccontate dai maestri Ten e Dare (Get Away From The Light, apice del disco).
Qui troviamo una produzione cristallina, un cantante sopra le righe, chitarre eleganti che ricamano riff e solos dove la melodia e l’energia vanno a braccetto, ballate che sprigionano un delicato gusto AOR, tastiere ariose che a tratti giocano con la tradizione progressiva nazionale, ma soprattutto canzoni, dannatamente coinvolgenti e che ci imprigionano senza lasciarci andare via, legati mani e piedi da un songwriting di altissimo livello.
L’energia della title track mi ha ricordato i migliori Scorpions in versione U.S.A, Alchemy e poi l’opener Neverending spoiccano da par loro ma non da meno sono tutte le altre tracce che formano questo scrigno delle meraviglie hard rock, che se ricorda non poche icone della nostra musica preferita, possiede comunque marchiato in bella mostra il monicker Soul Seller.
Album di una bellezza imbarazzante, fatevi sotto.

TRACKLIST
1.Neverending
2.Given To Live
3.Tide Is Down
4.Memories
5.Get Stronger
6.Echoes From A Distant Future
7.Get Away From The Light
8.Alchemy
9.Wipe Your Tears Away
10.Matter Of Faith
11.Strangers Apart
12.Made Of Stone

LINE-UP
Eric Concas – Lead & Backing Vocals
Cris Audisio – Lead, Rhythm & Acoustic Guitar, Backing Vocals
Dave Zublena- Rhythm & Acoustic Guitar, Backing Vocals
Mike Zublena – Bass
Italo Graziana – Drums & Backing Vocals
Simone Morandotti – Keyboards & Programming

SOUL SELLER – Facebook

Fair Warning – Pimp Your Past

Un bellissimo regalo per i fans che potranno godere delle nuove interpretazioni di brani che, nel genere, erano e resteranno di un’altra categoria.

Tornano sul mercato, tramite la Steamhammer/SPV, i Fair Warning di Tommy Heart, uno dei gruppi che hanno dato più lustro all’hard rock melodico europeo, almeno da quando i loro album hanno cominciato a mostrarsi nei negozi di dischi del vecchio continente.

Una band che ha regalato almeno due capolavori, dati in pasto agli amanti del genere negli anni novanta, periodo in cui queste sonorità non erano certamente cool, surclassate dal rock proveniente dal nuovo continente.
Ma è indubbio che Rainmaker (1995) e Go (1997), portarono una calda ventata di hard rock classico a chi all’epoca doveva guardare al mercato giapponese per reperire le opere che continuavano ad uscire imperterrite ma poco considerate dai fans, così che il gruppo riuscì a ritagliarsi un suo spazio comunque.
Pimp Your Past non è un nuovo lavoro ma una compilation di brani presi dai primi tre lavori (oltre agli album citati, anche il debutto omonimo del 1991), risuonati e riarrangiati dal gruppo che dona così una nuova veste a tracce già di per sé bellissime.
Ed infatti le nuove Longing For Love, Out On The Run e compagnia tornano a risplendere, con un Heart in splendida forma e la sei corde di Helge Engelke che ricama accordi ora incendiati dal sacro fuoco del rock, ora melodici da far venire i brividi, in questa ulteriore dimostrazione del talento del quartetto tedesco (Ule W e Ritgen C.C. Behrens accompagnano e valorizzano il sound, precisi come orologi).
Angels Of Heaven (Go) rimane una delle canzoni più belle scritte dai Fair Warning, insieme alla splendida Save Me (sempre dal capolavoro del 1997) e Pimp Your Past diventa, più che una compilation, un’ulteriore dimostrazione di forza da parte di Tommy Heart e soci: non solo un album consigliato a non conosce ancora i Fair Warning, ma soprattutto un bellissimo regalo per i fans che potranno godere delle nuove interpretazioni di brani che, nel genere, erano e resteranno di un’altra categoria.

TRACKLIST
01. Longing For Love
02. One Step Closer
03. Out On The Run
04. When Love Fails
05. Long Gone
06. Burning Heart
07. Pictures Of Love
08. Angels Of Heaven
09. Rain Song
10. Save Me
11. Don’t Give Up

LINE-UP
Tommy Heart: Vocals
Helge Engelke: Guitar
Ule W. Ritgen: Bass
C.C. Behrens: Drums

FAIR WARNING – Facebook

Darkwalker – The Wastelands

Un buon lavoro nel suo complesso che potrebbe anche fare breccia se siete affezionati alle varie correnti statunitensi sviluppatesi nel rock degli ultimi venticinque anni.

Devono ancora arrivare i tempi di vacche magre per i suoni hard rock ispirati agli anni settanta, soprattutto quelli che al rock classico aggiungono atmosfere stoner, direttamente dall’America da sudare e sballare nei deserti infuocati della Sky Valley.

Il trio al debutto su Sleaszy Rider, label greca attiva come non mai in campo underground, dal metal classico ai suoni alternative, si chiama Darkwalker ed il suo primo lavoro è un buon esempio delle sonorità descritte, direttamente dagli States.
Ispirato nei testi all’opera letteraria La Torre Nera, una serie di romanzi di Stephen King molto famosa, che unisce fantasy, fantascienza, horror e western, The Wastelands si aggrega in posizione defilata ma nobile alle uscite del genere in questo 2016, confermando l’ottimo stato di salute che godono queste sonorità.
In verità il gruppo americano lascia che le ispirazioni settantiane siano appena marcate, e da band cresciuta a pane e rock alternativo imprime nel sound una forte impronta post grunge, ipnotizzata da una delicata vena psichedelica e martoriata da potenti dosi di groove stoner novantiano.
Intelligentemente il gruppo, pur ispirandosi ad un’opera prolissa, spende tutta la sua energia in poco più di mezzora, un bene visto che qualche difettuccio non manca nell’autonomia generale del disco.
Voce e chorus per esempio, pur ricordando i Corrosion Of Conformity era Blind, risultano leggermente monocordi, un dettaglio sicuramente, visto che The Wastelands non perde punti, dall’alto del suo potenziale ritmico che risulta il punto di forza del gruppo.
Manca leggermente quel fascino da jam acida che in molti album fa la differenza, puntando sul feeling e l’immediatezza delle opere orientate verso i suoni alternative, confermato da brani ritmati e molto attenti al classico meccanismo strofa-ritornello-strofa, niente di male visto la buona presa di tracce come il singolo Black Thirteen, The Dark Tower e Drawing Of The Three, mentre la palma di miglior brano del disco va alla sabbathiana (ed unica concessione al periodo seventies) The Battle Of Devar-Toi.
Un buon lavoro nel suo complesso che potrebbe anche fare breccia se siete affezionati alle varie correnti statunitensi sviluppatesi nel rock degli ultimi venticinque anni.

TRACKLIST
1. Black Thirteen
2. Gunslingers
3. The Dark Tower
4. Memories Of Another Life
5. Crimson King
6. Drawing Of The Tree
7. The Battle Of Devar-Toi
8. Black Thirteen (bonus video-clip)

LINE-UP
Derek
Hector
Dave

DARKWALKER – Facebook

Red Riot – Fight

Anche se di corta durata Fight dice già parecchio sull’impatto e sulla qualità della musica dei Red Riot

It’ s hard to live through blood and lies, but after all we fight, fight, fight!

Una dichiarazione di guerra, un urlo sguaiato all’insegna dello street sleazy metal, un ritorno alla carica e all’energia del metal irriverenete degli anni ottanta, ma con l’aggiunta di una neanche troppo velata carica thrash.
Il primo ep dei Red Riot mi piace affiancarlo al debutto dei mai troppo osannati L.A Guns di Tracy Guns, album che più di ogni altro posò le fondamenta per tutto il movimento street metal, lontano dai lustrini patinati di altre realtà con piglio radiofonico e tormentato da una carica punk che sinceramente non troverete neppure negli album di maggior successo, neppure in quelli dove facevano bella mostra di sé pistole e rose.
La differenza sostanziale è che, oltre allo scorrere del tempo, la band campana, al posto delle adrenaliniche influenze punk, potenzia il proprio sound con esplosioni di thrash metal, così da far risultare i tre brani in scaletta delle esplosive e pericolosissime fialette di nitroglicerina sballottate per le strade del tempo.
Attivo da un paio d’anni, con qualche aggiustamento da annoverare nella line up, il gruppo a luglio di quest’anno ha avuto l’onore di partecipare al primo festival organizzato dalla Volcano Promotion, il Volcano Rock Fest dove hanno diviso il palco, tra gli altri, con i Teodasia, i metal progsters DGM e i fenomenali hard rockers Hangarvain, non male per un gruppo con tre soli brani registrati.
Si diceva che la proposta del gruppo si discosta dallo sleazy metal da classifica, per un approccio molto più aggressivo, sin dall’opener Fight, passando per Squealers e Who We Are, l’irriverenza tipica del genere è potenziata da ritmiche potenti e veloci, solos di estrazione heavy e vocals che richiamano non poco l’attitudine thrash, così come i chorus scanditi come inni da battaglia metallica on stage.
Menzionare i Motorhead per il ruvido rock’n’roll punkizzato e ribelle di Squealer è doveroso, così come le smanie alternative che accompagnano lo street groove di Who We Are, tenuto a bada dal gruppo con solos che si rifanno alla scuola thrash statunitense, in un ottimo e roboante brano che chiude questo ep.
Anche se di breve  durata, Fight dice già parecchio sull’impatto e la qualità della musica dei Red Riot, una band da tenere d’occhio in un futuro che promette fuochi d’artificio.

TRACKLIST
01. Fight
02. Squealers
03. Who We Are

LINE-UP
Alpha Red- Voce
Max Power- Chitarra
JJ Riot- Chitarra
Lex Riot- Basso
Be/eR- Batteria

RED RIOT – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=MabsrUnRh38

Motorfingers – Goldfish Motel

Goldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

E’ indubbio che le sonorità provenienti dagli states abbiano influenzato l’Europa intera, specialmente in ambito hard & heavy ed anche il nostro paese, certo non immune dalle influenze musicali provenienti dal nuovo continenente.

Così pur riconoscendo alla nostra scena un livello qualitativo molto alto, soprattutto negli ultimi tempi, è pur vero che, nell’hard rock e nel metal moderno le ispirazioni sono da sempre riscontrabili nella musica statunitense.
Questo non risulta un difetto anzi, molte volte le nostre realtà (come per esempio i Motorfingers) non sfigurano di certo al cospetto con le super produzioni americane, confrontandosi alla pari con molti gruppi, conosciuti per un martellamento a tappeto sui canali satellitari e radio, ma poi a conti fatti senza nulla da invidiare loro.
E’ dal 2008 che la band nostrana porta in giro la sua musica, una storia che riflette quella di molte altre: cambi di line up, buoni riscontri tra gli addetti ai lavori, due ep ed un primo full length (Black Mirror) uscito nel 2012 per la logic(il)logic Records, label nostrana che licenzia dopo quattro anni anche questo nuovo lavoro.
Ancora qualche aggiustamento nella line up, vede la formazione oggi composta da Max e Spezza alle chitarre, Alex alle pelli e i due nuovi entrati, il bassista Faust (ex Golden Sextion) ed il vocalist Abba dei notevoli Nightglow, autori un paio di anni fa dello splendido Orpheus .
Goldfish Motel è composto da undici tracce di metal rock moderno, grintoso ed aggressivo, dove non mancano ottime ballad dal mood drammatico ed un’anima oscura che aleggia sulla musica del gruppo.
L’alternanza tra metal ed impulsi hard rock, l’ottimo groove che sprigiona dai brani, le sei corde dai riff pieni e dai solos taglienti, le ritmiche grasse ed il cantato sopra le righe, fanno di questo lavoro un ottimo esempio di musica dura, perfettamente a suo agio in questo primo scorcio del nuovo millennio.
Il gruppo non le manda a dire, si tuffa nel rock moderno con piglio e personalità, certo la bandiera a stelle e strisce è ben posizionata dietro al drumkit di Alex, ma i brani mantengono un appeal molto alto, l’aggressività del sound è molte volte bilanciata da chorus melodici, le ritmiche moderne con solos sfacciatamente classici, facendo funzionare alla grande questo lavoro.
Le canzoni in cui dove la band spinge sulla potenza non fanno prigionieri (Obscene), i mid tempo lasciano a brani più smaccatamente rock (Day Of Dawn, l’irresistibile Eat Your Gun) il compito di tenere alta la tensione, elettrizzanti spunti che conducono dalle parti dello streets metal (Disaster) sono assopiti da ballad mai banali, e molto intense (XXXIII e Nothing but a man) variando non poco il songwriting di un lavoro riuscito in pieno.
Bersaglio centrato per i MotorfingersGoldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

PS. Abba si dimostra come uno dei migliori cantati in circolazione nel nostro paese, almeno per il genere, un  grande acquisto in casa Motorfingers.

TRACKLIST
01. Walk On Your Face
02. Behind This Fire
03. Obscene
04. Day Of Dawn
05. XXXIII
06. Burning Down
07. Nothing But A Man
08. Pull The Tail
09. Disaster
10. Tonight
11. Eat Your Gun

LINE-UP
Abba – Vocals
Max – Guitar
Spezza – Guitar, Backing Vocals
Faust – Bass
Alex – Drums

MOTORFINGERS – Facebook

Badmotorfinger – Heroes

Un buon lavoro, suonato con il cuore che pulsa come i pistoni di una motocicletta

Nuovo lavoro in formato ep per i bolognesi Badmotorfinger, tornati sul mercato tramite logic(il)logic Records a scaldare l’autunno dei rockers di lungo corso.

Il gruppo ha all’attivo un primo album sulla lunga distanza uscito nel 2013 (It’s Not the End) dopo il ritorno nel gruppo di uno dei fondatori, il chitarrista Federico Mengoli, successivamente all’esperienza con i Tarchon Fist.
Il mini cd si compone di tre brani inediti, più due versioni acustiche di tracce inserite a suo tempo nel primo album, ed una in una versione riveduta e corretta, dunque siamo al cospetto delle due anime del gruppo: la prima ruvida, grintosa ed diretta, la seconda intimista (Afterlife) e dai rimandi southern rock (Rebel).
Nei brani inediti il gruppo emiliano continua imperterrito il suo viaggio nell’hard & heavy più grezzo, dai rimandi classici, mai troppo veloce ma dalle ispirazioni che si piazzano tra i metallica ed i Motorhead.
Il sound richiama queste due band, senza alzare troppo il ritmo, ma imprigionandolo tra le briglie di un groove potente e massiccio, quattro tracce rocciose di fiero metal/hard rock, dal mood live, senza fronzoli e con il rock’n’roll a fare da diavoletto sulla spalla dei musicisti bolognesi.
Musica per rockers da motoraduni duri e puri, una forza sprigionata dalla passione per il genere, che non cerca novità ed originalità a tutti i costi, ma il consenso di chi il rock lo vive o lo ha vissuto sulla propria pelle.
I primi due brani inediti (Hidden Heroes e Needle in My Vein) sono mid tempo rocciosi, con buoni interventi chitarristici di scuola heavy, cantato robusto e ritmi sostenuti da un buon groove.
No Second Chance, rifatta per l’occasione, lascia spazio al rock’n’roll ipervitaminizzato di Badmotorfinger,  canzone che più si avvicina al sound motorheadiano, mentre i due brani acustici lasciano intravedere una voglia di frontiera e specialmente Rebel risulta, come detto, un piacevole brano dal gustoso mood southern rock.
Un buon lavoro, suonato con il cuore che pulsa come i pistoni di una motocicletta, roba da fottuti rockers, prendere o lasciare … io prendo!

TRACKLIST
01. Hidden Heroes
02. Needle In My Vein
03. No Second Chance (new version)
04. Badmotorfinger
05. Afterlife (acoustic version)
06. Rebel (acoustic version)

LINE-UP
Luigi Sange Sangermano – VOCALS
Alessandro Alex Mengoli – GUITAR
Federico Heavyrico Mengoli – GUITAR
Massimiliano Tommi Tommesani – BASS
Fabio Barra Bussolari- DRUMS

BADMOTORFINGER – Facebook

Fake Idols – Witness

Un pezzo di granito hard & heavy, sempre in bilico tra il rock’n’roll ed il metal moderno, dotato di un feeling ed un appeal da boom radiofonico praticamente in tutti i brani

Un’altra new sensation dell’hard & heavy tricolore, i Fake Idols, tornano con un nuovo album tramite Scarlet Records.

La band , nata all’alba del 2013, unisce musicisti provenienti da svariati gruppi della scena come Raintime, Slowmotion Apocalypse e Jar of Bones, due anni fa ha dato alle stampe il debutto omonimo, ora è giunto il momento di tornare a suonare hard & heavy tripallico con questo secondo lavoro intitolato Witness e che sfonderà molti crani tra i rockers di nuova generazione innamorati delle sonorità stradaiole di matrice ottantiana.
Un mix di sonorità classiche ed attitudine moderna risulta infatti il sound del gruppo, che si avvicina ai compagni di etichetta Hell In The Club, autori del mastodontico Shadow Of The Monster.
E proprio Damna, frontman del gruppo alessandrino, fa la sua comparsa nella scandinava The City’s Burning, splendida song vicina al sound dei Backyard Babies, ma le sorprese non finiscono qui ed in questo adrenalinico lavoro mette la sua firma pure Phil Campbell dei Motorhead, sul singolo Mad Fall.
Un pezzo di granito hard & heavy, questo è Witness, sempre in bilico tra il rock’n’roll ed il metal moderno, dotato di un feeling ed un appeal da boom radiofonico in praticamente tutti i brani, un album che, se fosse uscito dalle coste statunitensi, sarebbe glorificato come l’ultima frontiera del rock duro dalle atmosfere street.
Non c’è scampo, è bene chiarirlo, Witness entra nell’ascoltatore senza bussare, forte di chorus che si cantano dal primo ascolto, ritmiche che non disdegnano modernità e chitarre taglienti come sciabole, ficcanti e tremendamente heavy.
Potrei nominarvele tutte le tracce presenti, ma l’alto tasso qualitativo mi impedisce pure di sceglierne un paio: mi limito, per la cronaca, a farvi partecipi della geniale cover di Go, brano dei The Chemical Brothers ed invitarvi a far vostra questa ennesima prova di forza del metal/rock nazionale.
I Fake Idols sarebbero anche pronti a conquistare il mondo, vogliamo aiutarli?
Non mancate allora all’appuntamento con Witness, in barba a chi vi vuol far credere che ormai il rock si limita a grassi e vegliardi frontman, avidi di denaro e che salgono sui palchi di mezzo mondo con tanto di comoda …

TRACKLIST
1.Mad Fall (feat. Phil Campbell)
2.So Now…
3.Sail
4.The City’s Burning feat. Damna)
5.Silence
6.I’m a Fake
7.Go (Chemical Brother’s cover)
8.Could You Bid Me Farewell
9.Prayers On Fire
10.Witness

LINE-UP
Claudio Coassin – lead vocals
Ivan Odorico – guitars
Cristian Tavano – guitars
Ivo Boscariol – bass
Enrico Fabris – drums

FAKE IDOLS – Facebook

Wendigo – Initiation

I Wendigo, se sapranno sviluppare ed amalgamare l’elemento stoner con l’hard rock di scuola australiana, nel prossimo futuro ci faranno divertire non poco.

L’hard rock di ispirazione settantiana ha trovato in questi ultimi anni, anche grazie al successo dello stoner rock, nuova linfa vitale, così da accontentare gli amanti del genere stufi dei soliti nomi, ormai molti sepolti da una spessa coltre di polvere.

Anche quest’anno non sono mancati una manciata di lavori che si sono ritagliati una spazio importante nei cuori dei rockers sparsi per il mondo e neppure nuove realtà che si sono affacciate per la prima volta su di un mercato in continuo fermento.
Questa giovane band tedesca, al suo primo lavoro autoprodotto, non manca di sorprenderci con tre brani che vanno a formare il loro primo ep Initiation.
Nati pochi anni fa come cover band di Ac/Dc e ZZ Top, i Wendigo finalmente escono con musica tutta loro, ed il risultato è senz’altro positivo.
Il loro hard rock pesca a piene mani dalle atmosfere settantiane, ma senza fermarsi al solo copiare una data band, colmano il loro sound di sfumature hard rock (Ac/Dc), southern rock’n’roll (ZZ Top) e stoner così da risultare freschi e vari nell’approcciarsi al genere.
La prima traccia infatti (Play It) è un classico rock robusto alla Ac/Dc con ritmiche dal buon appeal ed il cantato maschio e ruvido che dona quel tocco bluesy al pezzo.
Sail On ha nel giro di basso stonerizzato il suo motore ritmico, mentre il brano prende una piega statunitense e ci prepara a quella che è la traccia migliore dell’ep.
Holy Hypocrite, infatti è una danza stoner nel bel mezzo del deserto, i ritmi si dilatano in una lavica andatura prettamente stoner rock, mentre i nostri si trasformano in sacerdoti di cerimonie illegali.
Non male questo ep, specialmente nell’ultimo brano:  i Wendigo, se sapranno sviluppare ed amalgamare l’elemento stoner con l’hard rock di scuola australiana (non solo la band dei fratelli Angus, ma anche Rose Tattoo), nel prossimo futuro ci faranno divertire non poco.

TRACKLIST
1.Play It
2.Sail On
3.Holy Hypocrite

LINE-UP
Jörg Theilen-Vocals
Eric Post-Guitars
Jan Ole Möller-Vocals, guitars
Lennard Viertel-Bass, vocals
Steffen Freesemann-Drums

WENDIGO – Facebook

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Beelzefuzz – The Righteous Bloom

Se l’hard rock classico continua a regalarvi emozioni anche nel nuovo millennio, lasciate perdere per una volta i soliti nomi e fate vostro questo ottimo The Righteous Bloom.

Negli ultimi anni l’heavy rock ha riscoperto i suoni vintage provenienti sopratutto dagli anni settanta, ottime realtà sono nate praticamente in tutto il mondo, specialmente in Italia e nei paesi nord europei, ma gli Stati Uniti continuano a fare la voce grossa quando si parla di hard rock stonerizzato e psichedelico.

Ancora nella cerchia ristretta del mondo underground il genere propone band dall’alto potenziale qualitativo e varie nell’approcciarsi al sound classico, così che non è poi difficile imbattersi in lavori dannatamente coinvolgenti e dallo spirito rock d’annata.
Il quartetto dei Beelzefuzz, arriva dal Maryland, questo è il suo secondo lavoro dopo l’esordio omonimo uscito nel 2013, ed intitola l’album riprendendo il nome della prima incarnazione del gruppo, The Righteous Bloom.
Capitanata dal bravissimo e talentuoso chitarrista/cantante Dana Ortt, la band propone un rock vintage che richiama a sé sia il doom classico che l’hard blues settantiano, in una miscela esplosiva di suoni colorati e psyihedelici.
Il sound della band ha il pregio di tirare dritto arrivando al nocciolo della questione, senza perdersi troppo in lunghe e fumose divagazioni stoner: come detto sono il doom e l’hard rock che, insieme, comandano le operazioni e la fruibilità ne giova assai, presentandoci undici brani freschi, ben suonati e come detto dal sound vario.
Dana Ortt è un chitarrista dal tocco secco e preciso, il suo lavoro fa da gettata alle fondamenta di un sound ricco di spunti, il tono evocativo dalle reminiscenze doom mantiene ben legato il cordone ombelicale che il gruppo ha con la musica del destino, anche quando lo spirito blues rock prende il sopravvento.
Ne escono undici brani dall’alto potenziale, le melodie vincenti non mancano e le ritmiche vanno di pari passo con questo sali e scendi di umori vintage: non mancano tra i solchi di The Soulless, Eternal Waltz e la stupenda Nebulous riferimenti ai gruppi storici, così che è un attimo ritrovarsi tra le orecchie suoni nel passato in mano a Uriah Heep, Black Sabbath, Pentagram e Led Zeppelin, racchiusi in un arcobaleno psichedelico dai colori accesi.
Se l’hard rock classico continua a regalarvi emozioni anche nel nuovo millennio, lasciate perdere per una volta i soliti nomi e fate vostro questo ottimo The Righteous Bloom.

TRACKLIST
1. Nazriff
2. The Soulless
3. Hardluck Melody
4. Rat Poison Parfait
5. Eternal Waltz
6. Within Trance
7. Nebulous
8. The Righteous Bloom
9. Sanctum & Solace
10. Dying On The Vine
11. Peace Mind

LINE-UP
Dana Ortt – Lead vocals/guitar
Darin McCloskey – drums
Greg Diener – Lead guitar/vocals
Bert Hall – Bass guitar

BEELZEFUZZ – Facebook

Höllenbriada – Harte Zeit

La più scatenata quarantina di minuti da un po’ di tempo a questa parte, tra hard rock, una spruzzata di metallo stradaiolo e chorus da urlare a squarciagola.

Se per voi Axel Rose negli Ac/Dc ci sta come i cavoli a merenda, se gli ultimi album dello storico quintetto australiano sono stati solo mere operazioni commerciali per portare la band in tour, lasciate davanti all’ufficio dell’Inps i fratelli Young ed abbracciate i bavaresi Höllenbriada, un gruppo di irriverenti rockers tedeschi che se musicalmente non si allontanano dalla band di Highway To Hell, ne modernizzano il sound e soprattutto cantano in tedesco.

Ne esce un album divertentissimo, puro hard rock irrefrenabile di cui diventa davvero difficile fare a meno.
Certo, l’originalità sta tutta nel cantato in lingua madre del gruppo di Dani Zizek, chitarrista con un passato in una cover band (indovinate un po’?) degli Ac/Dc, ma al netto di questo fattore Harte Zeit risulta un album molto trascinante.
Birra a fiumi, seni prosperosi di bionde valchirie alte due metri e via verso la più scatenata quarantina di minuti  da un po’ di tempo a questa parte, tra hard rock, una spruzzata di metallo stradaiolo e chorus da urlare a squarciagola, anche se il tedesco non è poi così semplice da memorizzare, ma chi se ne frega, qui ci si diverte alla grande.
La title track singolo dell’album, l’incendiaria Wenn Du Moanst, il blues strascicato di Alls Verloarn ed il rock’n’roll di Morga Friah Is d’Nocht Vorbei sono solo alcune delle adrenaliniche tracce di questa botta di vita che non fa prigionieri e regala finalmente un po’ di sano hard rock come il diavolo comanda.
Detto che la produzione è perfetta per far esplodere i brani e la voce particolare di Boris Scheifele, sommata alla lingua tedesca, non fa che rendere il tutto ancora più irriverente e sfrontato, consiglio di non perdervi per nulla al mondo questo lavoro, non ve ne separerete per molto, molto tempo.

TRACKLIST
1.Harte Zeit
2.So A Dog
3.Z’east a halbe
4.Wenn du moanst
5.Alls verloarn
6.Höllenbriada
7.Ja woher
8.Schwarzer Finger
9.Morga friah is d’ Nacht vorbei
10.Auf geht’s prost
11.Niedergschlong

LINE-UP
Boris Scheifele – Bass, Vocals
Dani Zizek – Guitars, Vocals
Markus Heilmeier – Guitars
Tobias Sailer – Drums

HOLLERBRIADA – Facebook