Freddy Delirio And The Phantoms – The Cross

Come in una colonna sonora di un film fantasy/gothic/horror anni ottanta, Freddy Delirio ci prende per mano e ci conduce in un mondo parallelo, in cui fantasmi e spiriti si muovono attraverso il tempo in una loro dimensione ancestrale.

Uno dei musicisti più importanti della scena rock/progressive e metal tricolore, storico tastierista dei leggendari Death SS e protagonista di molti altri progetti che lo hanno visto coinvolto, torna con un nuovo album di inediti.

Federico Pedichini, conosciuto come Freddy Delirio, tramite la label genovese Black Widow licenzia The Cross, cinquanta minuti di ottima musica rock divisa in undici capitoli sotto il monicker Freddy Delirio And The Phantoms.
Come in una colonna sonora di un film fantasy/gothic/horror anni ottanta, il musicista toscano ci prende per mano e ci conduce in un mondo parallelo, in cui fantasmi e spiriti si muovono attraverso il tempo in una loro dimensione ancestrale.
Dall’opener Frozen Planets in poi questo scrigno di musica senza tempo si apre davanti a noi: le ritmiche sono da subito grintose, e l’aura metallica del brano potrebbe ingannare l’ascoltatore, caricato di energia hard & heavy anche dal secondo brano, la splendida Guardian Angel.
Ma le porte del castello posseduto si aprono con Inside The Castle, primo capolavoro di questo lavoro, un brano orchestrato su atmosfere space/horror e valorizzato da un assolo di chitarra da brividi.
Con The Circles si entra nel cuore dell’opera, un brano horror che con il successivo In The Fog disegna paesaggi grigi di bruma, illuminati dagli occhi glaciali delle fiere nascoste tra i cespugli.
L’atmosfera di The Cross, anche grazie al superbo lavoro di Delirio alle tastiere e ad assoli chitarristici che sprizzano melodie heavy come sangue da un’arteria tagliata, alterna momenti di tensione altissima con passaggi più liquidi che si avvicinano alla new wave, per poi esplodere in cavalcate prog metal (Afterlife) o dark rock (In The Forest).
La conclusiva The Ancient Monastery è anche il brano più lungo dell’album, con il quale la band si congeda con un doom/dark/rock di scuola italiana, tradizione musicale di cui è pregno The Cross, album da avere a prescindere dai generi a cui si ispira.

Tracklist
01. Frozen Planets
02. Guardian Angel
03. Inside The Castle
04. The Circles
05. In The Fog
06. The New Order
07. Afterlife
08. In The Forest
09. Liquid Neon
10. Cold Areas
11. The Ancient Monastery

Line-up
Freddy Delirio: Vocals, keyboards, guitars, bass and drums

Special guests:
Vincent Phibes: Guitar solos and clean guitars on “In the fog”, “Cold areas” and “The ancient monastery”
Francis Thorn: Guitar solos and additional guitars on “Frozen planets”, “Guardian angel”, “Liquid neon” and “In the forest”
Lucky Balsamo: Guitar solos on “Inside the castle”, “The new order” and “The circles”
Jennifer Tavares Silveira: Female vocals
Elenaq: Female vocals
Steve Sylvester: Vocal chorus on “The new order”
Francesco Noli: Drums
Chris Delirio: Percussion

FREDDY DELIRIO – Facebook

Wrong Way To Die – Wild And Lost

Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene.

I Wrong Way To Die sono un gruppo padovano di hardcore melodico ma c’è molto di più.

Nati nel 2011, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2014 con Ingrates, per Redfield Digital, e hanno condiviso il palco con gruppi dal grande seguito come Texas In July e Being As An Ocean. La band si autodefinisce melodic hardcore, ma la sua musica va ben oltre questo genere , regalando molte emozioni che è poi la cosa più importante. I Wrong Way To Die sono un gruppo di talento e passione, all’interno di ogni canzone riescono sempre a trovare le soluzioni adeguate, e soprattutto allargano l’orizzonte di questo suono, rompendo i soffitti e facendoci intravedere il cielo. Nella loro musica si può sentire una linea melodica in comune con gruppi come i Deftones, quelle scalate melodiche che rimettono a posto il cervello e lo stomaco di chi ascolta. Ci sono tantissimi stop and go, tutti bellissimi e coerenti, e anche le parti maggiormente post hardcore sono molto belle. Se si volesse dare una definizione del loro suono, definizione per forza riduttiva perché è sempre la musica ed il gusto personale a comandare, si potrebbe azzardare un post hardcore progressive, perché ci sono cose in questo gruppo che vanno oltre le definizioni esistenti. I Wrong Way To Die non inventano nulla, ma lo fanno in maniera molto originale e coinvolgente, con un disco che ha una grande freschezza e al contempo un grande calore che ti avvolge e ti fa stare bene, senza contare che la resa dal vivo deve essere devastante. Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene. Si sente molto chiaramente che il gruppo ha ascoltato e studiato molto e, mi spiace dirlo, ma se fossimo ad altre latitudini avrebbe ben altro seguito. Un disco che cerca dentro e fuori di noi alcune risposte, che sono già messe in musica proprio qui.

Tracklist
1. Orbit
2. Aimless
3. Reformed
4. Eternal
5. Fall Apart
6. The Most You Can Lose
7. The End / To Begin
8. The Glass I

Line-up
Federico Mozzo – Guitars
Vittorio Rispo – Bass
Marco Violato – Drums
Pham The Cosma Hai – Vocals

WRONG WAY TO DIE – Facebook

Cil City – Jump Off The Cliff

Jump Off The Cliff è un buon lavoro da parte di una band dalle grandi potenzialità e vedremo se questo nuovo album la aiuterà a trovare nuovi fans anche fuori dai propri confini.

Non male il secondo lavoro di questo viennese chiamato Cil City, composto da tre musicisti di sesso maschile e da due tigri che corrispondono a Deniz Malatyali alla voce e Cornelia Gass al Basso.

Dopo il debutto intitolato Red Ocean, la band di Vienna torna alla carica con Jump Off The Cliff, un album composto otto brani dal sound ad ampio respiro, tagliente ed aggressivo, ma che sa essere anche alternativo nel suo esplorare il mondo dell’hard rock di estrazione europea.
L’Austria e la vicina Svizzera sono culle per queste sonorità, vere scuole dove molti gruppi soprattutto a livello underground hanno seguito le realtà storiche nate sul territorio e i Cil City si presentano sul mercato con un sound accattivante, dal buon groove ed un mix tra tradizione e sonorità più in linea con gli ultimi tempi in cui la parte alternativa ha sempre un suo spazio.
Ovviamente la voce della cantante fa la differenza, ammiccante e graffiante ad assecondare il roccioso sound di brani come la title track e She’s Rock’n’Roll o la vena più alternativa del rock sporcato di moderno funky della bellissima This Road Won’t Take Me Home.
Jump Off The Cliff è un buon lavoro da parte di una band dalle grandi potenzialità e vedremo se questo nuovo album la aiuterà a trovare nuovi fans anche fuori dai propri confini.

Tracklist
1.Jump Off The Cliff
2.She’s Rock ‘n’ Roll
3.Shout It Out
4.This Road Won’t Take Me Home
5.Freedom
6.Fears In My head
7.Changes
8.#8

Line-up
Deniz Malatyali – Vocals
Hal West – Guitar
Erny Hofbauer – Guitar
Cornelia Gass – Bass
Bernhard Sattra – Drums

CIL CITY – Facebook

Crowhurst – III

Un’opera che grida, un urlo disperato eppure bellissimo, un disco che piacerà a tanti, perché copre un grande arco della musica pesante e non solo.

Jay Gambit aka Crowhurst è un musicista e produttore che ha coperto e copre un’ampia gamma di generi musicali, e potrebbe essere definito a ragione un esploratore sonoro.

Ogni volta visita mondi diversi e in questo caso con III si addentra in territori noise e grunge, creando come sempre qualcosa di bellissimo. III è disperato e struggente, il grido di un animale sempre connesso e però morente, colpevole di aver ucciso il proprio ambiente di vita e quindi sè stesso. La razza umana è una contraddizione in termini che prima o poi sarebbe dovuta esplodere e questo disco rappresenta benissimo il poi. La voce di Jay è disperata e ruvida, passa attraverso i padiglioni auricolari per arrivare al cuore ed esplodere, grazie anche ad una musica che si dimena con lui. Questa è forse l’opera in apparenza meno estrema musicalmente, ma è una cascata di odio e disagio, sublimata da uno spirito musicale davvero superiore. Le uscite discografiche totali di Crowhurst sono oltre settantacinque, contando anche le varie collaborazioni, ma ogni volta è un’epifania. In questa nuova pubblicazione però si è superato andando a creare un ponte temporale tra il grunge e qualcosa di estremamente moderno, di vicino al noise e ad altre cose pur senza appartenere a nessun genere in particolare, andando ad usare i codici musicali più adatti per creare qualcosa di potente e ben definito, di musicalmente unico. III è un disco in cui lo spazio si restringe sempre di più, dove le distorsioni sono solchi sull’asfalto e sulla nostra faccia, anno dopo anno, morte dopo morte. Il disco è inoltre strutturato come la narrazione di un film, infatti Crowhurst ha ammesso di essere stato influenzato da The Natural Born Killers, dal quale trae la disperazione e la violenza. Insieme al film di Oliver Stone, Jay Gambit si ispira anche alla serie tv The Twilight Zone, di cui si serve per andare oltre, infatti l’ultima canzone prende il titolo da un episodio della serie. Un’opera che grida, un urlo disperato eppure bellissimo, un disco che piacerà a tanti, perché copre un grande arco della musica pesante e non solo. Prodotto da Kurt Ballou.

Tracklist
1.I Will Carry You To Hell
2.Self Portrait With Halo And Snake
3.The Drift
4.La Faim
5.Ghost Tropic
6.Five Characters In Search Of An Exi

CROWHURST – Facebook

Lullwater – Voodoo

I Lullwater rifilano una serie di brani che ben si collocano tra la prima metà degli anni novanta nell’era post Kurt Cobain, così da risultare ruvidi, potenti ma, allo stesso tempo melodici quel tanto che basterebbe per non fare prigionieri, se solo si potesse tornare indietro di almeno vent’anni.

Grunge, alternative rock, hard rock, quel poco di influenze southern tanto per ribadire la totale devozione al rock americano, et voilà, il gioco è fatto, ed anche molto bene.

Senza cercare di sembrare originali a tutti i costi, i greci Lullwater licenziano un lavoro ispiratissimo, il quarto della loro discografia iniziata una decina di anni fa e si confermano un gruppo da seguire per gli amanti del rock di ispirazione statunitense nato e sviluppatosi negli anni novanta.
Con la band greca non si va troppo a ritroso con le influenze, il sound si ferma ai primi anni novanta riportando ai maggiori gruppi usciti da Seattle in quel periodo, ed entrando nel nuovo millennio con gli esponenti del cosiddetto post grunge.
Il quarto album della band ellenica, intitolato Voodoo, è stato registrato nei Marigny Studios di New Orleans, prodotto dallo svedese Jakob Herrmann in collaborazione con Justin Davis e presenta una serie di brani grintosi e pregni di groove.
Capitanati dal chitarrista e cantante John Strickland, i Lullwater rifilano una serie di brani che ben si collocano tra la prima metà degli anni novanta nell’era post Kurt Cobain, così da risultare ruvidi, potenti ma, allo stesso tempo melodici quel tanto che basterebbe per non fare prigionieri, se solo si potesse tornare indietro di almeno vent’anni.
Di questi tempi invece ci si accontenta di sorprendere in positivo i fans e gli addetti ai lavori con brani che uniscono Peral Jam, Nirvana e Soundgarden a Nickelback e Theory Of a Madmen, creando un alchimia perfetta tra due generazioni di rock alternativo.
Si fa ascoltare che è un piacere Voodoo e bisogna arrivare al penultimo brano (Yellow Bird) per un accenno di semi ballad, mentre il resto risulta una raccolta di tracce dal sound energico come Dark Divided, Similar Skin, Godlike e Fight Of Your Life.
Un album da ascoltare mentre si guida su strade bagnate dalla rugiada della notte oppure arroventate dal caldo sole del giorno, con lo sguardo verso il confine ed il piede a tavoletta.

Tracklist
1.Curtain Call
2.Dark Divided
3.Empty Chamber
4.Similar Skin
5.This Life
6.Godlike
7.Buzzards
8.Fight Of Your Life
9.Into The Sun
10.Yellow Bird
11.Suffer Not

Line-up
John Strickland – Rhythm Guitar & Lead Vocals
Daniel Binnie – Lead Guitar
Roy ‘Ray’ Beatty – Basso e vocalizzi
Joseph Wilson – Drums & Vocals

LULLWATER – Facebook

Alive – Lookin’ For A Future

Una decina di brani che non deludono per chi il genere lo ama a dispetto dei tanti anni passati, delle mode e di una vita trascorsa nell’underground in attesa che i riflettori si riaccendano e che si torni a ruggire come ai tempi d’oro di Motley Crue, Extreme e Mr.Big.

La Volcano Records licenzia in poco tempo due ottimi lavori che ripercorrono le strade di quel metal/rock che fece sprigionare delle autentiche eruzioni rock’n’roll dalle strade della Los Angels anni ottanta.

Vain Vipers ed Alive sono due facce della stessa medaglia, simili ma allo stesso tempo differenti nell’ispirarsi alla scena di metà anni ottanta: più glam i primi, duri come l’acciaio i rockers romani, debuttanti per la label napoletana con questo Lookin’ For A Future.
Hard & heavy dunque, tagliente come le lame di un rasoio, pregno di ovvia attitudine rock’n’roll e perfetto nel saper unire grezzo rock duro e melodie ruffiane che farebbero tremare le gambe ad un orco.
I cinque musicisti della capitale ci vanno giù duro, ci invitano al loro party tra chitarre dall’attitudine metallica e sfumature che richiamano il rock americano di matrice hard blues in un contesto heavy, valorizzato dal grande e sagace uso delle melodie.
Ballad come Stand Up o la conclusiva In My Night ci ricordano che il genere non è solo fuoco e fiamme, mentre le varie Hated If, I Don’t Follow e Our last Time regalano chorus orecchiabili, in un contesto hard & heavy.
Una decina di brani che non deludono per chi il genere lo ama a dispetto dei tanti anni passati, delle mode e di una vita trascorsa nell’underground in attesa che i riflettori si riaccendano e che si torni a ruggire come ai tempi d’oro di Motley Crue, Extreme e Mr.Big.

Tracklist
1.Hated If
2.Don’t Follow
3.Money&Control
4.Leave Me
5.Stand Up
6.Lookin’ For a Future
7.Our Last Time
8.Stay Around
9.N0
10.In My Nights

Line-up
Marco Patrocchi – Vocals
Giuseppe Ricciolino – Guitars
Mattia Tibuzzi – Bass
Dario Di Pasquale – Drums
Simone Aversano – Guitars

ALIVE – Facebook

Former Friends – Late Blossom

In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione.

Freschezza, potenza e un gran bell’intuito per melodie e ritornelli irresistibili.

I Former Friends sono un giovane gruppo di Cosenza, non si inventano nulla di nuovo ma lo fanno a modo loro e ciò è già molto importante. I nostri hanno un inizio di carriera molto inusuale, dato che la loro prima uscita è Friends For A Week, un ep che ha marcato un confine netto fra ciò che erano e ciò che sono e saranno. A seguito di questo ep esce un disco di loro brani rivisti e suonati dal vivo in saletta per The Garage Session, Behind Closed Doors. I Former Friends vibrano, sono uno di quei gruppi che quando si allineano tutti come se fossero dei pianeti le cose esplodono e vanno benissimo. Questi ragazzi hanno un grandissimo intuito per fare musica e lo si sente subito, la materia indie nelle loro mani scorre molto bene. Il tiro è notevole, e i riferimenti li troviamo nella scuola inglese degli ultimi anni, con una spruzzata di suoni a stelle e strisce. In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione. Un disco come questo è difficile da ignorare, ci sono dei difetti, ma le potenzialità della band sono davvero tante e quello che si sente qui è qualcosa che non si ascolta con facilità, perché l’incedere è profondo, si cambia spesso registro e le cose non sono mai quello che sembrano. Un difetto è la produzione troppo piatta, in quanto con suoni più potenti questi ragazzi farebbero piangere i nostri amplificatori, ma è solo un particolare. Il passaggio più arduo per i Former Friends, dopo un disco come questo, sarà continuare andando avanti con gli anni, perché questo disco ha una forte spinta derivante dalla loro giovane età per cui vediamo come andrà. Nel frattempo, nel qui ed ora va molto bene.

Line-up
Andrea Alberti
Marco Pucci
Luca Parise
Lorenzo Gagliardi

FORMER FRIENDS – Facebook

Hex A.D. – Netherworld Triumphant

Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Terzo full length per i rockers norvegesi Hex A.D., quartetto che fa delle sonorità vintage la sua prerogativa.

La band norvegese asseconda la tradizione scandinava per i suoni hard rock di matrice settantiana, li potenzia con mid tempo di ispirazione doom classica e li personalizza con atmosfere progressive, per un risultato che va oltre le aspettative, almeno per chi ancora non si era imbattuto nei suoi lavori.
Netherworld Triumphant è dunque un album che soddisferà non poco gli amanti del rock pesante di matrice classica, un mix perfetto di Deep Purple, Uriah Heep e primi King Crimson, votati alla musica del destino.
Himmelskare funge da intro prima che il gruppo capitanato dal vocalist e chitarrista Rick Hagan cominci a disegnare su uno spartito vintage tappeti di musica maggiormente progressiva, nelle due parti della title track che formano dieci minuti abbondanti di rock duro di ottima qualità.
L’uso dell’hammond conferisce quel tocco lordiano ai brani che risultano il punto di forza del sound firmato dagli Hex A.D., i quali continuano a macinare grande rock con il doom sabbathiano della pesantissima Warchild, brano potente ed evocativo perfetto per chi ama in egual misura Black Sabbath ed Uriah Heep.
Sette brani per cinquanta minuti calati alla perfezione in una musica che, se prende ispirazioni ed influenze dalle band storiche citate, si avvale di un buon songwriting che non lascia indifferenti.
La lunga Ladders To Fire chiude alla grande questo nuovo lavoro con i suoi tredici minuti di sunto compositivo, tra lenti passaggi doom, hard rock e slanci progressive.
Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Tracklist
1. Himmelskare
2. Skeleton Key Skeleton Hand
3. Netherworld Triumphant pt. I
4. Netherworld Triumphant pt. II
5. WarChild
6. Boars On Spears
7. Ladders To Fire

Line-up
Rick Hagan – Vocal, guitar
Mags Johansen – Organ, mellotron, keyboard
‘Arry Gogstad – Bass
Matt Hagan – Drums

HEX A.D. – Facebook

A Day In Venice – III

Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia.

Terzo disco per il progetto post rock ed altro del chitarrista triestino Andrej Kralj, che lo ha iniziato nel 2013.

A Day In Venice è un concentrato di calma e tenebrosa bellezza, dal clima carico di sentimento e presentimento, per un’esperienza sonora originale ed inedita in Italia. Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia. Andrej suona tutti gli strumenti e il tutto è molto ben strutturato, dato che fornisce alla sua musica una veste molto particolare, non scadendo mai nell’ovvio, mentre troviamo alla voce Paolo Brembi, che arricchisce notevolmente i brani. Dentro a questo dolce disco troviamo anche tanto emo, nella sua accezione anni novanta, quando era un qualcosa di indie e di melodico che si fondeva con altri generi. Non c’è fretta qui, le ferite hanno tutto il tempo per cicatrizzarsi, e navigando dentro al nostro mare burrascoso abbiamo un porto chiamato A Day In Venice dove fermarci. In ogni canzone troviamo qualcosa di notevole, siano essi passaggi ben concatenati o più per esteso il sentire generale. Sottovalutare questo album sarebbe un grosso errore, soprattutto per le emozioni che provoca a chi ama la musica non convenzionale, e soprattutto quella che induce ad esprimere ciò che proviamo. I riferimenti sono sicuramente tanti, ma su tutti direi che i Radiohead hanno lasciato un’impronta indelebile su alcuni cuori che poi si sono messi a fare musica. Guardare il mare e le sue onde insieme a qualcun altro, sapendo che un appoggio c’è sempre: III riporta l’attenzione su noi stessi e su chi ci circonda, e questo disco potrebbe essere il vostro migliore amico.

Tracklist
1. Dark electricity
2. Walls of madness
3. Tunnel of ashy lights
4. Her body rocks
5. Prison is a red sky
6. I am nowhere in time
7. The golden stone
8. Temple of the dog
9. Far

Line-up
Andrej Kralj
Paolo Brembi

A DAY UN VENICE – Facebook

N.Ex.U.S. – N.Ex.U.S.

N.Ex.U.S. è un album affascinante e maturo, fuori dai cliché del progressive ipertecnico ma poco curato nel songwriting, per intraprendere una strada che porta alla valorizzazione dell’opera nel suo insieme e di una serie di brani che sono le dieci tappe di un percorso che il gruppo ci invita ad affrontare.

N.Ex.U.S. è un progetto musicale nato dall’unione artistica di Christian “Jeremy” Checchin (chitarra) e Fausto “Tex” Tessari (tastiere), partiti con la loro avventura nel mondo del rock progressivo nel 2015 condividendo l’esperienza con alcune cover band per poi arrivare all’importante decisione di scrivere brani propri.

Col tempo ai due musicisti si sono aggiunti Tommaso “Tommy” Galeazzo, Daniele Gallan, e Fabio Tomba a formare la line up che ha dato vita, sotto la supervisione di Alessandro Del Vecchio, questo debutto omonimo licenziato da Logic Il Logic Records & Burning Minds Music Group.
Ne esce un album affascinante e maturo, fuori dai cliché del progressive ipertecnico ma poco curato nel songwriting, per intraprendere una strada che porta alla valorizzazione dell’opera nel suo insieme e di una serie di brani che sono le dieci tappe di un percorso che il gruppo ci invita ad affrontare: un progressive rock che si nutre di impulsi metallici ed atmosfere pomp rock in un contesto moderno, accomunando in un unico sound spunti forniti dal new prog, dalla tradizione settantiana e dall’heavy metal.
Le ispirazioni dei N.Ex.U.S sono tante e perfettamente leggibili in un sound che risulta comunque personale, dando sfoggio ad un ottimo talento per l’aspetto melodico che si fa prepotentemente spazio tra la cascata di note che ci travolge in brani come la strumentale …The System, la progressivamente metallica Land Of Misery e la splendida John Doe.
I musicisti sfoggiano buona tecnica messa comunque al servizio di un songwriting di alto livello e l’ascolto dell’album ne giova non trovando ostacoli e arrivando alla fine con la voglia di ripremere il tasto play.
Progressive rock/metal di spessore dunque da parte di questa nuova scommessa targata Logic Il Logic Records/Burning Minds Music Group, assolutamente da non perdere se siete amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
1.Loading…
2…The System
3.Empathy
4.A Man Without A Soul
5.Land Of Misery
6.Reflections
7.The Mercenary
8.Another Shore
9.John Doe
10.Final Act: A New Humanity

Line-up
Tommaso “Tommy” Galeazzo – Vocals
Christian “Jeremy” Checchin – Guitars
Fausto “Tex” Tessari – Keyboards
Daniele Gallan – Bass
Fabio Tomba – Drums

N.Ex.U.S. – Facebook

Poste 942 – Long Replay

Long Play diventa Long Replay in questa nuova uscita targata 2019 che vede il gruppo tornare a far esplodere gli altoparlanti con quasi cinquanta minuti di ottima musica.

La label Bear Beer Boar Prod. ristampa in una nuova versione con titolo e artwork rinnovati il primo album dei rockers transalpini Poste 942, un dinamitardo combo che suona hard rock potente ed ispirato tanto dagli anni settanta, quanto dal southern e dal grunge.

Long Play diventa Long Replay in questa nuova uscita targata 2019 che vede il gruppo tornare a far esplodere gli altoparlanti con quasi cinquanta minuti di ottima musica.
Hard rock, stoner e groove a manetta, senza rinunciare ad atmosfere southern: le verdi colline francesi ai piedi delle Alpi si trasformano così nei caldi deserti americani o nelle paludi dell’estremo territorio della misteriosa Lousiana.
Lo stile dei Poste 942 è più semplice di quanto si possa immaginare ma molto interessante, così come il modo in cui il gruppo riesce, senza essere dispersivo o approssimativo, ad inserire svariate influenze tra i brani di Long Play.
Partendo dal metal stonerizzato di Down e Pantera, passando per elettrizzanti tratti grunge rock che ricordano non poco i Nirvana, per giungere allo stoner della Sky Valley ed il southern rock, il tutto viene ben calibrato dal gruppo francese in questa raccolta di brani che hanno nel singolo Whiskey, nell’esuberante vena di 49.3, nella semiballad desertica Grace e nella rabbiosa Lonely Day i punti salienti di questo piacevole lavoro.
Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali: allora una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Replay.

Tracklist
1.49.3 (Reboot)
2.Color of Red
3.Devil’s Complaint
4. Whiskey
5.Punky Booster
6. Grace
7. Pigs in Paradise
8.Lonely Day
9.Psycho Love Part.I
10.Psycho Love Part.II
11. Breathe
12.Kill the Princess

Line-up
Sébastien Mathieu – Guitars
Sébastien Usel – Vocals
Ludovic Favro – Bass
Bruno Pradels – Guitars
Fred Charles – Drums
Stephen Giner – Cornemuse

POSTE 942 – Facebook

White Cowbell Oklahoma – Seven Seas Of Sleaze

Alle malinconiche ballate intrise di blues al caldo di un tramonto con vista sulla frontiera, la band preferisce un diretto in pieno volto, un eccesso di attitudine che si traduce in un sound sfacciato e dalle chiare influenze hard, rock’n’roll e blues.

Gli White Cowbell Oklahoma sono di fatto la spettacolarizzazione del southern rock, o almeno la sua anima più corrotta e deviata.

Alle malinconiche ballate intrise di blues al caldo di un tramonto con vista sulla frontiera, la band preferisce un diretto in pieno volto, un eccesso di attitudine che si traduce in un sound sfacciato e dalle chiare influenze hard, rock ‘n’ roll e blues, ma di quello dannato, regalato dal solito satanasso che non ne vuole sapere di allontanarsi da crocicchi e drugstore di quell’ America in cui si balla a ritmo del country rock e ci si butta via tra alcool e anfetamine.
Questo lavoro, licenziato dalla Slick Monkey Records ed ultimo di una discografia che vede una manciata di album ed una carriera fondata sui concerti dal vivo che si trasformano in veri e propri spettacoli tra ballerine, fuochi d’artificio e pericolose motoseghe., è composto da un paio di inediti più cinque brani registrati appunto nella dimensione più consona alla band canadese, il palco.
E’ on stage che gli White Cowbell Oklahoma non perdono un colpo e, anche se non disponiamo del supporto video, la sensazione di vivere uno spettacolo che va oltre alla musica è percettibile tra le note di brani travolgenti come Flapjack Flytrap, Monster Railroad e Flush In The Pocket.
Lynyrd Skynyrd, Deep Purple, ZZ Top e Allman Brothers in salsa hard rock, punk, blue … non male davvero.

Tracklist
1.Into The Sun
2.Harder Come, Harder Come
3.Flapjack Flytrap (Live)
4.Cheerleader (Live)
5.Monster Railroad (Live)
6.Flash In The Pocket (Live)
7.Shot A Gamblin’ Man (Live)

WHITE COWBELL OKLAHOMA – Facebook

Suzi Quatro – No Control

Suzi Quatro si ribella allo scorrere del tempo e si ripresenta in forma a quasi settant’anni con No Control, album scritto a quattro mani con il figlio Richard Tuckey e a noi comuni mortali non resta che inchinarci a questa regina del rock’n’roll.

Un nuovo album targato Suzi Quatro, diciannove anni dopo la nascita del nuovo millennio.

Susan Kay Quattrocchio si ribella allo scorrere del tempo e si ripresenta in forma, a quasi settant’anni, con No Control, album scritto a quattro mani con il figlio Richard Tuckey e a noi comuni mortali non resta che inchinarci a questa regina del rock’n’roll.
Diventata un’icona del rock e del glam negli anni settanta la bassista, cantante ed attrice statunitense fa bella mostra di sé, accompagnata dal suo basso sull’artwork di copertina di questo nuovo lavoro che, clamorosamente, abbraccia più di un genere, dal rock, al pop al soul e al blues, mentre lei a tratti rispolvera la grinta dei bei tempi con Macho Man e il rock blues sfacciato di Don’t Do Me Wrong.
Suzi Quatro non ha mai smesso di dedicarsi al rock, e il nuovo millennio l’aveva già vista protagonista di tre lavori, due solisti (Back To The Drive del 2005 e In The Spotlight del 2011) e l’album del 2017 con due leggende del glam rock come Andy Scott, chitarrista degli Sweet e Don Powell, batterista degli Slade, quindi che No Control suoni alla grande non sorprende sicuramente.
La Quatro ha dato vita ad un lavoro formato da belle canzoni pop/rock, nel quale i fiati assumono un ruolo da protagonisti in quasi tutta la tracklist (splendida I Can Teach To You Fly) e lei, come scritto, sfoggia una grinta invidiabile.
La conclusiva Going Down Blues è un blues sensuale e sanguigno, l’ideale saluto di Suzi tornata con un lavoro graffiante ed emozionante, pregno di suoni ed umori classici, ma non per questo trascurabile: il rock’n’roll non ha età.

Tracklist
1. No Soul/No Control
2. Going Home
3. Strings
4. Love Isn’t Fair
5. Macho Man
6 .Easy Pickings
7. Bass Line
8. Don’t Do Me Wrong
9. Heavy Duty
10. I Can Teach You To Fly
11. Going Down Blues

Vinyl bonus tracks:
12. Heart On The Line (bonus track)
13. Leopard Skin Pillbox Hat (bonus track)

SUZI QUATRO – Facebook

Orango – Da Per Terra Di Sicuro Non Cado

Il tutto è molto interessante e piacevolmente spigoloso, si crea un senso di tranquillità e di sincerità, impossibile da trovare altrove.

Gli Orango sono un duo di math rock bolognese.

La peculiarità di questo gruppo è la perfetta associazione musica e parole, sbalzi umoral-musicali, distorsioni, giri di stomaco e giri di chitarra, con la batteria che dà testate su di noi. Le parole sono dette non per piacere, descrivere cosa sia dire e fare cose antipatiche ma sincere, andando ben oltre il politicamente corretto che domina la nostra era. Gli Orango vogliono lo scontro, perché siamo talmente falsi che a poca distanza diciamo ben altro, mentre in faccia diciamo ben poco. Potrebbe sembrare un flusso di coscienza, in realtà è un cercare di orientarsi in un flusso di merda. Gli Orango fanno qualcosa che nel sottobosco si ascolta molto raramente, ovvero produrre un ep come si vuole e dire “ecco qui cosa abbiamo fatto, vi piace ? Bene. Non vi piace ? Va bene lo stesso, ciao grazie”. Il tutto è molto interessante e piacevolmente spigoloso, si crea un senso di tranquillità e di sincerità, impossibile da trovare altrove. “Voglio un confronto, non un consenso…” è l’incipit della terza canzone, Cepre, e potrebbe dare un’idea di cosa sia questo ep. Le cinque tracce sono da ascoltare come se si facesse un dialogo con un amico che prima di tutto è sincero, e per questo non deve piacere per forza, anzi. Questo discorso è estremamente difficile da portare avanti in un’epoca in cui si è in continua ricerca di mi piace e di consenso. Musicalmente il disco è vivace, vario e fresco. La produzione fa rendere al meglio il tutto e il suono e le parole arrivano molto bene. Anche il titolo Da Per Terra Sicuro Non Cado ha un suo significato sul quale bisogna ragionare. Una delle sorprese di questo inizio di 2019, una bella supposta musicale.

Tracklist
1) Mostaco
2) Ay948km
3) Cepre
4) Strame
5) Gomma

Line-up
Carlo Berbellini – batteria
Diego Comis – chitarra
Orango – voce

ORANGO – Facebook

IX-The Hermit – Present Days, Future Days

Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.

Chi è abituato a frequentare l’underground metallico sa che le sorprese sono sempre dietro l’angolo e diventa quasi un’urgenza scovare nuove realtà, sorprendendosi piacevolmente all’ascolto di demo, ep o primi full length che potrebbero diventare l’inizio di qualcosa d’importante.

Ovviamente, quando si parla di underground si intende quello mondiale, lasciando ad altri antipatici confini da proteggere, per abbracciare ogni impulso musicale che riesca ad emozionare.
In questo caso rimaniamo nel nostro paese per presentare questa ottima nuova band, i IX-The Hermit, fondata da musicisti dal diverso background e con l’intento di creare qualcosa di nuovo ed originale, inglobando in unico sound i diversi generi musicali da cui provengono.
Dopo diversi cambi di line up, la formazione si stabilizza lo scorso anno così che, la band si può concentrare sui sei brani che compongono questo primo lavoro, un ep dal titolo Present Days, Future Days.
Sei buoni motivi per dare un ascolto alla proposta dei IX-The Hermit sono racchiusi nel sound di questo album che parte con Party Animal, titolo dai richiami street metal, ma pesante come un macigno seppur devota ad un hard & heavy che non manca di potenza e groove.
Ma già dal secondo brano la band lascia le strade dirette e hard rock del brano di apertura per salire su per tornanti progressivi, alternati da ripartenze pesanti come nella decisa You’re Not Worth e nel crescendo di Boston.
Buona tecnica unita ad una non facile catalogazione, fanno di Your Pain e soprattutto della conclusiva The Hermit, brani che uniscono metal estremo, sfumature alternative ed atmosfere progressive.
Dei IX-The Hermit ne sentiremo ancora parlare, nel frattempo si può ascoltare Present Days, Future Days per farsi un’idea sulle buone potenzialità messe in mostra dal gruppo.
Tracklist
1.Party Animals
2.Beyond All My Days
3.You’Re Not Worth
4.Boston
5.Your Pain
6.The Hermit

Line-up
Fabrizio Vindigni – Vocals
Fabrizio Miceli – Guitars
Luigi Gabriele – Guitars
Matteo De Franco – Bass
Giacomo Marsiglia – Drums

IX THE HERMIT – Facebook

Aaron Buchanan And The Cult Classics – The Man With Stars On His Knees

Un album, The Man With Stars On His Knees, magari lontano dai gusti di chi frequente questa webzine ma che merita sicuramente più di un ascolto distratto, specialmente da parte di chi fagocita rock senza barriere e confini di genere.

Primo album solista per Aaron Buchanan dopo neanche un anno dall’uscita dagli Heaven’s Basement.

Aaron Buchanan And The Cult Classics (monicker che a detta dello stesso singer si ispira a film cult come Le Iene, Taxi Ddriver e Pulp Fiction) risulta a tutti gli effetti una nuova band, con Buchanan circondato da una manciata di ottimi musicisti che corrispondono a Laurie Buchanan e Tom McCarthy alle chitarre, Mart Trail al basso e Paul White alla batteria.
The Man With Stars On His Knees non lascia spazio a dubbi sulla buona alchimia formatisi all’interno del gruppo, che rilascia un ottimo lavoro incentrato su di un rock votato alla tradizione ma inserito in un contesto moderno, tra alternative e sfumature radio friendly.
Ruggente, melodico e passionale, Buchanan si dimostra cantante e songwriting di spessore, tra atmosfere elettriche, brani accattivanti e di facile assimilazione così come altri dove il rock diretto e graffiante fa il suo sporco lavoro.
La band, inutile dirlo si fa apprezzare nelle tracce più energiche, anche se non mancano semi ballad dal retrogusto alternativo molto suggestive come la splendida title track.
Un album, The Man With Stars On His Knees, magari lontano dai gusti di chi frequente questa webzine ma che merita sicuramente più di un ascolto distratto, specialmente da parte di chi fagocita rock senza barriere e confini di genere.

Tracklist
1.Show What You’re Made Of
2.All the Things You’ve Said and Done
3.Dancin’ Down Below
4.The Devil That Needs You
5.Journey out of Here
6.The Man with Stars on His Knees
7.A God Is No Friend
8.Left Me for Dead
9.Mind of a Mute
10.Morals?
11.Fire in the Fields of Mayhem
12.Undertow

Line-up
Aaron Buchanan – Vocals
Laurie Buchanan – Guitar
Tom McCarthy – Guitar
Mart Trail – Bass
Paul White – Drums

THE CULT CLASSICS – Facebook

Yearnin’ – Take A Look

Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche.

Dalla provincia di Livorno arrivano gli Yearnin’, progetto di tre amici che cominciano nel 2015 a fare un suono che non si sente spesso in Italia e non solo.

Al centro di tutto c’è il blues, vero e proprio cardine del progetto, declinato in forme non tradizionali e molto efficaci. Ma non c’è solo il blues, ad esempio la penultima traccia, Rescue Me, è un pezzo che sembra dei migliori Alice In Chains, non è affatto derivativo ed è bellissimo. Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche. Oltre al blues e al grunge qui possiamo trovare anche del garage fatto molto bene e del rock bruciante, quasi southern. I riff sono taglienti, la voce ci porta per mano in un mondo più vero e vizioso, su strade polverose di campagna, che posso essere nel delta del Mississipi come in provincia di Livorno. I tre ragazzi hanno trovato una bilanciatura perfetta, vanno come dei treni e non c’è mai un momento di noia o di stanchezza. Rielaborare in questa maniera il blues non è cosa facile, eppure loro lo fanno molto bene riuscendo anche a portare elementi innovativi, in un suono nel quale è già stato detto tutto e solo i più bravi riescono ad aggiungere qualcosa. Il disco è davvero una goduria così come lo deve essere uno loro spettacolo dal vivo. Il suono è rustico, credibile e ben strutturato, figlio di tante jam in saletta, che è poi il luogo dove tutto nasce. La produzione fa risaltare tutta la loro bravura e, inoltre, gli Yearnin’ sanno usare diversi registri, dalle cose più veloci a quelle più lente e sensuali, sempre con un accento originale. Take A Look è un disco che fa godere e allevia un po’ le nostre sofferenze quotidiane, il che non è poco.

Tracklist
1.Take a Look
2.The One You Want
3.Poor Boy
4.No Man’s Land
5.Back for More
6.Her Walking
7.If I’m Nothing (Why Are You Knocking At My Door?)
8.No Soul
9.Rescue Me
10.Grave

Line-up
Lorenzo Rossi – Batteria
Gabriele Taddei – Voce, Chitarra
Gianluca Valentini – Voce, Basso

YEARNIN’ – Facebook

Ewigkeit – DISClose

James Fogarty è un musicista in possesso di un grande talento che con il monicker Ewigkeit viene espresso in maniera compiuta e senza alcun filtro.

Ewigkeit è il progetto solista di James Fogarty, alias Mr. Fog, musicista attivo nella scena metal da oltre un ventennio nel corso del quale ha fatto parte di diverse band di spicco, tra le quali risalta di gran lunga l’ultima in ordine di tempo, i leggendari In The Woods.

La riuscita di un album come DISClose è motivata anche dal versatile lavoro vocale di Fogarty, uno di quei cantanti capaci di passare con disinvoltura da tonalità aspre ad evocative clean vocals senza lasciare spazio a perplessità di sorta.
Il primo full length a nome Ewigkeit risale addirittura al 1997 e quello in questione è il decimo della serie, considerando la riedizione nel 2017 dell’esordio Battle Furies in occasione del suo ventennale.
Il black metal che forniva la base stilistica dei primi lavori si è stemperato nel tempo in un metal decisamente melodico, pur se a tratti sempre doverosamente aspro, e così DISClose gode di una certa orecchiabilità che ne rende sicuramente l’ascolto non tropo arduo, a fronte comunque di una certa irrequietezza stilistica.
Questo se vogliamo rappresenta due facce della medaglia di un’opera valida in ogni sua fase, ma poco connotata in uno specifico genere per ritagliarsi magari un audience dedicata: il vantaggio, che va ben oltre ogni altra considerazione, è comunque rappresentato dal fatto che Fogarty in tal modo tiene ben lontano il rischio di annoiare gli ascoltatori con un sound eccessivamente ripetitivo. Le aperture verso sonorità più moderne ci sono ma avvengono in maniera molto fluida e senza snaturare un sound caleidoscopico che unisce melodia e note estreme in maniera esemplare.
DISClose offre grandi aperture melodiche inserite all’interno di strutture che, per lo più, di estremo hanno soprattutto lo screaming (anche se in questo caso avrei preferito per gusto personale un più frequente ricorso anche all’efficace growl che James ha sicuramente nelle sue corde), veleggiando tra progressive death, gothic doom, black avanguardistico e alternative rock/metal senza mai restituire il sound in una forma frammentata.
Ogni brano vive di squarci memorabili, sotto forma di chorus di grande impatto ed esaltati per lo più dall’evocativa voce pulita che Fogarty esibisce in maniera magistrale.
Disclosure e Resonance sono le due tracce del loto che preferisco, ma il bello di DISClose è che ognuno potrà trovare un proprio brano ideale che non deve necessariamente coincidere con quelli prediletti da altri: James Fogarty è un musicista in possesso di un grande talento che con il monicker Ewigkeit viene espresso in maniera compiuta e senza alcun filtro.

Tracklist:
1 – 1947
2 – Disclosure
3 – Oppenheimer’s Lament
4 – Guardians of the High Frontier
5 – Resonance
6 – KRLLL
7 – Moon Monolith

Line-up:
James Fogarty

EWIGKEIT – Facebook

The Shiver – Adeline

L’ultimo lavoro dei The Shiver, uscito originariamente nel 2017, viene oggi ristampato dalla Wormholedeath con l’aggiunta di una bonus track, una collaborazione importante che si spera porterà ad un nuovo album di inediti.

Nel rock alternativo tricolore i gruppi dal taglio internazionale, cioè quelli che possono competere con i più sopravvalutati artisti provenienti da oltre confine, non mancano di certo e tra questi ci sono sicuramente i The Shiver.

La band che cala l’asso con la cantante Federica Faith Sciamanna, risulta attiva da ormai quattordici anni, ha stampato tre full length, un demo ed un ep acustico, prima di cominciare a girare l’Europa insieme a band ed artisti di un certo spessore.
L’ultimo lavoro della band, uscito originariamente nel 2017, viene oggi ristampato dalla Wormholedeath con l’aggiunta di una bonus track, una collaborazione importante che si spera porterà ad un nuovo album di inediti
Ma lasciamo che sia il tempo a parlare e presentiamo a chi non conosce ancora la musica dei The Shiver l’album che ha concesso loro tante opportunità.
Adeline mette in risalto un sound che viaggia distante dai soliti cliché dell’alternative rock, mostrandosi ricco di soluzioni anche lontane tra loro, come una certa predisposizione per spunti dark/new wave che richiamano i Cure, in un contesto che alterna grinta rock e melodia, con la cantante che viaggia una spanna sopra a molte sue colleghe, per personalità interpretativa, graffiante impatto e delicati spunti melodici.
Adeline ha nella sua varietà intrinseca di stili e sfumature il punto di forza, e i The Shiver sorprendono con un bagaglio di ispirazioni enorme che rende la musica varia e fruibile, con chitarre che graffiano e lasciano profondi solchi rock a tratti distorti, per poi tornare su armonie dark/wave, mentre la voce fa il bello e cattivo tempo in brani che non perdono mai la loro naturale orecchiabilità.
Il rock’n’roll del futuro passa anche da lavori come questo e da brani come Rejected, How Deep Is Your Heart, How Dirt Is Your Soul o Miron-Aku: se lo si era perso all’epoca, non va commesso lo stesso errore.

Tracklist
1.Awaiting
2.Adeline
3.Rejected
4.Wounds
5.How Deep Is Your Heart, How Dirt Is Your Soul
6.Light Minutes
7.High
8.Pray
9.Miron-Aku
10.Electronoose
11. Light Minutes live @ Manchester Academy***

Line-up
Federica “Faith” Sciamanna
Francesco “Finch” Russo
Mauro “Morris” Toti
Giacomo “Jack” Pasquali

THE SHIVER – Facebook

Il Vaso Di Pandora – L’Astronaufrago

Con influenze ed ispirazioni che convergono in un sound maturo e personale, il terzo album dei Il Vaso Di Pandora non delude e conferma la band come punto fermo di un certo modo di fare rock nell’underground tricolore.

Sono passati quattro anni dall’uscita di Massacri Per Diletto, secondo full length del quartetto bolognese Il Vaso Di Pandora, tornato sul mercato con L’Astronaufrago, nuovo lavoro composto da otto brani di rock alternativo maturo e con quel tocco d’autore che le sottovalutate band italiane si portano nel dna da sempre.

Sempre con la voce di Antonella Farace a guidare le atmosfere cangianti del sound creato dai nostri, anche L’Astronaufrago si fregia di una riuscita altalena tra momenti più introspettivi e graffianti esplosioni di rock dalle origini statunitensi ed incastonate nell’ultimo decennio del secolo scorso.
I testi maturi, interpretati con personalità da vendere dalla cantante, accompagnano questo nuovo album in cui la tensione rimane sempre alta, anche quando sembra che la chitarra dia un po’ di tregua prima di tornare a ruggire.
Splendida la cover di Vacanze Romane dei Matia Bazar, con la chitarra che, insieme alla voce, ci portain giro per la capitale in una versione alternative rock che, con il singolo Il Signor Distruggile (hard/rock/punk/alternative micidiale), è cuore pulsante di questo lavoro.
Come in passato la musica del gruppo bolognese non si ferma a reinterpretare il rock alternativo, ma dentro di sé porta scorie hard rock, post grunge e noise in un vortice di suoni rock moderni e valorizzati dall’interpretazione della singer ne LUrlo Di Munch, nel grunge diretto di Eva e in Crisalide, brano che ricorda i Sonic Youth di Dirty.
Con influenze ed ispirazioni che convergono in un sound maturo e personale, il terzo album dei Il Vaso Di Pandora non delude e conferma la band come punto fermo di un certo modo di fare rock nell’underground tricolore.

Tracklist
1.L’Urlo Di Munch
2.Eva
3.Nulla Cambia
4.Crisalide
5.Vacanze Romane
6.Il Signor Distruggile
7.PJ
8.Luna

Line-up
Antonella Farace – Vocals
Francesco Scaglioni – Drums
Mirco Massarelli – Guitars
Lorenzo Vermeti – Guitars
Gianbattista Mastropierro – Bass

IL VASO DI PANDORA – Facebook