2̵n̵d̵ f̷a̶c̴e̷ – Nihilum E.P.

Un altro ottimo lavoro del musicista di Mainz, pronto a prendersi lo scettro della scena elettro industrial con il suo prossimo full length: una previsione che mi sento di fare senza particolari timori d’essere smentito.

2̵n̵d̵ f̷a̶c̴e̷ è uno di quei nomi che ci consentono di spaziare in quell’elettronica che in Metaleyes trova ampio diritto di cittadinanza, specialmente quando la materia metallica si rinviene almeno nell’approccio, se non proprio a livello di sonorità.

Il progetto del tedesco Vincent Uhlig era già stato segnalato l’anno scorso in occasione del full length d’esordio Nemesis, e lo ritroviamo oggi con questo ep, grazie al quale l’idea di elettro industrial sembra ancor più raffinarsi per rendersi disponibile ad un novero maggiormente ampio di ascoltatori rispetto al passato.
Questo non significa che il sound si sia fatto più commerciale o danzereccio, bensì deriva dalla constatazione di come il singolo Nihilum si riveli una sintesi pressoché perfetta tra le pulsioni che animano lo spartito creato da Uhlig.
Long Live Humanity è l’altro pezzo forte di questo breve lavoro, dimostrandosi una traccia più intensa, meno ritmata e dalle aperture atmosferiche che donano un tocco sorprendentemente malinconico e, a tratti, addirittura drammatico.
Nuclear Winter Is Coming e Blind Wanderer sono episodi industrialmente disturbati in maniera magistrale, mentre la versione Director’s Cut della splendida Nihilum suggella un altro ottimo lavoro dell’ancora giovane musicista di Mainz, pronto a prendersi lo scettro della scena con il suo prossimo full length: una previsione che mi sento di fare senza particolari timori d’essere smentito.

Tracklist:
1.Nihilum (Essential)
2.Long Live Humanity
3.Nuclear Winter Is Coming
4.Blind Wanderer
5.Nihilum (Director’s Cut)

Line-Up:
Vincent Uhlig

2ND FACE – Facebook

Eriphion – Hossana

Pur se punteggiata da qualche imperfezione, quest’opera prima targata Eriphion appare davvero interessante e per nulla banale, grazie ad una costruzione dei brani sempre attenta al coinvolgimento dell’ascoltatore, sia dal punto di vista lirico che musicale.

Hossana è l’ep d’esordio degli Eriphion, progetto solista del misterioso musicista greco M.

Siamo in presenza di un black metal grezzo, sincero e ricco di magnifici spunti, pur se sepolti da una produzione rivedibile (con la voce, come spesso accade, piuttosto penalizzata) e accompagnata da un lavoro percussivo a dir poco naif.
Ciò che rende questo lavoro apprezzabile alle mie orecchie è la capacità del nostro di rendere piuttosto attraente la sua offerta, imbroccando incisive linee melodiche che si reiterano piacevolmente all’interno dei singoli brani (My Fate in particolare).
La title track si snoda furiosa ma non priva di un appeal epico e melodico, Forever Me si palesa come un più solenne mid tempo, mentre The Forest si attesta su ritmiche analoghe sulle quali si staglia una melodia chitarristica dolente e cullante allo stesso tempo.
Pur se punteggiata da qualche imperfezione, quest’opera prima targata Eriphion appare davvero interessante e per nulla banale, grazie ad una costruzione dei brani sempre attenta al coinvolgimento dell’ascoltatore, sia dal punto di vista lirico che musicale.
Nel frattempo dovrebbe essere uscito il primo full length, sempre autoprodotto, all’interno del quale lodevolmente paiono non esserci brani presenti in questo ep, segno che M. ha parecchio da dire e non vuole perdere ulteriore tempo. Se anche questo lavoro verrà sottoposto alla nostra attenzione sarà l’occasione per verificare il reale spessore compositivo del musicista ellenico.

Tracklist:
1. Hossana
2. My Fate
3. Forever Me
4. The Forest

Line-up:
M. – all instruments, vocals

ERIPHION – Facebook

Unanimated – Annihilation

Annihilation arriva come un devastante fulmine nordico a ribadire la forza espressiva di questa band, e speriamo davvero che un prossimo full length sia tra le priorità di Micke Broberg e compagni.

Tra le grandi band del panorama death black scandinavo non ci si può certo dimenticare degli Unanimated, un quintetto di diabolici misantropi del metal estremo che dal 1988 lascia a noi mortali poche ma notevoli opere di metallo dannato ed oscuro.

Il vivere nell’ombra di un mercato lontano dal loro pensare li ha portati in tutti questi anni a licenziare solo tre full length, un paio di demo nei primi anni novanta e questo nuovo ep che sancisce il patto con la Century Media e un ritorno (si spera) a lungo termine.
Il capolavoro Ancient God Of Evil, uscito un paio di anni dopo il debutto In the Forest of the Dreaming Dead, aveva incendiato la scena svedese nella prima metà degli anni novanta, periodo in cui nella fredda Scandinavia si creavano opere immortali, poi il lungo silenzio durato quattordici anni, l’uscita del bellissimo In the Light of Darkness nel 2009 e la band a ritornare nell’ombra, con i suoi componenti a lasciare marchi diabolici importanti con altre realtà.
Annihilation, accompagnato da una fantastica copertina old school, presenta gli Unanimated versione 2018 con Richard Cabeza al basso, Micke Broberg alla voce, Johan Bohlin e Jonas Deroueche alle chitarre e Anders Schultz alla batteria.
I quattro brani dimostrano che, quando questi cinque musicisti si riuniscono sotto il monicker Unanimated, non c’è ne per nessuno: Adversarial Fire torna come se il tempo si fosse fermato a glorificare il male con il più puro death/black di matrice swedish, genere che il gruppo di Stoccolma sa suonare come pochi.
From A Throne Below è un brano dal flavour epico, la band si avvicina al sound dei Watain con cui divise il palco poco tempo fa, tra di cambi di tempo, parti velocissime e thrashy ed altre più cadenzate.
L’atmosfera funerea di Of Fire And Obliteration ed il suo andamento acustico porta alla title track, un monumento al genere, swedish death metal alimentato dalla nera fiamma così come vuole la tradizione.
Gli Unanimated sono tornati, Annihilation arriva come un devastante fulmine nordico a ribadire la forza espressiva di questa band, e speriamo davvero che un prossimo full length sia tra le priorità di Micke Broberg e compagni.

Tracklist
1.Adversarial Fire
2.From a Throne Below
3.Of Fire and Obliteration
4.Annihilation

Line-up
Richard Cabeza – Bass Guitar
Jojje Bohlin – Guitars
Micke Broberg – Vocals
Jonas Derouche – Guitars
Anders Schultz – Drums

UNANIMATED – Facebook

Adfail – Poetry Of Ruins

Nel complesso l’ep finisce per incidere meno del dovuto: gli otto brevi brani faticano a farsi ricordare dando l’impressione d’essere al cospetto di un lavoro interlocutorio, che arriva dopo quattro anni nel corso dei quali gli Adfail non sembrano aver fatto quei progressi che sarebbe stato lecito attendersi.

I russi Adfail, dopo due discreti lavori si lunga distanza, si ripresentano con questo ep di otto brani intitolato Poetry Of Ruins.

Il gothic doom della band di Kaliningrad è apprezzabile, per quanto nella media, ma si porta dietro diverse zavorre tra le quali un apporto vocale femminile che spezza in maniera irrimediabile il buon pathos creato dal connubio tra il growl maschile e le melodiche atmosfere, spesso punteggiante da un ottimo lavoro degli strumenti ad archi.
L’opener Ode evidenzia subito questo aspetto, rivelandosi un brano notevole nel quale il forzato inserimento di una voce da soprano (neppure eccelsa) ha, appunto, l’effetto di rompere il ritmo inficiando il buon incedere del brano.
Il genere, nell’interpretazione degli Adfail, è piuttosto orecchiabile e ricco di buone intuizioni, ma come tanti altri anche questi ragazzi russi non riescono a sottrarsi a quello che, a mio avviso, è più un pedissequo tentativo di seguire una moda che non una reale necessità; detto ciò, Poetry Of Ruins si snoda non senza intoppi, specialmente quando la band prova dei cambi di ritmo dei quali, anche in questo caso, non si sentiva affatto la mancanza.
Il gothic doom, in fondo, non è neppure una materia così difficile da interpretare, a patto di non complicarla eccessivamente: quando si trova una buona chiave melodica non c’è bisogno di avvitarsi in soluzioni volte solo a far perdere il filo conduttore a chi ascolta.
Emblematico è il caso di un brano come Escape, che parte abbastanza bene ed è più grintoso di altri, ma viene inopinatamente trasformato in un pastrocchio di difficile decrittazione, con tanto di improbabile finale arabeggiante.
Nel complesso l’ep finisce per incidere meno del dovuto: gli otto brevi brani faticano a farsi ricordare (tranne appunto la già citata Ode) dando l’impressione d’essere al cospetto di un lavoro interlocutorio, che arriva dopo quattro anni nel corso dei quali gli Adfail non sembrano aver fatto quei progressi che sarebbe stato lecito attendersi.

Tracklist:
1. Ode
2. After Apostasy
3. Beautiful Dawn
4. Escape
5. I Am the Sun
6. Fairytale
7. Snow

Line-up:
Alexander Popovich – guitar, vocals, lyrics, music
Miron Kosciukow – viola, arrangements
Alexander Konshen – bass
Dmitry Belunkin – keyboards
Nikolay Utkin – drums
Vladislav Nikolaenko – guitars
Yulia Alymova – vocals, keyboards

Guest musicians:
Victoria Kirillova – soprano
Nikita Bezukladnikov – guitars, arrangements, recording, mixing, mastering

ADFAIL – Facebook

 

Carnal Decay – When Push Comes To Shove

Solo nove minuti di musica bastano per confermare l’ottimo livello raggiunto dai Carnal Decay, band magari poco conosciuta se non ai fans accaniti del brutal death meatl, ma meritevole di maggiore attenzione.

Attivi da una quindicina d’anni, i Carnal Decay sono una delle band di punta della scena svizzera per quanto riguarda le sonorità brutal death.

Una discografia che conta quattro full length, di cui l’ultimo You Owe You Pain uscito lo scorso anno, più un paio di lavori minori, ha contribuito ad accrescere la reputazione del combo che, anche con questi tre nuovi brani, conferma di essere una band in forma smagliante, compatta e perfettamente calata nei panni di caterpillar metallico.
Brani che non lasciano respiro, assolutamente granitici, costruiti come un muro invalicabile di note estreme, con le atmosfere che seguono i ritmi da carneficina metallica; da notare il grande appeal che sprigionano, a tratti esaltanti e spettacolari come Food For Thought, un monolite brutale che alterna potentissime parti cadenzate a violente ripartenze e cantata a due voci con l’ospite Igor Fil dei Katalepsy ad affiancare l’orco Michael Kern.
Non sono da meno la title track, che funge da opener al lavoro, e We All Be Red, altro brano violentissimo ma, grazie anche ad una produzione cristallina, assolutamente in grado di risvegliare antichi istinti omicidi.
Solo nove minuti di musica bastano per confermare l’ottimo livello raggiunto dai Carnal Decay, band magari poco conosciuta se non ai fans accaniti del brutal death, ma meritevole di maggiore attenzione.

Tracklist
1. When Push Comes To Shove
2. Food For Thought (feat. Igor Fil of Katalepsy)
3. We All Bleed Red

Line-up
Sebastian Mantel – Drums
Nasar Skripitskij – Bass
Isabelle Iten – Guitars
Michael Kern – Vocals

CARNAL DECAY – Facebook

Loathe/Holding Absence – This Is As One

Split album per due band britanniche molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.

Due notevoli realtà britanniche uniscono le forze in questo split intitolato This Is As One, edito dalla Sharptone Records: gli inglesi Loathe, dei quali vi abbiamo parlato all’uscita del bellissimo full length The Cold Sun, licenziato lo scorso anno, ed i gallesi Holding Absence.

Due brani per ognuno dei gruppi, alle prese con un heavy moderno e sperimentale dalle reminiscenze djent per i Loathe, e con un post hardcore melodico gli Holding Absence.
Come sull’album, il gruppo del bravissimo singer Kadeem France spara bordate di metal moderno, caricato a pallettoni metalcore ma originale nel saper cambiare atmosfera in un nanosecondo: teatrale, e per certi versi progressivo, il sound di questi due nuovi brani conferma i Loathe come un’entità a sé stante nel panorama metallico moderno, con White Hot e Servant And Master che accrescono le aspettative per un nuovo album.
Il sound degli Holding Absence è molto più lineare e meno originale di quello dei loro colleghi: la band gallese ha un approccio melodico e radiofonico, ciò che serve per cercare la gloria tra i fans di un certo alternative rock più consono alle classifiche e vicino ai 30 Second To Mars.
L’alternanza tra melodie catchy e sfuriate rock sono valorizzate dalla voce del singer Lucas Woodland, con i due brani in programma che, in qualche modo, placano il clima estremo respirato con i Loathe.
Due band molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.

Tracklist
1. Loathe – White Hot
2. Loathe – Servant and Master
3. Holding Absence – Saint Cecilia
4. Holding Absence – Everything

Line-up
Loathe :
Kadeem France
Erik Bickerstaffe
Sean Radcliffe
Connor Sweeney
Feisal El-Khazragi

Holding Absence:
Lucas Woodland – Vocals
Feisal El-Khazragi – Guitars
Giorgio Cantarutti – Guitars
James Joseph – Bass
Ashley Green – Drums

LOATHE – Facebook

HOLDING ABSENCE – Facebook

Il Vile – Zero

Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa.

Nuova prova, anche se risale al 2017, per il gruppo stoner rock Il Vile da Verbania.

Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa. Le canzoni hanno un buon sviluppo e un leggero sentore di blues, ed il cantato in italiano conferisce loro un’aura di malinconia e disillusione che è davvero affascinante. Addirittura, quando il gruppo va leggermente più lento, come in Tagli, dà il meglio e sembra di sentire qualcosa che da tempo si bramava, un suono distorto ma con elementi tipici dell’underground italico. I nostri sono in giro dal 2006, e si sente, poiché riescono sempre ad offrire quello che si sono proposti di fare. Per loro stessa ammissione, il modello è il desert rock stoner, con la differenza che al posto del panorama desertico c’è quello delle valli ossolane, ma la loro sintesi è originale e permette di avere molti sfoghi. Questo disco è il primo dopo l’assestamento nella formazione a quattro, che effettivamente ha dato un qualcosa in più. Zero è anche la conferma che, quando si hanno ottime idee in ambito musicale, il cantato in italiano non sottrae nulla ma anzi aggiunge qualcosa, e in questo caso Il Vile non potrebbe cantare in un altro idioma, perché l’italiano calza a pennello. Questo lavoro è per chi ama il gusto della sabbia e dell’asfalto e cerca qualcosa di qualità, fatto con passione e mestiere.

Tracklist
1. Schiena di serpe
2. Zero
3. Tagli
4. 4 cilindri per l’Inferno

Line-up
Enrico “MAIO” Maiorca – Voce, Chitarra, Parole
Alessandro “CUIE” Cutrano – Chitarra
Paolo “POL” Castelletta – Basso e Cori
Nathan DM Leoni – Batteria

IL VILE – Facebook

Infinitas – Skylla

Un singolo che dovrebbe fare da spartiacque tra l’album precedente e quello che verrà, ed alla luce di questi brani la speranza è che la band si lasci trasportare dalla parte più folk della propria musica, quella inevitabilmente più affascinante.

Torniamo a parlarvi degli Infinitas con questo singolo dal titolo Skylla che presenta, oltre alla title track, altri tre brani.

La band ridiscende le montagne delle Alpi svizzere dopo il primo full length licenziato lo scorso anno ed intitolato Civitas Interitus, puntualmente recensito sulle pagine virtuali di MetalEyes.
Il concept medievale, che aveva contraddistinto i brani che andavano a comporre l’opera di debutto, viene accentuato in questo singolo così che il thrash melodico e folkeggiante del gruppo viene spogliato dalla componente prettamente metal per lasciare a sognanti atmosfere semiacustiche il compito di riportarci nel mondo fatato dove gli Infinitas trovano nella splendida cantante Andrea Böll la loro musa.
Solo la title track, dunque, mantiene un po’ di quella elettricità che contraddistingue il sound della band, molto melodico e dal forte appeal, e valorizzata dai suoni folk del violino dalle reminiscenze Skyclad, band che più di altre è d’ispirazione al sound degli Infinitas.
Con il trittico Conclusio, la versione acustica di Samael e Leprechaun, invece, scendiamo dai destrieri elettrici per passeggiare tra i boschi incantati, accompagnati da suoni medievali.
Un singolo che dovrebbe fare da spartiacque tra l’album precedente e quello che verrà, ed alla luce di questi brani la speranza è che la band si lasci trasportare dalla parte più folk della propria musica, quella inevitabilmente più affascinante.

Tracklist
1.Skylla
2.Conclusio
3.Samael (Acoustic Version)
4.Leprechaun

Line-up
Andrea Böll – Vocals, Percussion
Irina Melnikova – Violin, Background Vocals
Piri Betschart – Drums, Vocals, Clarinette, Percussion
Selv Martone – Guitar, Virtual Instruments

INFINITAS – Facebook

Craneium/Black Willows – Split

Licenziato in una splendida versione in vinile bianco e in edizione limitata dall’etichetta genovese, questo ottimo split ci presenta due modi diversi di approcciarsi allo stoner/doom metal, genere che di questi tempi incontra i favori degli appassionati.

Split di spessore marchiato BloodRock Records con due realtà europee che si muovono nel magma sonoro di ispirazione stoner/doom, i finlandesi Craneium e gli svizzeri Black Willows.

Il quartetto di Turku, attivo dal 2011, arriva a questo split dopo un ep, un primo split con i 3rd Trip ed il debutto sulla lunga distanza intitolato Explore The Void, uscito tre anni fa.
La proposta del gruppo è un classico stoner /doom dalle influenze che alternano ispirazioni sabbathiane e rock desertico suonato nella Sky Valley, quindi anni settanta e novanta che si incontrano nel nord Europa per una jam stonata e fumosa, tra chitarroni fuzz e riff hard & heavy.
La band finlandese non risparmia un tocco melodico ed un approccio “statunitense” che lascia sensazioni positivi, anche a chi non è avvezzo alla parte più underground del genere.
Due tracce (Your Law e Try, Fail, Repeat) bastano ai Craneium per convincere ed essere aggiunti alla lunga lista delle band da seguire.
Discorso diverso per Bliss, lungo rituale psichedelico suonato dagli svizzeri Black Willows, formazione di Losanna con due full length alle spalle: il debutto uscito nel 2013, intitolato Haze, e Samsara, secondo lavoro su lunga distanza licenziato un paio di anni fa.
Shamanic rock’n’roll lo chiamano loro, certo è che Bliss risulta una lunga ed inesorabile jam nella quale lentamente la nostra mente abbandona il mondo terreno per confondersi tra la lava doom che il combo lascia scivolare, un denso fiume che nasce dagli strumenti per scendere verso valle bruciata e dall’incedere che ricorda a tratti gli Electric Wizard.
Sicuramente più ostico che quello dei loro colleghi, il sound del gruppo svizzero risulta un potentissimo esempio di doom metal psichedelico, monumentale e dall’impatto sonoro e concettuale notevole.
Licenziato in una splendida versione in vinile bianco e in edizione limitata dall’etichetta genovese, questo ottimo split ci presenta due modi diversi di approcciarsi allo stoner/doom metal, genere che di questi tempi incontra i favori degli appassionati.

Tracklist
Side A
1.Craneium – Your Law
2.Craneium – Try, Fail, Repeat

Side B
3.Black Willows – Bliss

Line-up
Craneium:
Axel Vienonen – Bass, Vocals (track 2)
Joel Kronqvist – Drums
Andreas Kaján – Guitars, Vocals (track 1)
Martin Ahlö – Guitars

Black Willows:
Sacha Ruffieux -Bass
Don Schpak – Drums
Aleister Crowley – Vocals, Guitars

CRANEIUM – Facebook

BLACK WILLOWS – Facebook

Hornwood Fell – Inferus

I tre brani proposti non offrono alcun barlume di luce e, questa volta, lo stile vocale non deroga mai da uno screaming che resta in sottofondo rispetto ad un sound dissonante e ruvido.

Nuova uscita per gli Hornwood Fell con questo breve ep intitolato Inferus, che segue di circa sei mesi il precedente full length My Body My Time.

La band dei fratelli Basili è appunto fresca reduce da un album che ha lasciato alcune perplessità, derivanti dall’approdo ad sonorità inquiete e cangianti sulla falsariga di quanto era stato esibito ancora prima, ma in maniera più organica, in Yheri.
Inferus rappresenta una sterzata piuttosto brusca, nel senso che interrompe quel percorso evolutivo che, in maniera condivisibile o meno, aveva portato gli Hornwood Fell a svincolarsi dagli stilemi del black metal per spingersi verso soluzioni vicine alla frangia progressiva e avanguardistica del genere: i tre brani proposti non offrono alcun barlume di luce e, questa volta, lo stile vocale non deroga mai da uno screaming che resta in sottofondo rispetto ad un sound dissonante e reso ruvido da una produzione che è, comunque quella di un demo.
Anche se questo quarto d’ora di musica non mi ha fatto sobbalzare sulla sedia, devo ammettere che sotto certi aspetti, andando credo in controtendenza, preferisco questa versione nuda e cruda degli Hornwood Fell piuttosto che quelle più edulcorata anche se, d’altra parte, non si può fare a meno di notare che simili scostamenti stilistici giunti in tempi così ravvicinati sono sintomo della ricerca di una strada più delineata entro la quale incanalare un’idea di black metal sicuramente non banale.
Inferus è un qualcosa che viene sbattuto in faccia agli ascoltatori badando molto più alla sostanza che alla forma e immagino che i Basili stessi abbiano utilizzato questa uscita alla stregua di un test per sondare il terreno, in vista di un nuovo lavoro su lunga distanza;  quello degli Hornwood Fell è un ritorno alle origini solo in apparenza, perché in realtà le sonorità dissonanti esibite equamente in Tetro, Inferno e Morte sono testimonianza di un’inquietudine compositiva che per certi versi non ha consentito loro, fino ad oggi, di esibire in maniera più continua le proprie potenzialità.

Tracklist:
1. Tetro
2. Inferno
3. Morte

Line up:
Marco Basili: Vocals, Guitars and bass
Andrea Basili: Batteria, guitars and Vocals

HORNWOOD FELL – Facebook

Hertz Kankarok – Make Madder Music

Hertz Kankarok conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili.

Dopo un ep sorprendente come Livores, datato 2015, ritorna Hertz Kankarok con la sua proposta trasversale, inquieta e lontana dalla banalità.

Il musicista siciliano conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili, in quanto anche quando può sembrare che siano le ritmiche nervose del djent a prendere il sopravvento, in realtà troviamo sempre una linea melodica ben definita a guidarci nel labirinto musicale ideato da Hertz Kankarok, il quale, come nel precedente lavoro, si dedica esclusivamente ad una versatile interpretazione vocale lasciano ad Andrea Cavallaro (nei primi tre brani) e a Dario Laletta (nel quarto) l’onere di occuparsi dell’intera parte strumentale e degli arrangiamenti.
Per quanto anomali, questi connubi funzionano a meraviglia e questo nuovo ep si dimostra l’ulteriore sviluppo di un sound che era già apparso ampiamente evoluto in Livores: forse nel complesso la struttura dei brani è leggermente più arcigna, ma i cambi di scenario, talvolta repentini, che fanno approdare il sound su lidi molto più ariosi ed atmosferici, avvengono sempre con magistrale fluidità.
Nei quattro brani che vanno a comporre questo ep non c’è un solo momento di stasi, con i suoni che si rivelano ottimali sia quando al proscenio salgono riff secchi e taglienti sia quando il tutto assume connotati più melodici od evocativi.
Del resto, ascoltando più volte Make Madder Music, mi sono reso conto di quanto sia complesso provare a descrivere i brani, anche per la difficoltà oggettiva nell’individuare un termine di paragone o di ispirazione ben definita: volendo esemplificare al massimo, nel corso del lavoro di volta in volta si manifestano richiami che vanno  da Meshuggah a King Crimson, dai Nevermore ai Tiamat, dai Nine Inch Nails per giungere perfino ai Devil Doll, ma sono citazioni del tutto soggettive e che i,n quanto tali lasciano il tempo che trovano. Ma la cosa che maggiormente conta è il consuntivo finale, rappresentato in questo caso da un lavoro che convince e, in più di un passaggio, entusiasma, passando dalle nervose ruvidezze di una Cargo Cult alla stupefacente solennità del capolavoro Who Is Next, e con le irrequiete Deceive Yourself! e The Great Whirlpool (la cui seconda metà rappresenta la chiusura ideale per qualsiasi disco) a mostrare la capacità di cambiare veste in maniera vorticosa senza soluzione di continuità come i migliori dei trasformisti.
Hertz Kankarok per lavoro ha viaggiato molto ed ha vissuto in diversi paesi, anche extraeuropei: questa sua indole cosmopolita influisce nel suo percorso compositivo non tanto in maniera diretta, perché nella sua musica le pulsioni etniche appaiono ma non in maniera preponderante, quanto nella naturalezza con la quale i vari impulsi vengono assimilati e poi trasformati in sonorità che, pur non offrendo uno stabile punto di riferimento, non appaiono mai dispersive od ancor peggio ridondanti.
Tutto questo consente di affermare, senza tema di smentita, che questo musicista atipico è stato nuovamente in grado di offrire, a distanza di qualche anno, un’ulteriore testimonianza di una sound innovativo e progressivo nel senso più autentico del termine, con il decisivo valore aggiunto di una scrittura ficcante e sempre ben lontana da una sterile esibizione di tecnica, nonostante la possibilità di avvalersi di due compagni d’avventura di eccezionale bravura come Cavallaro e Laletta.
Resta solo da ottenere, per Hertz Kankarok, la consacrazione a questi livelli con un full length, auspicabilmente con l’aiuto decisivo di una label capace di promuoverne a dovere la musica.

Tracklist:
1. Deceive Yourself!
2. Cargo Cult
3. Who Is Next?
4. The Great Whirlpool

Line-up:
Hertz Kankarok – Vocals
Andrea Cavallaro – Guitars, bass, Synths on 1.2.3.
Dario Laletta – Guitars, bass, Synths on 4.

HERTZ KANKAROK – Facebook

Blood Rites – Demo 1

Il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva

Sputato fuori da chissà quale antro infernale, ecco arrivare a noi questo demo dei cileni Blood Rites, sotto l’egida della sempre attiva label portoghese Caverna Abismal.

Ovviamente il tutto rigorosamente in cassetta, in ossequio al gradito ritorno di un formato che ben si addice a sonorità crude e che, a loro modo, rifuggono la modernità: il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito che la band si è proposta, quello di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva, per poi tornare a rintanarsi nel sottosuolo nel quale gli interpreti più genuini del genere prosperano e si riproducono.
Dichiaratamente ispirati al sound ellenico dei primi vagiti di band seminali come Varathron, Rotting Christ e Necromantia, i tre sudamericani dimostrano di sapere il fatto loro, infiorettando ognuno dei brani con intro minacciose quanto funzionali alla causa; perché sembra facile a parole ricalcare gli stilemi di un black diretto e lineare, ma non lo è affatto all’atto pratico riuscire a renderlo in maniera così credibile. Onore ai Blood Rites, sperando di ritrovarli prossimamente alle prese con un uscita dal minutaggio più corposo.

Tracklist:
1.Holy Hate
2.Mask of Damnation
3.Dark Majestics

Line up:
Mal’EK – Guitars, Vocals
RH – Drums, Keyboards
NW – Bass

Mammoth Weed Wizard Bastard/Slomatics- Totems

Un’uscita che riunisce due tra le migliori realtà sludge doom provenienti dal Regno Unito.

Ad avvalorare la teoria secondo la quale gli split album sono sovente molto di più rispetto ad una semplice operazione discografica volta a mettere assieme due o più band, talvolta estranee l’una dall’altra per stile o status, al fine di ottimizzare tempi e spazi, eccoci a contemplare questa uscita che accoppia due tra le migliori realtà sludge doom provenienti dal Regno Uunito.

Certo, neppure Mammoth Weed Wizard Bastard e Slomatics possono definirsi band del tutto simili, visto il diverso approccio alla materia, ma sicuramente qui non vengono meno contiguità stilistica e comunione d’intenti.
I gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard sono di formazione più recente e il loro doom psichedelico è fortemente caratterizzato dalla voce di Jessica Ball, la quale dona un tocco a tratti liturgico al sound della band. I due lunghi brani sono decisamente esaustivi rispetto alle caratteristiche di un’interpretazione davvero peculiare, con The Master and His Emissary che possiede un intrigante incipit elettronico volto ad introdurre, dopo alcuni minuti, le sonorità relativamente più canoniche del doom.
Si cambia facciata e con gli Slomatics in teoria il tutto si normalizza, anche se uno sludge doom come quello offerto dal trio nord irlandese non può essere certo considerato ordinario; qui però, fin da Ancient Architects, si capisce che il sound si appoggia meno sulle suggestioni vocali per volgersi in maniera più decisa all’impatto provocato da riff di enorme presa e potenza, mentre la voce del drummer Marty nella seconda traccia assume sembianze più consone ad una psichedelia che emerge insidiosa dalla spessa fanghiglia sonora.
In entrambi i casi, le interpretazioni delle band evidenziano come tali sonorità, quando vengono maneggiate da band britanniche, assumono toni ben diversi rispetto a ciò che avviene oltreoceano, alla luce di soluzioni relativamente più ricercate e un po’ meno truci.
Totems è, in definitiva, uno split album di una qualità non comune, tale da spingermi a consigliare agli appassionati del genere di non farselo sfuggire per alcun motivo.

Tracklist:
A
1. (Mammoth Weed Wizard Bastard) The Master and His Emissary
2: (Mammoth Weed Wizard Bastard) Eagduru

B
1: (Slomatics) Ancient Architects
2: (Slomatics) Silver Ships Into The Future
3: (Slomatics) Master’s Descent

Line-up:
Mammoth Weed Wizard Bastard
Jessica Ball – Bass, Vocals
James ‘Carrat’ Carrington – Drums
Wez Leon – Guitars, Effects
Paul Michael ‘Dave’ Davies – Guitars, Effects

Slomatics
Chris – Guitars
David – Guitars
Marty – Drums, Vocals

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook

SLOMATICS – Facebook

Nox Interna – A Minor Road

A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Nox Interna è il nome del progetto gothic rock del musicista spagnolo Richy Nox, di stanza però da diversi anni a Berlino.

Il sound offerto in questo ep contenente tre brani e del tutto in linea con le aspettative del genere, con un’offerta che si colloca nella scia di band ben note sul suolo tedesco come Mono Inc., quindi dal buon impatto melodico ed una spruzzata di ruvidezza inferta da qualche riff più deciso, anche se a livello di influenze vengono citati tra gli altri i Sisters Of Mercy dei quali, francamente, non è che se ne rivengano soverchie tracce oggi, a differenza dei lavori precedenti nei quali il sound appariva molto più cupo e screziato di pulsioni industriali.
La title track è senz’altro gradevole ma non esalta, molto meglio allora Doom Generation, più accattivante e varia e dalle maggiori chances di fare breccia negli ascoltatori.
Il terzo brano è la stracoverizzata Entre Dos Tierras degli Heroes del Silencio, brano che si ascolta sempre volentieri e che Richy Nox ripropone in versione più ritmata, senza ovviamente sfigurare nella parte cantata potendolo interpretare in lingua madre.
A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Tracklist:
1. A Minor Road
2. Doomed Generation
3. Entre Dos Tierras

Line-up:
Richy Nox

NOX INTERNA – Facebook

Matalobos – Until Time Has Lost All Meaning

Breve ep per i messicani Matalobos, fautori di un death doom melodico di buona fattura.

Breve ep per i messicani Matalobos, fautori di un death doom melodico di buona fattura.

La band centroamericana ha all’attivo un solo full length, ma decisamente il contenuto di Until Time Has Lost All Meaning fa pensare che i tempi siano maturi per compiere un ulteriore sotto di qualità.
Il lavoro si apre con la traccia più lunga, Of Ghosts and Yearning, un esempio pratico del buon potenziale in possesso del quartetto di Leon, il quale ovviamente si muove lungo le coordinate ben codificate del genere ma mettendoci abbastanza del proprio, tra passaggi acustici, dolenti progressioni melodiche ed un growl incisivo; il secondo più breve brano, In Flesh Engraved, appare più orientato al death metal andandosi a collocare sulla scia dei Novembers Doom in più di un frangente.
Chiude l’ep il sognante strumentale La luz del día muere, episodio che depone a favore anche di un sicuro talento esecutivo.
Se con Arte Macabro i Matalobos avevano posto le basi per arrivare a produrre un death doom di sicuro spessore, con Until Time Has Lost All Meaning arriva quel consolidamento che non può che sfociare in un’opera su lunga distanza in grado di imporre all’attenzione della scena il gruppo messicano, almeno questo è l’auspicio.

Tracklist:
1. Of Ghosts and Yearning
2. In Flesh Engraved
3. La luz del día muere

Line-up:
E. Santamaría – Guitars
Dante – Vocals
De Anda – Bass
C. Escalona – Drums
Germán N. – Guitars, strings

MATALBOS – Facebook

2017

Sepolcro – Undead Abyss

La brevità dell’opera impedisce di trarre conclusioni definitive, rimandandole per forza di cose ad una prova di maggior durata, ma la strada che dal sepolcro conduce alle orecchie degli appassionati di death sembra già piuttosto ben delineata.

Interessante demo, per quanto breve, per i veronesi Sepolcro, trio dedito ad un feroce e ed essenziale death metal di impronta statunitense.

La band, nata all’inizio del decennio e poi scioltasi dopo qualche anno, è stata rimessa in piedi nel 2018 dal drummer e membro fondatore Hannes e il frutto di questa ripartenza, che ha coinvolto anche il chitarrsta Simone e la bassista Nor, è appunto Undead Abyss.
Un monicker simile (stranamente molto meno inflazionato di quanto si potrebbe pensare) evoca necessariamente sonorità catacombali ed effettivamente, complice la produzione, i suoni arrivano un po’ ovattati come se, appunto, il tutto si stesse scatenando sei piedi sotto terra. Sicuramente la cosa appare del tutto calzante anche alle tematiche trattate,  le quali hanno a che fare con la letteratura lovecraftiana, come sempre fonte primaria di ispirazione per molte band estreme, soprattutto in ambito death.
I tre brani (Bone Totem, The Edge Of Infinity e la title track Undead Abyss) filano via lisci ma corrosivi come da copione, i riff non sono certi innovativi ma tale formula la si riascolta sempre molto volentieri e il growl, offerto sia dal chitarrista Simone che dal batterista Hannes, non concede alcuna tregua di sorta, andando a comporre un quadro stilistico che rimanda a campioni indiscussi del genere come gli Incantation e band affini, pur con tutte le distinzioni del caso.
La brevità dell’opera impedisce di trarre conclusioni definitive, rimandandole per forza di cose ad una prova di maggior durata, ma la strada che dal sepolcro conduce alle orecchie degli appassionati di death sembra già piuttosto ben delineata.

Tracklist:
1. Bone Totem
2. The Edge Of Infinity
3. Undead Abyss

Line-up:
Simone – Guitars, Vocals
Nor – Bass
Hannes – Drums, Vocals

Hybridized – Mental Connections

Mental Connections è un ep che coniuga il thrash metal al più moderno groove, la cui poca durata non consente un giudizio definitivo sul sound del gruppo romano, anche se i tre brani presentati lasciano presagire ulteriori margini di miglioramento.

Dalla capitale arrivano gli Hybridized, band nata un paio di anni fa da un’idea del batterista Fabio Mancinelli e del chitarrista Fabrizio Valenti, amici di vecchia data e compagni in passati progetti, a cui si aggiungono il cantante Marco Patarca, il chitarrista Andrea Scarinci ed il bassista Emanuele Gazzellini.

Mental Connections è un ep di tre brani che coniuga thrash metal al più moderno groove, la cui poca durata ed una produzione appena sufficiente per gli standard odierni, non consentono un giudizio definitivo sul sound del gruppo romano, anche se i tre brani presentati lasciano presagire buoni margini di miglioramento.
La tradizione estrema di ispirazione statunitense, con Slayer e Pantera in testa, si unisce alle più moderna attitudine ed impatto del metal odierno e ne scaturiscono tre mazzate potenti, valorizzate da un gran lavoro delle chitarre, ottime sia in fase ritmica che nei assoli.
Il growl dona una certa dosa di cattiveria death ai brani che hanno nell’opener Live In Lie un mid tempo che accelera a tratti per poi tornare nel classico andamento alla Pantera era Far Beyond Driven.
Subliminal Messages risulta la traccia più moderna del lotto, mentre House Of Nightmares è un brano slayerano con un altro  ottimo assolo nella parte centrale.
Mental Connections finisce qui, tra ottime idee e qualche difetto da limare, ma gli Hybridized, puntando sull’impatto e sulle proprie potenzialità, potrebbero regalare soddisfazioni in futuro.

Tracklist
1.Live In Lie
2.Subliminal Message
3.House Of Nightmares

Line-up
Marco Patarca – Vocals
Fabio Mancinelli – Drums
Andrea Scarinci – Lead Guitar
Emanuele Gazzellini – Bass Guitar
Fabrizio Valenti – Rhythm Guitar, Artistic Direction

HYBRIDIZED – Facebook

Postmortal – Soil

Soil è un ep altamente consigliato a chi ama il funeral death doom, che avrà così la possibilità di scorgere gli eventuali prodromi di una futura band di primo livello.

Primo ep per i polacchi Postmortal, che si erano già messi in mostra la scorsa estate con il singolo Heart of Depair che è valsa loro l’attenzione di una label importante in ambito doom come la Solitude.

Ogni uscita sotto l’egida dell’etichetta russa crea sempre un certa aspettativa, per cui da Soil ci sia attendeva quanto meno di scoprire se i Postmortal fossero un nome sul quale puntare qualche euro.
Da questi circa venticinque minuti, distribuiti su tre tracce, otteniamo risposte senz’altro positive ma non ancora definitive, nel senso che la band di Cracovia dimostra di maneggiare con tutta la padronanza del caso una materia ostica come quella del funeral death doom, offrendo nel complesso una buona prova alla quale manca ancora la scintilla, il momento memorabile che è poi l’unico modo per rendere peculiare un’offerta musicale collocata all’interno di un genere dal ridotto spazio di manovra.
Elusion, Nighttime Serenity e Seven sono tre buoni brani, dall’andamento dolente e sufficientemente melodico, ben punteggiato da un riffing preciso e da un growl al’altezza della situazione: il tutto rende Soil un ep altamente consigliato a chi ama queste sonorità, che avrà così la possibilità di scorgere gli eventuali prodromi di una futura band di primo livello.

Tracklist:
1. Elusion
2. Nighttime Serenity
3. Seven

Line-up:
Paweł – Bass
Kamila – Drums
Kamil – Guitars
Michał – Guitars
Dawid – Vocals

POSTMORTAL – Facebook

Duir – Obsidio Ep

L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato.

I Duir sono un gruppo di folk black death che conferma il valore della scena folk metal italiana.

Si sono formati nel 2013 e hanno avuto diversi problemi di formazione, soprattutto per quanto riguarda il batterista, ma finalmente con l’ingresso del nuovo picchiatore di pelli sono andati avanti ed è un bene per chi ama certe sonorità. Fin dal nome Duir, che significa quercia, per le popolazioni celtiche un albero di grande importanza, i ragazzi veronesi hanno dato una forte impronta folk alla loro musica, ed inizialmente hanno cominciato ad affiancarlo al death metal, salvo poi introdurre una seconda chitarra e quindi avvicinarsi maggiormente al black metal attuale. Obsidio è un ottimo lavoro in bilico tra folk metal, viking, black e momenti epici. Il gruppo ha un potenziale davvero notevole e lo si sente in pieno ascoltando l’ep che è un degno successore di Tribe, anzi va molto oltre rispetto al predecessore, essendo una tappa importante della maturazione del gruppo. I Duir hanno un talento raro per i gruppi folk metal, ovvero quello di saper cambiare registro più volte all’interno della stessa canzone, dando una nuova interpretazione al tutto. Questo loro avvicinamento al black metal ha donato maggiore potenza ed incisività alle  canzoni, e ha anche accentuato il valore delle parti folk, che sono davvero notevoli. L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato. Ci sono passaggi molto belli, e nel complesso tutto il disco sprigiona un sentimento forte che difficilmente vi lascerà indifferenti.

Tracklist
1.Inconscio
2.Destarsi
3.Rise Your Fear
4.Dies Alliensis
5.Insomnia Seed
6.Obsidio

Line-up
Giovanni De Francesco : Voci
Mirko Albanese : Chitarra
Pietro Devincenzi : Basso
Thomas Zonato : Cornamusa Scozzese
Matteo Polinari: Batteria

DUIR – Facebook