Heavy Generation – The Spirit Lives On

The Spirit Lives On si rivela uno dei dischi più belli usciti quest’anno nel genere, oltre che il miglior debutto possibile per gli Heavy Generation.

Si affacciano sulla scena classica tricolore gli Heavy Generation, band dal sound heavy/power duro come l’acciaio, potente come un tuono e perfettamente bilanciato con quel tocco melodico che fa la differenza.

La band è composta dai fondatori Marco Stefani (Motorhell) alla batteria e Marco Marchioni al basso, a formare una sezione ritmica potentissima, dal chitarrista Fabio Cavestro (Gunjack, Motorhell, The Silence) e dal talentuoso cantante Ivan Giannini che, chi segue il metal targato Italia, avrà già potuto apprezzare nei Derdian e negli Elegacy, tra gli altri.
Con queste ottime premesse a livello di line up l’album non poteva che risultare all’altezza della situazione, ed infatti The Spirit Lives On non deluderà sicuramente le aspettative dei defenders, grazie ad un lotto di brani entusiasmanti, che travolgono l’ascoltatore grazie alla potenza di un heavy/power tellurico ed al notevole impatto epico melodico.
Giannini si trasforma dal vocalist potente ed elegante che abbiamo ammirato in passato in un animale metallico feroce e famelico, in possesso di un timbro che in questo caso ricorda il miglior Halford e aggiungendovi grandi doti interpretative (immenso nel mid tempo Path Of Denial).
In uno scenario post apocalittico i quattro guerrieri metallici ci consegnano un lavoro riuscito, formato da una raccolta di brani che non inciampano, ma marciano in direzione dell’epico scontro nelle strade di metropoli in disfacimento, al suono delle varie Fire Steel Metal, Heavy Generation, The Spirit Lives On e Warriors, tracce che dell’heavy/power epico si nutrono per soddisfare la voglia di metal classico di tutti i suoi seguaci pronti ad alzare il pugno verso il cielo.
The Spirit Lives On si rivela uno dei dischi più belli usciti quest’anno nel genere, oltre che il miglior debutto possibile per gli Heavy Generation.

Tracklist
01. Born To Rock
02. Fire Steel Metal
03. No Control
04. Blood And Sand
05. Heavy Generation
06. Path Of Denial
07. My Spirit Lives On
08. Odin
09. Warriors
10. March Until The Grave
11. No More Mercy

Line-up
Ivan Giannini – Vocals
Fabio Cavestro – Guitars
Marco Marchioni – Bass
Marco Stefani – Drums

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Metal Allegiance – Power Drunk Majesty

Il progetto Metal Allegiance sforna un album che, aldilà dei nomi che vi partecipano, ci presenta una raccolta di brani dall’alto valore artistico, per cui ignorarlo sarebbe un vero peccato.

Come si potrebbe rimanere insensibili ad un album che vede come protagonista un supergruppo al cui interno interagiscono musicisti del calibro di Alex Skolnick, Dave Ellefson, Mike Portnoy, coadiuvati dal bassista e mastermind Mark Menghi e con una serie di ospiti al microfono da far saltare le coronarie?

Torna dunque la Metal Allegiance, dopo il debutto omonimo di tre anni fa, progetto nato da un gruppo di amiconi che si divertivano a suonare cover e che si sono ritrovati inevitabilmente a fare sul serio.
Power Drive Majesty è un disco heavy/thrash, duro come un blocco di cemento armato, suonato straordinariamente bene e valorizzato dalle urla di gente come Trevor Strnad (The Black Dahlia Murder), Mark Osegueda (Death Angel), John Bush (Armored Saint), Bobby “Blitz” Ellsworth (Overkill), Troy Sanders (Mastodon), Mark Tornillo (Accept), Johan Hegg (Amon Amarth), Max Cavalera (Soulfly) e Floor Jansen (Nightwish), unica incantevole valkiria in questo gruppo guerriero di vocalist dall’istinto predatore.
Tutti questi nomi altisonanti potrebbero condizionare il giudizio sui dieci brani, ed invero il pericolo sussiste, ma viene scongiurato da un ottimo songwriting che dà la possibilità di far rendere al meglio i musicisti ed i loro ospiti.
Il sound è compatto, di scuola americana, con la chitarra di Skolnick torturata a dovere ed il gran lavoro di Portnoy e della coppia Menghi/Ellefson precisa ed efficace sia in fase ritmica che nella produzione dell’album.
Il disco suona benissimo, i cantanti si danno il cambio su pezzi che sono cuciti loro addosso e l’operazione Power Drunk Majesty è portata così a compimento senza intoppi.
Bound By Silence con John Bush, l’epica King Of A Paper Crown con Johan Hegg, i ritmi tribali di Voodoo Of The Godsend cantata da Max Cavalera e le due parti della conclusiva title track (la prima cantate da Mark Osegueda e la seconda da Floor Jansen) sono gli episodi migliori di questo mastodontico pezzo di granito thrash metal.
Il progetto Metal Allegiance sforna un album che, aldilà dei nomi che vi partecipano, ci presenta una raccolta di brani dall’alto valore artistico, per cui ignorarlo sarebbe un vero peccato.

Tracklist
1. The Accuser (feat. Trevor Strnad)
2. Bound by Silence (feat. John Bush)
3. Mother of Sin (feat. Bobby Blitz)
4. Terminal Illusion (feat. Mark Tornillo)
5. King with a Paper Crown (feat. Johan Hegg)
6. Voodoo of the Godsend (feat. Max Cavalera)
7. Liars & Thieves (feat. Troy Sanders)
8. Impulse Control (feat. Mark Osegueda)
9. Power Drunk Majesty (Part I) (feat. Mark Osegueda)
10. Power Drunk Majesty (Part II) (feat. Floor Jansen)

Line-up
Alex Skolnick – Guitarist/Producer
Mark Menghi – Bassist/Producer
Mike Portnoy – Drums
David Ellefson – Bass

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Albert Marshall – Speakeasy

Steve Vai e Joe Satriani sono i nomi per chi necessita di punti di riferimento e ispirazioni, ma su Speakeasy brilla soprattutto la stella di Albert Marshall e del suo talento.

La Red Cat si sta imponendo come marchio di qualità nel vasto mercato discografico odierno, specialmente per quanto riguarda i suoni classici.

Per esempio, viene sottolineata ancora una volta questa tendenza con il primo lavoro solista di Albert Marshall, intitolato Speakeasy, un concentrato di hard & heavy strumentale valorizzato dalla presenza in due brani (Fallen Angel e Tristam Fireland) della voce di Mark Boals, uno che non ha bisogno di presentazioni visto la sua militanza nella band di Malmsteen, in quella di un altro dio della sei corde come U.J.Roth e nei Ring Of Fire, tra le altre.
Il super gruppo formato da Albert Marshall non si ferma sicuramente al vocalist, ma ci regala le prove notevoli di Roberto Gualdi alla batteria (Pfm, Vecchioni, Glenn Hughes) e Simon Dredo al basso (L.A Rox, Alex De Rosso, Adam Bomb).
Speakeasy, con queste premesse, non poteva che uscirne vincitore e cosi è: l’album gode di uno splendido songwriting, con il chitarrista che giganteggia con la sua chitarra assecondato da una band di livello internazionale.
I due brani cantati da Mark Boals sono quelli che, ad un primo ascolto, esplodono letteralmente nelle nostre orecchie, ma Re Marzapane e Ramshackle Blues sono i capolavori strumentali del disco, letteralmente sfolgoranti per perizia tecnica e presa diretta sull’ascoltatore.
Steve Vai e Joe Satriani sono i nomi per chi necessita di punti di riferimento e ispirazioni, ma su Speakeasy brilla soprattutto la stella di Albert Marshall e del suo talento.

Tracklist
1.Butler’s Revenge
2.Badlands
3.Fallen Angel
4.Re Marzapane
5.Dreamlover
6.Tristam Fireland
7.Ramshackle Blues
8.Eclipse (White Horse)

Line-up
Albert Marshall – Guitars
Simon Dredo – Bass
Denzy Novello – Drums
Mark Boals – Vocals
Roberto Gualdi – Drums

ALBERT MARSHALL – Facebook

Silver P – Silver P

Un ottimo esordio che offre anche la possibilità di conoscere nuovi talentuosi musicisti itlaiani alle prese con un genere immortale come l’heavy metal classico.

Silver P è il monicker che campeggia sull’esordio omonimo del chitarrista e compositore Pugnale, al secolo Roberto Colombini, il quale, con l’aiuto del talentuoso vocalist Alex Jarusso, del bassista Alessandro Colla e del batterista Antonio Inserillo, offre una quarantina minuti di heavy metal tra classico e moderno.

I nove brani sottolineano in principio la bravura compositiva del nostro, così che Silver P risulti un ottimo album di heavy metal inserito perfettamente nel nuovo millennio.
Jarusso ci mette del suo per lasciare a bocca aperta anche l’ascoltatore più distratto, con una prova non solo gagliarda, ma soprattutto elegante ed in linea con quanto suonato dal gruppo, un perfetto ensemble di heavy/thrash metal di matrice statunitense, valorizzato da melodie di presa immediata tra Iron Maiden, Iced Earth e Fates Warning nelle parti più ragionevolmente progressive.
Di metal americano si tratta, quindi nelle varie Road To Hell, The Net e Out Of This World troverete quelle peculiarità che fanno dell’album un esempio riuscito del genere, incastonato nel nuovo millennio ed assolutamente in grado di farsi spazio grazie ai colpi proibiti delle dirette Fields Of War e I8.
Un ottimo esordio che offre anche la possibilità di conoscere nuovi talentuosi musicisti italiani alle prese con un genere immortale come l’heavy metal classico.

Tracklist
1.The Deep Breath Before The Plunge
2.Fields Of War
3.Road To Hell
4.Memories
5.The Net
6.A Shade In Light
7.Out Of This World
8.I8
9.Straight At The Heart

Line-up
Colombini Roberto Pugnale – Guitars
Alex Jarusso – Vocals
Alessandro Cola – Bass
Antonio Inserillo – Drums

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Blaze Bayley – The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III

Se siete estimatori del vocalist, l’album è 100% Bayley e quindi The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III non vi deluderà, ma se l’artista non è mai riuscito ad entrare nelle vostre corde non credo che ciò possa accadere grazie a questo nuovo lavoro.

Diciamolo francamente: se a Steve Harris non fosse venuto in mente di metterlo dietro al microfono della vergine di ferro, di Blaze Bayley se ne parlerebbe poco, e solo a livello underground; invece, i due album con gli Iron Maiden, che non per colpa sua sono sicuramente i punti più bassi della loro discografia, hanno per assurdo dato l’immortalità artistica al cantante britannico, per molti solo vittima di scelte quantomeno azzardate, per altri semplicemente cantante di livello medio basso.

La trilogia a sfondo fantascientifico, iniziata qualche hanno fa con l’album Infinite Entanglement e proseguita con Endure Or Survive, arriva al suo epilogo con questo ultimo lavoro, The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III, un lavoro discreto, senza grossi picchi, ma che, solo per le buone ‘intenzione e la costanza con la quale il cantante britannico ci si è dedicato, va sicuramente premiato.
Molti ospiti fanno al sua apparizione all’interno dell’opera, tra questi vanno ricordati Chris Jericho dei Fozzy ed il bassista Luke Appleton degli Iced Earth, così che The Redemption Of William Black prende le sembianze di un’opera a tutto tondo.
Il sound è quello solito, heavy metal old school di matrice maideniana, venato di hard rock, duro e puro ed assolutamente convenzionale: una formula che non passerebbe l’esame se invece di Blaze Bayley come monicker ci fosse quello di una qualsiasi band alle prime armi.
L’album è onesto ed in linea con quanto ci si può aspettare dal vocalist, ma è troppo poco per andare oltre ad una abbondante sufficienza, strappata con le unghie per un paio di brani interessanti come la maideniana Redeemer e la più diretta The Dark Side Of Black.
Se siete estimatori del vocalist, l’album è 100% Bayley e quindi The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III non vi deluderà, ma se l’artista non è mai riuscito ad entrare nelle vostre corde non credo che ciò possa accadere grazie a questo nuovo lavoro.

Tracklist
01. Redeemer
02. Are You Here
03. Immortal One
04. The First True Sign
05. Human Eyes
06. Prayers Of Light
07. 18 Days
08. Already Won
09. Life Goes On
10. The Dark Side Of Black
11. Eagle Spirit

Line-up
Blaze Bayley – Vocals
Chris Appleton – Guitars
Martin McNee – Drums
Karl Schramm – Bass

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Death SS – Rock ‘N’ Roll Armageddon

Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Torna quella che probabilmente è la più grande e leggendaria metal band che il nostro paese possa vantare, essendo peraltro fonte di ispirazione da quarant’anni per una moltitudine di band dislocate in ogni parte del mondo.

Steve Sylvester questa volta è stato perfetto, donando a tempo debito un album che riassume in tredici brani la storia musicale della sua mostruosa creatura, un camaleonte musicale che non ha mai offerto un album uguale all’altro, rimettendosi in gioco ad ogni occasione a seconda dell’ispirazione del momento.
Una cosa è certa: i Death SS tornano sul luogo del delitto, come zombie famelici fagocitano il loro capolavoro più conosciuto (Heavy Demons) che al lor interno si rigenera e rinasce sotto forma di un’opera che è una sorta di ideale summa di tutta la produzione passata..
L’immagine del gruppo segue i binari delle primarie fonti di ispirazione per lo storico leader (Kiss) e da qui si può partire per descrivere un album che principalmente guarda all’hard & heavy, ma che lascia spazio ad una miriade di dettagli e sfumature.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è una caduta nel baratro senza fine del mondo dei Death SS: horror rock, dark, glam, heavy metal, hard rock e pulsioni moderniste e apocalittiche accompagnano una tracklist che profuma di incenso e di metal anni ottanta, un turbine di sensazioni che solo Steve Sylvester sa dosare prima di colpire al cuore dei suoi fans.
Oltre la line up ufficiale, che vede il chitarrista Al De Noble, il bassista Glenn Strange, il tastierista Freddy Delirio e il batterista Bozo Wolff accompagnare il leader supremo, si torna ad ascoltare la chitarra di Al Priest, membro del gruppo ai tempi di Heavy Demons (presente sul disco in veste di ospite in compagnia di Giulio “Ghiulz” Borroni dei Bulldozer).
Black Soul ci da il benvenuto avvolgendoci in un’atmosfera horror, seguita dalla title track della quale abbiamo ascoltato il devastante impatto ottantiano nel periodo che ha anticipato l’uscita del disco.
Il gruppo usa praticamente tutte le armi a sua disposizione, senza smarrire un’oncia di quell’ipnotica atmosfera epico/horror e teatrale di cui è maestro: Sylvester, non da meno, sciorina una prestazione da incorniciare e i brani da ricordare si sprecano, con Slaughterhouse, Creature Of The Night e The Glory Of The Hawk a prendersi il podio, almeno dopo i primi ascolti.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Tracklist
1.Black Soul
2.Rock ‘N’ Roll Armageddon
3.Hellish Knights
4.Slaughterhouse
5.Creature Of The Night
6.Madness Of Love
7.Promised Land
8.Zombie Massacre
9.The Fourth Reich
10.Witches Dance
11.Your Life Is Now
12.The Glory Of The Hawk
13.Forever

Line-up
Steve Sylvester – Vocals (lead)
Freddy Delirio – Keyboards
Glenn Strange – Bass
Al De Noble – Guitars
Bozo Wolff – Drums

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Alice Cooper – A Paranormal Evening – Live at the Olympia, Paris

Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Ennesima celebrazione per quella leggenda vivente che di nome fa Vincent Damon Furnier ma che tutti conoscono nei panni di Alice Cooper, da quarant’anni uno degli artisti più amati della storia del rock e del metal.

Le vicende personali e la sua storia artistica fanno parte integrante del nostro mondo e fa piacere trovare la strega Alice ancora in ottima forma a settant’anni suonati, con un nuovo album licenziato lo scorso anno (Paranormal) e ora questo live che ne immortala le gesta nello show tenuto all’Olympia di Parigi.
Ritrovata una nuova giovinezza con la partecipazione nella super band Hollywood Vampires e altre collaborazioni, lo zio Alice non ci pensa neppure ad abdicare tenendosi ben stretta la corona di sovrano del rock teatrale e granguignolesco che egli stesso ha portato al successo con live spettacolari e album che sono scritti a caratteri cubitali nella storia del rock.
Rock’n’roll, hard rock, glam, heavy metal: Alice Cooper ha dettato le regole di questi generi, li ha modellati a suo piacimento e ci ha costruito sopra una carriera inimitabile diventando un’ispirazione primaria per generazioni di musicisti.
A Paranormal Evening At The Olympia Paris segue un programma ben collaudato, con una scaletta perfetta tra grandi classici e nuovi brani che ripercorrono la carriera di questo grande artista.
Per chi, almeno una volta, ha visto Alice Cooper dal vivo sa che la spettacolarità dell’evento è pari alla lista di grandi canzoni di cui l’artista statunitense dispone: I’m Eighteen, Under My Wheels, School’s Out, No More Mr. Nice Guy, Billion Dollar Babies, Poison, fino alle più moderne Brutal Planet e Woman Of Mass Destruction.
La band, composta da Nita Strauss, Tommy Henriksen e Ryan Roxie alle chitarre, dal bassista Chuck Garric e dal batterista Glen Sobel, asseconda con perizia i vari passaggi imposti dai generi che Cooper tocca con la sua musica, potenti quando serve, classicamente heavy e perfetti nel rock energico di cui si compongono le tracce più datate.
Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Tracklist
CD1
1. Brutal Planet
2. No More Mr. Nice Guy
3. Under My Wheels
4. Department Of Youth
5. Pain
6. Billion Dollar Babies
7. The World Needs Guts
8. Woman Of Mass Distraction
9. Poison
10. Halo Of Flies
CD2
1. Feed My Frankenstein
2. Cold Ethyl
3. Only Women Bleed
4. Paranoiac Personality
5. Ballad Of Dwight Fry
6. Killer / I Love The Dead themes
7. I’m Eighteen
8. School’s Out

Line-up
Alice Cooper – Vocals
Nita Strauss – Guitars
Tommy Henriksen – Guitars
Ryan Roxie – Guitars
Chuck Garric – Bass
Glen Sobel – Drums

ALICE COOPER – Facebook

Haunt – Burst Into Flame

Il gruppo statunitense segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.

Debuttano sulla lunga distanza gli americani Haunt, quartetto proveniente da Fresno in California e con alle spalle l’ep Luminous Eyes licenziato lo scorso anno.

Nati come progetto solista del chitarrista, bassista e cantante Trevor William Church, in coppia con il batterista Daniel “Wolfy” Wilson, ed in seguito raggiunti dal bassista Matthew Wilhoit e dal chitarrista John William Tucker, gli Haunt danno vita ad un classico album heavy metal dai rimandi old school, un tuffo nella NWOBHM dei primi anni ottanta, anche se nati nell’assolata California.
Metal classico, dunque, ruggente e granitico, pregno di crescendo melodici, ritmiche in stile Saxon e duetti chitarristici dai rimandi maideniani: il sound degli Haunt è tutto qui, un perfetto esempio di hard & heavy tradizionale, roccioso e melodico.
Ovviamente non esiste originalità nella musica del gruppo statunitense, che segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche di cui sopra, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.
Burst Into Flame, licenziato dalla Shadow Kingdom Records, risulta così un buon album, inadatto a chi è affascinati dai suoni più cool di questa prima parte del nuovo millennio, perché gli Haunt si alleano alle truppe sassoni e vi tortureranno con la vergine di ferro, siete avvisati.

Tracklist
01. Burst Into Flame
02. Crystal Ball
03. Reflectors
04. My Mirage
05. Wanderlust
06. Frozen In Time
07. Heroes
08. Can’t Get Back
09. Looking Glass

Line-up
Daniel “Wolfy” Wilson – Drums
Trevor William Church – Vocals, Guitar, Bass
Matthew Wilhoit – Bass
John William Tucker – Guitars

HAUNT – Facebook

Halcyon Way – Bloody But Unbowed

Bloody But Unbowed deflagra in tutta la sua potenza espressiva, unendo come da tradizione power metal statunitense, thrash, metal estremo e progressive, non rinunciando ad input moderni.

Tornano con questo monumentale lavoro gli statunitensi Halcyon Way, gruppo da considerare ormai storico nella scena metallica del nuovo continente, essendo attivi dall’alba del nuovo millennio ed arrivati oggial quarto full length, successore del notevole Conquer licenziato quattro anni fa.

Bloody But Unbowed conferma il quintetto di Atlanta come una delle massime espressioni del power/progressive metal americano, ambito nel quale non si rinuncia a contaminazioni estreme e moderne per un susseguirsi di sorprese a livello compositivo e meraviglie tecniche, a cominciare dalla prestazione del singer Steve Braun.
Ovviamente i complimenti non si fermano al solo vocalist, perché la band in toto sprigiona una potenza di fuoco esagerata e, con l’aiuto di una serie di prestigiosi ospiti, dà vita ad un’opera di notevole metallo potente e progressivo.
Registrato, mixato e masterizzato da Mark Lewis (Whitechapel, Trivium, Bad Wolves, Death Angel) ed accompagnato dall’artwork creato da Travis Smith (Opeth, Overkill, Death, Iced Earth), Bloody But Unbowed deflagra in tutta la sua potenza espressiva, unendo come da tradizione power metal statunitense, thrash, metal estremo e progressive, non rinunciando ad input moderni.
Sull’album è presente il The Nailhead Choir, composto come scritto da diversi ospiti come Todd LaTorre (Queensryche), Matt Barlow (Iced Earth/Ashes Of Ares), Ben Huggins (Galactic Cowboys), Sean Peck (Cage/Denner-Shermann), Troy Norr (THEM), Norm Skinner (Niviane), Sean Shields (ex-Halcyon Way) e lo stesso Steve Braun.
Pronti e via, si comincia a salire sulle montagne russe marchiate Halcyon Way per poi scendere in picchiata, con il fiato che già dalla title track manca, spezzato dal continuo saliscendi emozionale tra ripartenze power classiche, evoluzioni progressive e bordate metalliche potentissime.
Il gruppo è in forma smagliante, i brani risultano uno più bello dell’altro, da Blame a Superpredator, passando per Then Thousand Ways e la conclusiva spettacolare Desolate.
Nella versione europea, alla tracklist si aggiungono altre due tracce, per quello che risulta uno dei migliori album usciti negli ultimi tempi nel genere proposto.
Nevermore, Iced Earth, Pyramaze (il cui tastierista Jonah Weingarten dà il suo contributo nell’intro Devolutionize e nel brano The Church Of Me), Testament e Dream Theater, il tutto viene rivisto, corretto e trasformato nell’imperdibile sound degli Halcyon Way.

Tracklist
1. Devolutionize
2. Bloody But Unbowed
3. Blame
4. Slaves To Silicon
5. Superpredator
6. Primal Scream
7. Ten Thousand Ways
8. The Church Of Me
9. Cast Another Stone
10. Crowned In Violence
11. Burning The Summit
12. Desolate +
European edition bonus tracks:
13. Insufferable
14. Stand For Something

Line-up
Steve Braun – Vocals
Jon Bodan – Lead Guitars, Backing Vocals, Death Vocals
Max Eve – Guitars, Backing Vocals
Skyler Moore – Bass, Death Vocals
Aaron Baumoel – Drums

HALCYON WAY – Facebook

Toxikull – The Nightriser

Ogni tanto si ha bisogno anche di band come i Toxikull, una sorta di panacea per la vostra fame di heavy metal veloce e maledettamente classico.

I gloriosi anni ottanta, con tutta la loro carica ed ignoranza, tornano ad essere protagonisti con i portohesi Toxikull, quartetto dedito ad un heavy/speed metal che non rinuncia ad iniezioni thrash per un risultato che, tutto sommato, sa risvegliare il metallaro duro e puro che è dentro a chi gli anni d’oro li ha vissuti.

The Nightraiser è il secondo lavoro del gruppo, un ep di sei brani successore di Black Sheep, primo album licenziato nel 2016: una raccolta di mitragliate speed metal dai molti riferimenti all’heavy e al thrash, assolutamente old school, suoni perfettamente assecondati da Lex Thunder e compagni che, senza fronzoli scaricano cinque brani più la cover di Rocker, brano degli Hollywood Rose (che in seguito diventeranno i Guns N’Roses).
Rozzi e cattivi, i Toxikull suonano heavy metal, veloce e adrenalinico; con la sezione ritmica che produce scintille, le chitarre che urlano e i chorus da gridare con quanto fiato in corpo, mentre la title track dà via all’headbanging sfrenato e Surrender Or Die scatena l’inferno metallico, sorretta da un irresistibile riff e un ritornello assolutamente travolgente.
Con la band portoghese verrete trasportati indietro nel tempo, mentre il chiodo d’ordinanza vi apparirà invecchiato e più aderente rispetto al passato, con Satan Bloody Satan che vi ricorderà che il diavoletto suggeritore è ancora li che vi parla all’orecchio.
Ogni tanto si ha bisogno anche di band come i Toxikull, una sorta di panacea per la vostra fame di heavy metal veloce e maledettamente classico.

Tracklist
1.Nightraiser
2.Surrender Or Die
3.Hellmaster
4.Freedom To Kill
5.Satan Bloody Satan
6.Rocker

Line-up
Lex Thunder – Vocals, Guitars
Michael Blade – Guitars
Antim “The Vicking” – Vocals, Bass
The Lorke – Drums

TOXIKULL – Facebook

Lords Of The Trident – Shadows From The Past

Una raccolta di brani che riesce a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore grazie ai tanti momenti melodici in un contesto metallico supportato da un buon songwriting, anche se l’album precedente era baciato da un maggiore stato di grazia che influisce sul giudizio comunque positivo di questa nuova prova.

L’ultimo lavoro uscito tre anni fa, era un autentico gioiellino metallico, duro, melodico, a metà strada tra il power metal e le più tradizionali sonorità heavy classiche.

Sto parlando di Frostburn, bellissimo lavoro dei Lords of The Trident, simpatica e bravissima band del Wisconsin, dal sound che di americano ha poco o nulla ed invece ha molto dell’heavy europeo.
Mai troppo power, il metal del quintetto guidato dal vocalist Fang VonWrathenstein si rivela una bella sorpresa per i fans dei suoni classici di scuola tedesco/britannica, con una band che non prendendosi troppo sul serio diverte tra citazioni ed ispirazioni che non possono non far saltare sulla poltrona i defenders incalliti.
Shadows From The Past è il quarto lavoro sulla lunga distanza per gli statunitensi: niente di nuovo ma convincente sotto il cielo di un Wisconsin illuminato da lampi e tuoni metallici e riflessi accecanti di lucide spade.
Una raccolta di brani che riesce a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore grazie ai tanti momenti melodici in un contesto metallico supportato da un buon songwriting, anche se l’album precedente era baciato da un maggiore stato di grazia che influisce sul giudizio comunque positivo di questa nuova prova.
Chitarre che si incendiano in solos e passaggi heavy metal lasciano spazio a cavalcate power di scuola Helloween; ottimo è l’uso dei chorus dal flavour epico e dal buon appeal, mentre il singer conferma di essere cantante perfetto per la musica suonata e la sezione ritmica fa il suo sporco lavoro al meglio, alternando parti telluriche ad accelerazioni che trovano le loro origini tra le vie di Amburgo a metà degli anni ottanta.
L’opener Death Dealer parte come un treno e deraglia nella tellurica e melodica Zero Hour, la bellissima Figaro porta con sé sfumature progressive, mentre The Party Has Arrived fa da preludio alla più moderna Reaper’s Hourglass.
Sono questi i pezzi forti che i Lords Of The Trident mettono in campo per uscire vincitori da questa ennesima prova, che non deluderà sicuramente gli amanti del genere, anche se Frostburn, come scritto, rimane il loro album migliore.

Tracklist
1.Death Dealer
2.Zero Hour
3.Tormentor
4.Burn It Down (With Fire)
5.Figaro
6.The Party Has Arrived
7.Brothers of Cain
8.Reaper’s Hourglass
9.Chasing Shadows
10.The Nameless Tomb
11.The Gatekeeper
12.Cross the Line
13.Desolation (Haze of the Battlefield Pt. 2)
14.Fire and Sand

Line-up
Fang VonWrathenstein – Lead Vocals
Baron Taurean Helleshaar – Lead Guitar
Asian Metal – Lead Guitar
Pontifex Mortis – Lead Bass
Master “Herc” Hercule Schlagzeuger – Lead Drums

LORDS OF THE TRIDENT – Facebook

Zero Down – Larger Than Death

Larger Than Death è un lavoro di hard & heavy tra la scuola americana e quella britannica, classico e senza fronzoli, assolutamente old school sia nell’attitudine sia nella scelta di suoni che rimangono legati al suono metal per eccellenza e che, in questo caso, sono assolutamente perfetti.

Gli Zero Down tornano con un nuovo album intitolato Larger Than Death, l’ennesimo capitolo di una discografia incentrata sull’heavy metal più classico e riottoso, un concentrato potente e adrenalinico di metal classico e punk rock in puro stile anno ottanta.

Il quintetto proviene da una città importantissima per lo sviluppo delle sonorità hard & heavy, quella Seattle patria di Jimi Hendrix, dei Queensryche, dei Metal Church e del movimento grunge.
In effetti, i musicisti coinvolti in questo progetto hanno più o meno tutti un passato che li vede coinvolti in band vicine alle sonorità per cui la piovosa città nello stato di Washington è diventata famosa, ma con gli Zero Down tornano indietro di qualche anno per respirare a pieni polmoni aria che sa di tradizione metallica, con un heavy metal oscuro che guarda ai primi Metal Church, ma pregno di quell’attitudine punk che ricorda i Maiden quando dietro al microfono Paul Di Anno si sbarazzava di tutti i vocalist dell’epoca con la sua carica inarrestabile.
Dall’opener High Priestess è un susseguirsi di riff scolpiti nella storia dell’heavy metal: le influenze del gruppo si permeano di un’anima priestiana (Lightening Rod) e il tutto funziona, almeno per chi ama l’heavy metal classico, a tratti attraversato da una vena horror (Lone Wolf).
Larger Than Death è un lavoro di hard & heavy tra la scuola americana e quella britannica, classico e senza fronzoli, assolutamente old school sia nell’attitudine sia nella scelta di suoni che rimangono legati al suono metal per eccellenza e che, in questo caso, sono assolutamente perfetti.

Tracklist
1.High Priestess
2.Mean Machine
3.Lightening Rod
4.Racoon City
5.Curandera
6.Western Movies
7.Preacher Killer
8.Lone Wolf
9.Larger than Death
10.Horns

Line-up
Lenny Burnett – Lead & Rhythm Guitars, Vocals
Matt Fox – Lead & Rhythm Guitars, Vocals
Ron E. Banner – Bass, Vocals
Chris Gohde – Drums
Mark “Hawk” Hawkinson – Lead Vocals & Screams

ZERO DOWN – Facebook

Doro – Forever Warriors, Forever United

Passano gli anni e Doro riesce ancora a far battere i cuori dei true metallers, anche se forse questo doppio album risulta eccessivamente morbido, ma di certo la qualità non si discute: per i fedeli sudditi della Metal Queen sicuramente un buon lavoro.

Scrivere di un’uscita importante come l’ultimo lavoro della Metal Queen è sempre un’arma a doppio taglio, considerando che sono passati trentacinque anni da quando Doro irruppe come un uragano biondo sulla scena metal diventandone, prima con i leggendari Warlock e poi con la sua lunga carriera solista, l’incontrastata regina.

Il 2018 porta dunque con sé un nuovo album di questa icona del metal classico, stupenda anche se gli anni passano, irresistibile sul palco e ancora in forma dietro al microfono.
Forever Warriors, Forever United è un nuovo inno al mondo metallico con tutti i suoi cliché, stucchevoli magari, ma sempre motivo di orgoglio per i tanti fans del genere, uniti quando la Metal Queen tedesca chiama a raccolta le sue truppe.
Un doppio album, venticinque brani tra cui una manciata di cover tra le quali spiccano Caruso del nostro Lucio Dalla, Don’t Break My Heart Again degli Whitesnake e Lost In The Ozone dei Motorhead, per un monumentale lavoro dove i tanti ospiti valorizzano senza stravolgerla la musica di Doro Pesch.
Accompagnata da una band compatta e sicuramente all’altezza della situazione, Doro rifila uno dietro l’altro una serie di anthem (tra i quali spiccano All For Metal e Bastardos ) che causeranno i tipici momenti di epica estasi collettiva in sede live.
L’opera è lunga e richiede il suo tempo per essere assimilata a dovere, perdendo quindi un poco di grinta in favore di un approccio leggermente soft che il vocione estremo del buon Johan Hegg degli Amon Amarth rende drammatico in If I Can’t Have You – No One Will.
Con il secondo disco la vena malinconica e soft dell’album si accentua, anche se Résistance parte a tutta birra e Lift Me Up ricorda le classiche power ballad ottantiane, per poi far scemare leggermente l’attenzione dell’ascoltatore e farlo riprendere con il drammatico ed emozionante incedere della splendida Living Life To The Fullest.
La regina torna a graffiare con la robusta Fight Through The Fire, prima che questa monumentale opera si avvii verso la conclusione con la cover dei Motorhead, omaggio all’amico Lemmy.
Passano gli anni e Doro riesce ancora a far battere i cuori dei true metallers, anche se forse questo doppio album risulta eccessivamente morbido, ma di certo la qualità non si discute: per i fedeli sudditi della Metal Queen sicuramente un buon lavoro.

Tracklist
Forever Warriors
01. All For Metal
02. Bastardos
03. If I Can’t Have You – No One Will
04. Soldier Of Metal
05. Turn It Up
06. Blood, Sweat And Rock ‘n’ Roll
07. Don’t Break My Heart Again
08. Love’s Gone To Hell
09. Freunde Fürs Leben
10. Backstage To Heaven
Bonus songs:
11. Be Strong
12. Black Ballad
13. Bring My Hero Back Home Again

Forever United
01. Résistance
02. Lift Me Up
03. Heartbroken
04. It Cuts So Deep
05. Love Is A Sin
06. Living Life To The Fullest
07. 1000 Years
08. Fight Through The Fire
09. Lost In The Ozone
Bonus songs:
10. Caruso
11. Tra Como E Coriovallum (instrumental)
12. Metal Is My Alcohol

Line-up
Doro Pesch – Vocals
Luca Princiotta – Guitars
Bas Maas – Guitars
Nick Douglas – Bass
Johnny Dee – Drums

DORO – Facebook

Exlibris – Innertia

Gli Exlibris, con un cantante dalle enormi potenzialità e buone canzoni, piacciono senza ricorrere a chissà quali chimere di originalità o pirotecnici voli ad inseguire vette tecniche, molte volte obsolete o addirittura inutili nell’economia del sound, puntando piuttosto sull’appeal melodico e sull potenza dell’heavy power metal.

Se oggi si vuole ascoltare dell’ottimo metal classico è indubbio che bisogna guardare all’Italia, da un po’ di anni fucina di ottime proposte in tale ambito, almeno per quanto riguarda la scena underground, ovviamente insieme alla solita Germania, patria di queste sonorità.

Dopo il successo dei gruppi nati in terra scandinava negli anni a cavallo dei due secoli, sono dunque i paesi affacciati sul Mediterraneo che stanno regalando le migliori soddisfazioni, anche se, a ben guardare, non mancano neppure gradevoli sorprese in giro per il vecchio continente.
In questo caso, per esempio, è la Polonia a dare i natali agli Exlibris, quintetto dedito ad un heavy/power metal che non disdegna sconfinamenti melodici vicini all’hard rock melodico, arrivato a tagliare il traguardo del quarto album con questo ottimo lavoro dal titolo Innertia.
Capitanata dal bravissimo cantante di origini finlandesi Riku Turunen, dal cognome che ricorda la famosa regina del metal sinfonico Tarja, ma con la voce che invece gioca a fare il Tobias Sammet, la band di Varsavia dà vita ad un album piacevole, assolutamente in grado di soddisfare i palati dei fans del power come quelli più raffinati dell’hard rock melodico, vincendo alla grande la sfida non facile di convincere con un songwriting ispirato.
Gli Exlibris, con un cantante dalle enormi potenzialità e buone canzoni, piacciono senza ricorrere a chissà quali chimere di originalità o pirotecnici voli ad inseguire vette tecniche, molte volte obsolete o addirittura inutili nell’economia del sound, puntando piuttosto sull’appeal melodico e sull potenza dell’heavy power metal.
Brani come Harmony Of The Spheres, Shoot For The Sun, Amorphous o Origin Of Decay passano in rassegna le varie foni di ispirazione degli Exlibris, andando dagli Avantasia ai Primal Fear, dagli Stratovarious ai Brother Firetribe, in un susseguirsi di fuochi d’artificio power/heavy/hard rock tutti da ascoltare.

Tracklist
1.Innertia
2.Harmony of the Spheres
3.Gravity
4.Shoot for the Sun
5.Incarnate
6.No Shelter
7.Amorphous
8.Origin of Decay
9.Multiversal
10.Thunderbird
11.Ascension

Line-up
Riku Turunen – vocals
Daniel Lechmański – guitars and vocals
Piotr Sikora – keyboards and orchestration, vocals
Piotr Torbicz – bass
Grzegorz Olejnik – drums

EXLIBRIS – Facebook

Gabriels – Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers

Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tra i molti talenti della scena della scena metallica tricolore, il tastierista e compositore Gabriels è uno dei più attivi, dai Platens ai molti progetti a cui ha prestato il suo estro, fino alla sua ottima carriera solista che lo ha visto impegnato con il concept dal tragico tema riguardante i fatti dell’11 settembre 2001 (Prophecy) e in seguito l’inizio della saga Fist Of The Seven Stars, con il primo capitolo (Act 1, Fist Of Steel) uscito un paio d’anni fa, del quale questo nuovo lavoro è il seguito.

Tra le due opere il tastierista nostrano ha registrato Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1, uscito all’inizio dell’anno e riuscito esperimento nel suo coniugare la musica classica di un’orchestra con i suoni moderni del suo synth.
La firma con Rockshots Records porta dunque alla seconda opera che racconta il mondo del manga giapponese “Hokuto no Ken”, di Tetsuo Hara and Buronson, e le avventure di Kenshiro, uno dei personaggi più noti al grande pubblico.
Come ci ha piacevolmente abituati, Gabriels si contorna di ottimi musicisti e cantati della scena metal nazionale ed internazionale, un gruppo numeroso di ospiti che valorizza il sound creato per la storia che poggia, ovviamente sullo strumento principale suonato dal nostro, ma lascia comunque spazio ad ogni protagonista impegnato nel fare di Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers l’ennesima splendida opera.
Una decina di cantanti, con Wild Steel nei panni di Ken, una serie di ottimi chitarristi, ed una sezione ritmica che vede alternarsi cinque bassisti ed altrettanti batteristi (dei quali scoprirete i nomi in fondo alla recensione per non fare torto a nessuno, visto il livello assoluto di ciascuno) aiutano così Gabriels in questa nuova avventura dal sound rock/metal, melodico e progressivo, a tratti animato dal power, valorizzato da virtuosi interventi solistici del sempre ispiratissimo synth, ma senza mai perdere il filo del racconto in musica, piacevole da ascoltare e, a tratti, esaltato da una vena epica che glorifica bellissime melodie metal/prog.
Più di un’ora di esperienza uditiva tutta da vivere, mentre i personaggi della storia compaiono nella nostra mente al suono delle melodie metalliche incastonate tra lo spartito dell’opener The Search Of Water Bird, della bellissima prog/aor End Of Cobra, dell’epico incedere di Scream My Name e della monumentale Myth Of Cassandra.
Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tracklist
01.The search of water bird
02.Cobra clan
03.End of Cobra
04.I see again
05.Scream my name
06.Miracle land
07.I’m a genius
08.Looking for your brother
09.Myth of Cassandra
10.Reunion
11.Legend of fear
12.King of fist

Line-up
Wild Steel (Shadows of Steel) as Ken
Jo Lombardo (Metatrone, Ancestral) as Ray
Rachel “Iron Majesty” Lungs as Mamiya
Dario Grillo (Platens, Violet Sun) as Toky
Alfonso Giordano (Steel Raiser) as Wiggle
Iliour Griften (Beto Vazquez’ Infinity, Clairvoyant) as Amiba
Antonio Pecere (Crimson Dawn) as Raoul
Dave Dell’Orto (Drakkar, Verde Lauro) as Jagger
Beatrice Bini (Constraint, Vivaldi Metal Project) as Aylee
Matt Bernardi (Ruxt) as Cobra Boss

Guitars:
Antonello Giliberto
Francesco Ivan Sante dall’ò
Stefano Calvagno (Metatrone)
Antonio Pantano (Arcandia)
Tommy Vitaly
Frank Caruso (Arachnes)
Daria Domovik (Concordea)
Andrew Spane
Stefano Filoramo

Bass:
Dino Fiorenza (Metatrone)
Beto Vazquez (Beto Vazquez’s Infinity)
Adrian Hansen
Fabio Zunino
Arkadiusz E. Ruth (Path Finder)

Drums:
Mattia Stancioiu (ex-Vision Divine, ex- Labirynth)
Simone Alberti (Gabriels)
Giovanni Maucieri (Gabriels)
Michele Sanna (Coma)
Salvo Pennisi

GABRIELS – Facebook

Bastian – Grimorio

Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Il chitarrista siciliano Sebastiano Conti torna con il quarto album della sua creatura, Bastian, da una manciata d’anni una delle migliori espressioni dell’hard & heavy classico, prima con l’esordio Among My Giants uscito autoprodotto nel 2014 e poi ristampato l’anno seguente dalla Underground Symphony, ed in seguito con Rock Of Daedalus e Back To The Roots, licenziato lo scorso anno.

Contornato nei vari album da una bella fetta di icone del genere come Michael Vescera, Mark Boals, Vinnie Appice, John Macaluso e Apollo Papathanasio, il chitarrista nostrano si affida questa volta a nuovi musicisti come James Lomenzo al basso (Ozzy Osbourne, Megadeth, Black Label Society), Federico Paulovich (Destrage) alla batteria e al cantante danese Nicklas Sonne (Defecto, Theory), formando un quartetto compatto e più vicino al concetto di vera e propria band.
Grimorio porta con sé una sterzata stilistica importante, con il gruppo che ci sbatte sul muso dieci pezzi di granito hard rock dalle chiare influenze sabbathiane, non dimenticando che siamo nel 2018 e che il groove è diventato l’arma letale per sfondare con forza bruta i cuori dei rockers odierni.
Black Sabbath da una parte e Black Label Society dall’altra, un mix letale di hard groove rock che non dimentica la lezione di chi fino ad ora era stato ispirazione importantissima per la musica dei Bastian, ovvero i Led Zeppelin ed il loro hard blues.
Si parte da qui per un altro ottimo lavoro, tutto cuore, passione, sudore e talento, con la chitarra di Conti che segue le coordinate tracciate da quel mostro di Zakk Wylde, nel genere il miglior chitarrista vivente, per un lotto di brani in cui regna sua maestà il riff.
Le prestazioni singole sono eccezionali: James Lomenzo e Federico Paulovich formano una sezione ritmica tellurica, Nicklas Sonne si dimostra cantante di razza e Conti, senza strafare, conferma la sua bravura alla sei corde, uscendo ancora una volta vincitore con mazzate inferte senza pietà come l’opener Pale Figure che dà il via alle danze con la sua maestosa ed oscura atmosfera doom.
Ancora il blues acido di The Trip, l’hard & heavy sabbathiano era Dio di Southern Tradition, lo splendido hard rock di The Time Has Come, la danza psichedelica Epiphany’s Voodoo e la conclusiva Fallen Gods contribuiscono a fare di Grimorio un mastodontico pezzo di meteorite in caduta libera sul pianeta Terra.
Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Tracklist
01.Pale Figure
02.Sly Ghost
03.The Trip
04.Infinite Love
05.It’s Just A Lie
06.Southern Tradition
07.The Time Has Come
08.Epiphany’s Voodoo
09.Black Wood
10.Fallen Gods

Line-up
Sebastiano Conti – Guitar
Nicklas Sonne – Vocals
James Lomenzo – Bass
Federico Paulovich – Drums

BASTIAN – Facebook

Lady Reaper – Mise En Abyme

I Leady Reaper dimostrano la loro sagacia nel costruire un sound personale, lasciando che le proprie influenze ed ispirazioni si facciano largo senza compromettere la totale libertà artistica di cui si possono fregiare.

Che i Lady Reaper fossero una band non comune ed in costante evoluzione si era capito già dal personalissimo sound messo in mostra nel debutto omonimo targato 2015, un esempio convincente di metal classico ispirato ai primi anni ottanta, un mix di primi Iron Maiden e Black Sabbath molto teatrale e dinamico, mai fermo sui soliti cliché.

La splendida, affascinate ed ipnotizzante strega fasciata di lattice rosso, dopo aver tagliato teste in giro per lo stivale, ha posato la falce, si è trasformata in una pericolosissima musa di seta vestita, una sacerdotessa che ci invita allo spettacolo che si trasformerà in un bagno di sangue metallico.
Prima però spazio ad una più elegante forma di rivisitazione della letteratura ottocentesca e di alcuni dei suoi autori, accompagnata da un booklet con varie opere in acquarello disegnate da Umberto Stagni, a valorizzare ancora di più il clima elegante e in qualche modo suadente di questo ottimo lavoro.
Mise En Abyme esce per l’etichetta italiana Valery Records, ha al suo interno un sound che continua a specchiarsi nel metal dei primi anni ottanta ma con una più spiccata vena teatrale e settantiana, così che parlare di progressive in certi frangenti non è certo eresia.
I Leady Reaper dimostrano la loro sagacia nel costruire un sound personale, lasciando che le proprie influenze ed ispirazioni si facciano largo senza compromettere la totale libertà artistica di cui si possono fregiare.
Dall’intro recitato To The Abyss in poi l’album è un viaggio nel rock/metal classico che non disdegna atmosfere dark/progressive, addirittura sinfoniche e doom rock di altissimo livello, un tuffo nell’elegante e a tratti decadente atmosfera dell’arte di due secoli fa, dove la nostra splendida musa si muove sinuosa e lasciva, promettendo la gloria artistica ma dando solo la morte, mentre le splendide The Ethernal Carnival, Buried In My Dreams e la più lunga Mr. Nick Diabolical Mets (dodici minuti di heavy metal progressivo a tratti entusiasmante) accentuano e consolidano l’impressione di essere al cospetto di un’opera splendidamente fuori dagli schemi.
Ne sentirete delle belle tra le trame di Mise En Abyme, album che piacerà non poco sia gli amanti dell’heavy metal che i fans del rock progressivo e dark a cavallo dei due decenni storici per il genere: i Lady Reaper hanno centrato il bersaglio grosso, ottimo lavoro.

Tracklist
1.To the Abyss
2.The Eternal Carnival
3.Abracadabra
4.Another Me
5.Fragments
6.Buried in my Dreams
7.Stop the Mops
8.Mr Nick: Diabolical Bets
9.Headless Ride

Line-up
Simone Oz Calderoni – Vocals
Federico Red Arzeni – Guitars, Chorus
Stefano Jekyll Coggiatti – Guitars, Keyboards, Chorus
Gabriele Gimi Grippa – Acoustic Guitars, Bass, Keyboards
Berardo Bear Di Mattia – Drums, Percussions

LADY REAPER – Facebook

Tomorrow’s Outlook – A Voice Unheard

Un buon esempio di heavy metal classico, suonato e cantato ad alti livelli: quello che ascolterete su questo nuovo album è un lungo tuffo tra le sonorità classiche di matrice europea.

Arrivano al secondo lavoro i norvegesi Tomorrow’s Outlook, gruppo che aveva licenziato il primo lavoro sei anni fa (34613).

La band, fondata da Trond Nicolaisen e Andreas Stenseth, con A Voice Unheard fa passi da gigante, venendo aiutata da ben tre vocalist tra cui spicca Ralph Scheepers, oltre a Tony Johannessen (Thunderbolt) e Scott Oliva.
Prodotto da Roy Z, l’album risulta un buon esempio di heavy metal classico, suonato ed ovviamente cantato ad alti livelli: quello che ascolterete su questo nuovo album è un lungo tuffo (settanta minuti) tra le sonorità classiche di matrice europea.
Potente e raffinato, l’album parte con piglio sorprendente, dettato dalla voce inconfondibile di Scheepers, meravigliosamente a suo agio nel sound a metà tra Gamma Ray e Primal Fear dell’opener Within The World Of Dreams.
Con lo scorrere dell’album, i brani alternano ispirazioni heavy/power a raffinati ricami chitarristici di scuola americana, anche se il mood che prevale è di matrice Iron Maiden/Judas Priest.
Non ha grossi cedimenti A Voice Unheard, anche se la durata proibitiva non giova alla fruibilità immediata delle varie tracce, tra cui spiccano Outlaw (cantata da Scott Oliva), Times Of War (lasciata al tono dickinsoniano di Tony Johannessen) e One Final Prayer, con ancora Scheepers al microfono.
Le cover di Darkside Of Aquarius di Bruce Dickinson e Slave to the Evil Force dei russi Aria, concludono questo buon esempio di metal classico, valorizzato da un songwriting ispirato e da una prova sopra le righe dei cantanti che si alternano dietro al microfono.

Tracklist
01. Within The World
02. Descent
03. Through Shuttered Eyes
04. A Voice Unheard
05. Outlaw
06. Times Of War
07. The Enemy
08. One Final Prayer
09. Fly Away
10. Nothing Shall Remain
11. Darkside Of Aquarius (Bruce Dickinson Cover)
12. Slave To The Evil Force (Aria Cover)

Line-up
Ralf Scheepers – voce (1, 4, 7, 8, 9, 10)
Tony Johannessen – voce (2, 3, 6, 11, 12)
Scott Oliva – voce (5)
Øystein K. Hanssen – chitarra
Andreas Stenseth – basso
Andreas Nergård – batteria, tastiere.
Trond Nicolaisen – songwriter

TOMORROW’S OUTLOOK – Facebook

Blind Saviour – The Master Plan

Si trascorre oltre un’ora piacevolmente con le atmosfere di questo lavoro, tra solos veloci e melodici, inserti tastieristici che rendono a sinfonicamente eleganti certi momenti di un concept che si concede poche pause e punta tutto su impatto e la melodia.

In ritardo di un paio d’anni dalla pubblicazione vi presentiamo l’esodio dei maltesi Blind Saviour, gruppo salito sul palco del Metal Queen’s Burning Night, festival svoltosi a Torino lo scorso maggio e che nel bill vedeva appunto un buon numero di band dedite ai più svariati generi, con la prerogativa di una gentil donzella dietro al microfono.

The Master Plan è un ambizioso concept album il linea con le produzioni classiche del power metal, quindi accostabile a quello già espresso a suo tempo da Gamma Ray, Freedom Call e Scanner.
Il gruppo, sebbene nato nel mezzo del Mediterraneo, è influenzato dal sound inventato e portato al successo dai colleghi tedeschi, con un’anima maideniana che aleggia nei passaggi in cui la doppia cassa, sparata a mille, lascia spazio a ritmiche più consone al metal classico.
L’eroe cieco, che tanto sa dei quattro bardi di Krefeld, ha il compito di salvare l’umanità dalla tirannia dei robot in un futuro post/apocalittico, tra cavalcate pregne di epicità, battaglie ed eroi, mentre la voce, forse un tantino troppo morbida della singer, cerca di ergersi sopra la potenza che sprigionano i musicisti in brani assolutamente perfetti per il genere come Reign Of The Robot Clans e le due perle dell’album, The Episode e Dawn Of Victory, più varia e progressiva la prima, epica, veloce e travolgente la seconda.
Si trascorre oltre un’ora piacevolmente con le atmosfere di questo lavoro, tra solos veloci e melodici, inserti tastieristici che rendono a sinfonicamente eleganti certi momenti di un concept che si concede poche pause e punta tutto su impatto e la melodia.
The Master Plan è un buon esordio, ambizioso il giusto per non passare inosservato pur portandosi dietro qualche difetto assolutamente rimediabile, rivelandosi un ascolto consigliato per gli amanti del power metal.

Tracklist
1. Beyond The Portals
2. Reign Of The Robot Clans
3. Brink Of Destruction
4. The Episode
5. The Day After
6. Dawn Of Victory
7. Quest Of Blue Light
8. Warrior Of Fire
9. Blind Saviour
10. Freedom Call
11. Revolution

Line-up
Karl Friggieri – Bass
Robert Friggieri – Drums
Aldo Chircop – Guitars
Campos Gellel – Guitars
Rachel Grech – Vocals

BLIND SAVIOUR – Facebook

Devin Townsend Project – Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv

Devin Townsend si odia o si ama, e sicuramente non ha lasciato indifferente chi ha seguito l’evoluzione della musica rock/metal negli ultimi due decenni e anche più: Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv è l’imperdibile giusto tributo al suo talento.

Il genio di Devin Townsend viene celebrato in questo monumentale lavoro che raccoglie, nei formati 3CD/2DVD/Blu-Ray con un documentario (Reflecting The Chaos), 3CD/DVD Digipak, Blu-Ray e in digitale, il concerto tenuto nel teatro romano di Plovdiv in Bulgaria per festeggiare i vent’anni dall’uscita dell’album Ocean Machine, più una serie di brani suonati con la State Opera Orchestra e richiesti dai fans.

Un vero e proprio monumento eretto in omaggio alla musica dell’artista canadese, una colossale opera che può sicuramente essere definita come il suggello definitivo di chi ha fatto dell’imprevedibilità e della ricerca dell’originalità un modo per differenziarsi nel mondo del metal mondiale.
Ovviamente la versione video è sicuramente quella più spettacolare, ma risulta ottima e gustosissima anche quella in cd, dove nei primi due troviamo i brani richiesti dai fans e suonati con l’orchestra e nel terzo la sola band a rendere onore allo storico lavoro.
L’orchestra riempie i brani scelti di gloriosa 23trasformando splendidi esempi del genio del musicista canadese come Truth e Stormbending o la devastante Be Your Command, lasciando che la festa si trasformi in uno spettacolare tributo alle tante vie e strade che la musica di Townsend prende, con una naturalezza che ha del sorprendente tra un capolavoro come Gaia o Deadhead, da Accelerated Evolution.
La monumentale Canada, la folle Bad Evil danno il via la secondo cd, prima che l’orchestra lasci la band alle prese con il clou di questo enorme spettacolo, ed i brani di Ocean Machine tornino a ricordarci di quanta genialità è intrisa la musica di questo musicista e compositore che per molti è un folle, ma che è in realtà uno dei più autentici innovatori della musica moderna, un visionario che ha sempre composto e suonato musica avanti di almeno due decenni rispetto a tutti gli altri.
Devin Townsend si odia o si ama, e sicuramente non ha lasciato indifferente chi ha seguito l’evoluzione della musica rock/metal negli ultimi due decenni e anche più: Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv è l’imperdibile giusto tributo al suo talento.

Tracklist
By Request Set with Orchestra
1. Truth
2. Stormbending
3. Om
4. Failure
5. By Your Command
6. Gaia
7. Deadhead
8. Canada
9. Bad Devil
10. Higher
11. A Simple Lullaby
12. Deep Peace

Ocean Machine
1. Seventh Wave
2. Life
3. Night
4. Hide Nowhere
5. Sister
6. 3 A.M.
7. Voices in the Fan
8. Greetings
9. Regulator
10. Funeral
11. Bastard
12. The Death of Music
13. Truth
Line-up
Line-Up: By Request Set

Devin Townsend – Vocals, Guitar, Keys, Programming Ryan
Van Poederooyen – Drums
Dave Young – Guitar, Keys
Brian ‘Beav’ Waddell – Bass
Mike St-Jean – Keyboards, Synths, Programming
+ Orchestra and Choir of State Opera Plovdiv

Ocean Machine:

Devin Townsend – Vocals, Guitar, Keys, Programming
The Project
Ryan Van Poederooyen – Drums
Dave Young – Guitar, Keys
John ‘Squid’ Harder – Bass
Mike St-Jean – Keyboards, Synths, Programming

DEVIN TOWNSEND – Facebook