In Amorphous Mass si rinviene fondamentalmente un armageddon di labirintici suoni estremi, a formare un vortice di musica a tratti anche solenne, ma per lo più dal putrido e malvagio incedere.
Attivi dal 2011 i Sepolcro danno alle stampe l’ep Amorphous Mass, ennesimo lavoro di una discografia che finora si è dipanata con opere concentrate in pochi ed intensi minuti.
Scelta che si apprezza anche per la proposta assolutamente estrema del gruppo con base a Verona, trattandosi di un death metal old school oscuro e catacombale con produzione che segue in tutto e per tutto il clima soffocante dei cinque brani prodotti.
Ispirato al Necronomicon lovecratftiano, il sound dei Sepolcro è quanto di più underground si possa trovare oggi nel genere: i suoni ovattati creano atmosfere abissali di puro terrore, un metal estremo che affonda le sue radici nella melma infernale prodotta a suo tempo da Incantation e Demigod, resa ancora più oscura e malevola in tempi in cui anche nel genere si cerca più la perfezione che l’attitudine e l’impatto.
Certo è che a un brano come Sulphurous Eruption From The Depths, dall’approccio assolutamente fuori da ogni pretesa commerciale, l’atmosfera di soffocante terrore non manca di certo: in Amorphous Masssi troverà fondamentalmente un armageddon di labirintici suoni estremi, a formare un vortice di musica a tratti anche solenne, ma per lo più dal putrido e malvagio incedere.
Tracklist
1.The Malevolent Mist
2.Sulphurous Eruption from the Depths
3.Unnamed Dimension
4.An Ancient Summoning
5.Amorphous Mass
Line-up
Hannes – Drums, Vocals
Nor – Bass
Simone – Guitars, Vocals
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.
Dough Aldrich è probabilmente uno tra i tre chitarristi hard rock più importanti ed influenti oggi in attività.
Il suo curriculum, che conta band straordinarie come Dio e Whitesnake e altre che gli appassionati ricorderanno per una manciata di album bellissimi (Revolution Saints su tutte), si è ulteriormente impreziosito dopo gli album con quella macchina da guerra hard rock che risponde al nome di The Dead Daisies.
Ora il chitarrista statunitense, a riposo con i Daisies, torna a far parlare di sé con i Burning Rain, band arrivata al quarto album e che non produceva più musica dal 2013, anno di uscita dell’ultimo Epic Obsession.
Affiancato dal carismatico cantante Keith St. John, un altro personaggio che di rock duro ne sa tanto (Kingdom Come, ex-Montrose) e dalla sezione ritmica composta dal bassista Brad Lang (Y&T) e il batterista Blas Elias (Slaughter), Aldrich impartisce un’altra lezione di hard rock con una raccolta di brani fiammeggiante, una tempesta di sonorità classiche di livello assoluto che confermano l’ottimo momento di forma del genere. Face The Musicincolla letteralmente alla poltrona, sempre che si riesca a stare seduti quando il riff di Revolution apre le danze, seguito da una Lorelei che unisce The Dead Daisies e Whitesnake in un’unica terremotante hard rock song.
Ketih St. John è un Coverdale in overdose da anfetamina, un animale che fa il bello e cattivo tempo su un sound robusto e graffiante, dal grande appeal in brani trascinanti come Midnight Train, la title track e Beautiful Road, autentiche gemme di questo lavoro.
Ma c’è ancora da godere tra le trame hard blues di Hit And Run e Since I’m Loving You, traccia in cui il singer gioca a fare il Plant d’annata.
I Burning Rain hanno dato vita all’ennesimo grande album di hard rock classico, colmo di belle canzoni, suonato e cantato divinamente, piazzandosi tra le migliori uscite di questo anno ricco di soddisfazioni per gli amanti del genere.
Tracklist
1. Revolution
2. Lorelei
3. Nasty Hustle
4. Midnight Train
5. Shelter
6. Face The Music
7. Beautiful Road
8. Hit And Run
9. If It’s Love
10. Hideaway
11. Since I’m Loving You
Line-up
Doug Aldrich – Guitars
Keith St. John – Vocals
Brad Lang – Bass
Blas Elias – Drums
Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.
Quello che poteva passare per uno dei tanti super gruppi da uno o due lavori lanciati come missili nel mondo metallico, per poi sparire nell’oblio delle tante collaborazioni dei suoi protagonisti, torna con un altro macigno sonoro, un monumentale album di death metal scandinavo intitolato Abominate.
I Firespawn arrivano al traguardo del terzo album, dopo il debutto del 2015 intitolato Shadow Realms ed il bellissimo The Reprobate, licenziato un paio di anni fa, ed entrato di prepotenza tra le migliori releases in campo death di quell’anno.
Ora il mitico growl di LG Petrov (Entombed) accompagnato da Alex Impaler al basso (Necrophobic e con i Naglfar in sede live), Victor Brandt alla chitarra (Entombed A.D.) a far coppia con Fredrik Folkare (Unleashed, Necrophobic) e Matte Modin alla batteria (Raised Fist, ex-Dark Funeral, ex-Defleshed) si staglia su altri undici possenti brani che formano questo monumento al death metal scandinavo.
Una bomba Abominate, un’esplosiva e terremotante eruzione vulcanica che forma colate di lava distruttiva, una tempesta di cenere, maremoti e tsunami, un’apocalisse estrema che non trova soluzione di continuità.
Petrov continua dopo anni a incidere con il suo inconfondibile latrato disumano al servizio dell’ennesima raccolta di brani di altra categoria, assecondato da un gruppo di musicisti che mettono la firma su una track list che non conosce pause. Abominate per chi conosce il genere non è una sorpresa, questo è bene chiarirlo, perché i Firespawn portano avanti un modo di fare musica estrema radicato nella storia del genere e il loro tellurico sound è erede di quei gruppi che hanno fatto scuola, storia e leggenda, a cominciare ovviamente dagli Entombed di Left Hand Path e Clandestine. The Gallows End apre le ostilità e veniamo quindi travolti dal furore del quintetto svedese, tra accelerazioni, rallentamenti, ritmiche telluriche, solos ricchi di melodie che sanguinano sotto le corde tirate allo spasimo dai due chitarristi, con la title track, The Great One, The Hunter e The Undertakers non lasciano scampo. Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.
Tracklist
01.The Gallows End
02.Death And Damnation
03.Abominate
04.Heathen Blood
05.The Great One
06.Cold Void
07.The Hunter
08.Godlessness
09.Blind Kingdom
10.The Undertaker
11.Black Wings Of The Apokalypse
Line-up
LG Petrov – Vocals
A.Impaler – Bass
Victor Brandt – Guitar
Fredrik Folkare – Guitar
Matte Modin – Drums
Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.
Più che ai Led Zeppelin, (influenza primaria di molte delle nuove leve dell’hard rock vintage), con gli svedesi Heavy Feather ci si avvicna alla musica del Free e dei Bad Company, gruppi che hanno avuto come comune denominatore il vocalist Paul Rodgers.
Ma non solo, un’attitudine southern ispirata dai Lynyrd Skynyrd fa di questo ottimo Débris & Rubble le un interessantissimo lavoro per tutti gli amanti del rock settantiano venato di southern ed atmosfere roots.
La prestazione al microfono della brava singer Lisa Lystam alza ancora più in alto il gradimento per un album che regala emozioni mai sopite, provenienti dalla stagione più importante nella lunga storia del rock.
Una raccolta di brani davvero molto belli, aperti dalla forte e potente title track, ma che non cede nel suo prosieguo, alternando quadri rupestri, accenni neanche troppo velati al blues rock (Bad Company) ed atmosfere scaldate dal sole di un’America sudista raccontata brani come Tell Me Your Tale o Hey There Mama.
Gli Heavy Feather centrano il bersaglio con questo debutto in arrivo da una terra che si sta sempre più imponendo come fucina di gruppi importantissimi per il ritorno in auge di queste storiche sonorità.
Tracklist
1. Débris & Rubble
2. Where Did We Go
3. Waited All My Life
4. Dreams
5. Higher
6. Tell Me Your Tale
7. Long Ride
8. I Spend My Money Wrong
9. Hey There Mama
10. Please Don’t Leave
11. Whispering Things
Line-up
Lisa Lystam – Vocals
Matte Gustavsson – Guitars
Morgan Korsmoe – Bass
Ola Göransson – Drums
Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.
Il rock è morto: questo affermano da anni i suoi detrattori e non pochi addetti ai lavori presenziano alle varie cerimonie funebri ogni qualvolta ne hanno la possibilità, tappandosi le orecchie per ignorare la quantità di musica di altissimo livello che ancora oggi (dal più melodico al più estremo) il genere in ogni sua sfaccettatura sa ancora regalare.
La possibilità di scrivere per una webzine offre infatti, a chi con passione cerca nel suo piccolo di supportare la musica più importante ed influente degli ultimi settant’anni, la possibilità di ascoltare opere straordinarie, dalle atmosfere e sfumature distanti tra loro ma che hanno nel saper emozionare il loro comune denominatore.
Anche quest’anno (e siamo solo a metà) gli album che hanno regalato qualcosa di “speciale” non sono mancati e tra questi annoveriamo Day Trip To Narnia, nuovo lavoro dei Cats In Space che è sicuramente tra i più accreditati ad una posizione di prestigio nella classifica di fine anno.
Un vero capolavoro per una band dal nome buffo ma dalle qualità enormi, che vede tra i suoi protagonisti il cantante Paul Manzi (Arena), il chitarrista Greg Hart (Mike Olfield, Asia) ed il batterista Steevi Bacon (Robin Trower), accompagnati in questa avventura nello spazio da Den Howard (chitarra), Jeff Brown (basso), Andy Stewart (piano, synth) e con la collaborazione di Mike Wilson degli storici 10cc.
I sei gatti si aggirano così nello spazio, su una navicella che li porta in giro per gli ultimi cinquant’anni di musica, partendo dal rock di fine anni settanta, nutrendosi degli impulsi ottantiani e portandoli a noi, nel nuovo millennio.
Una musica piena, una cascata di hard rock progressivo e melodico, ricco di cori, atmosfere pompose sfumature da musical in un contesto di note apparentemente derivative ma a loro modo geniali, difficili da paragonare a qualsiasi realtà odierna.
La forza di Day Trip To Narniasta nel suo rendere gli arrangiamenti pomposi e barocchi ma perfettamente fluidi, laddove cori e controcanti elargiscono una lezione di rock d’alta scuola.
Per chi non conoscesse la band britannica va detto che, l’avventura dei nostri inizia con To Many Gods, debutto del 2015, seguito dal bellissimo Scarecrow, licenziato due anni dopo, con entrambi i lavori poi immortalati in Cats Alive!, disco dal vivo uscito lo scorso anno.
Ma la band, in stato di grazia compositivo, non si è fermata e oggi esce con Day Trip To Narnia, album diviso in due parti: la prima composta da sette splendidi brani, la seconda invece proponendo un vero e proprio concept di altre sette tracce intitolato The Story Of Johnny Rocket, la storia di un bambino dagli spessi occhiali e dai grandi sogni.
Senza scendere nei dettagli dei brani, l’album risulta una spettacolare opera rock nella quale, se nella prima parte le varie Narnia, Hologram Man e Chasing Diamonds viaggiano splendidamente autonome, nella seconda è il concept che provoca il susseguirsi di emozioni straordinarie, già vissute nelle grandi opere rock della storia.
Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.
Tracklist
1. Narnia
2. She talks too much
3. Hologram man
4. Tragic alter ego
5. Silver and gold
6. Chasing diamonds
7. Unicorn
8. The story of Johnny Rocket I: Space overture
9. The story of Johnny Rocket II: Johnny Rocket
10. The story of Johnny Rocket III: Thunder in the night
11. The story of Johnny Rocket IV: One small step
12. The story of Johnny Rocket V: Twilight
13. The story of Johnny Rocket VI: Yesterday’s news
14. The story of Johnny Rocket VII: Destination unknown
Line-up
Paul Manzi – Lead Vocals
Greg Hart – Guitars, Vocals
Steevi Bacon – Drums, Percussion, Vocals
Den Howard – Guitars, Vocals
Jeff brown – Bass, Vocals
Andy Stewart – Piano’s, Synthesizers
Il duo danese si pone all’attenzione degli ascoltatori con un’opera di discreta fattura: le atmosfere pregne di malvagia oscurità sono quelle già ascoltate in passato, la parte sinfonica è ben inserita nel contesto estremo del sound e a tratti Profound offre momenti di intenso ed oscuro fascino.
I Sinnrs sono una giovane e misteriosa entità oscura proveniente dalla Danimarca e Profound è il loro album di debutto.
Nero e Maestus sono i due musicisti che danno vita a questo progetto dal sound che trova le sue ispirazioni principalmente nel black metal sinfonico dei Dimmu Borgir, anche se la musica del combo si nutre pure di death metal e black/death di scuola Behemoth, divenuti una delle principali fonti a cui attingono le nuove leve del metal estremo di matrice sinfonica e melodica di stampo black.
Fredde atmosfere che scendono dalla vicina Scandinavia si mescolano al death metal dei primi masterpiece del gruppo di Nergal, mantenendo sempre un’attitudine melodica che valorizza le oscure ed estreme strade che portano Profound nel nero abisso della fiamma nera.
Dieci brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al genere suonato, dal songwriting che ha il solo limite di risultare altamente derivativo, ma in grado di non deludere gli amanti di queste sonorità e con almeno tre brani sopra la media, Lift My Bones, No Promise To Mankind e Et Sic Incipit.
Il duo danese si pone all’attenzione degli ascoltatori con un’opera di discreta fattura: le atmosfere pregne di malvagia oscurità sono quelle già ascoltate in passato, la parte sinfonica è ben inserita nel contesto estremo del sound e a tratti Profound offre momenti di intenso ed oscuro fascino.
Tracklist
1.Nihil
2.To Derive Even’s Flame
3.The Storm Of I
4.Lift My Bones
5.Renowed Praetorians
6.No Promise To Mankind
7.It Calls Me
8.Et Sic Incipit
9.Watch Her Soul Burn
10.Commemorate None
Il genere è di per sé ostico, ma è indubbio che il gruppo parigino abbini al sound una certa alternanza di atmosfere che rendono l’ascolto più fluido.
Quando di mezzo c’è la label francese Les Acteurs de l’Ombre non ci si trova mai davanti ad opere banali, trend confermato dal primo lavoro degli Heaume Mortal, gruppo parigino nato dalla mente del polistrumentista Guillaume Morlat, accompagnato in questa avventura dal batterista Jordan Bonnet e dal cantante Julien Henri.
Solstices è composto da sei brani, di cui la metà superano abbondantemente i dieci minuti, immersi nella natura selvaggia, glaciale e violenta ed usata come metafora della vita.
Le sonorità di cui si caricano i brani presenti alternano black metal atmosferico, doom e dark metal, in un crescendo di drammatica tensione: la violenza black viene apparentemente smorzata da passaggi intimisti e doom, lente marce in territori ostili, disperati e tragici momenti di tempeste black ed atmosferiche sfumature post metal formano composizione di non facile ascolto come l’opener Yesteryears, Oldborn e Tongueless (part III).
Il genere è di per sé ostico, ma è indubbio che il gruppo parigino abbini al sound una certa alternanza di atmosfere che rendono l’ascolto più fluido: Solstices rimane comunque un’opera a cui va concesso il giusto tempo per farsi spazio anche negli ascoltatoti più attenti.
A confermare l’atmosfera glaciale ed ostile dell’album, gli Heaume Mortal ci regalano la cover di un brano di Burzum, Erblicket Die Tochter des Firmament dal masterpiece Filosofem, in una loro personale versione assolutamente riuscita.
Tracklist
1.Yesteryears
2.South of No North
3.Oldborn
4.Erblicket die Tochter des Firmament (Burzum cover)
5.Tongueless (Part III)
6.Mestreguiral
Line-up
Jordan Bonnet – Drums
Guillaume Morlat – Guitars, Bass, Synths
Julien Henri – Vocals
Di non facile presa, questi tre brani sono sicuramente rivolti agli amanti del genere, formando un prodotto decisamente di nicchia ma tremendamente affascinante.
La BloodRock Records ristampa in cd il primo ep delle Dawn, band australiana composta da quattro streghe in attesa del passaggio dei viandanti al limitare del bosco, luogo di antichi riti ed oscuri rituali.
Originariamente uscito tre anni fa , l’omonimo ep del gruppo proveniente da Sydney è composto da tre tracce, una ventina di minuti scarsi di doom, dai rimandi ambient/stoner, in cui l’atmosfera rimane tesa nel suo lento incedere e la chitarra si riempie di energia solo a tratti, per poi seguire il lento e fluido scorrere delle note.
L’opener The Sun ci accoglie con un riff che si spegne per lasciare spazio ad atmosfere cantilenanti, a tratti sembra riprendere forza, ma la lunga discesa nei meandri della musica delle quattro sacerdotesse porta a Wanting, il brano più vario nel suo andamento, pur se inserito nell’ambito di un ambient/doom dalle sfumature stoner e dai rimandi occult rock. Zombies, brano conclusivo di questo primo ep, lascia che sia lo stoner a prendere in mano il comando del sound, sempre in un’atmosfera messianica ed un andamento ipnotico che non lascia scampo all’ascoltatore in balia dell’incantesimo musicale procurato dalle Dawn.
Di non facile presa, questi tre brani sono sicuramente rivolti agli amanti del genere, formando un prodotto decisamente di nicchia ma tremendamente affascinante.
Pochi minuti bastano allo storico gruppo polacco per fare drizzare le antenne ai propri fans ed agli amanti del death/thrash, cinque brani che mostrano fieri il marchio Vader, sinonimo di qualità e potenza.
I polacchi Vader, creatura estrema del cantate e chitarrista Piotr Wiwczarek, licenziano questo ep di cinque tracce intitolato Thy Messenger: non una novità per il gruppo che può vantare una discografia dai numeri importanti specialmente per quanto riguarda ep, live e compilation, oltre ovviamente a quattordici devastanti full length all’insegna di un death/thrash che ha fatto scuola nel mondo del metal estremo.
Thy Messengerè dunque una buona ed ennesima parentesi, in attesa di un nuovo lavoro sulla lunga distanza, successore dell’ultimo Dark Age uscito due anni fa.
Death e thrash come al solito si alleano per trionfare nel mondo del metal estremo, sostenuti da una band che risulta una garanzia di macello musicale, una war machine che piazza in meno di un quarto d’ora cinque mine anti uomo dagli effetti devastanti.
L’opener Grand Deceiver, insieme alla coppia thrash formata da Emptiness e Despair, sono il trio di inediti che confermano la salute di un gruppo arrivato ormai ai trentacinque anni di battaglie musicali, con un tris di brani diretti e potenti che ricordano gli Slayer più feroci degli storici album degli anni ottanta. Litany è la nuova versione della title track dell’album uscito nel 2000, mentre i Vader lasciano alla cover di Steeler dei Judas Priest il compito di chiudere l’ep e darci appuntamento ad un nuovo monolite death/thrash che sicuramente non tarderà ad arrivare.
Pochi minuti bastano quindi allo storico gruppo polacco per fare drizzare le antenne ai propri fans ed agli amanti del death/thrash, grazie a cinque brani che mostrano fieri il marchio Vader, sinonimo di qualità e potenza.
Quattro brani più intro per gli Archaic Decapitator, partiti agli inizi di carriera con un sound incentrato sul death metal classico e con il tempo plasmato e trasformato in un melodic death metal dalle influenze nord europee.
Accompagnato dalla splendida copertina creata da Caelen Stokkermans, The Apothecary è il terzo ep pubblicato dai deathsters statunitensi Archaic Decapitator, quintetto proveniente dal Connecticut con alle spalle un full length licenziato nel 2011 (Impalement Ceremonies) ed appunto due ep tra il 2015 e l’anno successivo (The Catherine Wheel e Light Of A Different Sun).
Quattro brani più intro per gli Archaic Decapitator, partiti agli inizi di carriera con un sound incentrato sul death metal classico e con il tempo plasmato e trasformato in un melodic death metal dalle influenze nord europee. Skyward non lascia dubbi sulle coordinate stilistiche del quintetto, un melodic death metal furioso dove ritmiche mozzafiato fanno da tappeto sonoro ad una cascata di riff dalle melodie valorizzate dall’uso delle tastiere, presenti ma non preponderanti.
Il mid tempo su cui poggia l’ottima Diminishing Returns, risulta una cavalcata metallica a tratti esaltante, così come la devastante e velocissima prima parte della title track, dai rimandi che trovano i natali tra le opere di Dimension Zero, ultimi Naglfar ed Old Man’s Child. The Apothecary conferma l’ottima proposta degli Archaic Decapitator per i quali sembra giunto il momento per la pubblicazione di un secondo full length che aspettiamo fiduciosi.
Tracklist
1. Circadian Promise
2. Skyward
3. Cruelty of the Host Star
4. Diminishing Returns
5. The Apothecary
Line-up
Kyle Quintin- Vocals
Yegor Savonin- Lead Guitar
Chris Ridley- Rhythm Guitar
Craig Breitsprecher- Bass, Backing Vocals
Gary Marotta- Drums
Riding On a Flamin’ Road è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per il quintetto di rockers nostrani che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate metallica.
Tornano i toscani Wildroads con il secondo lavoro su lunga distanza: il gruppo guidato dal chitarrista e produttore Nick Capitini torna in forma smagliante con questa nuova raccolta di brani che unisce attitudine tradizionale ed impatto moderno, dando vita ad un lavoro spumeggiante.
No Routine Lovers, licenziato dalla Volcano Records, risulta infatti una detonazione rock’n’roll, una graffiante botta di vita divisa in una decina di brani che uniscono hard rock, sleaze metal e classic rock.
La band non risparmia energia, parte in quarta con Bad Girls Got The Fire, brano diretto e melodico il giusto per catturare fin da subito l’attenzione, continuando nella sua personale riproposizione di stilemi cari alla scena hard & heavy statunitense degli anni ottanta, in una versione più moderna e catchy.
Melodie, sferzate metalliche ed attitudine street rock’n’roll fanno parte del dna di questa raccolta di brani che non concedono tregua, tenendo alta la tensione con scariche elettriche in un sound che, oltre ad una serie di mitragliate rock/metal, regala perle come Way To God, cavalcata metallica dalle atmosfere arabeggianti molto suggestiva. No Routine Lovers è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per i Wildroads che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate musicale.
Tracklist
1.Bad Girls Got The Fire
2.Rollercoaster
3.Rules Of The World
4.Bring You To The Stars
5.Lords Of Babylon
6.Mindfucked
7.Way To God
8.Mr. Grey
9.Love Song
10.The Night Belongs To The Wild
I Thunder Brigade offrono un personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità dai tratti talvolta cantautorali.
Spirit Of The Nightè il primo album dei Thunder Brigade, band formata da Stefano Cascioli (voce e chitarra), Stefano Bigoni (chitarra e lapsteel) e Stefano Lecchi (batteria e percussioni) che ha dato vita ad una raccolta di brani bellissimi in bilico tra rock, blues, southern e psych rock.
L’album, intitolato Spirit Of The Nighte licenziato dalla Bagana Records/Pirames International, ci regala una personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità d’autore o ancor meglio cantautorali, se mi si permette il termine.
Un rock acustico dalle atmosfere country, in un clima di tensione emotiva che è uno degli assi nella manica di questa raccolta di brani, un viaggio che riempie di polvere la gola. Spirit Of The Nightlascia un forte sapore di rock classico, assolutamente a stelle e strisce fin dalle prime battute dell’opener Rattlesnakes, nella qualee l’atmosfera è elettrica e southern.
I brani dalle trame acustiche avvicinano i Thunder Brigade al rock di Johnny Cash e Tom Petty, mentre Set You Sails rilassa l’atmosfera dopo una Redemption Road da brividi, tra Lynyrd Skynyrd e Urge Overkill.
La title track è un’altra traccia acustica che unisce il rock sudista al blues e al country, intrisa di atmosfere notturne che trovano un contraltare nelle più ariose e vitali Boogie #7 e soprattutto Rust & Gold, un blues rock d’autore e brano sanguigno oltre misura.
Un plauso va alla sentita interpretazione del cantante Stefano Cascioli, bravo nel saper donare con la sua voce sporcata di attitudine blues/rock il feeling perfetto ad una raccolta di brani da non perdere assolutamente se si è amanti del rock classico a stelle e strisce.
Tracklist
1.Rattlesnakes
2.Beat a Dead Horse
3.Redemption Road
4.Set Your Sails
5.Spirit of the Night
6.Boogie #7
7.Rust & Gold
8.The Wanderer
9.Alright (in the end)
Album graffiante, abrasivo e potente Killing Demons risulta una partenza convincente per gli Angel Black.
Debuttano su Rockshots records gli statunitensi Angel Black con Killing Demons, album composto da sette brani più la cover dello storico Metal Gods, brano dei maestri Judas Priest.
Ci sono voluti ben sei anni di attività prima che la band desse finalmente alla luce il primo lavoro e Killing Demons non deluderà certo gli amanti del metal classico di matrice Judas Priest, band che insieme ai Primal Fear , risultano le band che più hanno ispirato la creazione di questo lavoro.
Heavy metal tra tradizione ottantiana a tratti potenziata da iniezioni power che avvicinano il sound del gruppo a quello dei Fear di Ralph Scheepers, su Killing Demons non ci si allontana mai da queste coordinate stilistiche e fin dall’opener Strikeforce la strada intrapresa dal gruppo è perfettamente delineata.
Valorizzati dalla prestazione da metal gods del vocalist John Cason, i brani si susseguono potenti e metallici, le chitarre fendono l’aria come mortali katane, mid tempo, power ballad o heavy songs come Black Heart o Killing Me stuzzicano gli appetiti musicali dei fans dell’heavy metal priestiano e dei suoi maggiori interpreti suggellato dalla prestigiosa cover posta in chiusura.
Album graffiante, abrasivo e potente Killing Demons risulta una partenza convincente per gli Angel Black.
Tracklist
1.Strikeforce
2.Cyber Spy
3.Death Mill
4.Black Heart
5.Killing Demons
6.The Dream That Stood aline
7.Killing Me
8.Metal Gods
Line-up
John Cason-Vocals
Mike Jelinek- Guitars
Carl Strohmyer- Bass
Daniel Beck- Drums
Neon Graves si snoda in un’atmosfera estrema che richiama la vecchia scuola del genere, tra accelerazioni e rallentamenti monolitici: un album che rimane confinato nei classici prodotti per soli fans accaniti del genere, mantenendo le aspettative in quanto ad impatto ed attitudine.
Taylor Nordberg e Jeramie Kling, dopo anni passati a suonare per un buon numero di realtà estreme di matrice death metal (tra le altre ricordiamo Ribspreader, Infernaeon, The Abscence, Wombbath, ed in sede live Soilwork, Necromancing The Stone, Gus G.), uniscono le loro forze nei Goregäng.
Nordberg alla batteria e Kling alla voce e chitarra danno una bella ripassata alla materia con Neon Graves, primo lavoro su lunga distanza dopo l’ep omonimo uscito un paio di anni fa.
Con una dozzina di brani per quaranta minuti circa di death metal old school che risulta un vero massacro, Neon Gravesnon lascia dubbi sulle intenzioni del duo: investire l’ascoltatore con una violenza death/crust, alternando feroci tempeste di metal estremo e mid tempo potentissimi.
Una raccolta di brani che in molti casi superano a malapena i due minuti forma un devastante esempio di death metal diretto e ruvido, pregno di attitudine crust/punk in un contesto swedish. Neon Graves si snoda in un’atmosfera estrema che richiama la vecchia scuola del genere, tra accelerazioni e rallentamenti monolitici: un album che rimane confinato nei classici prodotti per soli fans accaniti del genere, mantenendo le aspettative in quanto ad impatto ed attitudine.
Tracklist
1.A Cavity In Reality
2.False Flags
3.Cathedral Of Chemicals
4.Silence Is Consent
5.Spray Of Teeth
6.Feeble-Minded Rash
7.Neon Graves
8.Plague Of Hammers
9.Goregang
10.Weightless Sentinels
11.Putrid Judgement
12.This Era Of Human
Line-up
Taylor Nordberg-Drums
Jeramie Kling-Guitars, Vocals
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.
I Wendigo sono un gruppo tedesco fondato nel 2012 la cui discografia ha inizio con la pubblicazione dell’ep Initiation nel 2016, mentre questo nuovo lavoro vede la band cimentarsi per la prima volta su lunga distanza.
Il sound del gruppo miscela una manciata di generi che vanno dall’heavy metal, all’hard rock, passando con buona disinvoltura tra atmosfere doom classiche ed altre più moderne e stoner.
L’opener The Man With No Home risulta un buon sunto di quanto scritto, con il quintetto che nell’arco di quattro minuti passa da un genere all’altro, forzando un po’ troppo sugli evidenti cambi di atmosfere imposte dai generi.
Le cose prendono una strada lineare nei due brani successivi dove l’hard rock venato di stoner metal prende il comando del sound, risultando sicuramente più convincente.
Anche la voce del singer Jorg Theilen sembra più a suo agio quando le note scorrono sulle strade impolverate e scaldate dal sole del deserto, mentre fatica quando deve prendere note alte imposte da refrain di stampo heavy metal.
Il cuore di Wasteland Stories, rappresentato dalle due parti di The Lonesome Gold Digger, tocca addirittura momenti estremi con uno scream che irrompe su atmosfere doom, accentuate in Iron Brew, brano di matrice Count Raven.
Questo primo full length lascia intravedere buone potenzialità, anche se la band deve assolutamente trovare il bandolo della matassa del proprio sound, puntando su quello che sa fare meglio, suonare stoner metal.
Tracklist
1. The Man With No Home
2. Desert Rider
3. Back In The Woods
4. Dagon
5. The Lonesome Gold Digger Pt. I
6. The Lonesome Gold Digger Pt. II
7. Iron Brew
8. Staff of Agony
9. Mother Road
Line-up
Jorg Theilen – Vocals
Eric Post – Guitars
Jan Ole Moller – Guitars, Vocals
Lennard Viertel – Bass, B.Vocals
Steffen Freesemann – Drums
New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.
Tornano Mike Scalzi ed i suoi Slough Feg, con il monicker completo The Lord Weird Slough Feg ed un nuovo album, il decimo di una lunga carriera iniziata nel 1990 a San Francisco.
Il quartetto statunitense con al timone il suo capitano viaggia spedito nelle acque sicure di un sound collaudato che all’epic metal unisce elementi folk, ritmiche per nulla scontate e progressive a supportare tematiche di stampo fantasy.
La band, dal monicker ispirato ad una creatura leggendaria presente nei poemi epici e mitologici irlandesi, rilascia un ottimo lavoro che ne conferma lo status di band di culto, permettendo di arrivare alla doppia cifra in quanto a full lenght con degli album migliori. New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.
Fin dall’inizio si viene catapultati dal quartetto statunitense in un mondo metallico in cui sua maestà il riff è signore e padrone di un sound che, come da tradizione, è legato all’heavy doom settantiano, pur con la sua forte caratteristica epica che aggiunge sfumature ed ispirazioni di stampo Manilla Road.
L’anima progressiva valorizza il tutto e New Organon risulta un altro ottimo lavoro targato The Lord Weird Slough Feg, grazie ad una serie di brani bellissimi come The Apology, Uncanny e la solare Coming of Age in the Milky Way, folk metal song che disegna nella mente degli ascoltatori piazze popolate di castelli nei giorni di festa.
Un gran bel lavoro questo nuovo capitolo della saga del gruppo di San Francisco che si conferma un valido riferimento per gli amanti dell’epic/heavy/folk metal.
Tracklist
1. Headhunter
2. Discourse on Equality
3. The Apology
4. Being and Nothingness
5. New Organon
6. Sword of Machiavelli
7. Uncanny
8. Coming of Age in the Milky Way
9. Exegesis / Tragic Hooligan
10. The Cynic
Line-up
Mike Scalzi – Vocals / Guitar
Adrian Maestas – Bass
Angelo Tringali- Guitar
Jeff Griffin – Drums
Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.
Questa volta il musicista e compositore tedesco Marc Vanderberg ha fatto le cose in grande, circondandosi per questo nuovo lavoro di un nutrito gruppo di cantanti che danno il loro contributo su queste dieci nuove canzoni che vanno a comporre Phoenix From The Ashes.
Come nel precedente album (Highway Demon licenziato nel 2017), Vanderberg si prende carico di gran parte della parte strumentale, aiutato dalle chitarre di Michael Schinkel e Dustin Tomsen e da Paulo Cuevas, Philipp Meier, Oliver Monroe, Göran Edman, Raphael Gazal (singer sul precedente album), Chris Divine e Tåve Wanning dietro al microfono. Phoenix From The Ashes è un grosso passo avanti per il musicista tedesco, essendo un album composto da buone canzoni, melodico ma graffiante e di stampo più hard rock rispetto al passato.
Il tocco neoclassico negli assoli valorizza il sound creato da Vanderberg per questo lavoro come avviene in Odin’s Words, bellissimo brano cantato da Paulo Cuevas che richiama il Malmsteen epico e power di Marching Out.
Il resto dell’album si stabilizza si un buon hard & heavy che l’alternanza dei vocalist rende vario così come una riuscita altalena tra brani che sfiorano melodie AOR ed altri più robuste.
Da segnalare il mid tempo di Bitter Symphony, l’epica Warlord con Rapahael Gazal al microfono e le tastiere AOR della conclusiva You And I, brano che ricorda i rockers melodici Brother Firetribe dell’ultimo lavoro Sunbound.
In conclusione Phoenix From The Ashes risulta un buon lavoro ed un passo importante per Marc Vanderberg, che si impone all’attenzione degli amanti del genere con un album vario, duro, melodico e composto da belle canzoni.
Tracklist
01.Odin´s Words (Feat. Paulo Cuevas)
02.Warsong (Feat. Philipp Meier)
03.Legalize Crime (Feat. Paulo Cuevas)
04.Phoenix from the Ashes (Feat. Oliver Monroe)
05.You and I (Feat. Goran Edman)
06.This Romance (Feat. Tåve Wanning & Chris Divine)
07.Warlord (Feat. Raphael Gazal)
08.Bad Blood (Feat. Oliver Monroe)
09.Bitter Symphony (Feat. Raphael Gazal)
10.My Darkest Hour (Feat. Paulo Cuevas)
Paulo Cuevas – Vocals
Philipp Meier – Vocals
Oliver Monroe – Vocals
Göran Edman- Vocals
Raphael Gazal- Vocals
Chris Divine- Vocals
Tåve Wanning- Vocals
Michael Schinkel – Lead Guitar
Dustin Tomsen – Lead Guitar
Inverted Realm gioca tutto sul muro sonoro alzato dagli Appalling lungo la sua durata, cementato dalla mistura inattaccabile di death e black metal.
Un buon lavoro questo secondo album dei deathsters Appalling, realtà in arrivo dall’underground estremo statunitense e per la precisione da Richmond in Virginia.
Il gruppo licenzia il suo secondo lavoro sulla lunga distanza, dal sound macabro ed oscuro e pregno di attitudine black. Inverted Realm è composto da sette mazzate devastanti, tra potentissimi id tempo di stampo death metal e sfuriate ritmiche di matrice black/thrash.
Cinque musicisti in nero che non le mandano assolutamente e mirano ai punti più bassi e delicati degli ascoltatori, travolti dalla carica metallica che da forma ad un sound dall’impatto estremo senza compromessi. Inverted Realm gioca tutto sul muro sonoro alzato dagli Appalling lungo la sua durata, cementato dalla mistura inattaccabile di death e black metal: i Morbid Angel vengono posseduti da demoni in arrivo dall’Europa dell’est e dalle terre del nord, dunque alla band di David Vincent e Trey Azagthoth si uniscono i primi Behemoth e Satyricon a formare un sound pregno di spessa coltre estrema, nera come la pece.
Un album da prendere o lasciare, godibile nella sua interezza specialmente per i fans del metal estremo duro e puro.
Tracklist
1.Hot Coals for Branding
2.Shameful Kiss
3.Epileptic Sermon
4.Artifact and Vessel
5.A Mutilator at Large
6.Critical Thinking
7.Templar
Line-up
D. M. – Guitars
B. M. – Vocals
J.A. – Bass
B. – Drums
J. K. – Guitars
overdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni.
David Coverdale ha battuto tutti, si ripresenta nel 2019 con i suoi Whitesnake, una delle tante versioni in quarant’anni di gloriosa carriera nel mondo del rock e sbaraglia la concorrenza grazie ad un album bellissimo, per nulla nostalgico, moderno e duro come l’acciaio.
Quanti avrebbero detto, tra i non pochi rockers imprigionati nelle spire del serpente bianco fin dall’uscita di Trouble nel lontano 1978, che nel nuovo millennio si sarebbe continuato a scrivere di re David e del suo rettile, sinuoso animale hard rock che tante ne ha viste nella jungla del business musicale.
Eppure, al tredicesimo album, gli Whitesnake targati 2019 sono ancora una band in grado di far saltare il banco con questo nuovo album intitolato Flesh & Blood, composto da tredici spettacolari brani di hard rock potente, prodotto benissimo, suonato ancora meglio e cantato se non come ai bei tempi, con quel talento abbinato all’enorme esperienza di cui dispone il singer inglese.
Con un po’ di Italia metallica rappresentata dal nostro Michele Luppi alle tastiere, il nuovo album dimostra che gli Whitesnake possono ancora dire la loro nel panorama hard rock classico internazionale, tenendo ben presente che sia la band del periodo hard blues dei primi album, sia quella più patinata, meno sanguigna ma nettamente più famosa del periodo “americano” coinciso con l’uscita del masterpiece 1987 e di Slip Of The Tongue, non esistono più.
Coverdale è riuscito miracolosamente a dare una nuova identità al gruppo, mantenendo le caratteristiche peculiari del sound Whitesnake, ma rinnovandolo di volta in volta, perdendo molto dell’anima blues di una volta e cercando quelle soluzioni, anche a livello di arrangiamenti, capaci di rendere la sua strisciante creatura una band perfettamente in grado di reggere il passare degli anni. Flash & Blood, scritto in collaborazione con la coppia di chitarristi Reb Beach e Joel Hoekstra, ha nelle canzoni il proprio punto di forza: d’altronde Coverdale con le sue sessantotto primavere, pur rendendosi protagonista di una prova abbastanza convincente, non può sicuramente toccare i fasti del passato, ed è naturale che aumenti lo spazio dell’aspetto prettamente strumentale grazie anche ad una line up tecnicamente ineccepibile.
La partenza è micidiale, con Good To See You Again, Gonna Be Alright, Shut Up & Kiss Me a far crollare muri con il loro potente e sfavillante hard rock; la ballata When I Think Of You non smentisce il talento di Coverdale per il genere, mentre torna a far parlare di blues Heart Of Stone, uno dei brani più belli dell’album che si chiude con la zeppeliniana Sand of Time.
In mezzo tanto hard rock di classe superiore, certo non una novità nel labirintico mercato del rock odierno, ma assolutamente una garanzia di musica di altissimo livello: d’altronde loro sono gli Whitesnake, lui è re Coverdale e Flesh & Blood è il nuovo splendido album.
Tracklist
01. Good To See You Again
02. Gonna Be Alright
03. Shut Up & Kiss Me
04. Hey You (You Make Me Rock)
05. Always & Forever
06. When I Think Of You (Color Me Blue)
07. Trouble Is Your Middle Name
08. Flesh & Blood
09. Well I Never
10. Heart Of Stone
11. Get Up
12. After All
13. Sands Of Time
Line-up
David Coverdale – Vocals
Tommy Aldridge – Drum
Michele Luppi – Keyboards
Michael Devin – Bass Reb Beach- Guitar
Joel Hoekstra – Guitar
Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.
Jeff Scott Soto è uno degli artisti e cantanti che più hanno segnato gli ultimi vent’anni di storia dell’hard & heavy, prima con i Talisman e poi passando tra mille collaborazioni, la carriera solista e ultimamente con W.E.T., Sons Of Apollo e S.O.T.O.
Origami è il terzo album del gruppo che vede, oltre al singer, Edu Cominato (batteria), BJ (chitarra e tastiere), Jorge Salan (chitarra) e Tony Dickinson (basso), nuovo entrato dopo la scomparsa di Dave Z.
Come d’abitudine, gli album che vedono protagonista il cantante statunitense riescono sempre a sorprendere per la grande versatilità in un sound che, se ovviamente prende vari dettagli dagli altri progetti in cui è coinvolto, mostra una marcata personalità che gli permette di variare atmosfere e sfumature.
Il nuovo lavoro targato S.O.T.O., non manca certo di aggressività e melodia che, a braccetto, portano la tracklist verso l’eccellenza, non solo per la solita, varia e calda prestazione del cantante, ma per un lavoro d’insieme di altissimo livello.
Dall’opener Hypermania veniamo quindi travolti da un hard & heavy melodico e a tratti progressivo, dove si sentono i postumi dell’abbuffata prog metal di Soto con i Sons Of Apollo, ed un uso delle tastiere più accentuato che in passato che dona alle varie tracce un tocco moderno.
Modern melodic hard & heavy, si potrebbe definire così il sound di Origami, che non cala di tensione dalla prima all’ultima traccia, regalando la sua dose massiccia di metal in cui la voce del vocalist americano fa il bello e cattivo tempo, procurando brividi a palate.
Tra le canzoni che compongono la track list di questo ottimo lavoro, escono prepotentemente quelle in cui la band picchia da par suo, potenti e massicce heavy song melodico progressive come BeLie, World Gone Colder, Dance With The Devil e Vanity Lane. Origami è un album che conferma la bontà di questo ennesimo progetto targato Jeff Scott Soto, immancabile nella discografia dei fans dell’hard & heavy d’autore.
Tracklist
1. HyperMania
2. Origami
3. BeLie
4. World Gone Colder
5. Detonate
6. Torn
7. Dance With The Devil
8. AfterGlow
9. Vanity Lane
10. Give In To Me
Line-up
Jeff Scott Soto – Vocals
Jorge Salan – Guitar
Tony Dickinson – Bass
BJ – Keys/Guitar
Edu Cominato – Drums