Martyr Lucifer – Gazing at the Flocks

Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Gazing at the Flocks è il terzo full length marchiato Martyr Lucifer, progetto dell’omonimo leader degli Hortus Animae.

Come avevamo già visto in passato, qui non si rinvengono tracce di black metal bensì un sound maturo e molto curato, a cavallo tra dark wave e gothic con più di una digressione alternative; anche per questo motivo l’album scorre in maniera piuttosto lineare e gradevole, senza necessitare di diversi ascolti per apprezzare i buoni spunti melodici ed i chorus disseminati al suo interno.
Ecco, forse questa ingannevole sensazione di leggerezza può costituire il solo limite di un’opera ben costruita e che vede protagonisti, oltre al musicista romagnolo con il suo timbro profondo e molto adatto al genere, la vocalist ucraina Leìt, l’arcinoto Adrian Erlandsson alla batteria e l’ottimo ungherese Nagaarum alla chitarra, oltra a Simone Mularoni a fornire il proprio contributo in sala d’incisione non solo al di là del vetro ma anche al basso.
Il risultato è quindi oltremodo soddisfacente, tanto più dopo aver constatato che, in effetti, ad ogni successivo passaggio nel lettore molti brani rivelano interessanti sfumature sfuggite al primo approccio; se, da una parte, non ci troviamo di fronte ad un’opera epocale, va dato atto a Martyr Lucifer d’aver assemblato un lavoro privo di particolari punti deboli ma, semmai, con diversi picchi rappresentati dalla suadente Benighted & Begotten (notevole il duetto vocale) e le centrali Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy e Leda and the Swan Pt. 1; resta, alla fine l’impressione d’aver ascoltato musica di qualità, collocabile senz’altro nella scia delle band guida del genere (Tiamat, The 69 Eyes) ma anche, a tratti, del Peter Murphy solista, il che è indicativo di un’oscurità diffusa che avvolge Gazing at the Flocks conferendogli un’aura a suo modo differente rispetto ai modelli citati.
In buona sostanza Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Tracklist:
1. Veins of Sand Pt. 1
2. Veins of Sand Pt. 2
3. Bloodwaters
4. Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy
5. Leda and the Swan Pt. 1
6. Leda and the Swan Pt. 2
7. Wolf of the Gods
8. Somebody Super Like You
9. Benighted & Begotten
10. Spiderqueen
11. Flocks
12. Halkyónē’s Legacy, aka The Song of Empty Heavens

Line-up
Martyr Lucifer – vocals, synth, programming
Leìt – vocals
Adrian Erlandsson – drums
Nagaarum – guitars
Simone Mularoni – bass (session)

MARTYR LUCIFER – Facebook

Akroterion – Decay of Civilization

Alle soglie del capolavoro, la conferma della qualità assoluta di quello che è un grandioso gruppo italiano: l’oscurità e le tenebre in musica, raccontate in maniera creativa e personale.

L’opera seconda di questa eccezionale band italiana – un trio composto da Skrat (voce), BP Gjallar (chitarre, basso, sintetizzatori) e Francisco Verano (batteria) – esce non casualmente il 21 settembre, giorno dell’equinozio di autunno: gli Akroterion sono infatti da sempre attenti cultori di tematiche di matrice esoterico-occulta ed astrologico-ermetica.

Decay of Civilization presenta sette nuove tracce, splendidamente tenebrose e drammatiche, intarsiate di elementi dark, doom, ma soprattutto thrash e black mutati, sulla scia di Celtic Frost e in parte Coroner. In certi frangenti e nella costruzione delle atmosfere, poggiando su di una competenza artistico-musicale e tecnico-compositiva di prim’ordine, gli Akroterion paiono inoltre guardare ancora più indietro, a certo oscuro prog, per proiettarlo poi in questo nostro assurdo terzo millennio. Fondamentale al riguardo, secondo l’opinione di chi scrive, è l’uso di tastiere e synth, che rendono abilmente il sound tanto antico ed ancestrale quanto moderno e futuristico. Siamo in presenza di un gioiello, che risplende di luce (nera), possente e meditativo nel medesimo tempo, sperimentale ed originale, che merita – a mio avviso – un posto di assoluto primo piano tra i dischi dell’anno.

Tracklist
1- Initiatory Death
2- Blood Label
3- Red Dawn Under a Chemical Sky
4- Soul Corruption
5- Brains
6- Decay of Civilization
7- The Gift of Lady Death

Line-up
Skrat – voce
BP Gjallar – chitarre. basso, sintetizzatori
Francisco Verano – batteria

AKROTERION – Facebook

Hierophant – Spawned Abortions

I deathsters romagnoli Hierophant sono rimasti in tre, ma la devastante carica estrema e maligna che li ha sempre contraddistinti è rimasta immutata

I deathsters romagnoli Hierophant sono rimasti in tre, ma la devastante carica estrema e maligna che li ha sempre contraddistinti è rimasta immutata.

La band, torna con questo 7” in cui troviamo nel lato A l’inedito Spawned Abortions, che conferma la proposta assolutamente sopra le righe dei ravennati, e nel lato B la cover del classico Realm Of Chaos dei leggendari Bolt Thrower.
Il death metal feroce e carico di malata attitudine hardcore ci investe in tutta la sua furia in Spawned Abortions, nuovo massacro sonoro di scuola Hierophant all’insegna del, caos primordiale, un attacco frontale che si trasforma in una mattanza quando le note della storica Realm Of Chaos, tornano a dispensare morte e sofferenza.
Lorenzo Gulminelli (voce e chitarra), Ben Tellarini (batteria) ed il nuovo arrivato Fabio Carretti (basso e voce) sono le figure che stanno dietro questo mostro sonoro chiamato Hierophant, una delle realtà più convincenti dell’ottima scena death metal tricolore.

Tracklist
1.Spawned Abortions
2.Realm Of Chaos

Line-up
Lorenzo Gulminelli – Vocals/Guitar
Ben Tellarini – Drums
Fabio Carretti – Bass/Vocals

HIEROPHANT – Facebook

MINERVIUM – ETERNO E OMEGA

Buon ep d’esordio per questo combo black metal di Catanzaro. Un primo passo, sicuramente non falso, che molto ci racconta delle espressioni tipiche del genere mediterraneo, sia per liriche e tematiche proposte, che per linguaggio e manifestazione musicale

Quando si parla di black metal immediatamente si pensa a satanismo, anticristianesimo, occultismo o a tematiche (spesso molto care ad un certo black francese) più legate a stati d’animo umani connessi con la depressione, la disforia, la grigia malinconia e frequentemente anche misoginia, odio, avversione nei confronti di tutto e tutti (il cosiddetto “Anti”).

Ma quando ci si appropinqua a band provenienti dalla Grecia e, appunto, dalla nostra penisola, si può spesso incappare in produzioni fortemente influenzate dall’antichità classica (Magna Grecia ed Impero Romano).
I Minervium – già il nome ci riconduce immediatamente ad una precisa fase storica del nostro Paese – non fanno eccezione.
La Colonia Minervia, o più semplicemente Minervium, fu un territorio romano (inizialmente conosciuto come Solacium, città del letterato Cassiodoro – siamo circa cent’anni prima di Cristo) sito proprio sulla costa ionica, poco più a sud di Catanzaro, città natale della band, composta da Vulr (voce, all’anagrafe Kristian Barrese), Antonius Pan (chitarra), Angelo Bilotta (batteria) e Gianluca Molè (basso).
Apprezzando indubbiamente il loro attaccamento alla propria terra natia, ammiriamo volentieri il black metal da loro proposto – cantato in italiano – sicuramente di ottima fattura. Il combo, esplicitamente influenzato da quella che io definisco “fascia mediterranea” (Portogallo, Grecia e ovviamente Italia su tutte), esordisce con questo ep di 5 tracks, uscito oggi in formato digitale, ma previsto su cd il prossimo gennaio per l’attivissima russa Narcoleptica Productions (già label di band quali Darkestrah, Ritual americani e di altre 50 bands circa).
Dopo l’intro Il canto del mare (un melodico arpeggio, cullato dal leggiadro suono di onde che si infrangono sulla battigia), la prima vera track Invocando il passato, mostra fin da principio, quanto i nostri abbiano a cuore miscelare ad uno dei più classici black metal, viete atmosfere, momenti di secolare doom e nostalgiche malinconie di un antico nostro passato che fu. Anche le successive due canzoni (Cenere e la title track) paiono impregnate di vetusto passato, dove l’Antico ne imbeve ogni singola nota. Interitus (dal latino = annientamento) , ultimo breve momento strumentale di veloce black, più che categorico annullamento, a chiusura definitiva, ci appare come un nuovo inizio, un trait d’union con la prossima produzione, quasi che fosse l’attacco iniziale della prima track di un imminente probabile futuro album.
Non manca nulla: tremolo, scream, blast beat, up-tempo e mid-tempo, sapientemente alternati, armonicamente amalgamati, e soprattutto ben bilanciati, per non indurre mai l’ascoltatore, né alla noia e al sonno indotti dalla ripetitività dei tempi cadenzati, né alla schizofrenica monotonia delle hyper velocità fini a se stesse. Sonnamboliche atmosfere contornano tutto l’album, e il cantato in italiano clean spesso rende il tutto ancor più arcaico, d’un fascino remoto.
L’ascolto è piacevole, le sonorità sono limpide e la definizione musicale dei singoli strumenti ripone indubbiamente a loro favore. Una produzione all’altezza, ci permette inoltre di apprezzare le buone capacità tecniche dei ragazzi di Catanzaro. Ovvio, non siamo di fronte all’album che sconvolgerà le masse (è comunque un mini-album di esordio, ricordiamolo), ma sicuramente arricchisce la nostra scena, e propone una “new entry” che potrà dire la sua, in un futuro prossimo, in un scena, quella del black nostrano, sempre più imperiosamente ai vertici mondiali del genere.
In attesa di un full-length, ci godiamo appieno il nuovo arrivato, ma che profuma di antichi aromi e di primeve fragranze musicali.

Tracklist
1. Il canto del mare
2. Invocando il passato
3. Cenere
4. Eterno e omega
5. Interitus

Line-up
Gianluca M. – Bass
Angelo B. – Drums
Antonius Pan – Guitars
Vulr – Vocals

MINERVIUM – Facebook

?Alos – The Chaos Awakening

Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido.

Venti minuti di un antico rituale messo in musica, suggestioni, rumori e suoni che provengono da un’altra dimensione, da un tempo nel quale l’umanità aveva una composizione fisica che si legava direttamente agli elementi naturali e non al silicio o ad una scheda madre.

?Alos è una sciamana che opera e ha operato con OvO e con Allun, e ora sta continuando la sua avventura solista. Parlare di musica è davvero superfluo in questo caso perché si va molto oltre essa, si entra in un portale dove tutto è ciò che sembra solo se si decide di essere altro da sé, come ?Alos, che ha registrato questa performance dal vivo a Valico Terminus a Ramiseto, un’azienda agricola e casa rurale per artisti sita in un crocevia fra Emilia Romagna e Toscana, dove si incontrano molte forze, come ci insegnavano gli antichi.
?Alos dopo aver trattato la Terra e L’Aria, passa ora a descrivere l’Acqua ed il Fuoco, con questa traccia unica che esplora molti tipi di femminino diversi, perché la storia dell’uomo, e soprattutto della donna, non è andata come ce la raccontano, è molto più complessa e conflittuale, e molto probabilmente non la conosceremo mai. Il titolo The Chaos Awakening dice già moltissimo sulla struttura e sulle intenzioni di Stefania Pedretti, perché pur senza adorare il caos lo descrive come unica via possibile di vita, partendo dalla profonda convinzione che non siamo affatto perfetti, ma che dobbiamo saper rapportarci a forze molto più grandi di noi e che abbiamo lasciato sopite per troppo tempo, convinti che la conoscenza scientifica lo avrebbe fatto fuggire. Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido. L’ultimo disco di ?Alos è fortemente catartico perché risveglia qualcosa dentro di noi che è dormiente ma che è innato, e che è stato spezzato da questa supposta superiorità del moderno rispetto all’antico visto e vissuto come un’epoca oscura e disagiata, mentre il domani non è quasi mai esistito per l’uomo; la Signorina Alos è qui per ricordarci che siamo come sopra è sotto, e che il caos è sempre in agguato.

Tracklist
1. The Chaos Awakening

Line-up
?Alos – Vocals, flute, modular synthesizer,
The Chaos Scepter, bells and other vietnamese instruments –

?ALOS – Facebook

Last Rites – Nemesis

Un’entusiasmante raccolta di brani, consigliata con colpevole ritardo rispetto all’uscita, ma non per questo meno meritevole della doverosa attenzione da parte degli appassionati di metal estremo.

Vent’anni di thrash/death di alto livello festeggiati con questo nuovo lavoro composto da cinque brani inediti e tre composizioni rifatte per l’occasione.

Parliamo dei Last Rites, nome storico della scena ligure, essendosi formati a Savona nel 1997 ed arrivati ad oggi con un curriculum che consta di otto lavori tra full length, live ed ep, vari cambi di line up e tanta passione.
Nemesis, licenziato dalla MASD Records, è stato registrato, mixato e masterizzato presso il Blackwave Studio di Genova da Fabio Palombi e risulta una travolgente bassa pressione metallica che dal golfo ligure ci investe con la sua potenza, in uno tsunami di cambi di tempo e roboanti solos che si scambiano la scena, tuonando tra lampi e fulmini, ritmiche mozzafiato ed uno scream che è l’urlo arrabbiato e aggressivo degli dei del thrash metal contro il genere umano.
Davvero entusiasmante questa raccolta di brani, che vedono la band partire all’attacco con l’opener Paradox Of Predestination e non fermarsi più, almeno fino a Glory To The Brave, outro del brano Fallen Brother dedicato al compianto chitarrista Vic Mazzoni scomparso lo scorso anno.
Mezz’ora di saliscendi tra le onde in burrasca, con la costa sferzata dal vento metallico chiamato Nemesis, ed i Last Rites ad impartire una lezione di metal estremo, con i Carcass di Heartwork a jammare con i Kreator e gli ultimi Necrodeath in brani spettacolari come Ancient Spirit, Human Extinction e la conclusiva, Soul’s Harvest.
Un album bellissimo che MetalEyes consiglia con colpevole ritardo rispetto all’uscita, ma non per questo meno meritevole della doverosa attenzione da parte degli appassionati di metal estremo.

Tracklist
1. Paradox of Predestination
2. Architecture of Self-Destruction
3. 26.04.86
4. Ancient Spirit
5. Fallen Brother – Glory to the Brave (Outro)
6. Human Extinction
7. Realm of Illusions
8. Souls’ Harvest

Line-up
Dave – Vocals, Guitars
Bomber – Guitars
Fens – Bass
Laccio – Drums

LAST RITES – Facebook

Wyatt Earp – Wyatt Earp

Un ottimo disco che profuma di antico, di hard pomp inglese settantiano per la precisione, calato nel nostro tempo in forma aggiornata ed impeccabile.

Provenienti da Verona, i Wyatt Earp sono all’esordio su compact.

Il nome del quintetto – composto da Leonardo Baltieri alla voce, Matteo Finato alla chitarra, Fabio Pasquali al basso, Silvio Bissa alla batteria e Flavio Martini alle tastiere – viene da quello del famoso sceriffo e cacciatore di bisonti del selvaggio West. Non si tratta però di una band southern, ma di cinque musicisti, insieme dal 2013, innamorati della storica lezione dell’hard anni Settanta e del pomp rock (Deep Purple, Uriah Heep, Kansas e Grand Funk Railroad). Una tradizione che il gruppo scaligero ripensa in chiave personale, realizzando un debutto che suona molto fresco e con ottime idee, per nulla schiavo del passato, ma capace semmai di confermarne oggi la forza espressiva e meta-temporale attraverso sei tracce che ci lasciano ben sperare in vista del futuro. Da ascoltare, in particolare, Ashes e Back From Afterworld, ma tutte le songs si attestano su un ottimo livello globale. La strada per diventare i nuovi Vanadium è quella giusta.

Tracklist
1- Dead End Road
2- Ashes
3- Live On
4- With Hindsight
5- Back From Afterworld
6- Gran Torino

Line-up
Leonardo Baltieri – voce
Matteo Finato – chitarra
Fabio Pasquali – basso
Silvio Bissa – batteria
Flavio Martini – tastiere

WYATT EARP – Facebook

Aenigma – Into The Abyss

Into The Abyss è un lavoro in grado di aprire agli Aenigma spazi interessanti in una scena come la nostra, ancora una volta sugli scudi per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

All’interno della scena sinfonica tricolore molte sono le band che hanno rilasciato lavori di spessore in questi ultimi anni, cercando una propria via in un genere che da ormai più di vent’anni si è consolidato nel vasto panorama metallico.

Prima la scena olandese, poi quella scandinava, fino ai nostri giorni e alle realtà nate in riva al Mediterraneo dove, dai fondali marini, arriva il suono di Into The Abyss, primo full length degli Aenigma, band toscana attiva dal 2013 e con un paio di ep alle spalle.
La prova sua lunga distanza non ha spaventato di certo i quattro giovani musicisti nostrani e Into The Abyss risulta un buon lavoro, affrontato con la giusta grinta e personalità da una band che accentua la parte estrema, specialmente nelle ritmiche, anche se è la sola voce della cantante Caterina Bianchi a svettare su canzoni che non lasciano spazio al growl.
Più centro europeo che scandinavo si rivela il sound di questo lotto di brani, tenuti insieme da orchestrazioni presenti ma mai debordanti, una prestazione vocale convincente e più rock rispetto alle sirene operistiche a cui siamo abituati (la voce della cantante si avvicina più a Cristina Scabbia che a Floor Jansen o Tarja) fanno di Into The Abyss un album da ascoltare e riascoltare, metallico, a tratti raffinato nei momenti di calma apparente prima che improvvise burrasche portino mareggiate estreme.
Tra i brani, Falling è il classico singolo dall’appeal orchestrale, Infected è aggressiva e death metal oriented, Crimson Moon è la classica semi ballad gotica e Sentence è un crescendo di emozionante symphonic metal.
Into The Abyss è un lavoro in grado di aprire agli Aenigma spazi interessanti in una scena come la nostra, ancora una volta sugli scudi per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

Tracklist
1.Beginning of the End
2.Falling (Into the Abyss)
3.Infected
4.Away from All
5.Essence of Life
6.Crimson Moon
7.City of Falling Stars
8.Sentence
9.The Sacrifice
10.Indistructible

Line-up
Matteo Pasquini – Drums
Caterina Bianchi – Vocals
Lorenzo Ciurli – Guitars, Vocals
Valerio Mainardi – Bass

AENIGMA – Facebook

https://youtu.be/RzHDMcAoPDM

Throne – Consecrates

Pochi gruppi riescono a fare musica come i Throne, conferendole una sensazione di inusitata pesantezza ma riuscendo al contempo ad essere onirici e psichedelici.

Pesantissima mazzata sludge metal per questo gruppo italiano proveniente dai dintorni di Ferrara.

I Throne sono attivi dal 2012, anno nel quale si sono formati e hanno dato alle stampe il loro debutto Avoid Light per Moonlight Records. I nostri sono un concentrato di cattiveria e putridume musicale, nel quale la luce non si vede mai, spostandosi rumorosamente nel tunnel. Il loro suono è un infetto principalmente dallo sludge, ma non mancano momenti di suoni vicini alle cose che si muovono nelle paludi della Lousiana, o passaggi in growl che ci portano in territori marcatamente metal. Il marchio di questo disco del 2017 è il suo continuo ed incessante groove, che continua a muoversi senza mai fermarsi, lento ed inesorabile, che procura più di un sottile brivido di piacere. Fare un disco credibile di sludge non è affatto facile come potrebbe sembrare, perché se non si possiedono talento e abilità compositiva l’affidarsi totalmente alla pesantezza non basta. I Throne hanno tutte le capacità per spiccare nel mucchio, e ce le mostrano con un lavoro che non ha mai un momento di pausa né un calo fisiologico. Consecrates è la colonna sonora dell’ombra che ci avvolge grazie ai nostri peccati, ma anche perché vediamo il mondo per quello che è, rischiando la pazzia per questo. I monolitici riff di chitarra sono le basi sulle quali far confluire da altre dimensioni il resto degli strumenti facenti parte di questa bestia sonica che non vi lascerà scampo. Ascoltando Consecrates perderete il senso del tempo, verrete imbarcati su una una nave che viaggia velocissima verso un nero vortice e vorrete assaporare ancora quelle sensazioni che vi dà questa musica. Pochi gruppi riescono a fare musica come i Throne, conferendole una sensazione di inusitata pesantezza ma riuscendo al contempo ad essere onirici e psichedelici. Un album che fa male.

Tracklist
1.Sister Abigail
2.Lethal Dose (feat. Dorian Bones)
3.Codex Gigas
4.There’s No Murder in Paradise
5.Baba-Jaga
6.V.I.R.
7.Lazarus Taxon

Line-up
Samuele Benna
Riccardo Carrara
Mirko Lavezzini
Enrico Maria Emanuelli
Emanuele Dughetti

THRONE – Facebook

Vulgar Speech – Is This Vulgar?

Is This Vulgar? mostra un sound ancora in divenire ma che potrebbe regalare soddisfazioni, perché sicuramente non manca di impatto e di una buona dose di groove, esattamente quanto serve oggi per entrare nel cuore degli ascoltatori.

I Vulgar Speech sono un gruppo di giovani rockers provenienti da Pordenone, attivi dal 2012 come quartetto e diventati in seguito un affiatato trio.

Questo ep intitolato Is This Vulgar? è uscito in realtà tre anni fa, e ci presenta una band che all’hard & heavy classico aggiunge sfumature thrash/groove metal ed abbondanti dosi di stoner .
Il risultato è tutto in questo ep che lascia parlare la musica, specialmente nell’opener W.A.R., sorta di intro che sfocia nella prima lunga traccia, la stoner metal Scarred, brano ispirato alla scena americana degli anni novanta e appesantito da dosi letali di thrash metal che richiama i Metallica, così come avviene nella notevole Fight Your Demons, traccia oscura che ispira jam desertiche chiamando in causa anche Alice In Chains e Kyuss.
Si cambia registro con We Innovate Healthcare, dove Riccardo Cauduro (voce e chitarra), Mirko Martinello (basso) e Fabio Cauduro (batteria) si trasformano in una hard rock band ad inizio brano, per poi violentarlo con potenti ripartenze thrash.
In conclusione, Is This Vulgar? mostra un sound ancora in divenire ma che potrebbe regalare soddisfazioni, perché sicuramente non manca di impatto e di una buona dose di groove, esattamente quanto serve oggi per entrare nel cuore degli ascoltatori.

Tracklist
1. W.A.R.
2. Scarred
3. Fight Your Demons
4. We Innovate Healthcare
5. Can U Really..?

Line-up
Riccardo Cauduro – Vocals, Guitars
Mirko Martinello – Bass
Fabio Cauduro – Drums

VULGAR SPEECH – Facebook

Watershape – Perceptions

Il sound dei Watershape riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.

La tradizione nostrana per quanto riguarda la musica progressiva viene puntualmente confermata dalle uscite discografiche di un certo spessore anche nel nuovo millennio.

Il genere riserva sempre piacevoli sorprese e l’Italia in questo campo scaglia frecce che colpiscono al cuore gli amanti della musica progressiva, a mio avviso mai come in questo periodo aperta a mille ispirazioni ed influenze.
Il metal ha dato una grossa mano al genere, scuotendo dalle fondamenta un’attitudine conservatrice e donando verve ed soluzioni intriganti ad un sound che rischiava di rimanere confinato ai soli reduci dagli anni settanta.
Gli Watershape, per esempio, sono una band fondata da Francesco Tresca, batterista degli Arthemis ed ex Power Quest, raggiunto da una manciata di musicisti che hanno militato o militano in ottimi gruppi della scena tricolore come Hypnotheticall, Sinastras e Hollow Haze.
Il loro sound riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.
L’album è un piacevole viaggio tra queste sfumature ed atmosfere, la band in modo raffinato ed intelligente non calca mai la mano su questa o quella ispirazione ma lascia che la musica fluisca libera, così che i passaggi dal rock progressivo a quello metallico non risultano mai forzati, al limite dettati da momenti di atmosferico rock che va dai King Crimson (Inner Tide ricorda gli splendidi momenti di pacata atmosfera dei brani che hanno fatto di In The Court Of The Crimson King uno degli album più belli della storia) ai Porcupine Tree (una delle tante concessioni all’era moderna del prog, insieme ai Pain Of Salvation ed ai più estremi Opeth).
Il resto è musica rock/metal d’alta scuola, progressiva e tecnica ma senza strafare, lasciando che siano i brani e le loro atmosfere a donare emozioni all’ascoltatore.
Da segnalare la prestazione di Nicolò Cantele, cantante che ricorda a tratti Damian Wilson, per diversi anni frontman dei Threshold, band che con i Dream Theater completa la parte metal della musica del gruppo, e di spessore le prestazioni degli musicisti coinvolti che valorizzano splendidi brani come Beyond The Line Of Being, la metallica Cyber Life o la classica The Puppets Gathering, a mio avviso il punto più alto di questo bellissimo album consigliato senza riserve a tutti gli amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
01. Beyond The Line Of Being
02. Cyber Life
03. Alienation Deal
04. Stairs
05. The Puppets Gathering
06. Inner Tide
07. Fanciful Wonder
08. Seasons
09. Cosmic Box #9

Line-up
Nicolò Cantele – Vocals
Mirko Marchesini – Guitars
Mattia Cingano – Bass & Chapman Stick
Enrico Marchiotto – Keyboards & Synths
Francesco Tresca – Drums & percussions

WATERSHAPE – Facebook

Tritonica – Disforia

Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso.

I Tritonica sono un gruppo romano fondato nel 2016 e fautore di un noise post sludge math che è davvero una delizia ed una preghiera al dio dei tritoni, la più empia e blasfema figura musicale della storia.

Il gruppo è composto da tre studenti universitari, o da tre laureati, tre disoccupati, tre precari, la ripetizione del numero magico, accomunati dall’amore per la musica prog nel senso più esteso del termine, ovvero un qualcosa che vada oltre e non si fermi alle apparenze. La loro musica è felicemente inclassificabile e non per tutti anzi, chi si vuole avvicinare lo fa a suo rischio e pericolo. Disforia è un disco che esprime molto meglio il disagio e le fratture che viviamo. Un disco di musica totale che si dimena di fronte a noi, senza avere alcuna voglia di piacere, anzi si accetta meglio il dispiacere che il suo contrario. L’atmosfera qui perde le coordinate spazio temporali, e ci si immerge in un turbolento mare oppiaceo, con la tragedia che incombe ma che è al contempo una liberazione, il tutto con i modi di un Les Claypool più vario e meno cervellotico. I registri musicali del lavoro sono molteplici e non si viaggia in un’unica direzione, se non quella di essere distorti, e si canta o si suona e basta, ma sempre con un’identità ben precisa e soprattutto ben strutturata, che fa di Disforia un continuum con un senso solo se ascoltato tutto assieme o lasciandosi portare da lui. Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso. I continui campi di tempo e di registro rendono questo disco un’esperienza che rientra in quella bellissima nouvelle vague noise ed altro che in Italia abbiamo sempre avuto e che offre tanti e succosi frutti underground. Disforia è corposo, vero e contundente là dove si vorrebbe che tutto andasse bene: ascoltatelo mentre vi cola l’ansia dentro il corpo.

Tracklist
1 al-Ghazali
2 Manjala
3 Zags in Bb
4 Alchimia del fato
5 Cronotopica
6 Coagula
7 Jimi
8 Semiramis
9Semiramide
10 Solve
11 Mimonesis

Line-up
Andrea El Khaloufi – Chitarra e Voce
Alfredo Rossi – Basso e Voce
Nicola Di Lisa – Batteria e Voce

TRITONICA – Facebook

Closer – Event Horizon

Un bellissimo lavoro di metal moderno, potente e melodico, ben costruito e ottimamente arrangiato, da parte di una band da tenere d’occhio.

Quello dei Closer è un metal moderno, fatto di potenza e di melodia, attento alle scelte timbriche e davvero molto ben suonato, oltre che ottimamente prodotto.

La band è nata a Verona nel 2011 ed è al secondo lavoro, dopo il debutto autoprodotto (My Last Day, 2014). I Closer suonano un heavy di rara intensità, spesso arricchito da inflessioni post-grunge – qualcuno ricorda i Chamber 69 dell’ex Coroner e Kreator Tommy Vetterli? – e molto epico, non lontano per capirci dagli Alter Bridge. Non ci sono letteralmente pause in Event Horizon e il disco scorre molto bene, in tutti i suoi dodici brani, con un ottimo songwriting e liriche non banali. I suoni sono squadrati e quasi geometrici, con basso e batteria che sostengono, puntualmente, il lavoro delle due chitarre. Un tappeto sonoro sul quale si staglia la bellissima voce di Simone Rossetto. Idee, qualità, belle armonie in stile Metallica, tocchi più moderni alla 30 Seconds to Mars e Nickelback arricchiscono questo come-back, di quelli da non lasciarsi davvero scappare.

Tracklist
1- Here I Am
2- Illusion
3- The Call
4- Mistakes
5- Battle Within
6- Beyond the Clouds
7- Wait For Me
8- Masquerade
9- Untouchable
10- Sand in Hand
11- Moments and Eternity
12- Event Horizon

Line-up
Simone Rossetto – Vocals
Andrea Bonomo – Guitars
Nicola Salvaro – Guitars
Manuel Stoppele – Bass
Danilo Di Michele – Drums

The Moor – Jupiter’s Immigrants

L’album offre un progressive metal estremo e meravigliosamente moderno, un continuo susseguirsi di emozioni estreme come attitudine, sia quando il death metal si fa spazio tra lo spartito, sia quando le melodie hanno la meglio, mantenendo però un’atmosfera di evocativa tensione.

I The Moor licenziano dopo sei lunghi anni il loro secondo lavoro sulla lunga distanza intitolato Jupiter’s Immigrants, un album bellissimo ed emozionante dal taglio moderno e progressivo, estremo e melodico.

Guardando sempre a nord e alla penisola scandinava, la band veneta si è costruita una reputazione soprattutto oltre confine, ed anche questo nuovo lavoro risulta un’opera dal taglio internazionale, dal sound al lavoro dietro la consolle, per finire con gli illustri ospiti che hanno dato il loro contributo come special guest.
Mixato da Fredrik Nördstrom (In Flames, Powerwolf), accompagnato dalla copertina creata da Niklas Sundin (Dark tranquillity, Arch Enemy) e con la presenza di Michael Stanne nella title track e Niklas Isfeldt dei Dream Evil nella conclusiva Dark Ruler, Jupiter’s Immigrants letteralmente deflagra risultando un fiume in piena di note progressivamente metalliche, emozionanti e dirette, durissime e melodiche, rabbiose e struggenti.
L’album offre un progressive metal estremo e meravigliosamente moderno, un continuo susseguirsi di emozioni estreme come attitudine, sia quando il death metal si fa spazio tra lo spartito, sia quando le melodie hanno la meglio, mantenendo però un’atmosfera di evocativa tensione: una raccolta di brani che non lascia spazio ad alcun cedimento coinvolgendo in ogni singola parte l’ascoltatore, travolto dalla piena di questo fiume musicale.
Ottimo anche l’uso delle voci, splendide ed emozionanti quelle pulite, decise e perfettamente inserite nel contesto delle varie tracce quelle estreme: questo ottimo lavoro ha la sua patria musicale nella penisola scandinava, quindi avvicinatevi alle varie Lead The Difference, The Profiteer, Enthroned ed Odin Vs Jesus con la consapevolezza di essere al cospetto di una band nata in Italia ma adottata dalla scena nordica: Dark Tranquillity, Amorphis, Leprous, Soilwork, In Flames vengono idealmente racchiusi nello stesso spettacolare sound, fornendo un risultato davvero imperdibile.

Tracklist
1.Lead the Difference
2.Jupiter’s Immigrants
3.The Profiteer
4.Thousand Miles Away
5.Enthroned
6.Inception
7.Odin vs Jesus
8.The Alarmist
9.Dark Ruler

Line-up
Enrico Longhin – Vocals, Guitars
Andrea Livieri – Guitars
Massimo Cocchetto – Bass
Alberto Businari – Drums

THE MOOR – Facebook

Fallen – Tout Est Silencieux

Come sempre l’abilità di Fallen risiede sostanzialmente nel non rendere la sua musica ambient eccessivamente minimale, riuscendo invece a conferirle un senso melodico, prefigurante una calma che viene però spesso screziata da rumori assortiti di sottofondo, quasi a volerci ricordare che proporre questo tipo di sonorità significa anche saper cogliere gli spunti che giungono dalla quotidianità.

Commentare le uscite targate Fallen (al secolo Lorenzo Bracaloni) sta diventando una piacevole consuetudine.

Il musicista toscano, a distanza relativamente breve dall’uscita del bellissimo Glimpses, ritorna con quest’album intitolato Tout Est Silencieux, edito dall’etichetta transalpina Triple Moon Records .
Forse anche per questo sia il titolo del lavoro che quello di tutti i brani è in lingua francese, un aspetto questo che ovviamente ha un valenza del tutto relativa, dato che si parla di musica ambient per sua natura del tutto strumentale.
Rispetto all’album precedente, che era volto all’evocazione di atmosfere e situazioni notturne, gli scostamenti sono minimi ma sufficienti, comunque, a farci sembrare le sonorità più consone a quella copertina in cui un uomo ed un cane paiono in procinto di essere avvolti e resi invisibili dalla nebbia
Come sempre l’abilità di Fallen risiede sostanzialmente nel non rendere la sua musica ambient eccessivamente minimale, riuscendo invece a conferirle un senso melodico, prefigurante una calma che viene però spesso screziata da rumori assortiti di sottofondo, quasi a volerci ricordare che proporre questo tipo di sonorità significa anche saper cogliere gli spunti che giungono dalla quotidianità.
L’intento di considerare ogni impulso colto dal nostro udito un elemento a suo modo musicale, benché non venga prodotto da uno strumento, non è certo una novità ma, a mio avviso, caratterizza non poco questo lavoro che come sempre non delude e anzi, aumenta ancor più le quotazioni di uno dei compositori più brillanti (e anche più prolifici) in circolazione oggi nel nostro paese in questo settore.

Tracklist:
01 la tempête dans le coeur
02 chèrement
03 mémoires du vent
04 la chanson des enfants
05 dans les rêves oublié
06 tout est silencieux

Line-up:
Fallen – piano, electric piano, guitars, synthesizers and field recordings

FALLEN – Facebook

Lady Maciste – Laut

I Lady Maciste si presentano agli amanti del genere con un sound diretto e live, con chitarra e batteria a formare un muro sonoro dal piglio stoner, ma non solo.

In questi ultimi anni il rock underground tricolore può vantare di una scena stoner di notevole qualità, con una serie di gruppi che ha fornito agli ascoltatori amanti delle sonorità desertiche album convincenti e di indubbio spessore, tanto che si potrebbe pensare al nostro paese come ad una delle appendici più importanti del sound made in Sky Valley.

Arrivano a scaldare ancora di più questo rovente ottobre i Lady Maciste, duo riminese composto dai fratelli Parma, Gian Luca (chitarra e voce) e Roberto (batteria), con il loro primo lavoro, un ep dal titolo Laut composto da sei brani di stoner rock, psichedelico e bluesy.
I due ex Akemi si presentano agli amanti del genere con un sound diretto e live, chitarra e batteria a formare un muro sonoro dal piglio stoner, ma non solo: tra le trame di brani potenti come l’opener Bruto, la roboante Devil Is My Bride o la introversa Gong, troviamo echi noise e grunge, una mistura sonora che dal rock americano degli anni novanta trova la sua origine, perdendosi nel deserto e ritrovandosi tra accordi di blues sporcato dalla psychedelia e dal punk (Ted Bundy).
L’ep dà il via a questa nuova avventura tutta in famiglia, con i fratelli Parma che riescono a riempire di note rock il sound con l’aiuto di soli due strumenti, un’attitudine diventata una piacevole costante tra le nuove leve dell’alternative rock.
Se vi piace il rock uscito dagli States nell’ultimo decennio del secolo scorso (Queen Of The Stone Age, Kyuss, Sleep e primi Nirvana) Laut è assolutamente consigliato.

Tracklist
1.Bruto
2.Pink
3.Devil Is My Bride
4. Gong
5. Ted Bundy
6. Just A KId

Line-up
Gian Luca Parma – Guitars, Vocals
Roberto Parma – Drums

LADY MACISTE – Facebook

Opera Oscura – Disincanto

Stupendo disco di dark metal progressivo, sinfonico e classicheggiante, intriso di lirismo e con parti toccanti di voce e piano

Gli italiani Opera Oscura propongono un interessante e riuscito prog venato di metal, che si esprime attraverso la costruzione sonora di belle e ricercate atmosfere, non prive – come anticipa il nome del gruppo – della giusta dose di oscurità (mai tetra, peraltro). Stile e suoni sono piuttosto moderni, con un’ottima produzione di supporto, e valide qualità tecniche messe in mostra dai musicisti.

Anche se la componente progressive appare essere più marcata, rispetto a quella di matrice invece più heavy, non dubitiamo che gli amanti dei Dream Theater più liquidi e dei Queensryche più intimistici potranno, senz’altro, apprezzare questo lavoro. A tratti, possono venire in mente i passaggi più melodici dei tedeschi Ivanhoe – metà anni Novanta, altri tempi – che furono abili e pionieristici nel sapere abilmente mixare soluzioni dal gusto fortemente sinfonico e passaggi maggiormente duri. Tuttavia, qui il contesto è infinitamente più classicheggiante, con massicce e meravigliose parti di pianoforte e una voce femminile da brividi, non senza una ragguardevole eleganza e raffinatezza, che i brani di Disincanto fanno apprezzare di sé in sede sia compositiva, sia esecutiva. Gli Opera Oscura aggiornano, dunque, le formule del rock progressivo, evitando sterili e vuoti virtuosismi fini a se stessi, guardando sia alla forma sia in particolare alla sostanza e trovando un riuscitissimo connubio ed equilibrio artistico tra le due. Il che non è certo poco e si traduce in un altro punto a favore del CD in questione, intriso oltretutto di opportuni quanto apprezzabili umori di matrice dark rock, immaginifico e cinematografico. Nei brani degli Opera Oscura troviamo, altresì, squarci operistici, oscurità strumentali, giochi musicali di luce e ombra, testi teatrali, con un’onirica dolcezza che si sposa ad un pathos a volte prossimo a quello del drama rock più colto.

Tracklist
1- A picco sul mare
2- La metamorfosi dei sogni
3- Il canto di Sirin
4- Pioggia nel deserto
5- Gaza
6- Dopo la guerra
7- Resti

Line-up
Alessandro Evangelisti – piano / tastiere
Francesco Grammatico – programmazione / basso
Umberto Maria Lupo – batteria
Serena Stanzani – voce
Francesca Palamidessi – voce
Alfredo Gargaro – chitarre
Leonardo Giuntini – basso
Andrea Magliocchetti – chitarra classica

OPERA OSCURA – Facebook

Pat Heaven – To Heaven Again

Un pezzo importante nella storia dell’hard & heavy made in Italy, ristampato su CD in formato 45 giri da collezione.

Una ristampa attesa trent’anni.

I goriziani Pat Heaven nacquero nel 1986 e si conquistarono presto un folto seguito, anche e soprattutto grazie alla attività concertistica, in Italia e non solo (suonarono anche nell’allora Jugoslavia). Una vera rarità divenne il loro unico disco, uscito in tiratura limitata per la Docam nel 1988. E a tiratura limitata è anche questa fondamentale riedizione, che esce grazie alla Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa. Il quintetto era composto da Massimo Deviter (alla voce), Roberto Gattolin (alla chitarra), Luca Collovati (al basso), Gianandrea Garancini (batteria) e Dario Trevisan (alle tastiere). Il loro era un ottimo hard rock, sulla scia di Deep Purple e Rainbow e, quindi, giocato sull’interplay chitarra-tastiere, tra parti rocciose e melodie accattivanti, figlio della grande tradizione inglese degli anni Settanta e dei primi Ottanta. All’epoca non furono in moltissimi a poterlo apprezzare, il che rende questa benemerita ristampa ancora più interessante, testimonianza di quanto ricca e florida fosse la scena hard & heavy nostrana lungo gli Eighties. Un disco che non potrà non incontrare, pertanto, i favori di tutti coloro che amano senza riserve l’hard rock più puro e classico. Possiamo così riscoprire un’altra grande voce italiana del passato. Quel passato che, come diceva William Faulkner, non passa mai. Giustamente e per fortuna, aggiungiamo noi non senza una grande gioia. Dedicato al tastierista del gruppo, Dario Trevisan, da poco scomparso.

Tracklist
1 Runnin’ Alone
2 The Rush of the Thunder
3 Loneliness of Rock
4 Zero
5 Don’t You Know
6 Never Cry
7 Hope For a Man
8 The Rush of the Thunder (reprise)
9 The Second
10 Here Is My Love
11 Hey You
12 Reach Me Now
13 Doctor Doctor
14 Break in the Cages
15 Mistreated

Line-up
Massimo Deviter – voce
Roberto Gattolin – chitarra
Luca Collovati – basso
Gianandrea Garancini – batteria
Dario Trevisan – tastiere

PAT HEAVEN – Facebook

Night Gaunt – The Room

The Room è un lavoro che, dal punto di vista emozionale, non tradisce le attese di chi aveva apprezzato i lavori precedenti, portando anche qualche miglioria sotto forma di un songwriting ancora più fluido, anche se la proposta resta pur sempre collocabile nell’ambito del più oscuro e pesante esempio di doom metal di scuola classica.

Tra i cunicoli delle catacombe sotto il suolo di Roma si aggira una creatura persa nel buio millenario, accecata da una malinconica misantropia, guardiana del regno dei morti, lenta ed inesorabile compagna nella discesa in questo buio mondo di morte.

Il suo penoso girovagare tra i fetidi labirinti della città dei morti è scandito dalla musica dei Night Gaunt, doom metal band che dalla superficie crea musica pesantissima ed evocativa e la lascia scivolare nel sottosuolo, come colonna sonora per le anime alla ricerca di un’uscita da questo oscuro labirinto.
Attivo dal 2013, il quartetto romano ha già alle spalle un primo full length omonimo ed un ep (Jupiter’s Fall) uscito un paio di anni fa; The Room è il nuovo capitolo, una potentissima marcia catacombale composta da sei brani di doom metal classico, tra ritmi cadenzati e mastodontici, mid tempo che si trasformano in cavalcate heavy condite di distorsioni e vocals evocative, per una quarantina di minuti scarsi nel corso dei quali la luce non è contemplata,.
The Room segue le coordinate del doom pregno di oscure e funeree atmosfere in un contesto heavy di scuola Candlemass, Solitude Aeturnus e Saint Vitus, ma potrei citare anche Penance e Revelation, a tratti affioranti nelle trame pesantissime ed oscure di brani come Oval Portrait, Penance (brano presente sul precedente ep) e le due bellissime e lunghe tracce, Labyrinth e The Owl, che concludono l’album offrendo complessivamente quasi venti minuti di interpretazione classica del genere.
The Room è un lavoro che, dal punto di vista emozionale, non tradisce le attese di chi aveva apprezzato i lavori precedenti, portando anche qualche miglioria sotto forma di un songwriting ancora più fluido, anche se la proposta resta pur sempre collocabile nell’ambito del più oscuro e pesante esempio di doom metal di scuola classica: considerando peraltro il valore delle due nere e micidiali perle metalliche come quelle citate, quest’ultimo lavoro dei Night Gaunt merita la massima considerazione da parte degli appassionati.

Tracklist
1. The Room
2. Penance
3. Oval Portrait
4. Veil
5. Labyrinth
6. The Owl

Line-up
GC – Guitars and Vocals
Zenn – Guitars
Araas – Bass
Tystnaden – Drums

NIGHT GAUNT – Facebook