Serocs – The Phobos/Deimos Suite

I Serocs danno vita ad un lavoro in grado di mettere d’accordo sia gli amanti della tecnica che quelli del metal estremo più diretto, con una serie di belluine soluzioni musicale che vedono gli Spawn Of Possession come loro massimi ispiratori.

I Serocs sono il progetto solista del chitarrista messicano Antonio Freyre, che ad ogni album si contorna di ottimi esponenti della scena internazionale per dar vita ai suoi incubi musicali all’insegna di un technical death violento e brutale ma appunto valorizzato dalla bravura strumentale dei musicisti.

The Phobos/Deimos Suite è il quarto lavoro sulla lunga distanza, un album che a livello concettuale prende spunto dalla Divina Commedia, Christmas Carol ed altre opere nelle quali sono protagoniste solitudine, follia e paura, sensazioni espresse dai Serocs attraverso un death metal che non lascia scampo tra violenza e smisurata tecnica.
Laurent Bellamare al growl, Phil Tougas alla chitarra, Antoine Daigneault al basso e Kevin Paradis alla batteria sono i musicisti che accompagnano Freyre in questa nuova avventura tra i meandri del metal estremo più tecnico e brutale.
Di linee progressive neanche a parlarne, perché in The Phobos/Deimos Suite si parla la lingua del metal estremo roccioso e granitico, una colata di note appese sul filo di una tecnica sopraffina che non inficia un impatto da brutal death metal band.
I Serocs danno vita ad un lavoro in grado di mettere d’accordo sia gli amanti della tecnica che quelli del metal estremo più diretto, con una serie di belluine soluzioni musicale che vedono gli Spawn Of Possession come loro massimi ispiratori.
La band di Antonio Freyre appare oggi ormai un punto fermo al quale chi ama il genere non dovrebbe in alcun modo rinunciare.

Tracklist
1.Being
2.Nihilus
3.Thanatophobia
4.(REM)nants
5.Oneirology
6.Revenants
7.Lethe
8.SCP-106
9.Nonbeing
10.Deimos

Line-up
Laurent Bellemare – Vocals
Antonio Freyre – Guitars
Phil Tougas – Guitars
Antoine Daigneault – Bass, Baglama, Acoustic Guitars, Synths
Kevin Paradis – Drums

SEROCS – Facebook

Electrocution – Psychonolatry

Gli Electrocution sono tornati portandoci una ventata di odio e brutalità da respirare a pieni polmoni.

Questo inizio anno porta in dote un lavoro attesissimo dagli amanti del metal estremo; il nuovo album dei leggendari deathsters nostrani Electrocution.

Il quintetto bolognese, tramite la GoreGoreCords (sublabel di Aural Music) ritorna e pianta un altro tassello di musica estrema in cui la tecnica è messa al servizio di un death metal al quale non manca l’apporto di quelle sonorità thrash che ne alzano il livello di devastazione sonora.
Psychonolatry è un lavoro curato nei minimi dettagli dal respiro internazionale, da parte di una band che riprende il suo posto tra le migliori realtà del genere e confrontandosi alla pari con i colleghi di un tempo tornati nell’ultimo periodo a ribadire la loro superiorità nel genere.
Raccontare, anche in poche righe, la storia del gruppo e l’importanza per il movimento tricolore di un lavoro come Inside the Unreal, uscito nel lontano 1993, sembra superfluo anche perché chi legge queste righe non può non conoscere la band e quello che per lungo tempo è rimasto il suo unico lavoro su lunga distanza prima del ritorno, nel 2014, con l’ottimo Metaphysincarnation.
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, la band nel corso degli anni non si è fatta mancare nulla tra lunghi silenzi, lavori minori che inciampavano nei trend del momento (Acid But Suckable ep del 1997) e cambi di line up, ma rimane il fatto che Psychonolatry sia album imperdibile per gli amanti del death metal.
Accompagnato dall’artwork realizzato da Gustavo Sazes (Arch Enemy e Morbid Angel) l’album è composto da dieci brani più la versione riregistrata di Premature Burial, brano che apriva lo storico lavoro del ‘93.
Psychonolatry è un assalto sonoro di notevole impatto inferto da una macchina macina riff che non conosce tregua come sono gli Electrocution bel 2019, una band che non risparmia violenza ma incastona melodie tra le sfuriate di brani devastanti come la title track, la seguente Hallucinatory Breed, mid tempo potentissimo che accelera nel finale e lascia spazio alla terremotante Bulåggna (Bologna), a Warped e a Misanthropic Carnage.
Gli Electrocution sono tornati portandoci una ventata di odio e brutalità da respirare a pieni polmoni.

Tracklist
1.Psychonolatry (The Icons of God and the Mirror of the Souls)
2.Hallucinatory Breed
3.Bulåggna
4.Warped
5.Of Blood and Flesh
6.Misanthropic Carnage
7.Malum Intra Nos Est (Seneca I century AD)
8.Divine Retribution
9.Organic Desease of the Sensory Organs
10.Bologna 11 – Premature Burial (re recorded)

Line-up
Mick Montaguti – Voice
Vellacifer – Drums
Mat Lehmann – Bass
Neil Grotti – Guitar
Alessio terzi – Guitar

ELECTROCUTION – Facebook

Ad Patres – A Brief Introduction to Human Experiments

Le band storiche del death metal di stampo americano sono le ispirazioni del combo francese, tornato in forma con questa raccolta di brani che creano un muro sonoro di notevole spessore, ben suonato e prodotto.

Rimboccatevi le maniche e fate schioccare le nocche, perché l’incontro con i francesi Ad Patres è di una forza d’urto notevole e lascia sicuramente il segno.

Di death metal si parla, molto vicino al brutal, per questo quintetto transalpino in arrivo da Bordeaux, al secondo full length dopo che l’esordio (Scorn Aesthetics) uscì nel 2012 per poi essere ristampato due anni dopo dalla Kaotoxin.
Il nuovo album, intitolato A Brief Introduction to Human Experiments e licenziato dalla XenoKorp (che di quell’etichetta è di fatto la prosecuzione), nulla toglie e nulla aggiunge a quello chi i deathsters transalpini hanno suonato in passato; il sound di questo nuovo lavoro risulta un devastante e quanto mai violento metal estremo di matrice death, ancora una volta potenziato da un’attitudine brutal nella quale vige un’atmosfera opprimente, lasciando questa volta più campo ad un attacco frontale e riducendo i rallentamenti ad attimi di tensione prima delle inevitabili esplosioni estreme.
Le band storiche del death metal di stampo americano sono le ispirazioni del combo francese, tornato in forma con questa raccolta di brani che creano un muro sonoro di notevole spessore, ben suonato e prodotto, assolutamente senza compromessi e con un paio di tracce che non fanno prigionieri come The Disappearance Of I e Spellbound.
Un ritorno di tutto rispetto per gli Ad Patres, i quali confermano le buone impressioni suscitate con il debutto e sono pertanto raccomandati ai deathsters dai gusti brutali e old school.

Tracklist
1.Shock Therapy
2.Mechanical Enlightenment
3.The Disappearance of I
4.Led by Flesh
5.Symbiosick
6.Sermon
7.Verses Void
8.Spellbound
9.Enclosing Terror
10.The Floating Point

Line-up
Arnaud Pecoste – Bass
Alsvid – Drums
Olivier Bousquet – Guitars
Axel Doussaud – Vocals
PY Marani – Guitars

AD PATRES – Facebook

Bane – Esoteric Formulae

Quello contenuto in Esoteric Formulae è un black death melodico che non va a scombinare le gerarchie del genere ma piazza i Bane in una posizione privilegiata, almeno se si vede il tutto nella prospettiva di spiccare un balzo decisivo verso i piani superiori occupati dalle band più famose.

I Bane sono una band nata in Serbia circa a metà dello scorso decennio e, fino al precedente full length The Acausal Fire, tutti i musicisti coinvolti provenivano da quella nazione.

Il trasferimento del leader Branislav Panić a Montreal ha fatto sì che il musicista si prendesse una pausa di cinque anni prima di ritornare con un nuovo album, il terzo della sua band, intitolato Esoteric Formulae.
Per l’occasione il musicista originario di Novi Sad ha fatto quasi tutto da solo, avvalendosi della collaborazione in studio del batterista ceco Honza Kapák (Master’s Hammer), della canadese Ophélie Gingras a curare le orchestrazioni e di due ospiti come l’italiano Giulio Moschini (Hour Of Penance), alla chitarra in Wretched Feast, e del francese Amduscias (Temple Of Baal), alla voce in Into Oblivion.
L’album fa uno strano effetto al primo approccio, visto che il suo ascolto scorre decisamente bene ma alla fine si ha la sensazione di non aver ascoltato nulla di particolare se non un black death melodico e decisamente ben eseguito; poi, pian piano, i brani fanno breccia in virtù di un’intensità spesso sconosciuta a molti degli epigoni di Dissection e Behemoth, ai quali i Bane possono essere in modo lecito associati.
La bravura di Panić risiede soprattutto nel grande equilibrio che sa donare alle proprie composizioni, facendo sì che la componente estrema e quella melodica non finiscano per fagocitarsi a vicenda e anche, forse ancora di più, per aver proposto un set di vere e proprie canzoni, dieci staffilate dalla durata per lo più contenuta entro i quattro minuti, tempo entro il quale non c’è modo di perdersi in ghirigori o diluizioni di alcun genere.
Quello contenuto in Esoteric Formulae è un black death melodico che non va a scombinare le gerarchie del genere ma piazza la band e il musicista serbo in una posizione privilegiata, almeno se si vede il tutto nella prospettiva di spiccare un balzo decisivo verso i piani superiori occupati dalle band più famose; privo davvero di punti deboli, con menzione per le notevoli Wretched Feast e Burning The Remains, il lavoro va gustato dall’inizio alla fine lasciandosi trasportare da un impatto adrenalinico, utile senz’altro per liberarsi più facilmente dai postumi delle festività e dai conseguenti surplus di melassa dalla quale si è stati inevitabilmente sommersi.

Tracklist:
1.Invocation Of The Nameless One
2.The Calling Of The Eleven Angles
3.Beneath The Black Earth
4.Bringer Of Pandimensional Disorder
5.Wretched Feast” (feat. Giulio from Hour Of Penance)
6.Into Oblivion” (feat. Amduscias from Temple Of Baal)
7.Burning The Remains
8.Reign In Chaos
9.Acosmic Forces Of The Nightside
10.Wrathful Reflections

Line-up:
Branislav Panić – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

Guests:
Honza Kapák – Drums
Giulio Moschini – Guitars (lead) (track 5)
Amduscias – Vocals (additional) (track 6)
Ophélie Gingras – Orchestrations

BANE – Facebook

Chapel of Disease – .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye

Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere e ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Crescita di personalità esponenziale per i tedeschi Chapel Of Disease, i quali nell’arco di sei anni hanno evoluto il loro suono dal death metal legato alle origini di Summoning Black Gods (2012), acerbo e senza particolari spunti, fino all’attuale opera .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye, in cui un suono caleidoscopico e vario impregna tutte i brani.

Già nell’opera del 2015, The Misterious Way Of Repetitive Art, i musicisti di Colonia avevano intrapreso un percorso verso una propria identità, ampliando il loro raggio sonoro con un tocco gotico e meno old school, ma ora ci conducono su sentieri peculiari innestando su un base death, neanche particolarmente estrema, sonorità metal classiche e non solo. L’opener Void of Words mette subito in chiaro che il viaggio sonoro sarà ricco di perturbazioni affascinanti e inaspettate, con un lavoro chitarristico di primo ordine, ora atmosferico ora più dinamico, sempre ispirato in fase solistica; nella parte finale il solismo si lascia andare in direzione classic rock rimembrando addirittura Mark Knopfler! I musicisti non temono la sfida e con sincera ispirazione compongono sei canzoni che necessitano di essere ascoltate con attenzione, tante sono le variazioni atmosferiche presenti; nulla di avanguardistico o sperimentale, gli ingredienti sono noti ma l’amalgama non risulta forzata, tutto fluisce spontaneo e il piacere è garantito. Intensi profumi lisergici e acidi fuoriescono, come se fossimo a fine anni ’60, dalla splendida Song of the Gods che procede spedita e potente su un canovaccio che trascende il comune suono death, per approdare nel suo florilegio chitarristico in lidi metal. Pur non essendo avanguardistici, il termine di paragone non appare semplice tante sono le varianti innestate nella struttura delle tracce (Null) e ormai anche il nome della band creato in omaggio dei Morbid Angel (Chapel of Ghouls e Angel of Disease) non li identifica più come semplici “cloni” della band floridiana. Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band (Horrendous, Venenum, Obliteration ed altre) hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere, ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Tracklist
1. Void of Words
2. Oblivious – Obnoxious – Defiant
3. Song of the Gods
4. Null
5. 1.000 Different Paths
6. The Sound of Shallow Grey

Line-up
Christian Krieger – Bass
David Dankert – Drums
Cedric Teubl – Guitars
Laurent Teubl – Vocals, Guitars

CHAPEL OF DISEASE – Facebook

Descrizione Breve

Weight Of Emptiness – Anfractuous Moments for Redemption

Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

In ritardo di qualche mese sulla data di uscita vi presentiamo questa notevole realtà estrema proveniente dal Cile, gli Weight Of Emptiness.

Il quintetto proveniente da Santiago arriva al debutto sulla lunga distanza con Anfractuous Moments for Redemption, album composto da sette tracce più intro ed outro di melodic death metal tecnico e progressivo, con qualche rallentamento doom qua e là a rendere il tutto molto suggestivo, alternando così parti più orientate al death metal di stampo melodico ed europeo, nelle quali il gruppo mette in campo tutta le sue doti strumentali, ad altre invece in cui atmosfere oscure spostano gli equilibri verso un più emozionante doom/death.
Nel complesso Anfractuous Moments for Redemption funziona, i brani si mantengono tutti su una qualità abbastanza alta tanto da consigliare il lavoro agli amanti del death melodico e progressivo, elemento quest’ultimo che valorizza brani come Behind The Mask, The Silence e la lunga Inner Chaos, sunto di nove minuti di quello che avrete ascoltato sull’album, posto prima dell’outro.
Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

Tracklist
1.Anfractuous (Intro)
2.Behind the Masks
3.Unbreakable
4.The Silence
5.Holy Death
6.Cancer
7.Weight of Emptiness
8.Inner Chaos
9.Redemption (Outro)

Line-up
Alejandro Ruiz – Vocals
Juan Acevedo – Guitar
Alejandro Bravo – Guitar
Manuel Villarroel – Bass
Mauricio Basso – Drums

Guest musicians:
Eduardo P. Ocampo – Synths on “Anfractuous” & “Redemption”
Jorge Pinochet – Additional Vocals on “The Silence”
Juan Daniel Barrera – Additional Vocals on “Weight Of Emptiness”

WEIGHT OF EMPTINESS – Facebook

Necroart – Caino

I Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.

I Necroart tornano a quattro anni di distanza dal precedente album Lamma Sabactani con Caino, quarto full length di una carriera iniziata al tramonto del secolo scorso.

Non è semplicissimo inquadrare il sound della band pavese, in quanto rispetto ai primi lavori inseribili nel filone del death melodico, già conLamma Sabactani era stato possibile rinvenire una certa inquietudine compositiva all’interno della quale black, death, doom e pulsioni dark si andavano a sovrapporre creando un insieme potente e quanto mai oscuro.
Caino è un album il cui compito non è quello di accarezzare ma semmai di percuotere l’ascoltatore, concedendogli di tanto in tanto qualche pausa di riflessione, ma nel complesso i Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.
A livello esemplificativo, se Mastodon Rising e la title track sono ottimi esempi di black death, ruvido ma melodico il giusto grazie ad azzeccate soluzioni chitarristiche, con Wounds on Angels Wings e One Is All, All Is One i ritmi si rallentano non poco lasciando qualche spazio di manovra in più per inserire passaggi di una certa evocatività.
Caino è un buon album al quale mancano solo alcuni episodi realmente trainanti, quelli in grado di costituire il fulcro attorno al quale far ruotare le rimanenti composizioni per favorirne al massimo l’assimilazione; detto questo i Necroart si confermano band di valore all’interno di una scena come quelle estrema in cui, però, risalire le gerarchie dopo qualche anno di assenza può diventare impresa ardua.

Tracklist:
1. March of the Ghouls
2. An Invocation for the Horned
3. Mastodon Rising
4. Caino
5. Bringer of Light
6. Flames
7. Wounds on Angels Wings
8. One Is All, All Is One
9. Into the Maelstrom

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda – Drums
Davide Zampa – Guitars
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook

The Crawling – Wolves and the Hideous White

Wolves and the Hideous White non è affatto un’esibizione del death doom nella sua versione più tetragona o putrescente, ma trae correttamente linfa dalla fondamentale scuola britannica, mettendo da parte tentazioni gotiche per privilegiare un impatto più opprimente ma non scevro di appigli melodici.

Secondo full length per i nordirlandesi The Crawling, validi promulgatori del verbo del death doom più canonico.

Wolves and the Hideous White però non è affatto un’esibizione del genere nella sua versione più tetragona o putrescente, ma trae correttamente linfa dalla fondamentale scuola britannica, mettendo da parte tentazioni gotiche per privilegiare un impatto più opprimente ma non scevro di appigli melodici.
Fulcro del lavoro è il brano per certi versi più anomalo, Drowned In Shallow Water, che arriva a spezzare il più robusto incedere dell’iniziale title track e della notevole Still No Sun, traccia in quota primi Paradise Lost; qui affiorano pulsioni post metal che non snaturano affatto un sound sempre ben identificabile, anche quando il lavoro chitarristico esibisce inedite dissonanze.
Superato il breve e non particolarmente incisivo episodio A Time For BrokenThings, con Rancid Harmony il trio di Lisburn ritorna ad infierire con grande efficacia alternando riff micidiali ad aperture melodiche minime ma sempre significative; Promises and Parasites chiude senza sorprese negative questo ottimo lavoro che, come quasi sempre avviene rispetto a ciò che ci giunge dalle lande di oltremanica, gode di una buona produzione atta a valorizzare al meglio il crudo operato del chitarrista cantante Andy Clarke e dei suoi sodali Stuart Rainey (basso) e Gary Beattie (batteria).
Wolves and the Hideous White è una bella conferma per una band relativamente nuova ma già in grado di imporre un sound convincente e, nei limiti di quanto consentito dal genere affrontato, piuttosto personale.

Tracklist:
1. Wolves and the Hideous White
2. Still No Sun
3. Drowned In Shallow Water
4. A Time For Broken Things
5. Rancid Harmony
6. Promises and Parasites

Line-up:
Andy Clarke – Guitar/Vocals
Gary Beattie – Drums
Stuart Rainey – Bass/Backing Vocals

THE CRAWLING – Facebook

Sulphur Aeon – The Scythe Of Cosmic Chaos

Questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.

Dal più profondo abisso dell’inferno arriva ad oscurare il cielo di questa fine d’anno 2018 The Scythe Of Cosmic Chaos, ultimo di tre mostruosi parti estremi dei deathsters tedeschi Sulphur Aeon.

Un terremoto che a livello underground non lascia scampo, un death metal alimentato da maligne presenza black in un’atmosfera da girone infernale: questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.
The Scythe Of Cosmic Chaos porta in sé quell’attitudine senza compromessi che è di molte band che si muovono nei meandri del metal estremo, quindi ancora più violento, oscuro e diabolico degli ultimi spartiti dello storico gruppo polacco.
Il genere è quello, un minimo di confronto con la band di Nergal è quasi dovuto, ma i Sulphur Aeon non sono sicuramente un gruppo da archiviare come cloni di realtà più famose, in questi cinquantun minuti di musica esce prepotentemente il talento estremo del gruppo che si traduce in cascate di riff che bruciano nell’inferno, fiumi di note che creano vortici e mulinelli dove se si cade, si apre una porta per la casa del demonio intento a suonare un death metal maligno, tra potenti mid tempo, atmosfere blasfeme ed un tocco di oscura e gotica ispirazione che ne alza il valore compositivo.
Otto anni dopo l’inizio dell’attività e dopo due album che mettevano le basi per qualcosa di più grande (Swallowed by the Ocean’s Tide del 2013 e Gateway to the Antisphere del 2015) la band tedesca arriva al suo apice compositivo con The Scythe Of Cosmic Chaos, lavoro letteralmente da adorare e ricoo di autentiche perle estreme come Yuggothian Spell, Veneration Of The Lunar Orb e Lungs Into Gills e di magnifiche atmosfere morbose e diaboliche.

Tracklist
1.Cult of Starry Wisdom
2.Yuggothian Spell
3.The Summoning of Nyarlathotep
4.Veneration of the Lunar Orb
5.Sinister Sea Sabbath
6.The Oneironaut – Haunting Visions Within the Starlit Chambers of Seven Gates
7.Lungs into Gills
8.Thou Shalt Not Speak His Name (The Scythe of Cosmic Chaos)

Line-up
T. – Guitars, Bass
M. – Vocals
D. – Drums
S. – Bass
A. – Guitars

SULPHUR AEON – Facebook

Cóndor – El Valle del Cóndor

Il sound del quintetto colombiano amalgama in modo sagace gli elementi dell’heavy/death/doom, e li modella lasciando che le atmosfere si dilatino senza perdersi troppo, potenziate da mid tempo potenti ed un rantolo di matrice death nel cantato.

Arrivati al quarto lavoro sulla lunga distanza, i Cóndor si presentano come una delle realtà più presenti nella scena metal underground della capitale colombiana Bogotá.

Il gruppo, infatti, in cinque anni di attività ha dato vita a tre lavori, prima che La Caverna Records licenziasse questo ultimo album incentrato su un doom/death metal dai risvolti heavy e old school.
Una proposta assolutamente underground ma che mantiene una sua forte personalità: il sound del quintetto colombiano amalgama in modo sagace gli elementi dei tre generi citati, li modella lasciando che le atmosfere si dilatino senza perdersi troppo, potenziate da mid tempo potenti ed un rantolo di matrice death nel cantato.
L’album si apre con una lunga intro strumentale dal titolo Obertura, con le chitarre che sprigionano riff dissonanti e carichi di watt, mentre El Paramo De Pisba accelera le ritmiche avvicinandosi al death metal.
La Cuchilla Del Tambo è un breve brano strumentale che funge intermezzo prima che Santa Rosa De Osos apra squarci doom/death metal, in un contesto ritmico dai molti cambi di tempo.
El Valle del Cóndor ha nei molti strumentali, come Cabeza de Buitre, i momenti più riusciti e si conclude con le note folk della title track a suggellare un buon lavoro in arrivo da una scena ancora tutta da scoprire come quella colombiana.

Tracklist
1.Obertura
2.El Páramo de Pisba
3.La Cuchilla del Tambo
4.Santa Rosa de Osos
5.Aw’tha
6.Gudrún
7.Cabeza de Buitre
8.Raudo es el Cauca
9.El valle del Cóndor

Line-up
Andrés Felipe López Vergara – Drums, Vocals
Francisco Fernández López – Guitars
Antonio Espinosa Holguín – Guitars, Vocals
Alejandro Solano Acosta Madiedo – Bass
Jorge Eduardo Canal Corredor – Guitars, Vocals

CONDOR – Facebook

Death Waltz – Born To Burn

I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

I bresciani Death Waltz si definiscono semplicemente una band “metal” e fanno bene, sarebbe forse troppo lungo etichettare il sound del loro primo lavoro come melodic death, thrash, heavy metal.

Nata ormai quattro anni fa, la band lombarda arriva a licenziare il primo lavoro dopo alcuni cambi di line up e la solita gavetta in giro per i locali della provincia bresciana, prima che questo roccioso, metallico e melodico Born To Burn veda la luce e venga promosso dalla Ad Noctem Records.
Questi undici brani che formano quaranta minuti di musica, vedono la band impegnata nel proporre metal che prende ispirazione tanto dal melodic death metal, quanto dall’heavy, potenziando a tratti l’atmosfera con sferzate thrash che velocizzano le ritmiche ed estremizzano il sound.
Ne esce un lavoro piacevole, grezzo e melodico, attraversato da armonie che richiamano i Sentenced di Down, i Maiden ed in generale il thrash metal, ma che trovano una loro strada, sicuramente ancora più da personalizzare in futuro.
Born To Burn risulta quindi un buon ascolto, un tocco moderno in qualche arrangiamento non manca e dona a brani come Blood Moon, Dream e Samarra quel che basta per essere inserito nel metal del nuovo millennio.
I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

Tracklist
1.Intro
2.Juliet
3.Blood Moon
4.Beast
5.Death Waltz
6.Dream
7.This Is War
8.Samarra
9.Born to Burn
10.Riot
11.Asylum

Line-up
Jacopo “Jack” Polonioli – Drums
Mirko “J” Scarpellini – Guitars
Diego Dangolini – Bass
Stefano “Stef” Comensoli – Guitars
Alberto Scolari – Vocals

DEATH WALTZ – Facebook

Coffin Birth – The Serpent Insignia

I Coffin Birth sono una nuova formazione nata nel 2018 dalla collaborazione fra musicisti metal maltesi ed italiani.

Non deve stupire il fatto che vi siano dei componenti maltesi, perché la scena metal dell’isola, in special modo quella doom, è molto fiorente e valida. Il gruppo offre una potente miscela di death metal con un taglio vecchia scuola, con molte influenze punk e con incursioni nel groove metal. Il risultato è un disco di debutto molto potente, calibrato alla perfezione anche grazie alla grande esperienza degli attori coinvolti. I nostri sono Giulio Moschini (Hour of Penance), Marco Mastrobuono (Hour of Penance), Francesco Paoli (Fleshgod Apocalypse, ex-Hour of Penance), Davide Billia (Hour of Penance, Beheaded) e Frank Calleja (Beheaded). Visti i nomi ciò che viene fuori con i Coffin Birth non dovrebbe stupire più di tanto, ma si va ben oltre le aspettative. La media del disco è molto alta, l’intensità non viene mai meno, e con essa c’è una grande potenza di fondo che lega con una capacità compositiva importante. La musica è molto pesante e veloce, con dei mid tempo devastanti, e la produzione fa rendere al meglio il tutto. Era da tempo che non si ascoltava un disco come questo, in grado di partire dal death metal e spaziare in altri ambiti, senza creare steccati, ma anzi andando a ricercare aspetti differenti per creare un ottimo groove. Infatti The Serpent Insignia non sfigura nemmeno in quest’ultimo ambito, dove spesso ci sono lavori che segnano il passo mentre qui è tutto fresco e ben composto. I Coffin Birth sono ben al di sopra della media e il disco è un debutto che si proietta direttamente nelle migliori uscite dell’anno che volge al termine per i generi coinvolti.

Tracklist
01. Throne of Skulls
02. The 13th Apostle
03. Godless Wasteland
04. Red Sky Season
05. Christ infection Jesus Disease
06. From the Dead to the Dead
07. Casket Ritual
08. Sanguinary
09. The Serpent Insignia
10. Zombie Anarchy

Line-up
Frank Calleja – Lyrics & Vocals
Giulio Moschini – Guitars
Francesco Paoli – Guitars
Marco Mastrobuono – Bass
Davide Billia – Drums

COFFIN BIRTH – Facebook

Nattravnen – Kult Of The Raven

Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Dall’unione di due loschi personaggi dal talento estremo come il vocalist Kam Lee (ex-Death, ex-Massacre, The Grotesquery) e il polistrumentista Jonny Pettersson (Heads For The Dead, Wombbath, Henry Kane) non poteva che uscire grande musica oscura dai rimandi death/black.

Ispirato dalla leggenda del Night Raven, Lee ha scritto il concept che sta dietro a questo bellissimo album, mentre Pettersson, confermando il suo immenso talento, sfoggiato nei mostruosi lavori di Heads For The Dead e Wombbath (usciti in questi ultimi mesi) ha dato vita ad un mostruoso esempio di metallo oscuro e terrificante.
Death metal, atmosfere black e doom, creano un’atmosfera pregna di malevolo metallo estremo, con l’oscurità che si tocca con mano in queste nove tracce che compongono quest’opera maligna e dannata.
Accompagnato dalla splendida copertina creata da Juanjo Castellano e licenziato dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi (anche ideatore del logo del gruppo), Kult Of The Raven è un album in cui l’oscurità e il terrore scorrono sulla pelle dell’ascoltatore, circondato ed avvolto dal maligno incedere di brani nei quali la potenza del death metal viene intrisa di orchestrazioni horror black e i momenti di matrice doom non fanno che aumentare il senso di oppressione che attanaglia capolavori di musica nera come la pece.
Kam Lee regala un’interpretazione spaventosa in tutti i sensi, mostruoso quando il growl prende il sopravvento, da brividi quando i toni si fanno atmosferici e malati.
Dal primo all’ultimo brano si entra in un mondo di malvagia oscurità, i corvi banchettano con le nostre anime al suono debordante delle varie The Night Of The Raven, Upon The Sound Of Her Wings e The Anger Of Despair When Coping With Your Death, picco e sunto compositivo di questo bellissimo lavoro.
Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Tracklist
1.The Night Of The Raven
2.Suicidium, The Seductress Of Death
3.Corvus Corax Crown
4.Upon The Sound Of Her Wings
5.Return To Nevermore
6.From The Haunted Sea
7.The Anger Of Despair When Coping With Your Death
8.Kingdom Of The Nattravnen
9.Kult Av Ravnen

Line-up
Kam Lee – Vocals and lyrics
Jonny Pettersson – All instruments

NATTRAVNEN – Facebook

Thulsa Doom – Realms Of Hatred

Assalti sonori devoti all’old school death presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Dalle catacombe di una capitale sempre più avvolta da sonorità estreme arrivano in superficie i Thulsa Doom, trio di musicisti ed adepti all’underground metallico di matrice death metal.

In generale non ci si schioda dai primi anni novanta tra le trame putrescenti di questi sei brani che vanno a comporre la tracklist di Realms Of Hatred, debutto in uscita digitale e cassetta a ribadire l’assoluta attitudine underground di questa band che riesce a convincere grazie a cavalcate heavy, atmosfere catacombali ed un sound maligno, con una produzione che ben si adatta allo spirito dell’opera, senza inficiare il risultato ma rendendo l’atmosfera malsana, un vero e proprio viaggio nell’inferno dei Thulsa Doom.
Quattro brani e due interludi scaraventano per una ventina di minuti nei meandri in cui l’angelo morboso tortura anime con brani come l’opener The Final Scourge, guardando all’indietro anche al thrash metal più oscuro nato negli anni ottanta.
Assalti sonori devoti all’old school death come The Gates of Niniveh o Demon Conjurer presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Tracklist
1.The Final Scourge
2.The Gates of Niniveh (Woe to You…City of Blood)
3.Realms of Hatred (Instrumental)
4.Demon Conjurer
5.Intro
6.Thulsa Doom

Line-up
V.K. Nail – Vocals, Guitar
F.Phantomlord – Guitar & Bass Guitar
B.G. Triumph – Drums

THULSA DOOM – Facebook

Manam – Rebirth Of Consciousness

Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Un concept che segue un viaggio spirituale è quello che ci propongono i Manam, giovane band fondata dal chitarrista e cantante Marco Salvador, al debutto con Rebirth Of Consciousness.

Melodic death metal, power ed ispirazioni progressive compongono questa raccolta di brani, molto vari ma legati dal concept e dall’approccio al genere che rimane assolutamente estremo e melodico.
Suonato e composto dalla band con l’ambizione di ottenere un prodotto originale senza snaturarsi troppo, l’album alterna tracce estreme, alcune delle quali potenziate da classiche ritmiche power, ad altre più orientate verso un mood progressivo e melodico che nobilita in modo importante brani come Atman Denied, che arriva subito dopo quello che era un classico episodio melodic death metal come Supernova.
Le parti in clean sono ottime, non così scontate come in altre realtà, il growl è potente mentre ineccepibile è la parte tecnica, che permette al gruppo di regalare brani di spessore come l’evocativa Revelation.
Total War è una traccia heavy metal tradizionale potenziata dall’attitudine estrema dei Manam, A Raw Awakening parte come una power ballad e si sviluppa in un crescendo estremo notevole, mentre la parola fine a questo lavoro la mette la progressiva, melodica e splendida Sahara.
Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Tracklist
1. Fallen Leaves
2. Supernova
3. Atman Denied
4. Innerdemon
5. Revelation
6. Total War
7. A Raw Awakening
8. Anam
9. Sahara

Line-up
Marco Savador – Lead Guitar, Vocals
Fabiola Sheena Bellomo – Rhythm Guitar
Marco Montipò – Bass, Backing Vocals
Nicola Nik De Cesero – Drums

MANAM – Facebook

Obliteration – Cenotaph Obscure

Assoluta conferma del quartetto norvegese che rilascia un’opera veemente ma ricca di spunti lisergici e progressive, come al solito personale e coinvolgente.

Un breve suono di tamburi apre le danze al nuovo disco dei norvegesi Obliteration e libera tutta la forza dirompente del quartetto norvegese; dal 2004 si dipana una carriera impeccabile e totalmente priva di passi falsi, con quattro full length di death “mutante” con le radici ben salde ma libero da vincoli creativi e capace di spaziare in suoni e atmosfere multiformi.

Suoni stimolanti che riempiono ogni brano di variazioni, creando momenti estremamente avvincenti e creativi; a tal proposito e su medesime coordinate ricordo il meraviglioso Trance of Death dei Venenum del 2017, dove grandi capacità si amalgamavano perfettamente con scelte sonore molto “open mind”. Non fa assolutamente eccezione quest’ultimo disco dei norvegesi, provenienti dalla stessa città di origine dei seminali Darkthrone, Kolbotn, nel quale un sound veemente si interfaccia con tentazioni lisergiche e progressive; la band si lascia andare a canzoni dense, riuscendo a riempire ogni momento con idee, senza perdere in alcun modo intensità, ferocia e personalità. La title track incendia l’incipit del disco, colpendo subito i nostri neuroni, scagliandoci contro un chitarrismo torrenziale e incandescente:  atmosfere oscure, malefiche, il taglio progressivo lo si nota soprattutto nella gran voglia di variare e non rimanere ancorato alle “solita atmosfera”; la chitarra di Aryld Myren Torp si lancia in modo viscerale in tutti i brani, instancabile, rivaleggiando, in forza creativa, con la sezione ritmica e lacerando i brani con assoli acidi e psichedelici sempre selvaggi e liberi da schemi prefissati. Il breve, liquido e stralunato strumentale Orb apre i portali per la splendida Eldritch Summoning ,tour de force dalla forza incredibile, un fiume inarrestabile e veloce che travolge ogni argine e si erge minaccioso nei suoi otto minuti di furia devastatrice; è un piacere lasciarsi travolgere e si rimane storditi di fronte alla voglia creativa dei norvegesi, che assaltano i nostri sensi riducendo le nostre difese in brandelli. Ogni brano merita ascolti reiterati e per chi fosse interessato la riscoperta della discografia pregressa (soprattutto Nekropsalm e Black Distant Horizon) sarà fonte di puro piacere.

Tracklist
1. Cenotaph Obscure
2. Tumulus of Ancient Bones
3. Orb
4. Eldritch Summoning
5. Detestation Rite
6. Onto Damnation
7. Charnel Plains

Line-up
Didrik Telle – Bass
Kristian Valbo – Drums
Arild Myren Torp – Guitars
Sindre Solem – Vocals

OBLITERATION – Facebook

Proliferhate – Demigod Of Perfection

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.

Dopo i Brvmak, fuori con il bellissimo In Nomine Patris, ecco che la scena estrema tricolore ci regala un altro gioiellino di death metal, maturo e progressivo: la seconda opera dei Proliferhate, band torinese attiva dal 2012 ed arrivata sul mercato con il debutto In No Man’s Memory, datato 2015.

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.
L’album è dunque un’ottima esibizione di metal estremo, che trova spazio nei tanti e repentini cambi di atmosfera, in un’altalena assolutamente riuscita tra tempeste metalliche di stampo old school e pacati momenti di musica progressiva, rock ma soprattutto jazz.
Questo continuo mutare atmosfere e tensioni musicali porta ad un sound che, pur rifacendosi ai soliti nomi del metal estremo di fine secolo scorso, ha nella personalità la sua massima forza, in virtù di un’espressività che porta la band a confrontarsi con nomi storici senza timori reverenziali.
E facciamoli questi nomi: Opeth e Between the Buried and Me su tutti, anche se, come scritto, il gruppo torinese si districa bene quel tanto che basta per non risultare una band clone, grazie alle tante digressioni jazz/fusion che sull’album abbondano e rendono l’ascolto molto interessante.
La tecnica c’è, si sente ma non è la virtù primaria dei Proliferhate, risultando ben inserita nel sontuoso songwriting di cui si possono vantare brani del calibro di Conjuring the Black Hound, The Frailty of a Tender Soul e Naked Monstrosity.
In conclusione Demigod Of Perfection è un lavoro che conferma i Proliferhate come una delle band da seguire con più attenzione nel suo cammino nel mondo del metal estremo progressivo.

Tracklist
1. Prologue to Damnation
2. Conjuring the Black Hound
3. Auerbach’s Vineyard
4. The Frailty of a Tender Soul
5. Oberon
6. Naked Monstrocity
7. A Shadow from an Ancient Past
8. Euphorion
9. Demigod of Perfection
10. Elegant in Decay

Line-up
Omar Durante – Vocals/Guitar
Andrea Simioni – Bass
Daniele Varlonga – Drums
Lorenzo Moffa – Rhythm Guitar

PROLIFERHATE – Facebook

Cult of Self Destruction – Exitium

Exitium costituisce per i Cult of Self Destruction una discreta base di partenza sulla quale provare costruire qualcosa di ancor meglio focalizzato nel prossimo futuro.

Esordio su lunga distanza per questo duo spagnolo denominato Cult of Self Destruction, con Exitium, anticipato quest’estate dal singolo Descending to the Deepest of the Abyss.

E’ proprio questo il brano che di fatto apre il lavoro dopo la breve intro: il sound offerto dagli iberici è un black death ben costruito e dal gradevole impatto, anche melodico, sul quale incombe un suono della batteria troppo secco e preponderante sul resto della strumentazione.
Uno squilibrio, questo, che non inficia comunque il lavoro complessivo di P. e M., capaci di offrire nel corso di questi trentacinque minuti una buona dimostrazione di efficienza, all’interno della quale manca solo quella scintilla decisiva in grado di far spiccare il volo ai Cult Of Self Destruction.
Infatti, l’album arriva al termine senza annoiare ma senza neppure provocare quei sussulti che ognuno si attende nel corso dell’ascolto: nel ribadire che il suono della batteria alla lunga si rivela un elemento vagamente di disturbo, troviamo un brano emblematico come Sui Caedere che, a tratti, sembra indicare la strada ideale da percorrere, con il suo incedere diretto e incalzante, opportunamente spezzato da un break centrale che crea i presupposti per una ripartenza a ritmi sempre serrati.
Exitium costituisce per i Cult of Self Destruction una discreta base di partenza sulla quale provare costruire qualcosa di ancor meglio focalizzato nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Initium
2. Descending to the Deepest of the Abyss
3. Misanthropic Condition
4. Moon on Saturn
5. Sui Cædere
6. We Will Be Wolves
7. Until the Dying
8. The Curse of the Witch
9. Exitium

Line-up:
P. – Guitars, Bass, Keyboards, Drums
M. – Vocals, Drums, Keyboards, Samplers

Satan’s Grind – Degenerazione EP

Accompagnata da testi più articolati che in passato, la musica segue il nuovo corso concedendosi non solo alla violenza tout court, ma sorprendendo per una vena elettronica e, se mi passate il termine, progressiva, variando atmosfere e ritmi anche nello spazio di un brano lungo un solo minuto.

I Satan’s Grind sono di fatto la band del musicista pugliese Antonio, chitarrista con un passato nei Blood Soda che nel 2016 decide di lasciare il gruppo per dedicarsi a questo progetto estremo dai taglio grind.

Una serie di ep e split, un paio di cambi al microfono, ed un presente che vede il nuovo cantante Giovanni (proveniente anch’egli dai Blood Soda) alle prese con i nove brani che compongono questi dieci minuti di musica estrema alquanto sperimentale intitolata Degenerazione.
Accompagnata da testi più articolati che in passato, la musica segue il nuovo corso concedendosi non solo alla violenza tout court, ma sorprendendo per una vena elettronica e, se mi passate il termine, progressiva, variando atmosfere e ritmi anche nello spazio di un brano lungo un solo minuto.
La presenza del piano in alcuni brani, l’alternanza tra elettronica e grind efferato fanno di brani come Indulto, Elettroesecuzione, la title track e la conclusiva Reprobo un modo originale per proporre una musica estrema come il grind, orchestrato con sagacia dai Satan’s Grind.
Il duo sta lavorando al full length che dovrebbe uscire il prossimo anno, noi vi terremo informati, nel frattempo non perdetevi questi dieci minuti di musica targata Satan’s Grind.

Tracklist
1.Pozzo Per L’Ade
2.Indulto
3.Bagno Nel Cocito
4.Pietà e Coscienza
5.Elettroesecuzione
6.Palpitazioni
7.Morbo
8.Degenerazione
9.Reprobo

Line-up
Antonio – Drum, Guitar and Bass programming
Giovanni – Lyrics and Vocals

SATAN’S GRIND – Facebook

Mortuous – Through Wilderness

Chi ama queste sonorità le troverà maneggiate con dovizia e competenza dai Mortuous, tra suoni ribassati, growl catacombali, assoli ficcanti e micidiali rallentamenti che in certi momenti spostano il sound sul versate di un vero e proprio death doom,

Dopo due demo risalenti ai primi anni del decennio, approdano oggi al loro primo full length i Mortuous, band formata da elementi già piuttosto attivi all’interno della scena death californiana.

Il genere nelle intenzioni del quartetto di San José, è quanto mai aderente alla tradizione americana portando cosi gli ascoltatori a ad esplorare i meandri più cupi e malsani di un sound che si rifà ai vari Incantation, Morbid Angel e Autopsy (e non è un caso se troviamo come ospite sull’album la coppia Reifert-Coralles).
Il risultato che ne scaturisce è notevole perché chi ama queste sonorità le troverà maneggiate con dovizia e competenza dai Mortuous, tra suoni ribassati, growl catacombali, assoli ficcanti e micidiali rallentamenti che in certi momenti spostano il sound sul versate di un vero e proprio death doom, come per esempio nella seconda metà di Screaming Headless nella quale l’uso anche del flauto richiama addirittura i Cathedral del seminale Forest Of Equilibrium, ma al di la di questo è il death più puro canonico e soddisfacente che occupa quasi per intero il proscenio, per la soddisfazione di chi ama le band citate quali quali di ispirazione per gli ottimi Mortuous.

Tracklist:
01. Beyond Flesh
02. Bitterness
03. Chrysalis of Sorrow
04. The Dead Yet Dream
05. Anguish and Insanity
06. Through Wilderness
07. Prisoner Unto Past
08. Screaming Headless
09. Subjugation of Will

Line-up:
Colin Tarvin – guitar
Mike Beams – vocals, guitar
Clint Roach – bass
Chad Gailey – drums

Guests:
Chris Reifert (guest vocals on “The Dead Yet Dream” and “Anguish And Insanity”)
Danny Coralles (solo on “The Dead Yet Dream”)
Derrel Houdashelt (solo on “Through Wilderness”)
Teresa Wallace (flute on “Screaming Headless”)

MORTUOUS – Facebook